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SESTA SERIE

AVVERTENZA

1. Il periodo coperto da questo volume (24 marzo-22 giugno 1919), per quanto relativamente breve, è estremamente denso di avvenimenti e di problemi, poiché corrisponde ad una fase decisiva della Conferenza di Versailles, mentre coincide con gli ultimi travagliati mesi del Ministero Orlando. Si apre infatti con la costituzione a Parigi del Consiglio dei quattro e si chiude con le dimissioni del Ministero Orlando, a seguito del voto della Camera del 19 giugno.

Inaugurata ufficialmente il 18 gennaio pomeriggio al Quai d’Orsay — lo stesso giorno della ricostituzione del Ministero Orlando — la Conferenza della pace registra proprio il 24 marzo una svolta importante con l’istituzione di un Consiglio dei quattro (Wilson, Clemenceau, Lloyd George, Orlando), accanto al Consiglio dei dieci, per la trattazione delle questioni più importanti, e ciò con il dichiarato scopo di abbreviare le discussioni e imprimere carattere più autorevole e al tempo stesso più riservato alle decisioni.

Il conflitto era terminato con gli armistizi del novembre 1918, ma i problemi da risolvere sono numerosi e complessi, con riflessi anche sul piano militare. E la diplomazia italiana appare impegnata a tutto campo nei settori più disparati in cui si ritengono in gioco gli interessi del paese.

Accanto alle discussioni generali per la preparazione dei trattati di pace, i nodi da sciogliere sono tanti: la questione adriatica e i rapporti con il nuovo Stato serbo-croato-sloveno; l’Albania; le operazioni in Anatolia e i rapporti con la Grecia e con la Turchia; la questione dei compensi coloniali; le clausole militari e di disarmo; le riparazioni. Ma anche, naturalmente, le tormentate relazioni con Wilson e con gli alleati, i riflessi della situazione interna sulla politica estera, le contrastanti concezioni circa le linee da seguire. E poi tutta una serie di problemi particolari, di minore importanza, certo, ma comunque significativi del momento vissuto dall’Italia nelle sue ambizioni di grande potenza giovane e in ascesa.

Sullo sfondo il problema della Società delle Nazioni, l’istituzione internazionale fortemente voluta da Wilson, per la quale una commissione appositamente costituita ha provveduto a redigere uno Statuto che viene approvato dalla Conferenza in assemblea plenaria il 28 aprile 1919, in una con la scelta di Ginevra a sede della Società. Ma anche — di particolare importanza per l’Italia — la posizione della Santa Sede nel quadro internazionale, con la sua pretesa di essere rappresentata alla Conferenza della pace e di essere ammessa nella Società delle Nazioni.

Il nodo principale è costituito naturalmente dalla questione adriatica, con le contraddittorie rivendicazioni in Istria e sulla costa dalmata, riassunte nella formula «Fiume più il Patto di Londra»: una posizione resa più complicata dalla dura opposizione di Wilson ad accettare la validità dei trattati segreti, non meno che dalle ambiguità e dai contrasti presenti nella Delegazione italiana, nel Governo e nel paese sugli obiettivi finali del conflitto. Oltre Adriatico i problemi non si limitano per altro alle rivendicazioni in Istria, Fiume e Dalmazia. Con il nuovo vicino costituitosi ad est, il Regno dei serbi-croati-sloveni, i termini della questione adriatica sono complicati da molti fattori: dal problema del riconoscimento della nuova entità statale; dalla sorte della Croazia, i cui spiriti di autonomia sono da noi alimentati; dal futuro del Montenegro, i cui interessi l’Italia, imparentata con la dinastia, cerca, sia pure ambiguamente, di tutelare, invano adoperandosi per la sua ammissione alla Conferenza della pace e per il riconoscimento dei suoi diritti all’indipendenza; dalla questione infine delle frontiere albanesi. La rivendicazione di una posizione di preminenza nel piccolo Stato albanese, in base agli accordi del 1912 e del 1915, si intreccia infatti conflittualmente con le pretese serbe e greche ad una sostanziale modifica delle rispettive frontiere; mentre i rapporti con la Grecia investono anche la sorte del Dodecanneso (dove un forte movimento filo-ellenico sostiene con determinazione l’unione alla madrepatria).

Ma, anche se la diplomazia italiana appare bloccata sulla questione adriatica, una serie di altri problemi richiede tutta l’attenzione dei nostri rappresentanti a Parigi, di fronte ad un mondo sconvolto dal conflitto e dalle rivoluzioni, dove il crollo di quattro imperi ha messo in moto una serie infinita di rivendicazioni e contrasti, provocando la nascita di nuove formazioni statali e imponendo la ricerca di nuovi equilibri. Ritenendo di non poter ignorare il complesso processo di trasformazione in atto, la diplomazia italiana si sforza così di rivendicare la sua presenza, a volte in modo velleitario, su tutti gli scacchieri, dove gli interessi del paese possono apparire in qualche modo significativi.

Un’attenzione speciale è rivolta naturalmente ai paesi ex nemici ed agli Stati nuovi sorti dalla dissoluzione dei grandi imperi sconfitti nell’Europa centro-orientale e nei Balcani. Con la Germania il problema centrale, a parte la partecipazione alle riparazioni ed alla spartizione della flotta mercantile, è legato all’ipotesi di un suo rifiuto alla firma del trattato di pace ed alle conseguenti eventuali occupazioni di territorio tedesco, in particolare in Baviera. L’Italia intende peraltro sfruttare la crescente rivalità tra le potenze vincitrici per assicurarsi, con una politica di amicizia con Berlino, tutti i possibili vantaggi economici nel nuovo equilibrio europeo. Problemi più complessi pone la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico e la nascita, in sua vece, di una catena di piccoli Stati dalla vitalità ancora debole e incerta. La Repubblica austro-tedesca, di dimensioni assai ridotte, con una popolazione concentrata per gran parte nella capitale, è percorsa alternativamente da fermenti rivoluzionari e da istanze di annessione alla Germania, cui la diplomazia francese contrappone l’ipotesi di una federazione danubiana. Per l’Italia rimane vitale la questione del Tirolo. Ma anche la definizione delle frontiere sud-orientali della Repubblica in Carinzia e in Slovenia assume importanza significativa in funzione della tutela dei collegamenti ferroviari per Trieste e l’Europa centrale; e così il problema della tutela e del recupero dei beni culturali nelle province liberate.

Ma è in Ungheria che la politica post-bellica dell’Italia è messa più a dura prova dimostrando tutte le sue contraddizioni e le sue velleità. A Budapest, dove la instaurazione della Repubblica dei consigli sembra, per qualche momento, significare l’inizio della bolscevizzazione dell’Europa, l’Italia è infatti per qualche tempo l’unica potenza dell’Intesa ad avere una rappresentanza diplomatica e militare significativa, anche forse nella prospettiva di un rafforzamento del fronte anti-jugoslavo. Con la conseguenza, tra l’altro, che i suoi rapporti con il regime di Bela Kun — se contribuiscono non poco a salvare vite umane ed a ridurre la violenza delle persecuzioni — sono spesso interpretati come appoggio al moto rivoluzionario o addirittura agli interessi ungheresi in Slovacchia, in contraddizione con il sostegno ivi da noi offerto alla politica del Governo di Praga. Anche gli sforzi per giungere ad una transizione pacifica verso un Governo democratico e per una soluzione ragionevole del contenzioso con la Romania possono prestarsi a considerazioni contrastanti, a giudizi di ambiguità da parte delle potenze alleate.

D’altra parte in Romania, come in Bulgaria, l’interesse italiano ad un’ampia intesa nella regione si scontra con l’ipotesi di unione balcanica sostenuta dalla Francia e con le pretese di Parigi ad accrescere in misura significativa la propria influenza politica ed economica in quei paesi. Inoltre, se la benevolenza per la causa di Sofia alla Conferenza della pace e per le sue rivendicazioni territoriali nei confronti dei paesi confinanti è sostenuta dalla coscienza dei gravi rischi di una pace punitiva per la Bulgaria, i rapporti con la Romania sono avvelenati, soprattutto nelle ultime settimane del periodo qui trattato, dalla ripresa del conflitto ungaro-rumeno e dalla rigidità delle posizioni di Bucarest nei confronti della Bulgaria per la Dobrugia.

Nel nuovo Stato cecoslovacco la posizione dell’Italia — che pure aveva fortemente contribuito alla costituzione delle sue forze armate con la formazione di una legione cecoslovacca e l’invio di una missione militare con il generale Piccione — si è venuta progressivamente indebolendo dopo la nomina del generale francese Pellé a capo di Stato Maggiore dell’esercito cecoslovacco, nel quadro di una sempre più intensa diplomazia militare della Francia nell’Europa centro-orientale e nei Balcani. Il contrasto Piccione-Pellé e il conflitto diplomatico che ne è il risultato condurranno in breve al ritiro della missione italiana.

In Europa orientale, dopo la caduta dell’impero zarista, la preoccupazione per un dilagare dell’influenza bolscevica ha indotto il Governo di Roma ad appoggiare in qualche misura le iniziative dell’Intesa, assicurando — sia pure tra incertezze e contraddizioni — una presenza politica e militare in Murmania e in Estremo Oriente. Mentre l’iniziale rifiuto di riconoscere le nuove formazioni statali (dall’Ucraina alla Finlandia) e la linea scelta nei confronti di Kolciak sottolineano un atteggiamento di prudente attesa di fronte ad un quadro generale ancora tutt’altro che stabilizzato. Tutto questo è evidente in particolare nella questione della Georgia, a seguito dell’offerta di Londra di sostituire le truppe britanniche presenti nella regione, in una prospettiva di vantaggi economici non indifferenti, ma con rischio di coinvolgimenti tutt’altro che privi di pericoli. Perplessità, tentennamenti, rinvii condurranno infine, con il Governo Nitti, alla definitiva cancellazione dell’operazione.

Non meno complesso il quadro delle rivendicazioni coloniali in Asia Minore e in Africa. Per gli articoli 9 e 13 del Patto di Londra del 26 aprile 1915, l’Italia aveva visto riconosciuto il suo interesse speciale nel Mediterraneo orientale e nella Turchia asiatica nonché il diritto a compensi territoriali in Africa in caso di estensione dei possedimenti coloniali francesi e britannici a spese della Germania. Nel convegno di

S. Giovanni di Moriana del 19-20 aprile 1917 poi, in applicazione dell’art. 9 su ricordato, l’Italia aveva ottenuto, in linea di massima, con riserva dell’adesione russa, il diritto di occupare il sangiaccato di Adalia e il vilayet di Aidin, con Smirne.

In effetti la Turchia e il Vicino Oriente costituivano da tempo una delle aree privilegiate di interesse della diplomazia italiana, sia per i postumi del conflitto italo-turco del 1911-12, sia per le prospettive di sfruttamento economico in Anatolia, sia per le rivendicazioni di carattere culturale e religioso sul Cenacolo e sui Luoghi Santi di Palestina e su Santa Sofia di Costantinopoli. La mancata adesione russa, a seguito della rivoluzione bolscevica, e la ferma posizione di Wilson contro ogni distacco di regioni etnicamente turche avendo reso perenti tutti gli accordi, nessun piano preciso è presente alla Conferenza della pace circa le sorti dell’Impero ottomano. In questo quadro la politica delle occupazioni militari italiane in Anatolia, duramente contestata dagli alleati, intende porre le basi per l’avvio di maggiori rapporti commerciali ma anche aprire la prospettiva di un mandato italiano su tutta o su parte della regione.

Quanto all’Africa, tutti gli sforzi per ottenere compensi in base all’art. 13 del Patto di Londra, dopo la spartizione delle colonie tedesche tra la Francia e la Gran Bretagna, dovevano produrre risultati assai modesti (rettifiche di frontiere in Libia, cessione del Giubaland), dopo il netto rifiuto francese alla cessione di Gibuti ed il sostanziale fallimento dei lavori della Commissione coloniale istituita proprio per l’applicazione dell’art. 13. Sottovalutate al momento del Patto di Londra, e sino alla fine del conflitto, le rivendicazioni coloniali si presentano per altro in maniera incoerente e disordinata: dall’Etiopia, dove le difficoltà dei rapporti con la Francia per il controllo economico e politico del paese si inseriscono in un quadro diplomatico che comprende gli accordi a tre (con la Gran Bretagna) ma anche le richieste di compensi territoriali in base all’art. 13; alle ipotesi di un mandato sul Togo o sul Camerun; ai programmi di investimenti economici in Angola o nel Congo, alla prudente difesa degli interessi italiani nel Mar Rosso e nella penisola arabica.

Inevitabile conseguenza di questa linea diplomatica, nella primavera del 1919 reparti militari o navali italiani si trovano ad essere presenti negli scacchieri più diversi, dall’Albania alla Bulgaria, dalla Murmania alla Siberia, dalla Palestina all’Anatolia, persino in Tracia, oltre che nei territori occupati per l’armistizio e nelle colonie, secondo l’antica logica politica di “mostrare la bandiera”. Il loro mantenimento, l’eventuale rafforzamento o una diversa dislocazione costituiscono altrettanti problemi che finiscono per coinvolgere, oltre al Ministero della guerra, anche quello degli affari esteri e la Presidenza del Consiglio.

2. L’impegno della nostra diplomazia alla Conferenza della pace comporta la presenza a Parigi di una Delegazione molto numerosa, con cinque delegati plenipotenziari al più alto livello, Orlando, Sonnino, Barzilai, Salandra, Salvago Raggi (sostituiti questi ultimi il 23 maggio da Crespi e Imperiali), mentre le questioni militari sono gestite da una Sezione militare e da una Sezione marina in seno alla Delegazione. La Sezione militare, presieduta dal gen. Cavallero, svolge inoltre le funzioni di Sezione italiana del Comitato militare alleato di Versailles. Rappresentanti ed esperti tecnici fanno parte poi delle numerosissime commissioni interalleate operanti in seno alla Conferenza della pace. Mentre a Roma le funzioni di vice presidente del Consiglio dei ministri (dopo la breve parentesi di Villa) sono svolte dal ministro delle colonie Colosimo che mantiene rapporti quotidiani con il presidente Orlando e la Delegazione a Parigi. Il Ministero degli esteri è retto dal sottosegretario Borsarelli.

La necessità di una presenza a Parigi di elementi esperti e qualificati ha reso necessari numerosi temporanei spostamenti sia da Roma che da importanti sedi diplomatiche. Così, il segretario generale del Ministero degli esteri, Giacomo De Martino, è designato delegato e consigliere tecnico per le questioni politiche e diplomatiche; e così pure l’ambasciatore a Washington, Macchi di Cellere, ivi sostituito dal primo segretario di legazione Arone come incaricato d’affari. A sua volta l’ambasciatore a Londra, Imperiali (sostituito nella sua sede dal primo segretario Preziosi) viene distaccato presso la Delegazione dalla fine di marzo 1919, poi (il 7 maggio) designato nella Commissione per la Lega delle Nazioni e infine (il 23 maggio) nominato delegato plenipotenziario al posto di Salvago Raggi.

Altri importanti collaboratori hanno seguito a Parigi i principali delegati. Come Aldrovandi Marescotti, capo di Gabinetto del ministro degli esteri, designato segretario generale della Delegazione italiana, o come l’ispettore generale di P.S. Augusto Battioni, che ricopre l’incarico di capo di Gabinetto del presidente del Consiglio. A sua volta il consigliere di legazione Pompeo Aloisi svolge le funzioni di capo del-l’Ufficio stampa e informazioni del ministro degli esteri a Parigi. Sono invece rimasti a Roma, tra gli altri, il capo di Gabinetto della Presidenza, Modestino Petrozziello, e il segretario di Sonnino, Augusto Biancheri Chiappori.

Assai complessa è anche la situazione creatasi nella rete delle rappresentanze nei paesi ex nemici e nei nuovi Stati nati dalla dissoluzione dei grandi imperi sconfitti. In quelle sedi non sono ancora state istituite normali strutture diplomatiche, ma rappresentanti del Ministero degli esteri sono presenti ovunque, sia pure in vesti diverse, già inseriti in un complicato gioco diplomatico che ha per posta il controllo del nuovo equilibrio politico nell’Europa centro-orientale e nei Balcani.

Così a Vienna viene destinato, come commissario politico presso la missione militare per l’armistizio guidata dal generale Segre, il console generale Macchioro Vivalba, che sarà sostituito in giugno da Borghese; mentre a Innsbruck viene inviato, come commissario del Ministero, presso il comando delle truppe di occupazione, il console Chiovenda. A Sofia è designato come commissario l’inviato straordinario e ministro plenipotenziario Aliotti; a Costantinopoli come alto commissario l’inviato straordinario e ministro plenipotenziario Sforza; a Praga il consigliere di legazione Lago con lettere di incaricato d’affari. A Berlino è presente una missione militare guidata dal gen. Bencivenga, al quale si aggiungerà in qualità di commissario politico, alla fine di giugno, il consigliere di legazione Chiaramonte Bordonaro. In Ungheria era stato inviato, in missione provvisoria dopo l’armistizio, il primo segretario di legazione Tacoli, nel quadro della missione militare aggregata alla missione francese del colonnello Vix, ritirata peraltro dopo il colpo di Stato bolscevico del 21 marzo. Ma a Budapest, frattanto, aveva preso residenza, in veste non ben definita ma di fatto come commissario italiano, il ministro plenipotenziario Borghese (ufficialmente destinato a Belgrado). L’arrivo di una delegazione italiana ai primi di maggio, guidata dal ten. col. Murari, con Tacoli come commissario politico, era destinato quindi a complicare la situazione, provocando la reazione di Borghese e l’allontanamento di Tacoli. Borghese rivestirà da questo momento ufficialmente le funzioni di commissario, sino al 5 giugno, quando sarà trasferito a Vienna, lasciando nuovamente il posto a Tacoli per breve periodo (sarà infatti a sua volta sostituito da Cerruti alla fine di giugno).

Analogamente, rappresentanti del Ministero vengono inviati, con incarichi e funzioni diverse, a volte in via provvisoria, sia nei territori dell’ex impero zarista, sia in Egitto e in Palestina: il segretario di legazione Savona ad Arcangelo; il console generale Majoni a Odessa; il vice console Grazzi ad Helsingfors come delegato italiano nel Comitato economico interalleato in Finlandia, poi come incaricato d’affari, mentre a Varsavia è presente, fino al 6 aprile, il ministro plenipotenziario Montagna, quale capo della delegazione italiana nella Commissione interalleata d’inchiesta in Polonia. E così, ancora, il console Tuozzi va a Beirut, il segretario di legazione Meli Lupi di Soragna a Gerusalemme. Va ricordato infine che presso il re del Montenegro, in esilio a Parigi, era stato inviato come delegato il ministro plenipotenziario Montagliari.

3. Le ricerche sono state condotte in prevalenza nell’Archivio storico diplomatico del Ministero degli affari esteri. Alle sedi del MAE e della Delegazione a Parigi confluì infatti, durante il periodo della Conferenza della pace, tutta la documentazione relativa ai problemi in discussione, anche quella degli organi militari e dei ministeri economici.

Indagini complementari sono state svolte comunque nell’Archivio centrale dello Stato e negli Archivi di Stato di Napoli e di Catanzaro; e, soprattutto per controlli, nell’archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’esercito.

In particolare, le ricerche sono state svolte nei seguenti fondi dell’Archivio storico diplomatico:

1) L’archivio della Conferenza della pace, che raccoglie tutta la copiosissima documentazione dell’attività svolta dalla Delegazione italiana a Parigi.

2) L’archivio di Gabinetto.

3) L’archivio della Direzione generale degli affari politici.

4) L’archivio della Direzione generale degli affari commerciali.

5) Gli archivi delle ambasciate a Londra, a Parigi, a Washington, a Vienna, ad Arcangelo.

6) L’archivio storico del Ministero dell’Africa italiana.

7) I fondi personali Aldrovandi e Sforza.

Sono stati inoltre utilizzati i fondi Orlando e Sforza, i verbali del Consiglio dei Ministri e il fondo Prima guerra mondiale dell’archivio di Gabinetto della Presidenza del Consiglio, tutti conservati nell’Archivio centrale dello Stato; le carte Colosimo conservate negli Archivi di Stato di Napoli e di Catanzaro; nonché tre serie di telegrammi, in arrivo e in partenza (telegrammi ordinari, di Gabinetto e della Delegazione alla Conferenza della pace), di cui le prime due conservate nell’Archivio storico diplomatico del MAE, mentre i telegrammi della Delegazione, pur presenti in ordine sparso nei fascicoli del fondo della Conferenza della pace e nel fondo Orlando, sono stati tratti dalla serie completa dell’archivio Sonnino di Montespertoli, conservato in copia microfilm nell’Archivio centrale dello Stato.

Un cenno particolare va riservato alla documentazione relativa alle sedute del Consiglio dei quattro, l’organo centrale della Conferenza dal 24 marzo al 28 giugno 1919. Tali sedute si tenevano normalmente due volte al giorno, inizialmente solo con la presenza di un interprete, il francese Mantoux, e senza stesura di verbali. Poi intervennero anche il segretario di Lloyd George, sir Maurice Hankey e il segretario generale della Delegazione italiana, Aldrovandi. Le note di Hankey venivano rimesse a Lloyd George, ai membri del Consiglio dei quattro ed a pochi altri. Gli appunti di Aldrovandi erano letti, dopo le sedute, nelle riunioni della Delegazione italiana. Né le une né gli altri — né gli appunti di Mantoux — furono mai sottoposti ad approvazione formale e non costituiscono quindi documentazione ufficiale. Le minute (qui pubblicate) dei reso-conti conservate nelle carte Aldrovandi e nel fondo Orlando dell’ACS — che per altro coprono solo in parte la serie delle sedute del Consiglio — corrispondono però raramente ai testi pubblicati dallo stesso Aldrovandi nelle sue memorie. Siamo in presenza evidentemente di prime stesure rimaneggiate poi più o meno ampiamente al momento della stampa. E molto spesso si tratta di appunti manoscritti praticamente incomprensibili (per la sovrabbondanza di abbreviazioni e per la confusione della grafia) che non è stato possibile prendere in alcun modo in considerazione.

Il periodo coperto da questo volume è tra i più studiati della storia del secolo scorso. Numerosi tra i documenti più significativi sono quindi già noti, in quanto apparsi in raccolte ufficiali, o in appendice alle memorie dei protagonisti, o perché oggetto di ricerche e studi particolari. Nella impossibilità di procedere ad una organica e completa rassegna bibliografica ci siamo limitati a segnalare in nota gli opportuni riferimenti solo per i documenti editi in appendice agli scritti di alcuni tra i principali protagonisti italiani delle vicende del 1919 (Orlando, Sonnino, Crespi, Salandra, Salata), nonché per le edizioni dei resoconti del Consiglio dei quattro.

Abbiamo ritenuto infine opportuno riprodurre, in appendice, a illustrazione delle vicende trattate, alcune carte geografiche rinvenute — anche senza riferimento a particolari documenti — nei fascicoli dell’archivio storico del MAE.

4. Alla preparazione del presente volume hanno contribuito, in tempi diversi, funzionari della Commissione e dell’Archivio centrale dello Stato.

Alla ricerca iniziale dei documenti nell’Archivio storico diplomatico del MAE e nell’ACS hanno provveduto i dottori Ludovica de Courten, Stefania Ricci, Andrea Edoardo Visone, al tempo tutti archivisti dell’ACS. Alle ricerche integrative e di controllo, alla compilazione delle appendici e alla preparazione del materiale per la stampa hanno contribuito i dottori: Giovanni Bozzi (che ha curato inoltre l’impianto informatizzato degli strumenti di corredo), Maria Laura Piano Mortari, Rita Luisa De Palma, Gian Luca Borghese, Selene Colombo e Patrizia Di Gianfelice. Utilissima è stata inoltre la collaborazione delle signore Andreina Marcocci, Daniela Vella e Anna Quartucci. A tutti va il mio più vivo ringraziamento. Alla dott.ssa Piano Mortari si deve inoltre la revisione generale finale di tutto il volume, al dott. Borghese la revisione e l’integrazione dell’indice dei nomi, alla dott.ssa Di Gianfelice la revisione finale delle bozze e gli ultimi controlli per la stampa. La loro opera minuziosa, attenta e accurata merita ogni elogio.

Ringrazio inoltre la Direzione generale per gli archivi, l’Archivio centrale dello Stato e il Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro degli Archivi di Stato per l’assistenza fornita nella ricerca della documentazione e per la riproduzione del microfilm delle carte Sonnino conservate a Montespertoli; l’Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’esercito, e in particolare l’archivista addetto dott. Alessandro Gionfrida, per la collaborazione nell’opera di integrazione e di controllo della documentazione militare; gli Archivi di Stato di Napoli e di Catanzaro, per la riproduzione di documenti dagli archivi Colosimo ivi conservati.

RENATO GRISPO

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

ALDROVANDI = LUIGI ALDROVANDI MARESCOTTI, Ricordi e frammenti di diario (1914-1919), Milano, Mondadori, 1936.

ALDROVANDI, Nuovi ricordi = LUIGI ALDROVANDI MARESCOTTI, Nuovi ricordi e frammenti di diario, Milano, Mondadori, 1938.

CRESPI = SILVIO CRESPI, Alla difesa d’Italia in guerra ed a Versailles, Diario 1917-1919, Milano, Mondadori, 1937.

DBFP = Documents on British Foreign Policy, 1919-1939, first series, 1919, London, HMSO, 1949 sgg.

FRUS = Papers Relating to the Foreign Relations of the United States, The Paris Peace Conference, 1919, voll. V e VI, Washington, U.S. Government Printing Office, 1944-1946.

MANTOUX = PAUL MANTOUX, Les délibérations du Conseil des Quatre (24 mars28 juin 1919), voll. 2, Paris, Ed. du CNRS, 1955.

ORLANDO = VITTORIO EMANUELE ORLANDO, Memorie (1915-1919), a c. di R. MOSCA, Milano, Rizzoli, 1960.

RAC = Conférence de la paix, 1919-1920, Recueil des actes de la Conférence, Partie I, Actes du Conseil suprème, Recueil de résolutions, Deuxième fascicule (du 24 mars au 28 juin 1919), Paris, Imprimérie nationale, 1934.

SALANDRA = ANTONIO SALANDRA, I retroscena di Versailles, a c. di G.B. GIFUNI, Milano, Pan, 1971.

SALATA = FRANCESCO SALATA, Il nodo di Gibuti, Milano, ISPI, 1939.

SONNINO, Carteggio = SIDNEY SONNINO, Carteggio 1916-1922, a c. di P. PASTORELLI, Bari, Laterza, 1975.

SONNINO, Diario = SIDNEY SONNINO, Diario, vol. III, 1916-1922, a c. di P. PASTORELLI, Bari, Laterza, 1972.

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

A.C.S. -= Archivio centrale dello Stato all. = allegato a.- m. = antimeridiano autogr. = autografocfr. = confronta cit. = citato

C.d.p. = Conferenza della pace

C.S. = Comando Supremo D./DD. = documento/i

D.D.I. = Documenti diplomatici italiani

D.I.C.P. -= Delegazione italiana alla Conferenza della pace ed. = edito F. -= foglioFon. = fonogrammaGab. = Gabinetto L. -= lettera m. -= morto M.A.E. -= Ministero degli affari esteri ms. = manoscritto N. -= nota n. -= numero

P.C.M. = Presidenza del Consiglio dei ministri pers. = personale perv. = pervenuto pm. = promemoria

p.m. -= pomeridiano prec. ass. = precedenza assoluta prec. s. prec. = precedenza sulle precedenze r. -= regioris. = riservato rr. = riservatissimo

s.d. = senza data

S.d.N. = Società delle Nazioni

S.E. = Sua Eccellenza segr. = segreto

S.H.S. = serbi-croati-sloveni (Regno dei)

S.M. = Stato Maggiore

s.n. = senza numero sp. = speciale

S.V. -= Signoria Vostra T. -= telegramma urg. = urgente uu. = urgentissimo

V.E. = Vostra Eccellenza

V.M. = Vostra Maestà (?) = lacuna o incertezza nel documento [?] = interventi del curatore


DOCUMENTI
1

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 320. Parigi, 24 marzo 1919, ore 20.

Rispondo telegramma di V.E. n. 58321.

Approvo invio telegramma nella redazione comunicatami.

2

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 879 P. RR. Torino, 24 marzo 1919, ore 21,20 (perv. ore 24).

In questi ultimi giorni ha preso forma concreta offerta inglese di sostituire con truppe italiane truppe di occupazione della regione caucasica1. Io sono stato e sono molto perplesso poiché, se il rischio non è piccolo, la tentazione è grande. Quei territori sono la terra promessa delle materie prime che mancano all’Italia, dal petrolio al carbone, al ferro, al manganese, al piombo e all’argentoDa fonte bene informata mi

.

risulta che le ricchezze di quelle terre superano la stessa spesa di guerra sostenuta dall’Italia. Viceversa ho la sensazione delle difficoltà politiche che potrebbero nascere se noi ci cacciamo nel ginepraio russo. Sta di fatto peraltro che, subito dopo la rivoluzione russa, la Georgia si costituì in una Repubblica socialista che finora è

rimasta al potere, dimostrando sufficiente solidità, mentre d’altra parte nostro intervento avverrebbe di accordo col georgiano, il quale dichiara di non essere diminuita la sua indipendenza ma di non aver nulla in contrario, e anzi desiderare, che questa indipendenza sia per ora sostenuta da armi alleate. Ciò attenua molto le difficoltà politiche ma non le rimuove. Resta tuttavia vero che noi abbiamo una occasione magnifica di procurarci materie prime essenziali specie nella situazione attuale dell’Italia. Per ora io ho dato all’Inghilterra un assentimento generico2 e partirà presto una missione di ufficiali italiani3 per studiare la dislocazione delle truppe, di alloggiamenti, accessi; questa missione dovrebbe però nel tempo stesso esaminare effettiva situazione politica e fare in modo che possa decidere a ragion veduta. Stimo che per ora convenga che queste notizie tu le tenga per tuo assoluto conto.

1 1 Il T. 5832 è del 22 marzo (serie sesta, vol. II, D. 918) e prevedeva misure di intervento nei territori albanesi indebitamente occupati dai serbi. Il testo approvato fu poi trasmesso da Borsarelli a Badogliocon T. 6895 del 28 marzo e da questi ritrasmesso al generale Piacentini a Valona con la postilla: «Naturalmente intimazione sgombero dovrà essere data singoli distaccamenti a mano a mano che nostre truppe sianopronte sostituirli prendendo necessarie precauzioni per evitare sorprese».

2 1 Sulla questione della Georgia e sull’offerta inglese di un mandato italiano sulla regione si vedaserie sesta, vol. II, D. 834 (colloquio Orlando-Lloyd George del 15 marzo 1919).

3

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 880 P. Torino, 24 marzo 1919, ore 21,40 (perv. ore 9,30 del 25).

Come indice del crescente malcontento che a Trieste si va estendendo anche a circoli nazionalmente ottimi e politicamente moderati, mi viene segnalato ordine del giorno deliberato in recente adunanza da associazione democratica «Il Rinnovamento». Premettendo affermazione unanime entusiastico consenso di tutti i triestini all’unione con l’Italia e plaudendo a noi cooperarono alla liberazione della città, ordine giorno denunzia grave malcontento delle popolazioni redente per lentezza con cui vitali problemi per quelle terre verrebbero trattati da chi dovrebbe affrettarsi a risolverli nell’interesse delle terre redente Italia tutta. Pur riconoscendo miglior zelo dei funzionari civili e militari, si deplora che tutte le iniziative e sollecitazioni degli enti cittadini non siano valse a scuotere quella che espressamente si chiama l’indolenza degli organismi centrali dell’amministrazione italiana, conclu

3 Si tratta della missione guidata dal colonnello Gabba, che partirà dall’Italia il 27 aprile, arrivando a Batum il 9 maggio. Vedi D. 755.

dendo con un appello a quanti amano le terre redente a voler dare opera perché i più urgenti bisogni delle terre stesse siano finalmente avviati a pronta soluzione. Ho motivo di ritenere che il malcontento abbia origine principalmente nella ritardata regolarizzazione del problema della valuta. Ti prego di conferire in proposito con Stringher per assicurare sollecita pubblicazione provvedimento predisposto e sua eventuale integrazione nei sensi da me ultimamente espostigli per quanto riguarda tanto i crediti e depositi in corone presso istituti finanziari, quanto il pagamento in lire degli assegni ai pubblici funzionari non soddisfatti dalla concessione recente di un sussidio straordinario e temporaneo. Ritengo necessario evitare che dopo sì lunga attesa nostro provvedimento costituisca grave delusione e acuisca, anziché eliminarla, questa precipua fonte del disagio presente nei territori redenti. Ragioni politiche di grave portata m’inducono a rivolgere la più seria attenzione specialmente a Trieste ed alla Venezia Giulia, dove gli avvenimenti di Ungheria e Rumenia, che fanno temere un prorogarsi del movimento negli attigui territori tedeschi e jugoslavi, potrebbero avere qualche ripercussione facilmente complicata dalle particolari condizioni nazionali delle nostre nuove province orientali. Su tributi potrebbero concentrarsi, per vie diverse, tutte facilmente accessibili, opera agitatori jugoslavi e tedeschi, specialmente per mezzo delle mai interrotte relazioni tra il socialismo rivoluzionario viennese e il socialismo triestino, non liberato ancora da influenze slavofile, e già in diretto contatto con nostri socialisti ufficiali. Conviene eliminare e prevenire nella situazione di Trieste quanto potrebbe offrire pretesto a movimenti incomposti, dando invece, con pronti e buoni provvedimenti alla maggioranza nazionalmente sicura, la possibilità di resistenza a tutela ordine pubblico. Un movimento che dovesse sorgere a Trieste, non solo pregiudicherebbe qui nel momento decisivo le risoluzioni internazionali, ma potrebbe essere pericolosissima scintilla per il resto del paese. Anche in questo riguardo la nostra porta orientale esige cura vigilante. Mi riservo di comunicarti prossimamente qualche provvedimento organico per quella che potrà essere l’amministrazione civile dei nuovi territori nell’imminenza dei preliminari di pace.

2 2 In realtà sembra si sia trattato di ben più di un «assentimento generico». In un appunto datato22 marzo, infatti, il capo di Gabinetto di Sonnino, Aldrovandi, annotava: «Per incarico del presidente delConsiglio e del ministro degli affari esteri, ho detto, alla fine della seduta antimeridiana di oggi, al colonnello Hankey, perché lo comunichi al signor Lloyd George, in risposta alla domanda da lui fatta ieri, cheil Governo italiano accetta di sostituire nel Caucaso le truppe britanniche. Ho aggiunto in secondo luogoche questo carico che prendeva il Governo italiano non implicava alcuna nostra rinunzia a partecipare adoccupazioni militari o mandati in Asia Minore. Hankey ha mostrato gradire la prima comunicazione edha convenuto nella seconda. Lloyd George, informato di quanto precede, ha dato disposizioni perché ilgenerale Wilson si metta subito in contatto con un rappresentante militare del Governo italiano. D’incarico del ministro degli affari esteri, ho informato di ogni cosa il generale Cavallero, pregandolo di mettersiin relazione col generale Wilson».

4

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1224/39. Addis Abeba, 24 marzo 1919 (perv. il 31).

Questo ministro francese ha comunicato ras Tafari formale assicurazione Ministero delle colonie francese che colonia Gibuti rimarrà Francia1.

4 Il telegramma fu trasmesso via Asmara il 27. 1 Vedi anche serie sesta, vol. II, D. 925.

5

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1179/59. Belgrado, 24 marzo 1919 (perv. il 26).

Presidente del Consiglio Protiƒ ha fatto esposizione situazione estera aprendo discussione indirizzo risposta della Corona. Affermazione più importante esposizione: nuovo Regno non ancora riconosciuto da Francia Inghilterra e Italia unicamente a cagione Trattato Londra negante unità nazionale e statale jugoslava a profitto alleati. Abitanti territori nazionali già soggetti Austria-Ungheria contribuirono combattendo Salonicco e Dobrugia ed al fronte italiano arrendendo; coll’offensiva «franco-anglo-italiana» sul Piave cominciò la vittoria fronte Salonicco. Popolo jugoslavo sarà costretto continuare lotta se non riconosciuti suoi diritti nazionali. Elementi stranieri esistenti sul confine italiano sono dovuti non espansione naturale ma a colonizzazione forzata veneta austriaca e ungherese. Esercito italiano penetra sempre più profondo Albania, fino presso nostra stessa frontiera, senza suscitare disapprovazione da parte delle altre alleate mentre battaglioni serbi arrivanti per primi sul Mati ed a Scutari, dopo lagnanze condotte autorità italiane territori occupati. Discorso conclude: affermazione presidente Orlando circa Fiume italiana1 ha prodotto pessima impressione su nostre popolazioni che conoscono come Fiume croata scongiura jugoslavi riceverla al più presto nel loro seno come Istria e tutta la regione di Gorizia. Grande numero italiani a Trieste ed a Gorizia non è ragione sufficiente perché non vengano attribuite Jugoslavia siccome gran numero italiani New York non sarebbe per toglierla agli Stati Uniti.

6

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1180/60. Belgrado, 24 marzo 1919 (perv. il 26).

Ho fatto a questo ministro aggiunto degli affari esteri comunicazione prescritta-mi da V.E. con telegramma 595 (sic)1 circa ritiro truppe serbe in Albania. Dopo aver-ne riferito al presidente del Consiglio, Gavriloviƒ mi ha dichiarato stamane che

5 Il telegramma fu trasmesso da Fiume il 26 e pervenne a Roma lo stesso giorno.1 Il riferimento è al discorso tenuto da Orlando alla Camera il l° marzo e ripetuto poi al Senatonel pomeriggio dello stesso giorno.6 Il testo in arrivo reca la data di trasmissione del 26 marzo.

1 Si tratta in realtà del T. 295 del 19 marzo, da Parigi, in cui Sonnino testualmente disponeva:«Vostra signoria intanto, [...] voglia rappresentare a cotesto Governo la necessità di adottare al più prestotale provvedimento col quale si verrebbe ad evitare ogni causa di frizione. Vorrà inoltre segnalare l’eccessivo appoggio che da taluni comandi serbi si dà alle mene di Essad Pascià con che si aumentano le causedi incidenti». Si veda anche il T. 187 del 7 febbraio di Borsarelli a Galanti in serie sesta, vol. II, D. 261.

Governo serbo si rifiuta ritirare dette truppe perché situazione frontiera albanese non è sicura e perché situazione stessa dell’Italia in tutta Albania è precaria, tanto che ovunque sono segnalati conflitti fra albanesi e truppe italiane. Ho contestato assurde asserzioni ma mi sono reso conto che attuale attitudine Governo serbo è decisamente negativa come risulta anche da dichiarazione relativa Albania contenuta recente discorso Protiƒ alla Camera dei deputati (mio tel. n. 59)2. Gavriloviƒ, pur negando connivenza truppe serbe con bande albanesi di Essad, ha aggiunto che truppe serbe hanno ricevuto ordine di mantenersi nelle località che occupano e non mi ha celato che dette truppe potrebbero anche venire rinforzate. Governo serbo insiste sempre ignorare accordo in base al quale Albania settentrionale dovrebbe essere occupata esclusivamente da truppe italiane. Situazione generale relazioni italo-serbe inaspritasi negli ultimi mesi influisce evidentemente attitudine questo Governo né può sperarsi che ulteriore ritardo da parte nostra effettuare occupazione progettata possa cambiare determinazione serba.

7

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 709/7 RIS. Berna, 24 marzo 1919 (perv. il 25).

Faccio seguito al mio telegramma 363 dell’11 corrente1.

Vice presidente mi ha dichiarato che fu riconosciuto Stato jugoslavo ma non già il Governo. Questo passo fu fatto contemporaneamente a riconoscimento dello Stato Governo czeco-slovacco desiderando Svizzera fare atto amichevole verso nuovo Stato, testé sorto dopo la grande guerra. Si credette per la Jugoslavia che questo riconoscimento dello Stato e non del Governo non avrebbe ferito nostra suscettibilità2. Mi si aggiunge essersi pensato di dare al Bourcart, ministro federale a Vienna, credenziali per Praga e Varsavia ma non per Belgrado. Il Motta mi ripeté in ultimo, dopo averlo ripetuto pure stamane ai suoi colleghi nella seduta del Consiglio federale, che a suo modo di vedere il gesto della Svizzera non aveva ragione d’essere.

2 Con T. 1067 Confid. del 27 marzo Biancheri comunicava poi a Sonnino una nota del Governo svizzero nella quale si precisava: «In seguito alla costituzione del nuovo Regno di Serbia sotto lo scettro dei Karageorgeviƒ, comunicata al Governo svizzero dal reale inviato di Serbia, il Consiglio federalericonosce questo nuovo Stato, con riserva della futura delimitazione dei suoi confini».

6 2 Vedi D. 5.

7 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

8

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 756/33. Bucarest, 24 marzo 1919 (perv. il 28).

Telegramma di V.E. 2051.

Re Ferdinando, cui ho parlato nel senso indicatomi nell’odierna udienza concessa, mi ha incaricato esprimere R. Governo e personalmente al presidente Consiglio e

V.E. sua vivissima riconoscenza. Italia, ha detto Sua Maestà, ha sostenuto sempre Romania in tutte questioni internazionali. Sua Maestà ha concluso facendo voti perché rapporti fra due paesi divengano sempre più intimi. Sua Maestà mi ha detto che (...) territorio ruteno cui si riferisce ultima parte telegramma V.E. avrebbe interesse anche in quanto costituisce unica via di contatto fra massimalisti russi ed ucraini e Ungheria. Consterebbe infatti al Governo romeno che questi massimalisti agiscono in Ungheria e Germania. Anzi, secondo informazioni non potute ancora controllare, noto Racugski2 sarebbe entrato ultimamente in Ungheria. Re di Romania mi ha detto confidare sulla favorevole influenza che il viaggio della regina Maria ha sui negoziati di Parigi. Sua Maestà dice aver ricevute buone notizie dalla regina e nei circoli di corte si sembra credere, in seguito a ciò, all’accoglimento integrale o quasi delle domande rumene.

9

IL COMANDANTE IN ALBANIA, S. PIACENTINI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1147/2657 OP. Valona, 24 marzo 1919 (perv. stesso giorno).

Giunge ora notizia che ieri 23 nostro autocarro, su cui trovavasi principe Bib Doda e due albanesi al suo seguito e inglese Eden, comunemente conosciuto in Albania con denominazione di console inglese, nei pressi di Zojmeni (sulla strada di Alessio a nord del Mathi) veniva fatto segno da colpi di fucileria partiti dalle colline boscose. Principe Bib Doda restava ucciso, feriti i due albanesi al seguito e, pare leggermente, signor Eden. Faccio riserve di ulteriori notizie1.

2 Si tratta verisimilmente dell’agitatore bolscevico, di origine bulgara, Christian Georgevic Rakovskij.

9 Il telegramma venne inviato per conoscenza al Comando Supremo, ufficio operazioni.

1 Con T. 2714 OP. del 26 marzo infatti, il generale Piacentini forniva ulteriori particolari sull’attentato avanzando l’ipotesi di una vendetta di sangue e con T. 2900 del 29 marzo riferiva l’informazioneche «Giedaagu e suoi seguaci hanno festeggiato a Mathia uccisione principe Bib Doda avvenuta per loro

8 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 618.

10

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 725/281. Vienna, 24 marzo 1919 (perv. il 25).

Mio telegramma 272 del 23 corrente1.

In una numerosa riunione di comunisti fu letto ieri telegramma del Governo di Budapest che invita proletariato seguire esempio ungheresi. Fu deliberato preparare fin d’ora i consigli dei lavoratori e disporre affinché siano in grado assumere quanto prima il potere. Ebbe luogo poi dimostrazione dinnanzi palazzo municipale e nelle vie. Governo, che si sente debole, aderì immediatamente invito rivoltogli di liberare alcuni comunisti arrestati a Graz. Destano impressione i primi provvedimenti presi da Governo di Budapest fra i quali quelli della chiusura immediata di tutti i negozi salvo alcune poche eccezioni. Merci non possono esserne spostate senza permesso del Commissariato del popolo pena la morte. Deputato ungherese Smetchani2 presentatosi dichiarò situazione poteva essere salvata solo se truppe Intesa, con esclusione czeche, rumene, serbe, avessero occupato Ungheria fino alle rive del Danubio. In questo territorio si sarebbe formato allora un Governo ungherese a cui non avrebbero tardato associarsi tutti gli elementi ordine disgustati dal procedimento dei comunisti. Pericolo dilagare comunismo nell’Austria Tedesca comincia da centro industriale Wiener-Neustadt in immediata vicinanza confine ungherese sussiste realmente e la popolazione, eccettuati elementi rivoluzionari, vorrebbe vedere Vienna occupata da truppe italiane. In questo senso sono state fatte presso di me numerose pratiche. Si osserva in pari tempo che contro dilagare comunismo dall’Ungheria procedimento più efficace e decisivo sarebbe progredire verso Budapest da parte truppe Intesa.

11

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

L. 8518 .131. Roma, 24 marzo 1919.

Fino dal 13 ottobre 1917 con mio telegramma posta n. 138331 mettevo dettagliatamente al corrente l’E.V. dello stato delle trattative in corso fra questo R. Ministero e quest’Ambasciata britannica e tra la R. Agenzia diplomatica al Cairo e quelle

opera». In un lungo rapporto (91 RR. del 28 marzo) a sua volta, il comandante del presidio di Scutari Perricone osservava tra l’altro che «la scomparsa del principe Bib Doda dall’Albania settentrionale, in un momentocritico quale è il presente, può avere gravi ripercussioni nel paese, che si risolverebbero a svantaggio dell’ordine pubblico e quindi nostro, dando agio ai nostri avversari politici di sfruttare gli incidenti a nostro danno».

2 Recte, forse, Szmrecsányi.

autorità inglesi in riguardo alla nostra richiesta che la corrispondenza fra le autorità anglo-egiziane e Sayed Idris avesse sempre ed unicamente luogo per il tramite delle autorità italiane di Cirenaica.

Ora da quell’epoca la questione non fece alcun sostanziale passo innanzi, ma è ormai giunto il momento nel comune nostro interesse che il modus procedendi seguito dalle autorità anglo-egiziane nelle relazioni con Idris sia mutato nel senso che l’Inghilterra lasci all’Italia la trattazione di qualsiasi affare con Idris, in modo che questi comprenda che deve rivolgersi direttamente ed unicamente a noi perché solo allora Idris sentirà la sua dipendenza effettiva dall’Italia ed allora solo egli, come capo della confraternita senussita, potrà essere utile strumento comune per il tramite dell’Italia alleata dell’Inghilterra. Il modus procedendi finora seguito invece mette noi, Idris, il Governo anglo-egiziano ed il Governo della Cirenaica in una situazione difficile che non giova né alla trattazione degli affari, né alle relazioni fra le autorità italiane ed inglesi con Idris, il quale sfuggirà al primo controllo nostro e non potrà mai entrare nel controllo inglese, ciò che del resto noi non potremmo in alcun modo permettere.

Siccome Reginald Wingate è ora in Inghilterra e non vi è in Egitto persona con la quale quella R. Agenzia possa efficacemente trattare una questione di tanto interesse per noi, prego V.E. di volerne intrattenere direttamente codesto Governo richiamando tutta la sua attenzione sulla necessità che nel comune interesse venga finalmente definita la questione ed adottata la chiara linea di condotta da noi desiderata.

Gradirò che V.E. mi tenga al corrente delle sue trattative con codesto Governo2.

10 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 946.

11 1 Non pubblicato in serie quinta, vol. IX.

12

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 24 marzo 1919.

Nella riunione odierna fu stabilito che d’ora in poi le riunioni si faranno tra i quattro presidenti, ed avranno luogo tanto nell’antimeriggio quanto nel pomeriggio, successivamente, sino alla soluzione dei problemi decisivi della Conferenza1.

12 Cfr. MANTOUX, vol. I, p. 13 e RAC, n. 198.

1 Si tratta di una riunione, tenuta nel pomeriggio del 24 marzo, tra Wilson, Lloyd George, Clemenceau e Orlando, per iniziativa del presidente americano. In essa venne decisa l’istituzione di un Consiglio dei quattro per imprimere maggiore scioltezza e rapidità alle discussioni, rispetto al ConsiglioSupremo (Consiglio dei dieci), costituito dai capi di Governo e dai ministri degli esteri di Stati Uniti,Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone. Avrebbe funzionato dal 24 marzo 1919 fino al 28 giugno successivo, quando fu sostituito dal Consiglio dei capi delle delegazioni.

Le questioni più importanti si tratteranno in quest’ordine:

1) riparazioni (indennità); 2) garanzie da dare alla Francia verso un subitaneo attacco tedesco; 3) frontiera italiana.

Domani prima riunione presso Wilson, alle ore 11. Si tratterà delle riparazioni. Si vogliono stabilire alcuni principî fondamentali, ai quali i tecnici dovranno poi attenersi. A proposito della terza questione (frontiera italiana) Clemenceau così si espresse: «La questione dell’Austria Tedesca è per noi una questione che mettiamo pure in prima linea». Wilson approvò2.

11 2 Vedi poi D. 351.

13

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 2117 RIS. URG. Roma, 24 marzo 1919.

Comunico all’E.V. il telegramma 193 in data 14 marzo corrente1 del governatore dell’Eritrea, circa una spedizione militare che il Governo etiopico si propone di inviare in Dancalia etiopica per catturare Ligg Jasu e punire le tribù che lo favoreggiano2.

Per quanto concerne l’Eritrea, credo si potrebbero telegrafare a quel governatore e al r. ministro in Addis Abeba istruzioni sulle basi seguenti:

1) Durante la detta spedizione dovrà essere mantenuta da noi la più rigida neutralità e la frontiera della colonia nella Dancalia dovrà essere, per quanto possibile, ben guardata, non prendendosi parte ad alcuna operazione: ciò anche in armonia con le disposizioni dell’articolo 3 dell’accordo di Londra 19063.

13 La nota risulta indirizzata a Roma, al MAE, ove pervenne il 26. Le comunicazioni di Colosimo per Sonnino erano infatti normalmente inviate a Roma al Ministero, che provvedeva a trasmetterle alministro a Parigi.

1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 812.

2 Sulla preparazione di questa spedizione, intesa in un primo momento ad ottenere la consegna del ribelle Ligg Iasu, e sulla progressiva riduzione dei suoi obiettivi, in considerazione della mancanza delle forze necessarie, riferisce ampiamente il governatore dell’Eritrea, De Martino, nel Notiziario politico sulla situazione in Eritrea, per il marzo 1919, allegato al rapporto 2139/257 del 16 aprile(non pubblicato).

3 L’art. 3 dell’accordo di Londra del 13 dicembre 1906 recava: «Si des compétitions ou deschangements intérieurs se produisaient en Ethiopie, les représentants de la France, de la Grande-Bretagne, et de l’Italie observeraient une attitude de neutralité, s’abstenant de toute intervention dans les affaires du pays et se bornant à exercer telle action qui serait, d’un commun accord, considérée comme nécessaire pour la protection des Légations, des vies et des propriétés des étrangers, et des intérêts communsdes trois Puissances. En tous cas, aucun des trois Gouvernements n’interviendrait d’une manière et dans une mesure quelconques qu’après entente avec les deux autres».

2) Se Ligg Jasu sconfinerà portandosi sul nostro territorio non dovrà essere, neanche se richiesto, consegnato alle autorità abissine, ma sibbene internato, salvo a regolare poi la sua posizione.

3) Poiché sono da temere incidenti anche per gli sconfinamenti delle tribù etiopiche della Dancalia sul nostro territorio, sarà necessario che le nostre popolazioni dancale siano indotte a mantenersi verso la costa, e sia fatta buona guardia per impedire gli sconfinamenti e, ove se ne dovessero verificare, siano possibilmente stabiliti campi di concentramento, in modo da evitare dissidi e conflitti con le nostre popolazioni, e sarà anche necessario chiamare preventivamente responsabile il Governo etiopico dei danni degli sconfinamenti suddetti.

4) Dovrà essere invitato il Governo etiopico, a mezzo della Regia Legazione in Addis Abeba, a proibire formalmente alle truppe della spedizione abissina di portarsi sul nostro territorio, e chiamato responsabile dei danni che fossero cagionati da armati abissini in territorio dancalo eritreo.

5) Se Ligg Jasu si rivolgerà preliminarmente al Governo dell’Eritrea per trattare il suo ingresso nel nostro territorio, il dovere di rimanere neutrali ci impedisce di seguirlo in quella via.

Prego l’E.V. di farmi conoscere se ha obbiezioni da fare alle suesposte direttive. Dopo la sua risposta si daranno istruzioni concordi al governatore dell’Eritrea a al regio ministro in Addis Abeba.

Attendo sollecite comunicazioni4.

12 2 Annotazione manoscritta: «Comunicatomi da S.E. Orlando 24/III/19».

14

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA GAB. 119. Parigi, 24 marzo 1919.

Mi pregio d’inviare qui unito in copia una nota1 che ho ricevuto ieri sera ad ora tarda dal signor Pichon e che si riferisce alla situazione rispettiva del generale Piccione e del generale Pellé2. Come l’E.V. vedrà, negli accordi conclusi tra il signor Benes e il Governo francese (il testo dei quali è parimenti allegato)3, nessuna riserva si fa a

A.P. domanda approvazione di V.E.». Sigla di Sonnino: «Approvo».

2 Sui precedenti della questione vedi serie sesta, vol. II, DD. 445, 539, 620, 636.

3 Non si pubblicano. L’accordo franco-cecoslovacco del 26 gennaio 1919 istituiva la Missione

militare francese presso la Repubblica cecoslovacca e affidava al generale di divisione capo della missione le funzioni di capo di Stato Maggiore generale dell’esercito cecoslovacco. L’accordo del 18 febbraio1919 stabiliva che il maresciallo Foch esercitasse il comando supremo sulle truppe cecoslovacche allestesse condizioni che sulle altre armate alleate del fronte occidentale. A sua volta il decreto di Poincaré del 16 dicembre 1917 aveva stabilito che l’armata autonoma dei cecoslovacchi riconoscesse dal punto divista militare l’autorità superiore dell’Alto comando francese, pur rispondendo politicamente al Consiglionazionale dei paesi cechi e slovacchi a Parigi.

riguardo del generale Piccione il quale, come il signor Benes ebbe per ben tre volte a dirmi nella forma più precisa, avrebbe dovuto non dipendere da alcun altro generale alleato ma unicamente dal Ministero della difesa nazionale di Praga. Invece con l’attribuzione del comando supremo di tutte le truppe czeco-slovacche al maresciallo Foch e con la qualità di rappresentante di detto maresciallo che si attribuisce al Pellé, il generale Piccione viene di fatto ad essere posto agli ordini di quest’ultimo.

A mio giudizio la risposta da darsi al signor Pichon sarebbe che il generale Piccione trovasi in Slovacchia in seguito ad accordi presi col Governo czeco-slovacco anteriormente a quelli che ci vengono ora comunicati, accordi che gli creano una posizione indipendente dal generale Pellé. Prima quindi di dare una risposta di merito alla nota, dobbiamo chiarire le cose con il Governo di Praga. Ed a questo potremo dimostrare che esso non era in facoltà, dopo avere concluso degli accordi con il generale Piccione, di concluderne altri con il Governo francese in contraddizione con quelli. Per assumere però a questo proposito un’attitudine netta e forte tanto verso Praga che verso Parigi, sarà necessario avere il testo preciso o, in mancanza di questo, altra documentazione scritta, delle intelligenze prese a suo tempo con il generale Piccione e sarò grato all’E.V. se vorrà chiedere tale documentazione sia al Comando Supremo sia al R. Ministero della guerra.

13 4 Annotazione marginale manoscritta di Manzoni: «26.3.19 per S.E. il ministro. Direzione G.le

14 1 Non si pubblica.

15

IL DIRETTORE GENERALE DEL FONDO PER IL CULTO, MONTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

L. RIS. Roma, 24 marzo 1919.

Non appena mi pervenne il dispaccio di V.E. in data 16 corrente n. 5284 (Affari politici div. 3 sez. 2)1 relativo alla successione di monsignor Zucchetti, arcivescovo di Smirne, mi diedi premura di fare così alla Segreteria di Stato di Sua Santità come alla Congregazione di Propaganda Fide le opportune comunicazioni.

Ma non senza sorpresa mi sono inteso rispondere, tanto dal cardinale Gasparri, quanto dal segretario della Propaganda mons. Laurenti, che il nominato mons. Filippucci dato come probabile candidato alla diocesi di Smirne è sconosciuto alla Santa Sede, la quale pertanto non ha mai potuto pensare a lui come a un possibile successore di mons. Zucchetti.

Mons. Laurenti mi ha dal suo canto soggiunto non risultargli in alcun modo che il predetto Filippucci, il quale secondo l’informazione raccolta dal conte Sforza sarebbe cancelliere del delegato apostolico di Costantinopoli, appartenga o abbia mai appartenuto a quella Delegazione, non potrebbe essere, se mai, che un funzionario del tutto secondario, giacché il delegato apostolico mons. Dolci non ha mai avuto occasione di farne il nome a Propaganda.

Mons. Laurenti non ha escluso peraltro che a Costantinopoli o altrove possa esistere un sacerdote di tal nome; pare anzi a lui che debba esservene uno, così chiamato, a Smirne. Ciò che ad ogni modo egli esclude nei termini più categorici ed assoluti, si è che la Congregazione di Propaganda abbia mai pensato per la sede di Smirne a un qualsiasi mons. Filippucci.

È ben vero che mons. Zucchetti per l’avanzata sua età (76 anni) intenda ritirarsi; sembra anzi che a tal effetto verrà fra non molto in Roma per conferire con la Santa Sede.

Ed è pertanto naturale che la Congregazione di Propaganda stia già da qualche tempo pensando alla successione di lui. A questo riguardo monsignor Laurenti mi ha dichiarato che la scelta era caduta sul vicario della Delegazione apostolica di Costantinopoli, mons. Pompilj, prelato italiano di alte virtù e di indiscusso valore, che codesto Ministero ha avuto modo di apprezzare e avrebbe ben volentieri veduto insediarsi a Gerusalemme quale ausiliare, con futura successione, di quel patriarca, come V.E. mi faceva presente nel dispaccio del 13 marzo 1918, n. 3638 (Affari politici div. 3 sez. 2)2. E tale scelta si sarebbe dovuta giudicare sotto ogni riguardo opportuna e soddisfacente. Ma purtroppo la Santa Sede pare voglia utilizzare altrimenti quell’eminente prelato, e non è stato ancora stabilito chi possa essere il successore di mons. Zucchetti.

Ad ogni modo mons. Laurenti mi ha assicurato che con tutta probabilità la scelta cadrà su di un prelato italiano e non si mancherà di badare che l’eletto raccolga in sé, oltre le indispensabili doti sacerdotali, quei requisiti di tatto e di esperienza che sono necessari all’alto e delicato ufficio.

Ben lieto di aver potuto così assicurare V.E. che le voci riferite circa la probabile nomina del preteso candidato greco ed italofobo sono destituite da ogni fondamento, e che anzi tutto lascia prevedere come la scelta del nuovo arcivescovo di Smirne sia per essere pienamente conforme ai nostri interessi.

15 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 852.

16

IL GOVERNATORE DELL’ERITREA, DE MARTINO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 249 POLITICO, CONFID. Asmara, 25 marzo 1919, ore 8.

Suo 5172. Arabia1.

V.E. conosce le difficoltà frapposte dagli inglesi alle nostre relazioni con la costa dell’Asir e del Yemen e come ogni passo sia spiato e sorvegliato.

Difficile quindi di occultare adesso azione sia pure riservatissima che tendesse ad ottenere che uno o due rappresentanti delle regioni suddette si recassero alla Conferenza per perorare loro indipendenza con assistenza Italia. L’attitudine che noi assumeremmo se rispondesse (e non ho bisogno dirlo a V.E.) ad uno dei maggiori interessi di questa colonia ed al mio miglior voto, non potrebbe però, risaputa dagli inglesi, essere da loro

16 1 Non rinvenuto.

bene accolta, tenuto conto che in questo ultimo periodo l’Inghilterra si è spinta senza che vi contrastassimo in una politica intesa a monopolizzare, a danno sopra tutto nostro, ogni influenza in Arabia. Questa osservazione mi viene dettata soltanto dalla preoccupazione che i passi da farsi non possono rimanere occulti e alle conseguenze che ne potrebbero derivare a meno che la mossa non avesse per scopo decidere l’Inghilterra ad agire più efficacemente in nostro favore per altre compensazioni. Altra cosa sarebbero se già a Parigi avesse preceduto una azione diplomatica e la nostra azione si collegasse ad essa.

Nondimeno con molta riservatezza cercherò in quanto mi sarà possibile qualche indicazione sulle persone, essendo stato anche annunziato prossimo arrivo qui del Caprotti. Non crederei prudente scoprire troppo nostri intendimenti ad Aden. Attendo ad ogni modo ulteriori istruzioni.

15 2 Non pubblicato in serie quinta, vol XI.

17

L’ AGENTE A GERUSALEMME, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1170/273. Gerusalemme, 25 marzo 1919, ore 20,20 (perv. ore 8,45 del 26).

Situazione Palestina è dipinta dai sionisti come pericolosissima. Autorità inglese non crede possibile seri disordini, ammette però esistere stato di forte tensione e prende precauzioni militari del caso. Generale Money ha disposto per impiego truppe italiane nel settore Giaffa mentre mi ha assicurato che non impiegherà battaglioni ebrei. Tesi sionisti è che moti sono apparentemente contro ebrei, in realtà anti-inglesi e xenofobi. Dato il grande movimento nazionalista arabo così rapidamente diffuso non nego qualche parte verità a tale affermazione.

18

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 744/45. Costantinopoli, 25 marzo 1919 (perv. il 27).

Telegramma di V.E. 3151.

La non inclusione Anatolia2 parmi contenga solo pericolo che i turchi delle regioni cui aspiriamo credano riconosciuto loro diritto vivere con Stato ottomano ed

2 L’Anatolia (con Smirne e Adalia) era esclusa dal campo dell’attività della commissione di studiointeralleata istituita per condurre inchieste in alcune parti dell’Impero ottomano che avrebbero dovuto essereseparate dalla Turchia e poste sotto la guida di potenze mandatarie della Lega delle nazioni.

abbiano poscia da trovare particolarmente odiosi futuri passi nostri. A ciò si può solo ovviare con delle occupazioni militari immediate anche se oggi colla sola portata di intesa interna fra rappresentanti alleati.

Credo del resto che, se commissari alleati siano illuminati dai nostri, la esagerazione stessa delle agitazioni greche potrebbe giovarci, tanto più che attività ellenica è precipuo istrumento delle attuali simpatie ambasciata americana qui.

Mi paiono persone adatte Tosti, Galante, Paternò, Senni ed il comandante Vannutelli che viaggiò regioni. Se commissari alleati avessero grado molto elevato e se nostri rappresentanti esteri Balcani si assottigliano, lo stesso generale Mombelli sarebbe ottimo elemento. Spero preventivamente disporre una o due personalità turche di mia piena fiducia e con aderenze locali, con l’incarico provocare manifestazioni italofile, quando inchiesta si estendesse in regioni che ci interessano.

18 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 939.

19

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 747/93. Praga, 25 marzo 1919 (perv. il 27).

Presidente inviato oggi mezzo capo Gabinetto militare copia convenzione concernente missione Pellé facendomi assicurare che essa è nota nostro Governo. Testo, giunto solamente ieri al presidente, è senza data che Gabinetto militare suppone essere 18 gennaio1. Comunque è anteriore a quella di cui mio telegramma n. 77 del 22 corrente2 conclusa qualche giorno dopo venuta Pellé a Praga, che pone più esplicitamente esercito czeco-slovacco sotto effettivo comando Foch.

In essa è stabilito:

1) compito missione francese collaborare con Ministero difesa nazionale organizzazione e istruzione esercito czeco-slovacco (Ministero, Stato Maggiore ecc.);

2) capo missione esercita funzioni capo Stato Maggiore esercito czeco-slovacco sostituto del comandante in capo ed è come tale consigliere tecnico del ministro. Dovrebbe avere a latere un generale czeco-slovacco con titolo di capo Stato Maggiore aggiunto;

3) capo missione dipende come sostituto comandante in capo da «comandante in capo forze alleate e comandante supremo dell’esercito czeco-slovacco», come capo missione francese da Ministero guerra francese.

Stando al testo delle due convenzioni e dato che in esse non si accenna menomamente autonomia comandante italiano, Pellé avrebbe indubbiamente attribuzioni

di comando anche su corpo czeco-slovacco di Italia. Sua condotta verso generale Piccione sarebbe stata in tale caso non solo correttissima ma oltremodo riguardosa. Tale stato di cose è assolutamente in contrasto impegni correnti generale Piccione confermati Benes con dichiarazioni cui telegramma di V.E. 2143 sulla base delle quali e sulla grande benemerenza italiana verso Repubblica continueranno energiche rimostranze questa R. Legazione a tutela nostro prestigio.

Tale azione sarebbe però gravemente infirmata se R. Governo avesse dato benestare sia pur tacito convenzione cui trattasi. Prego pertanto volermi chiarire urgentissimamente questo punto per regolarmi condotta4.

19 1 Si tratta in realtà dell’accordo del 26 gennaio 1919.2 Il documento di cui al T. 77 del 23 (non 22) marzo, di Lago, non pubblicato in serie sesta,vol. II, è l’accordo del 18 febbraio 1919.

20

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 733/113. Sofia, 25 marzo 1919 (perv. il 26).

Chrétien mi ha nuovamente oggi fatto allusione ai vari tentativi dei greci serbi di invadere regione da loro agognata per mettere innanzi fatto compiuto. Egli implicitamente ammette che Franchet d’Esperey si presta a maneggi e non (...) la propria disapprovazione. Oggi infine, oltre al generale Mombelli1, egli mi ha confidato aver segnalato al suo superiore pericolo di gettare Bulgaria nel bolscevismo col volerla smembrare ma ritiene di non poter influire efficacemente presso suo superiore. In complesso generale Chrétien ed il suo capo di Stato Maggiore condividono gravi preoccupazioni di cui ho fatto parte mio telegramma 1122, temendo perfino che trionfo bolscevichi in Bulgaria possa avere effetto deleterio in Francia stessa e compromettere situazione in Costantinopoli. Per evitare dolorose avventure balcaniche mi pare urgente: 1) allontanare generale Franchet, troppo impegnato in equivoche sobil

4 Con T. 339 del 28 marzo Sonnino rispose «R. Governo non ha dato alcun benestare comunicazione di cui trattasi».

2 Dello stesso giorno. Non pubblicato.

lazioni coi greci, che ostacolano opera prudente equanime del generale Chrétien, che sarebbe pernicioso (...) in momenti di crisi; 2) accordare maggiori agevolazioni di pagamento per farina richiesta dalla popolazione mezzo affamata; 3) ponderare non solo la natura ed estensione della pena che sarebbe inflitta alla Bulgaria ma anche modo di applicarla; 4) convincere possibilmente alleati che converrebbe impegnare fin d’ora le forze bulgare contro bolscevismo in aiuto della Romania per rendere impossibile un loro accordo nel modo segnalato con miei rapporti ed in ultimo nei miei telegrammi 83 e 853.

19 3 Con T. 214 del 5 marzo Sonnino aveva comunicato a Lago, tra l’altro, quanto segue:«Signor Benes dichiarava ieri a Bonin che egli stesso aveva negoziato sia missione generale Piccione,sia quella generale Pellé ed aveva posto massima cura affinché esse rimanessero distinte e rispettivamente indipendenti. Generale francese ha incarico organizzare e comandare truppe czeco-slovaccheprovenienti dalla Francia, generale italiano rimane al comando quelle provenienti Italia e non dipendein alcun modo dal suo collega francese, ma direttamente ed esclusivamente dal ministro difesa nazionale. Generale Pellé non venne nominato, siccome avrebbe voluto Governo francese, generalissimo,proprio per non mettere generale Piccione sotto suoi ordini. Benes aggiunse avrebbe vigilato che posizione indipendente nostro generale restasse tale fino a quando comandi truppe non saranno presi daufficiali czeco-slovacchi».

20 1 Il generale Mombelli aveva espresso le sue preoccupazioni anche strategiche sulla situazionein Bulgaria con numerosi telegrammi. Nel T. 103 del 25 marzo, tra l’altro, sottolineava l’opportunità diallontanare dal comando il generale Franchet d’Esperey e di sostituirlo con un altro capo «sia pure, senecessario francese, ma più riflessivo e meno partigiano».

21

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE NELLA COMMISSIONE INTERALLEATA IN POLONIA, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 741/51. Varsavia, 25 marzo 1919 (perv. il 27).

Mio telegramma 501.

Capo dello Stato Maggiore generale Pilsudski, avendo invitato generale Romei e me di andarlo a vedere, ci ha intrattenuti in cordiale ed interessante colloquio per circa due ore e ci ha fatto oggetto di speciale trattamento deferente e riguardoso quali rappresentanti dell’Italia. Generale Pilsudski ci ha rivolto un caldo appello da trasmettere al R. Governo perché questo venga immediatamente in aiuto della Polonia fornendole armi e munizioni particolarmente per permettere alle valorose e fedeli truppe lungo la fronte orientale Polonia mezzi di sostenere vittoriosamente la lotta contro le orde bolsceviche che nella prossima primavera con ogni probabilità intensificheranno gli attacchi. Generale medesimo ha notato che Polonia ha bisogno di materiale austriaco. Ha appreso con vivo compiacimento le buone intenzioni del R. Governo circa suddette forniture ed aggiunse che manderà quanto prima un generale polacco in Italia per rappresentare ancora le stringenti esigenze polacche e cooperare alla loro soddisfazione. Dopo passo di questo capo dello Stato Maggiore, accogliendo le anteriori richieste del suo Governo, faccio presente che favorevole sollecita accoglienza da parte nostra permette alla Polonia di resistere ai gravi pericoli esterni che minacciano l’esistenza di questo paese, ma finora fondato solo su simpatie tradizionali, affidamento e speranze.

Generale Romei2, cui ne ho dato visione, associasi e prega comunicare questo telegramma a S.E. Diaz.

2 L’adesione alla richiesta polacca di forniture militari fu sollecitata dal generale Romei con T.134 del 29 marzo. Ma l’invio di materiale bellico alla Polonia era stato già disposto dal Ministero dellaguerra, come risulta dal T. 6970/787 di Borsarelli alla DICP, in data 30 marzo.

20 3 Non pubblicati in serie sesta, vol. II.

21 1 Dello stesso giorno. Non pubblicato.

22

I DELEGATI E CONSIGLIERI TECNICI, MAYOR DES PLANCHES E CABRINI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 25 marzo 1919.

La Commissione, istituita dalla Conferenza della pace, per la legislazione internazionale del lavoro ha tenuto ieri l’ultima delle sue 35 sedute, la prima delle quali ebbe luogo il 4 febbraio. Dal 27 di febbraio al 10 di marzo la Commissione sospese i propri lavori, per dar modo ai delegati che lo ritenessero opportuno (e i delegati italiani furono tra questi) di consultare, su talune questioni, il proprio Governo e le organizzazioni padronali ed operaie del proprio paese.

Al momento della sua costituzione, la Commissione era formata dai seguenti signori: per gli Stati Uniti, Hurley e Gompers; per l’Inghilterra, Barnes e sir Malcolm Delevingne; per la Francia, Colliard e Loucheur; per l’Italia, Mayor des Planches e Cabrini; per il Giappone, Otchiai e Oka; per il Belgio, Vandervelde e Mahaim; per Cuba, Bustamante; per la Polonia, Zoltowski; per la Repubblica czeco-slovacca, Benes. Durante lo svolgimento dei lavori, qualche delegazione mutò il primo o il secondo delegato, con regolari sostituzioni temporanee o definitive. E così la Francia fu il più delle volte rappresentata dai signori Arthur Fontaine e Jouhaux; lo Hurley fu sostituito dall’avvocato Robinson, poi dall’avvocato Shotwell; il Vandervelde dal senatore La Fontaine; il Zoltowski dal Patek; il Benes dal Broz; eccetera.

Sostanzialmente la Commissione ha deliberato di presentare alla Conferenza della pace:

1) Il programma-statuto di un organismo permanente internazionale che dovrà predisporre e redigere i progetti di convenzione in materia di legislazione del lavoro, vigilare alla osservanza delle medesime e colpire con sanzioni economiche gli Stati inadempienti;

2) l’ordine del giorno, con iscritte le materie da discutere nella prima sessione di tale conferenza da tenersi in Washington, nell’ottobre di quest’anno;

3) una serie di proposizioni, che dovrebbero costituire un minimum di Carta del lavoro, prontamente realizzabili nelle legislazioni interne e nei rapporti internazionali.

Alleghiamo copia di tali documenti1 insieme al rapporto illustrativo deliberato dalla Commissione; seguiranno, tra alcuni giorni, i verbali delle sedute.

***

Con questa nota ci proponiamo solo di presentare a V.E. il profilo delle conclusioni che saranno, a giorni, consegnate alla Conferenza della pace, integrato da una sintetica esposizione dei punti di vista sostenuti, nella discussione, dalla dele

gazione italiana, che, in alcuni casi, consegnò agli atti della Commissione dichiarazioni scritte.

Cotali punti di vista furono sempre da noi previamente discussi con gli altri colleghi della rappresentanza italiana, la cui collaborazione ci permise di formulare e sostenere, con la fermezza che deriva dal sapersi sicuri interpreti degli interessi rappresentati, proposte anche oppugnate dalla maggioranza della Commissione. Su di essi l’accordo della delegazione italiana fu sempre completo: in un solo momento il secondo delegato — previa comunicazione al primo delegato — assunse un atteggiamento proprio, autorizzando il sig. Jouhaux, segretario della Confederazione generale del lavoro di Francia (che sostituiva allora il ministro Loucheur) a fare, anche a nome suo, una dichiarazione per l’accoglimento integrale dei caposaldi della Carta del lavoro approvata, nello scorso febbraio, a Berna dalla Conferenza internazionale dei sindacati operai.

Ci permettiamo, inoltre, di far presente a V.E. che i punti di vista sostenuti dalla delegazione italiana sono stati tutti approvati, ad unanimità di voti, nel convegno dei rappresentanti di industriali e di operai, promosso dal ministro del lavoro presso il Comitato permanente del lavoro, in Roma, nel febbraio u.s.

***

Il progetto di convenzione per la creazione di un organismo permanente per la regolamentazione internazionale del lavoro (cui si è dato nome di Conferenza internazionale del lavoro) consta di 40 articoli, più due protocolli addizionali. Esso si apre con un preambolo che definisce gli scopi dell’istituto destinato a generalizzare le limitazioni degli orari giornalieri, i riposi settimanali, i provvedimenti contro la disoccupazione, i minimi di salario, le assicurazioni sociali, la protezione delle donne e dei fanciulli, la tutela degli emigranti, la libertà di organizzazione.

La delegazione italiana sostenne, fin dalla prima seduta, la necessità di integrare questi spunti di azione legislativa, nazionale ed internazionale, mediante una vera e propria Carta del lavoro.

Segue un capitolo sulla organizzazione dell’istituto che dovrà realizzare l’esposto programma.

L’istituto sorgendo come un «pezzo» del meccanismo della Società delle Nazioni, la delegazione italiana ha creduto di dover osservare:

a) essere opportuno prevedere un possibile ritardo nella costituzione della Società delle Nazioni, o un eventuale insuccesso della Società stessa; e propose, per tale deprecata eventualità, di appoggiare l’istituto alla Corte dell’Aia;

b) essere necessario di ammettere, subito dopo la firma del trattato di pace, tutte le nazioni, nessuna eccettuata, al funzionamento dell’istituto, ancorché questa o quella nazione restasse temporaneamente esclusa dalla Società delle Nazioni. E ciò per universalizzare la limitazione degli orari di lavoro, i costi delle assicurazioni sociali, ecc. (Vedere nell’allegato A2 il secondo voto adottato dalla Commissione).

L’istituto dovrà constare: 1) di una Conferenza generale dei rappresentanti delle Alte parti contraenti che si riunirà una volta all’anno; 2) di un Comitato direttivo o Consiglio amministrativo; 3) di un Ufficio internazionale del lavoro.

Nella Conferenza generale, ogni Stato dispone di 4 mandati spettanti: due alla rappresentanza del Governo, uno alla rappresentanza lavoratrice, uno alla rappresentanza padronale, ciascuna rappresentanza essendo assistita da consiglieri tecnici. Ciascun delegato ha diritto di votare individualmente su tutte le questioni. L’organo direttivo sarà formato di otto membri rappresentanti i Governi dei paesi di maggiore importanza industriale; di quattro membri rappresentanti i Governi degli altri paesi; di sei rappresentanti di padroni, di altrettanti rappresentanti dei lavoratori.

L’Ufficio internazionale del lavoro avrà un direttore generale e risiederà nella città sede della Società delle Nazioni.

Sino a tanto che parve possibile fare accogliere dalla Commissione la tesi che fossero conferiti alla Conferenza poteri deliberativi, la delegazione italiana sostenne doversi conferire ai Governi un numero di mandati pari a quello dei mandati attribuiti alle rappresentanze dei padroni e dei lavoratori riunite: approvò, invece, la formula «un mandato al Governo, un mandato ai lavoratori, un mandato ai padroni» quando vide non accolta la proposta dei poteri deliberativi.

Indipendentemente da questa questione, la delegazione italiana sostenne, insieme con la francese, doversi raddoppiare i mandati per dar modo di far sempre rappresentare, nella Conferenza, e gli interessi del lavoro industriale e gli interessi del lavoro agricolo.

Continuando, il capitolo prescrive che la Conferenza stabilirà, con due terzi di votanti, se le proposizioni da adottare dovranno avere forma di «raccomandazione» o «di proposte di convenzione» da sottoporre alla ratifica dei Governi; e precisa le forme e i termini delle ratifiche, stabilendo che le convenzioni vincoleranno solo i paesi che le avranno ratificate.

Altri articoli dello stesso capitolo disciplinano i ricorsi contro le inadempienze; le inchieste da compiersi; gli inviti agli inadempienti perché rispettino le convenzioni; l’intervento della Corte permanente di giustizia internazionale della Società delle Nazioni per la applicazione delle sanzioni di ordine economico contro gli inadempienti.

Su questo punto — che è il punto centrale — la delegazione italiana, seguita poi dalla francese, pur riconoscendo la notevole importanza di mettere a disposizione delle convenzioni internazionali e della loro applicazione un organo permanente nel quale verrebbero ad essere rappresentati i Governi, i lavoratori e i datori di lavoro, sostenne doversi conferire alla istituenda Conferenza poteri deliberativi, nel senso che le convenzioni approvate con due terzi dei votanti dalla Conferenza diventassero esecutive, impegnando anche i paesi i cui delegati avessero votato contro, e fermo restando, in ciascuna nazione, il diritto di chiedere, al Consiglio amministrativo della Società delle Nazioni un riesame della questione; riesame da farsi sempre a mezzo dello stesso organo tecnico, la Conferenza internazionale del lavoro, il cui secondo giudizio sarebbe inappellabile.

Un terzo capitolo contiene varie prescrizioni generali circa i Dominions britannici, le colonie e gli Stati che entreranno successivamente nella Società delle Nazioni, venendo ipso facto considerati aderenti o partecipanti all’organismo che s’istituisce.

Un quarto ed ultimo capitolo regola, con misure transitorie, il funzionamento dell’istituto nella fase preparatoria della organizzazione della Società delle Nazioni; e stabilisce che la prima sessione della Conferenza abbia luogo entro l’ottobre dell’anno corrente.

La delegazione italiana ha richiamato, a questo punto, la opportunità, precedentemente accennata, di non legare in modo assoluto le sorti dell’istituto del lavoro a quelle della Società delle Nazioni.

Chiudono questa prima parte due voti della Commissione per un prossimo conferimento di poteri deliberativi alla istituenda Conferenza e per la partecipazione di tutte le nazioni all’istituendo organo di legislazione internazionale.

***

La seconda parte delle proposte della Commissione è rappresentata dall’ordine del giorno fissato per la prima sessione della Conferenza internazionale del lavoro; sessione che si propone di tenere, alla data sovraccennata, a Washington (D.C.).

Il Comitato internazionale incaricato di organizzare questa Conferenza sarà composto di sette persone, rispettivamente designate dai Governi degli Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia, Giappone, Belgio e Svizzera; ma la Commissione potrà, se lo riterrà necessario, invitare altri Stati a farsi rappresentare nel suo seno.

A questo proposito, la delegazione italiana, inspirandosi alle considerazioni già accennate, aveva obbiettato doversi lasciare due posti disponibili per le nazioni non rappresentate alla Conferenza della pace; e si fu in seguito a questa osservazione che la Commissione deliberò la seconda parte della disposizione sopra riferita.

Le questioni poste all’ordine del giorno della sessione di Washington (D.C.) sono le seguenti:

1) Applicazione del principio della giornata di otto ore o della settimana di 48 ore;

2) Questione della prevenzione della disoccupazione involontaria e misure per fronteggiarla;

3) Lavoro delle donne: prima e dopo il parto (compresa la questione della indennità di maternità); nelle industrie con lavoro notturno; nei lavori insalubri;

4) Lavoro dei fanciulli nelle industrie con lavoro notturno e nei lavori insalubri; età per l’ammissione del fanciullo al lavoro;

5) Estensione e applicazione delle convenzioni internazionali adottate a Berna nel 1906, sull’interdizione del lavoro notturno alle donne impiegate nelle industrie e sulla interdizione del fosforo bianco nella fabbricazione dei fiammiferi.

Questi argomenti erano tutti compresi nella proposta di «Carta» del lavoro che la delegazione italiana aveva presentata fin dalle prime sedute della Commissione e di cui si allega copia3: ma i nostri sforzi furono specialmente diretti a far mettere le otto ore nel primo piano della azione immediata; e ciò per estendere la giornata di

otto ore — introdotta in questi giorni, dietro accordi sindacali, nella maggior parte delle industrie italiane — anche ai paesi di scarsa efficacia sindacale.

***

La Carta del lavoro che la Commissione ha adottato (premettendo che essa non pretende tracciare il piano delle aspirazioni delle classi lavoratrici, ma intende solo indicare un gruppo di provvidenze di rapida attuazione) è risultata redatta nei termini trascritti nell’allegato ...4; con essa, gran parte delle proposte italiane sono state accolte.

Accolta a maggioranza fu anche una proposta concordata tra delegazione italiana e delegazione americana per il riconoscimento della necessità di una legislazione sociale corrispondente ai bisogni dei lavoratori della terra. Essa non figura tra le clausole approvate per il fatto che ebbe i voti della maggioranza, ma non i due terzi dei votanti richiesti per la iscrizione nella Carta del lavoro. Dinnanzi, però, alle proteste della nostra delegazione — la quale mise in evidenza la grave lacuna e ricordò il contributo di sangue dato dai lavoratori della terra alla guerra — la Commissione decise di dare particolare rilievo alla proposizione precisando che le delegazioni le quali avevano votato contro ritenevano comunque comprese le provvidenze per il lavoro agricolo nelle provvidenze di portata generale richieste per tutto il proletariato.

Rimanevano — presentate solo da noi — le seguenti proposte:

—- Principio della libertà di migrazione, sotto riserva di accordi tra i Governi e i sindacati dei paesi direttamente interessati; —- Principio che il paese di emigrazione avrà il diritto di inviare dei funzionari speciali per l’assistenza sotto tutte le forme e per la protezione dei suoi nazionali operai; ed il paese di immigrazione avrà l’obbligo di ricevere tali funzionari e di secondarli nell’esercizio delle loro funzioni; —- Principio che le organizzazioni di previdenza libera, riconosciute dai Governi, dovranno attuare la reciprocanza dei servizi; —- Principio del diritto di controllo del lavoratore sull’azienda industriale ed agricola.

Senonché l’andamento dei lavori della Commissione — quando tali temi dovevano essere esaminati — non permetteva più una discussione a fondo, quale specialmente sarebbe stata necessaria sulle questioni della assistenza agli emigranti e del controllo sulle aziende.

La nostra proposizione circa gli ispettori di emigrazione aveva determinato, in vari delegati, e specialmente nei delegati inglesi e francesi, la impressione che i paesi di emigrazione mirino a sostituire i propri funzionari ai funzionari dei paesi di immigrazione per le ispezioni alle fabbriche, ai cantieri, ecc.; e parve loro di intravvedere in ciò nientemeno che un attentato al principio della sovranità nazionale.

Date le condizioni in cui si svolgevano le ultime discussioni — sotto la preoccupazione di non indugiare più oltre la presentazione delle conclusioni alla Conferenza della pace — e visto il pericolo di veder decisa una così delicata e importante questione col voto di rappresentanti di nazioni che, non avendo emigrazioni ne immigrazioni, male potevano impadronirsi di tutti gli elementi della questione stessa, la delegazione italiana ritenne opportuno non compromettere il principio dell’Ispettorato di emigrazione all’estero, principio che potrà essere discusso quando la Conferenza internazionale del lavoro tratterà della tutela degli emigranti. E ritirò la proposizione presentando una nota scritta sull’argomento. Ciò che fece pure per i servizi internazionali di libera previdenza.

A maggior ragione, poi, la delegazione italiana non volle pregiudicare il principio della partecipazione delle maestranze al controllo della azienda industriale ed agricola.

È bene, però, ricordare che, nel menzionato convegno di Roma presso il Comitato permanente del lavoro, industriali ed operai si sono trovati d’accordo nel chiedere che la graduale applicazione delle forme costituzionali ai rapporti tra capitale e lavoro si inizi — oltre che con la partecipazione delle maestranze alla redazione dei regolamenti di fabbrica — con il diritto dello maestranze stesse a controllare l’andamento economico della azienda industriale e dell’agricola, per poi regolarsi nella formulazione di richieste di aumenti di salario, ecc.

Noi pensiamo, Eccellenza, che, se i rappresentanti dell’Italia nella Conferenza della pace riuscissero a far campeggiare questo principio nel quadro delle proposizioni o clausole sociali di cui è chiesta la inserzione nel trattato di pace — e se riuscisse loro, altresì, di far accogliere la tesi dei poteri deliberativi, dell’ammissione di tutte le nazioni e dei due mandati da assegnare a ciascuna delle due classi rappresentate nella Conferenza internazionale del lavoro, — verrebbero assicurate a questo ramo delle conclusioni della Conferenza della pace le più larghe simpatie dei lavoratori e degli industriali più illuminati.

***

In relazione alle proposte di altre delegazioni, riteniamo opportuno far speciale menzione dei voti da noi espressi.

Abbiamo votato per l’affermazione della piena libertà di coalizione di associazione così per i lavoratori come per i padroni;

—- per l’affermazione che il lavoro umano non possa mai essere trattato alla stregua di una merce; —- per la nomina di donne ispettrici; —- per l’iscrizione all’ordine del giorno di una sessione della Conferenza del lavoro della questione: «contratto di lavoro dei lavoratori del mare». - —- contro la proposta di vietare il commercio dei prodotti del lavoro a domicilio (a proposito della quale la delegazione italiana sostenne la opportunità di provvidenze sociali anche per la protezione delle donne e dei fanciulli che lavorano a domicilio); —- contro la proposta di dichiarare che nessun uomo potrebbe essere ridotto in istato di servitù se non per crimine, avendo considerato tale dichiarazione ingiuriosa per i paesi europei; —- contro la proposta di riconoscere nei marinai della marina mercantile il diritto di abbandonare le loro navi durante il periodo per il quale si sono arruolati (la delegazione italiana — anche per avere intravveduta in questa proposta, messa innanzi dagli americani, la possibilità di una collusione fra gli armatori e i marinai di quel paese, dove una recente legge, per imprimere uno sviluppo eccezionale alla marina mercantile, assegna altissimi salari a ufficiali e a bassa forza per attrarre personale nella navigazione — ha dichiarato di non poter esprimere alcun voto sulla riforma del contratto di lavoro del marinaio non avendo potuto consultare né il proprio Governo né le organizzazioni del proprio paese); —- contro talune proposte delle rappresentanze femminili (ad esempio, quelle dirette a fissare a 44 ore settimanali la settimana di lavoro; a vietare fino a 15 anni il lavoro del fanciullo; ad abolire anche per gli uomini il lavoro industriale notturno; a costituire, in ogni nazione, un comitato speciale femminile per i problemi del lavoro femminile); non perché non fossero in sé buone ed accettabili, ma perché, presentate all’ultima ora, non potevano venir discusse colla debita ampiezza, oppure modificare senza ragione sufficiente decisioni già prese, ed obbligavano la Commissione, ormai stanca, a rimaneggiare il proprio lavoro; oppure non sembravano avere carattere di immediata urgenza e potevansi lasciare alla conferenza futura.

Circa alle clausole sociali, in più occasioni la delegazione italiana insistette perché dai nostri lavori risultasse una vera «Carta» del lavoro. La delegazione avrebbe voluto che le dette clausole sociali, studiosamente elaborate, coordinate in un complesso organico, riuscissero in tutto degne di questo grave momento; che esse, proclamato il principio che il lavoro è un dovere morale ed un vincolo sociale, fossero una dichiarazione dei diritti dei lavoratori, costituendo un documento destinato a restare nella storia, per sostanza di concetti e solennità di forma, come la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, una pietra miliare sulla via del progresso umano. Cotali ambizioni — che non sono state intese da tutte le delegazioni — vorremmo vedere patrocinate da V.E. e condivise da tutti i plenipotenziari.

22 1 Non rinvenuti.

22 2 Non rinvenuto.

22 3 Non rinvenuta.

22 4 Non rinvenuto. La Carta internazionale del lavoro fu poi approvata l’11 aprile, in seduta plenaria della Conferenza della pace.

23

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 25 marzo 1919.

Seduta antimeridiana presso Wilson, con Clemenceau, Lloyd George e Orlando.

La prima parte della seduta ha avuto importanza per la condotta generale delle cose.

23 Seduta antimeridiana del Consiglio dei quattro del 25 marzo 1919. Cfr. MANTOUX, vol. I, pp. 14 sgg. e RAC n. 199.

Wilson ha espresso il pensiero che la Lega delle Nazioni debba formar parte dei preliminari di pace. Oltre ad un suo punto di vista particolare (minori difficoltà col Senato americano), c’è per ciò la ragione che le colonie tedesche saranno affidate alla Lega delle Nazioni.

Orlando ha dimostrato essere fuori dubbio che la Lega delle Nazioni debba far parte del trattato di pace, e per queste ragioni: primo per la clausola relativa alle colonie tedesche; secondo, perché la Lega delle Nazioni contiene il patto della garanzia territoriale tra gli Stati; terzo, per le garanzie del disarmo della Germania. Noi abbiamo disarmato la Germania a tal punto che essa è a discrezione del primo che voglia attaccarla. Noi dobbiamo assicurare la Germania verso la possibilità di ingiusti attacchi. La Germania non fa parte della Lega delle Nazioni: ma questo organismo ha tra i suoi compiti quello di proteggere contro ingiusti attacchi.

In questo senso si è concluso dopo brevi osservazioni degli altri due.

Si è quindi affrontata la questione delle riparazioni.

La discussione si è svolta piuttosto confusa.

Lloyd George ha cercato di svalutare le richieste di tutti. La Serbia, ha fatto tutto con l’aiuto dei francesi e fa vistosi acquisti territoriali; la Romania, raddoppia il suo territorio; il Belgio, non ha avuto quegli ingenti danni di cui pretende essere risarcito. L’unica cosa che manca al Belgio sono le macchine, che sono state asportate: il riaverle è più questione di tempo che di danaro. Venendo a parlare della Francia, ha dimostrato, con l’ausilio di una carta, che la parte devastata è relativamente assai scarsa. Tutta la fortuna francese era valutata in 280 miliardi: se la parte devastata si considera come un cinque per cento ed ammettendo che essa non valga più niente (ma la terra rimane!) la Francia non potrebbe sperare più di una quindicina di miliardi. Il grave danno è la perdita delle vite umane: essa vi dà subito un effetto finanziario tangibile, che è la pensione che si deve corrispondere.

Clemenceau si è riservato di parlare con Klotz e con Loucheur i quali avevano fatto la valutazione delle riparazioni occorrenti alla Francia, che ascenderebbero, secondo Loucheur, a novanta miliardi.

Lloyd George ha concluso dicendo di ammettere che la Francia debba avere una preferenza e che debba avere circa il doppio dell’ Inghilterra1.

Sulla valutazione della potenza contributiva tedesca, Lloyd George ha parlato nel senso di sminuirla in rapporto al giudizio dei francesi. Secondo l’opinione angloamericana sulla potenza contributiva della Germania, comprendendo ciò che la Germania potrebbe dare immediatamente e ciò che potrà dare in un periodo successivo di anni (un trentennio), essa ascenderebbe a 125 miliardi al massimo. Le somme prorogate sono valutate come una scadenza immediata (interessi aggiunti).

Wilson ha domandato ad Orlando quali sono i punti di vista dell’Italia in relazione alla partecipazione sua verso la Germania.

Orlando ha risposto essere evidente che qui si pone la questione della maniera di far pagare gli Stati successori dell’Austria. A proposito di tale questione c’è un punto di vista collettivo. Gli alleati debbono considerare la questione come

interessante tutti per la quota parte. Si sentono cose inconcepibili a questo proposito: gli czechi non vorrebbero pagare nulla agli alleati. Orlando ritiene che non c’è ragione di fare esonerazioni. Egli considera la questione non come un punto di vista italiano, non potendosi in questa materia prescindere dalla più perfetta solidarietà: solidarietà tra debitori e solidarietà tra creditori. Questa solidarietà si fonda sopra un’alta ragione morale. Poiché si è fatta la questione delle ricchezze nazionali, Orlando ha rilevato che di tutti i paesi, compresi i nemici, l’Italia è il paese a cui la guerra è costata di più.

Wilson domanda ad Orlando a quanto ascende il debito pubblico dell’Italia, contratto per la guerra.

Orlando risponde che non è ancora definitivo, ma che si aggirerà sui settanta-cinque miliardi2. La ricchezza italiana era valutata in 140 miliardi: l’Italia ha quindi speso più della metà di tutta la sua fortuna. Quanto alle ragioni di fatto, è impossibile determinare da chi il danno è provenuto, avendo avuto l’Italia contro di sé tedeschi, austriaci, bulgari e turchi. Le città italiane aperte sono state bombardate dai tedeschi, poiché gli austriaci avevano scarsezza di mezzi di aviazione. Ciò si può documentare. I sottomarini che hanno affondato le navi italiane erano in gran parte tedeschi. Non si può quindi distinguere da chi sia provenuto il danno apportato all’Italia.

Questa dimostrazione è stata accolta da un silenzio che può tradursi come acquiescenza.

Lloyd George domanda ad Orlando quanto l’Italia paga di pensioni militari.

Orlando risponde che l’Italia paga 561 milioni l’anno (liquidate e da liquidare).

Lloyd George commenta dicendo che l’Italia valuta molto meno dell’Inghilterra.

Ed Orlando conclude mettendo bene in rilievo che questo non è l’unico capo ammesso al risarcimento: sono ammessi i danni arrecati alle case, alle navi, eccetera.

Avendo Clemenceau ripetuto che voleva interrogare Klotz e Loucheur circa i danni della Francia, la questione si rinvia a domani.

23 1 Secondo il resoconto di Mantoux, Lloyd George più precisamente avrebbe proposto 50% allaFrancia, 30% alla Gran Bretagna, 20% alle altre potenze.

24

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 25 marzo 1919.

Seduta pomeridiana presso Clemenceau, con Wilson, Lloyd George e Orlando.

Si leggono due telegrammi: uno di Franchet d’Esperey da Odessa; l’altro di Berthelot dalla Rumania.

Alla discussione interviene Foch.

24 Seduta pomeridiana del Consiglio dei quattro del 25 marzo 1919. Cfr. MANTOUX, vol. I, pp. 18 sgg. e RAC, n. 200.

La discussione, di tecnica militare, incomincia dalla situazione di Odessa. Per tenere la città, i telegrammi letti parlano di notevoli spedizioni di grano.

Tanto Lloyd George quanto Wilson lumeggiano la grave difficoltà di tali rifornimenti e la poca convenienza di tenere i venticinquemila uomini che per ora si trovano nella regione di Odessa, con una popolazione di quasi un milione che bisogna nutrire e con sentimenti che risultano non favorevoli all’Intesa.

Si ritiene, soprattutto per insistenze di Wilson e Lloyd George, che l’unico dovere dell’Intesa è di aiutare i rumeni e cercare che l’esercito schierato sulla fronte che ha l’ala destra sul Mar Nero possa collegare la sua ala sinistra con l’estrema ala destra dell’esercito polacco, in guisa di ricostituire tutta una linea difensiva verso il bolscevismo, che andrebbe dal Mare del Nord al Mar Nero.

Foch opina che questo scopo si può raggiungere usufruendo le forze dell’armata d’oriente e fondando molto sull’esercito rumeno. Quest’ultimo potrebbe disporre di una forza da 15 a 16 divisioni; ma manca di scarpe, di vestiti, eccetera. Propone adunque: 1) di concentrare tutte le forze dell’armata d’oriente e quelle dell’esercito rumeno sotto un unico comando; 2) di inviare all’esercito rumeno le provviste e il materiale di cui ha bisogno per ricostituirsi.

Queste proposte sono approvate, con una discussione in cui soprattutto Wilson e Lloyd George mettono in rilievo il carattere difensivo di tale organizzazione militare, e cioè piuttosto per difendere la Rumania da attacchi bolscevichi che per formare una fase offensiva contro il bolscevismo.

23 2 In MANTOUX è data la cifra di 80 miliardi.

25

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 2796. Parigi, 25 marzo 1919.

Col foglio 2620 Sp. del 23 corrente1 veniva rappresentato come, al di qua del confine di vigilanza proposto, non esistano altre linee che diano anche in scarsa misura qualsiasi protezione alla città di Fiume.

Ad ogni modo, a convalidare la necessità che il comune di Susak sia compreso nel corpo della città, della quale sotto ogni aspetto esso forma parte integrante, si aggiungono ragioni di carattere economico.

Il Comune di Susak è composto di 5 frazioni: 1) Tersatto, 2) Podvezica, 3) Costreno Santa Lucia, 4) Costreno S. Barbara e 5) Draga.

Di queste, la frazione di Costreno Santa Lucia contiene la baia di Martinscica che è il vero sfogo del porto di Fiume (per le quarantene) e le baie di Zukovo e Basso ottime sedi di cantieri. Di più, a Martinscica è lo stesso lazze-retto di Fiume.

La Valletta di Draga (frazione 5) rappresenta la naturale direttrice di espansione della città verso oriente, e contiene l’unico sfogo per lo sviluppo edilizio della città specie per magazzini e depositi.

Non si ritiene quindi possibile togliere alla città di Fiume tali dipendenze.

Il numero degli abitanti delle varie nazionalità che verrebbe incluso nel nostro territorio risulta dall’accluso elenco2.

25 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 948.

26

IL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. RR. Budapest, 25 marzo 1919 (perv. il 1° aprile).

Giunto qui da Belgrado il 17 corrente, in via del tutto privata ed astenendomi dall’entrare in contatto con il passato Governo, avevo tutto disposto per ripartirne ieri 24 corrente via Vienna.

Il 21 sopravvenne però il gran mutamento di Governo1 e il 22 stesso fui avvicinato da un intermediario, il quale a nome del nuovo Governo popolare mi chiese di avere un abboccamento col sostituto del commissario del popolo per gli affari esteri (sottosegretario di Stato). Mi disse trattarsi di cosa importantissima che potrebbe forse salvare ancora la situazione e io mi recai la sera in una casa privata dove ebbe luogo il primo abboccamento.

Insieme al sottosegretario di Stato per gli affari esteri, professor Agoston, era anche il professor Szasz, impiegato al Ministero dell’istruzione, uomo di fiducia e braccio destro di Kunfy.

26 Manoscritto autografo. Nominato ministro plenipotenziario a Belgrado il 19 gennaio 1919,con credenziali presso il regno di Serbia (l’Italia non aveva riconosciuto il regno SHS proclamato dal reggente Alessandro il 1° dicembre 1918), Borghese non aveva ottenuto il beneplacito delle autorità iugoslave ed aveva preferito quindi — anche per ragioni personali — stabilirsi a Budapest, inizialmente in vesteprivata. Avviate trattative ufficiose con il Governo bolscevico, doveva assumere poi di fatto le funzioni dicommissario italiano, data l’assenza di altri rappresentanti del nostro paese, dopo l’allontanamento dellamissione interalleata alla fine di marzo.

Traduzione in francese di questa lettera di Borghese fu inviata a Wilson, Lloyd George e Clemenceau il 29 marzo 1919 (come risulta da annotazione marginale manoscritta). La traduzione francese presenta tuttavia modifiche e tagli rispetto all’originale, forse per motivi di opportunità. Si veda anche lanota 997 del 1° aprile 1919 di Sonnino a Borghese, qui D. 89.

1 Più esattamente è nella notte tra il 21 e il 22 che si costituisce il Governo rivoluzionario, presieduto da Sandor Garbai.

Questi signori mi dissero in sostanza che, per quanto già preparato da tempo, in seguito ai risultati negativi ottenuti dal passato Governo ed allo sviluppo delle idee comuniste, l’occasione che aveva precipitato gli avvenimenti era senza dubbio stato l’ultimatum presentato il 20 corrente dal colonnello Vix al Governo, relativamente al ritiro delle truppe ungheresi dalla frontiera est, alla creazione della zona neutra fra ungheresi e rumeni, ed alla diminuzione eccessiva di territorio imposta ecc. ecc.

Si rivolgevano a me come ultimo tentativo, spontaneamente, pregandomi di essere loro intermediari presso l’Intesa.

Dalla conversazione riuscì chiaro un forte risentimento contro la missione francese in specie — contro la Francia in genere — di cui dissero la politica verso l’Ungheria era stata negli ultimi quattro mesi decisamente ostile non solo nella sostanza ma anche nella forma. Risentimento anche verso l’Inghilterra, specialmente per la questione della navigazione del Danubio. Moderazione e simpatia per l’America e per l’Italia, e, per questa, dichiarazioni di comunità di interessi e di tradizionale amicizia. Si lagnarono vivacemente del modo con cui l’Ungheria era stata trattata dal-l’Intesa — delle ingiustizie commesse contro di lei volendo privarla a beneficio dei czechi, rumeni e serbi di territori veramente ungheresi — e soprattutto del fatto che non era mai stato concesso a rappresentanti di questo paese di abboccarsi e discutere con delegati dell’Intesa, mentre i rappresentanti dell’Austria avevano potuto farlo.

Aggiunsero che il Governo attuale, malgrado la risposta negativa data all’ultimatum di Vix, malgrado l’appello fatto ai russi e al proletariato del mondo intiero, era desideroso di non interrompere le relazioni con l’Intesa e sperava anzi di poterle riannodare su migliori basi e non già attraverso le missioni militari, che avevano fino ad ora fatta così povera riuscita, ma per il tramite diplomatico e, possibilmente, attraverso l’Italia.

Spiegai loro quale era la mia situazione, che non avevo qui nessuna veste ufficiale, e che mi trovavo per semplice caso a Budapest di passaggio come quasi touriste, ed essi risposero che appunto per questo si erano rivolti a me sapendo che non ero militare, che con le missioni militari non avevo connessioni, che ero nel servizio diplomatico e che trovandomi qui accidentalmente avrei potuto tentare di portare imparzialmente a conoscenza dell’Intesa, per mezzo di V.E., i desiderata dell’Ungheria.

Era questo, conclusero, l’ultimo tentativo che potevano fare per salvare la situazione generale e non rompere completamente con l’Intesa. Se questo ultimo tentativo fosse riuscito vano, l’Ungheria, non potendo restare isolata, si sarebbe trovata costretta a rivolgersi all’oriente ed affidarsi completamente all’aiuto delle truppe russe che avanzano verso i Carpazi, staccandosi del tutto dalle potenze dell’Intesa. La situazione generale ne sarebbe assai peggiorata — ed anche nei paesi d’Occidente sarebbero nate difficoltà e pericoli e la pace augurata certamente ritardata.

Premesso che naturalmente sarei rimasto strettamente agli ordini di V.E. e che quindi senza sua autorizzazione non avrei potuto prolungare il mio soggiorno qui, accettai di servire per questa prima volta d’intermediario alle seguenti condizioni:

1) che fosse mantenuto il segreto più assoluto su questo tentativo;

2) che la comunicazione che dovrei fare a V.E. fosse discussa ed approvata da tutto il Governo;

3) che fossero messi a mia disposizione i mezzi materiali necessari per comunicare con V.E. e riceverne risposta, sia assicurandomi di poter mandare un corriere sia concedendomi di poter telegrafare in cifra.

4) che qualsiasi fosse per essere la risposta di V.E., favorevole o negativa, venissero intanto rispettate le missioni estere e le loro bandiere, la proprietà e i sudditi dell’Intesa.

Ieri 24 corrente, in seguito al primo abboccamento che ho testé riferito, il signor Kunfy ha chiesto di potermi vedere. Egli è considerato come la persona più intelligente e forte dell’attuale Governo, d’idee molto liberali ed elemento relativamente moderato. Di fatto è riconosciuto come il capo del partito socialista ungherese. Nella conversazione che ebbi con lui furono ripetute in massima le stesse cose: gli dissi che ritenevo che l’appello di unione e solidarietà fatto ai russi fosse stato un gravissimo errore tale da poter rompere i ponti che ancora restavano fra l’Ungheria e l’Intesa: che certamente questa doveva essere l’interpretazione che tale mossa doveva aver prodotto in Occidente. Egli volle spiegarmi come l’impressione generale e radicata qui fosse di essere ormai completamente abbandonati dall’Intesa la quale, per quanto riguardava l’Ungheria, aveva seguito una politica diversa da quella adottata per gli altri paesi quasi in opposizione ai principi enunciati da Wilson, e come allora esasperati dall’ultimatum del colonnello Vix fossero stati costretti al passo che avevano fatto. Il signor Kunfy mi disse anche che il Governo attuale non era affatto bolscevico ma solamente socialista radicale e popolare, e come in pratica la direzione del Governo stesso, malgrado l’unione con i comunisti, restasse nelle mani del partito socialista, il solo veramente bene organizzato in Ungheria.

In seguito alla conversazione avuta con il signor Kunfy, nel pomeriggio di ieri fu riunito il consiglio plenario dei commissari del popolo e furono a lungo discusse tutte le questioni concernenti questo tentativo di riallacciamento con l’Intesa e — con il pieno consenso di tutto il Governo — venne redatto un memorandum, per mio esclusivo uso, che mi fu consegnato brevi manu, tardi ieri sera, in un nuovo abboccamento che ebbi con quei signori.

Di questo memorandum firmato dal commissario (ministro) per gli affari esteri signor Kun Bela trasmetto qui unita la copia2 e, d’accordo con l’attuale Governo che allo scopo mi concede ogni facilitazione, invio questo breve riassunto a V.E., via Vienna, l’unica ancora relativamente sicura e la più sollecita.

In sostanza le mie impressioni di questi giorni e dopo aver parlato con alcuni di questi signori si possono riassumere così:

questa enorme evoluzione, o rivoluzione che dir si voglia, è stata molto bene organizzata e molto bene eseguita;

salvo alcuni pochi incidenti avvenuti nei primi momenti si può dire che l’ordine più completo regna nella città e mi si assicura anche in provincia.

Nessuno spargimento di sangue e nessuna reazione.

Qui a Budapest dal primo momento fu dichiarato lo stato d’assedio a condizioni severissime.

L’elemento più moderato del nuovo Governo è deciso a mantenere l’ordine e per ora almeno riesce ad avere la direzione, rimorchiando gli elementi estremi e sapendone frenare gli impulsi troppo eccessivi.

Il Governo vuole assolutamente riannodare, ed al più presto, relazioni con l’Intesa, non più a mezzo di missioni militari ma per via diplomatica e possibilmente per il tramite dell’Italia per la quale assicura che anche nel paese è generale la simpatia.

Se ciò non sia escluso e negato dall’Intesa, il Governo attuale vorrebbe ottenere come prima cosa che fosse concesso ad alcuni suoi delegati di abboccarsi con quelli dell’Intesa, sia a Parigi, in Svizzera o altrove come fu fatto per l’Austria.

Nella scelta dei delegati credo poter assicurare che questo Governo prenderebbe in considerazione gli eventuali desiderata dell’Intesa.

Sulla questione della integrità territoriale questo Governo sarebbe disposto a discutere e transigere. Riconosce che alcuni comitati possono senza inconvenienti essere ceduti, ma ritiene che il territorio abitato in maggioranza da ungheresi (tedeschi compresi) debba restare all’Ungheria, all’esistenza della quale è indispensabile un insieme omogeneo dei vari territori che ne completino e ne rendano possibile l’esistenza come unità indipendente. Sotto questo punto di vista il paese sembra essere unanime e pronto a resistere con la forza accettando piuttosto la distruzione che non una amputazione che ne renda impossibile la vita.

In ultimo ritengo che, data la posizione geografica, le simpatie innegabili nella massa operaia per il movimento russo, l’organizzazione socialista assai sviluppata in questo paese e l’intuizione dei vantaggi che ne potrebbero derivare a tutti, questo Governo sarebbe disposto e forse potrebbe, meglio di qualunque altro, riuscire a servire da intermediario eventuale per ristabilire relazioni normali fra le potenze dell’Intesa e gli estremisti russi.

Non mi nascondo che la situazione è molto critica e molto grave e che, anche malgrado l’energia, l’ordine e la forza che fino ad oggi ha dimostrato questo nuovo Governo, possa la situazione stessa da un momento all’altro aggravarsi e divenire irreparabile con tutte le gravissime conseguenze che ciò potrebbe avere anche per gli altri Stati d’Europa.

Ed è appunto per la gravità del momento e per le conseguenze che ne possono derivare che ho preso la responsabilità di servire da intermediario. A Lei spetta di considerare la convenienza di accettare o meno questa ultima offerta di questo Governo e di giudicare circa la opportunità per il nostro paese di essere in questo momento l’anello di congiunzione e di salvataggio.

Attenderò qui istruzioni. La mia posizione personale mi sembra, per ora almeno, sicurissima specie se, come pare, questo Governo avrà ancora la forza di mantenere l’ordine per qualche settimana. Prego quindi V.E. di non avere alcuna preoccupazione a mio riguardo.

Se in massima Ella crede, come io ritengo, che non siano da rigettare senz’altro e definitivamente queste ultime proposte di questo Governo e che possa riuscire utile — partite le missioni militari come pare debba accadere domani — che io resti temporaneamente ed in forma del tutto privata qui, Le sarò grato appena ricevuta questa mia di telegrafarmi a mezzo della nostra missione d’armistizio in Vienna nel senso vago di autorizzazione a rimanere. Avrò modo di conoscere la Sua risposta telefonicamente.

Per il caso in cui io debba restare, sarei grato a V.E. di provvedere per l’immediato invio a Vienna, da dove avrò modo di riceverlo sicuramente, un cifrario dei nostri, il meno conosciuto, essendomi già stato concesso per la eventualità di usare della cifra.

Credo in ultimo dovere accennare che se si vogliono riannodare relazioni è necessario ciò sia fatto senza alcun indugio trovando il modo di cancellare con opportune disposizioni, anche nella forma, la radicata impressione di decisa ostilità ed ingiustizia che qui si ritiene riscontrare in ogni atto dell’Intesa verso l’Ungheria durante gli ultimi mesi.

Credo pure che in tale eventualità e per aiutare il Governo a mantenere l’ordine e tenere tranquille le masse sia di indispensabile urgenza provvedere all’invio immediato di rifornimenti e di viveri di cui già si comincia a sentire fortemente la scarsezza e si prevede prossima la mancanza.

Di tutto quanto precede e dell’incarico che ho avuto da questo Governo, ho mantenuto il più assoluto segreto, che reputo indispensabile, con tutti, compreso anche con le missioni militari. Anche questo Governo ha preso tutte le disposizioni per il mantenimento del segreto più completo.

ALLEGATO

IL COMMISSARIO DEL POPOLO PER GLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA UNGHERESE DEI CONSIGLI, BELA KUN, AL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, BORGHESE, A BUDAPEST

PROMEMORIA3. Budapest, 24 marzo 1919.

AIDE -MEMOIRE POUR LE PRINCE BORGHESE

Le nouveau Gouvernement de la Hongrie, le Conseil des Commissaires du peuple, reconnait valable le Traité d’armistice signé par le Gouvernement précédent et ne croit pas que par la non-acceptance de la note remise par monsieur le lieutenant colonel Vix il a lésé ce traité.

Le Gouvernement, en invitant la Russie à lier une alliance avec la République des Conseils de la Hongrie, n’a pas pensé que cette démarche puisse être interpretée comme une expression de son désir de rompre tout contact diplomatique avec les Puissances de l’Entente et encore moins comme une déclaration de guerre à l’Entente. L’alliance avec la Russie d’ailleurs n’est pas une formelle alliance diplomatique, c’est, tout au plus — si l’on peut se servir de cette expression — une entente cordiale, une amitié naturelle que justifie la construction identique de leurs constitutions et qui dans la pensée du Gouvernement hongrois ne veut nullement être une association agressive. La nouvelle République hongroise a au contraire le ferme désir de vivre en paix avec toutes les autres nations et de ne vouer sa force qu’à la pacifique réorganisation social de son pays.

Le parti socialiste hongrois a été poussé par la force des événements à saisir le pouvoir. Il veut organiser une société nouvelle, une société où chacun vit de son travail, mais une société qui n’est pas hostile aux autres nations. Il veut au contraire travailler à la grande solidarité humaine.

Le Gouvernement de la République des Conseils de la Hongrie se déclare prêt à négocier les questions territoriales sur la base du principe du droit de l’auto-détermination des peuples et il interprète l’intégrité territoriale uniquement en conformité de ce principe.

Il verrait très volontiers une mission civile et diplomatique de l’Entente à Budapest et garantirait à la mission le droit extra-territorial et prend l’engagement de veiller absolument à sa sûreté.

25 2 Non si pubblica. Si tratta di «Dati statistici sul confine ad oriente di Fiume», da cui risultache la popolazione del «Corpo separato di Fiume con i comuni inclusi nella linea di vigilanza» era intotale di 68.300 abitanti, di cui 28.468 croati, 2.106 serbi e sloveni, 29.569 italiani, 8.157 vari. Per Fiume e territorio, su un totale di 46.264, gli italiani erano 28.911; per il distretto di Susak su 13.214 erano 658.Una nota avverte che tali dati «ad eccezione di quelli riferentesi alla città di Fiume, sono di fonte croata eperciò i più sfavorevoli per l’Italia».

26 2 Vedi Allegato.

26 3 Edito in FRUS, vol. V, p. 18.

27

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 899 P. Roma, 26 marzo 1919, ore 13,10.

La discussione sugli affari di Russia che si svolge alla Camera francese mi concede d’interloquire a proposito della comunicazione fattami col tuo 8791. È bene ricordare che uno dei cardini su cui è impostata la deliberazione della direzione del partito socialista italiano per la proclamazione dello sciopero generale riflette appunto l’intervento in Russia. Noi mandando truppe nella regione caucasica e mandandole quando l’Inghilterra si toglie di impaccio e le ritira da quel territorio ci metteremmo nella condizione di non potere difendere il nostro passo se non dimostrandolo fonte di grandi benefici. Tu dici: «Il rischio non è piccolo ma la tentazione è grande». Va bene; ma la presenza delle nostre truppe in Georgia, mentre ha l’aspetto formale di una occupazione militare con i conseguenti rischi di base lontana e di lotte da sostenere contro le forze bolsceviche, non ha poi il corrispettivo immediato di carbone petrolio piombo argento perché non è detto che Repubblica georgiana ci dia concessioni simiglianti che possano utilmente e sollecitamente essere sfruttate né noi abbiamo in pronto macchina finanziaria già in grado di agire per lo sfruttamento di tante materie prime. Temo siano offerte per distrarci da altri problemi. Ma tu sei sul posto ed hai vista lunga e noi abbiamo fiducia in te.

28

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI

T. Parigi, 26 marzo 1919, ore 20,45.

Da ministro trasporti, da ministro approvvigionamenti, da sottosegretario Conti nonché da vice presidente Consiglio dei ministri giungonmi ormai giornalmente notizie di allarme per l’allarmante situazione dei nostri approvvigionamenti di carbone e

grano. Io ho rivolto tempestivamente vivissime preghiere al Governo inglese perché venisse in aiuto nella misura necessaria ad evitare disastri, ma finora sembra che alcun risultato sia stato raggiunto. Partono infatti in marzo dal Regno Unito per l’Italia solo 350 mila tonnellate di carbone, vale a dire neanche la metà del nostro bisogno minimo, e dopo mesi e mesi di analoghe angustie. Non differente è la situazione granaria. Or bene io non posso dimenticare che l’Inghilterra ci ha garantito il tonnellaggio eguale a quello in servizio alla data di armistizio e che, se questo tonnellaggio ci fosse stato dato, noi non ci troveremmo ora ridotti al punto in cui stiamo. Comprendo tuttavia la difficoltà del momento, ma non è giusto che si cumuli e gravi tutta su noi sistematicamente; d’altra parte ultime notizie fanno sembrare scongiurata minaccia scioperi generali, e non ci si potrà tacciare di eccessivi se ora invochiamo la piena esecuzione del-l’accordo. Pregola intervenire personalmente, energicamente e subito sia con Joseph Maclay che, se c’è un momento in cui aiuto all’Italia significa aiutare tutto questo stato di diritto, è il presente. Prego porgergli i miei affettuosi memori saluti e insieme la viva preghiera di sottrarci una buona volta alle difficoltà che potrebbero divenire più gravi e alla situazione ormai resa intollerabile dalla lunga e vana attesa di sollievi. Faccia pure di conserva ogni passo necessario col Coal Controller. La ringrazio e resto in attesa di sue cortesi comunicazioni1. Il presente spedito pure conoscendo la venuta qui di S.E2. al quale lo comunicherò ma pregherei intanto occuparsene salvo attendere istruzioni dall’ambasciatore, al quale ne farò dare copia.

27 1 Vedi D. 2. Vedi anche D. 30.

29

L’ADDETTO ALL’UFFICIO STAMPA DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, BOCCHINI, AL MINISTERO DELL’INTERNO

T. 905 P. Parigi, 26 marzo 1919, ore 20,55 (perv. ore 22, 50).

Direttive stampa negativo.

Prego disporre che stampa italiana non accenni eventuale intervento militare italiano in Ungheria né eventuale mandato italiano nella Transcaucasia Georgia potendo ciò nuocere trattative in corso.

2 Il riferimento è all’ambasciatore a Londra Imperiali, dalla fine di marzo in servizio presso laDelegazione alla Conferenza della pace, ragione per cui Preziosi era ora incaricato d’affari presso ilGoverno britannico (vedi nota a D. 110).

28 1 Preziosi rispose con T. 686 del 31 marzo, dando notizia della gravissima situazione creata inInghilterra dal perdurare degli scioperi e della priorità comunque assegnata dal Coal Controller alle forniture di carbone all’Italia.

30

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 910 P. Parigi, 26 marzo 1919 ore 23,15 (perv. ore 8 del 27).

A tuo telegramma 8991.

Mi piace che tu segua discussione Camera francese, la quale servirà a convincersi come la situazione che qui si creò a proposito dell’Asia era superiore a qualunque nostro sforzo. Potrai infatti considerare da te che una delle accuse che più amaramente si rivolgono contro il Gabinetto Clemenceau è appunto quella di aver barattato un preciso impegno contrattuale dell’Inghilterra contro l’alea dello studio di una commissione. Non discuto se sia fondata l’accusa di inabilità che si rivolge al Governo francese dai suoi oppositori, ma è certo che noi non potevamo sperare di vincere con le nostre sole forze quando America, Inghilterra e Francia erano d’accordo sopra una soluzione così dannosa per la stessa Francia. Quanto alla questione caucasica, ti confermo quanto ti ho telegrafato2 e sopratutto che noi abbiamo formalmente dichiarato che nostra eventuale occupazione non deve menomamente pregiudicare nostri diritti sull’Asia. Ti confermo pure nel merito che la questione andrà molto per le lunghe e sarà preceduta dall’invio di una nostra missione militare, che avrà l’incarico di studiare molto attentamente la situazione in tutti i suoi aspetti. Quanto ad eventuali ripercussioni presso il nostro partito socialista, ho già diretto in proposito a Petrozziello un telegramma3 che ti farai comunicare. Mi limito ad aggiungere che tale eventuale occupazione non si presenta sinora affatto con carattere antibolscevico, trattandosi di uno Stato già dichiaratosi indipendente e che non ha più nulla da vedere col Governo bolscevico. È certo tuttavia che, se un equivoco si formasse in proposito, potrete fare le più larghe smentite, e farete anzi bene se con la censura frenerete le pubblicazioni che possano lasciare intendere che una decisione in proposito è stata presa.

2 Vedi D. 2.

3 Si tratta del T. 909 P. dello stesso 26 marzo, non pubblicato.

30 1 Vedi D. 27.

31

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 743/6623. Roma, 26 marzo 1919 (perv. i1 27).

Ammiraglio Rombo telegrafa:

Comitato1 ha chiuso sue sedute. Stante mie materiali constatazioni della mancata applicazione armistizio non riconosciuto da altri, delegato italiano dissenziente presentato verbale proprio di minoranza allegato quello presentato da altri tre. Forze navali per mia decisione lasciando «Nino Bixio» sono aumentate di «Olimpio» e «Gloucester». Americano Drews assunto comando zona. Mia proposta occupazione interalleata2 non essendo accettata ho declinato responsabilità per gravi disordini che prevedo. Giovedì 27 Comitato parte per Cattaro3.

2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 821.

3 Con una lunga nota n. 975 inviata lo stesso 26 marzo al capo di Stato Maggiore della Marina(e da questo trasmessa in copia il 2 aprile con Nota 679 RR. P., a Orlando, a Sonnino e all’addetto navaleitaliano a Parigi ammiraglio Grassi) Rombo comunicava poi i verbali finali del Comitato navale per l’Adriatico sulla questione di Spalato, osservando fra l’altro: «La situazione che ho trovato al mio arrivo [24febbraio] era contraria ad ogni diritto di guerra: ciò è dovuto all’azione e condiscendenza dei comandantinavali alleati presenti i quali, tollerando da parte di una porzione della popolazione nemica atti contro lalegge della guerra, dimostrando a questa simpatia e tollerando offese alla nazionalità italiana alleata,hanno dato il convincimento agli austro-croati e sloveni ed ai serbi che questa zona potesse considerarsigià in loro potere». E così concludeva: «Ritengo che solo il Governo italiano coi documenti che ho inviato possa direttamente agire e far decidere quell’azione che sola, secondo la mia persuasione, assicurerebbe la vita e i beni della nazionalità italiana, e cioè l’occupazione interalleata di tutta la zona sotto le direttive del Governo americano».

31 1 Si tratta del Comitato navale per l’Adriatico istituito nella riunione interalleata di Londra del3 dicembre 1918 (vedi serie sesta, vol. I, D. 442). Composto dai rappresentanti delle quattro maggioripotenze, aveva il compito di sorvegliare l’applicazione delle clausole dell’armistizio in Adriatico e dicontrollare le coste, i porti e il naviglio austro-ungarico. Era stato incaricato di indagare sugli incidentianti italiani di Spalato del 23 febbraio 1919, culminati in aggressioni a ufficiali e marinai e nella devastazione di beni di cittadini italiani. Presieduto dal delegato italiano, che dal 24 febbraio era il contrammiraglio Rombo (in sostituzione del contrammiraglio Molà), ne facevano parte gli ammiragli Kiddle (GranBretagna), Ratyé (Francia) e Biblack (in sostituzione di Bullard, per gli Stati Uniti).

32

IL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. 866 RIS. Parigi, 26 marzo 1919.

Da fonte attendibile sono qui pervenute le accluse informazioni concernenti una probabile ripresa di relazioni tra la Francia e il Vaticano. Della stessa fonte sono anche le unite osservazioni ed informazioni riguardanti la politica religiosa nei paesi jugoslavi.

Sarà opportuno che delle notizie qui annesse1 codesto Ministero faccia tenere riservatamente parola al barone Monti, direttore generale del Fondo per il culto per eventuale norma e controllo.

ALLEGATO

PROMEMORIA RISERVATO.

Risulta ormai positivamente che il Governo francese converserà col Vaticano sulla questione dell’Alsazia Lorena. È una necessità alla quale nessun Governo potrebbe sottrarsi se non sotto pena di offrire ai tedeschi un’arma meravigliosa contro la Francia. Il clero è stato un elemento potente contro l’opera di germanizzazione dal 1870 al 1914; non si vuole lasciarlo nelle braccia della Germania, oggi che le due province riconquistate ritornano alla Francia. I titolari delle sedi episcopali di Strasburgo e di Metz vengono, perciò stesso, a offrire un interesse politico di indiscutibile valore. Ma il genio francese è troppo logico perché si arresti all’Alsazia Lorena. Queste due province sono il ponte per cui si dovrà passare al rimaneggiamento di tutta la legge di separazione che finora non è stata accettata dal Vaticano e dall’episcopato francese.

Il Governo di Parigi riconoscerà la gerarchia cattolica, ed in premio di ciò chiederà di avere una parte nella nomina o nella presentazione dei vescovi; si avrà così una specie di concordato nella separazione.

Quanto al protettorato d’Oriente, Clemenceau deve essersi reso conto che non è possibile di avere un’equivalente, poiché vi sono troppi nazionalismi che urtano contro questo vecchio privilegio francese.

I vescovi e l’ambasciatore presso il Vaticano non mancheranno invece di accampare sempre nuove pretese presso il Vaticano.

L’informatore che ha dato le suddette notizie ha aggiunto le considerazioni seguenti:

Egli è di opinione che si dovrebbe seguire volta per volta tali movimenti ed appoggiare i nostri francescani a Gerusalemme e gli altri ordini religiosi in Oriente. Frattanto un lavoro analogo dovrebbe essere preparato nelle province redente dall’Italia.

Va da sé che il vescovo di Trieste non potrà più restare sulla sua sede il giorno in cui la Conferenza avrà dichiarato che Trieste è parte integrante dell’Italia. Il problema più delicato si presenta nella parte tedesca della diocesi di Trento, ed al di là di Bolzano fino a Bressanone. Ivi pullulano gli ordini religiosi, che costituiscono un vero baluardo di germanizzazione. Bisognerebbe che il Governo, per mezzo di gente sicura, potesse presentare al Vaticano un pro

gramma particolareggiato, nel quale si tutelassero ad un tempo gli interessi politici italiani, e gli interessi religiosi. Il vescovo di Trento ci potrebbe prestare man forte, presentandogli un programma positivo elaborato da competenti.

Le stesse considerazioni che valgono per il Trentino, dovrebbero essere applicate all’Istria. In essa avremo cioè popolazioni presso cui è invalso nella liturgia il glagolitico. Questo dovrebbe essere rispettato. L’Italia non deve essere da meno dell’Austria nel rispetto delle libertà religiose. Nella propaganda che il vescovo di Spalato e monsignor Bulic vanno facendo negli ambienti cattolici parigini, si nota la tendenza a voler ottenere coûte que coûte l’uso del glagolitico in tutto il Regno jugoslavo, e si fa fin d’ora correre la voce che se il Vaticano non accoglierà questa generalizzazione, ciò sarà dovuto all’influenza italiana. Si accusa in sostanza il Vaticano di essere troppo italofilo. Sarebbe certamente utile di far pervenire al Vaticano notizia di questa manovra soggiungendo che l’Italia è troppo liberale per immischiarsi in queste faccende. Il Vaticano, invece, per il quale la lingua latina è l’organo storico naturale, sarà portato ad opporsi per ragioni religiose alla generalizzazione del glagolitico. Se dalla Conferenza sorgerà una Panserbia, e gli italiani avranno l’abilità di non apparire come il drappo rosso pel toro, il conflitto serbo-croato sul terreno religioso sarà necessariamente un fatto compiuto, massime se, come tutto porta a credere, i tedeschi soffieranno nel fuoco.

I cattolici d’Italia potrebbero allora rendere dei servizi al paese, sopratutto in Dalmazia, ma anche qui non bisogna essere assenti.

32 1 Vedi Allegato.

33

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 739/44. Costantinopoli, 26 marzo 1919 (perv. il 27).

Telegramma di V.E. 3141.

Ho inviato generale Elia2 e comando «Regina Elena» seguente telegramma:

«Governo del re desidera occupare Adalia, ma di fronte alleati occorronoragioni strategiche o di ordine pubblico. È nostro interesse ottenere richiesta di un nostro intervento a tutela ordine pubblico turbato3. Governo del re desidera V.S., se ne ha modo, provochi d’urgenza tali richieste. Ove le mancassero strumenti adatti potrei fare proseguire Adalia un bey albanese di mia fiducia che mando stasera Smirne con cacciatorpediniere».

2 Dopo la pace di Losanna del 1912, che aveva posto fine al conflitto italo-turco, nel Dodecanneso era rimasto il Corpo di occupazione dell’Egeo, con sede di comando a Rodi, che era anche la baseprincipale della divisione navale dell’Egeo. Lo comandava il generale Vittorio Elia. Sempre a Rodi, poi,all’inizio del 1919 era stata fissata la base del corpo di spedizione in Anatolia, agli ordini del generaleGiuseppe Battistoni.

3 Lo stesso giorno (con T. 85 al Gabinetto del MAE) il console ad Adalia, Ferrante, riferendodelle manifestazioni di simpatia per l’Italia da parte della popolazione locale, suggerì di «non ritardaresbarco nostre truppe, anche in numero limitato».

33 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 941.

34

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 772/332. Costantinopoli, 26 marzo 1919 (perv. stesso giorno).

Gran visir ha comunicato confidenzialmente a me ed ad alto commissario inglese1 una lettera che ha ricevuto dal generale Franchet nella quale il sovrano, i membri del Governo e tutta la popolazione turca sono minacciati di rappresaglie nel caso che gli elementi cristiani abbiano, specie a Smirne, a soffrire di eccessi turchi. Né io néCalthorpe abbiamo disapprovato tale lettera di Franchet. È tuttavia mia impressione che la minaccia tenda più che altro ad affermare competenza di Franchet in Asia Minore, ciò che è formalmente negato dagli inglesi.

35

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1193/98. Praga, 26 marzo 1919 (perv. il 27).

In colloquio avuto ieri col ministro Francia1 circa questione due missioni, sostanzialmente riconosciuto che situazione presente è solo dovuta a Governo czecoslovacco che ha stipulato accordi contraddittori e non revocabili senza ledere prestigio Francia o Italia.

Urgendo venire ad una soluzione specie per minacciosa situazione Ungheria sembra si potrebbero aprire trattative basi seguenti condizioni:

1) capo missione italiano mantiene in ogni caso titolo, e finché compatibile (a suo esclusivo giudizio) con operazioni, funzioni comandante supremo tutte truppe dislocate Slovacchia;

2) in caso operazioni assume comando in capo fronte2 (dalla confluenza Morava Danubio al confine polacco) e estende naturalmente sua autorità su tutte truppe di qualsiasi origine (preferibilmente legionari d’Italia), comunque destinate operare su tale fronte;

3) nei due casi capo missione italiana dipenderà esclusivamente da ministro difesa; disposizioni che eccezionalmente dovessero essergli dirette da capo Stato Maggiore dovranno essere firmate d’ordine;

35 Lo stesso telegramma fu ripetuto il 27 marzo alla Delegazione per la pace a Parigi (T. 762/98)con qualche variante.

1 Ministro di Francia a Praga era Frédéric Clément-Simon.

2 Nel testo 762/98: «fronte sud-est».

4) caso formazione legionari Italia che stanno rimpatriando dovessero essere raggruppate unità superiori dal reggimento3 loro comando dovrà esserne affidato ufficiali czechi o italiani, previo accordo tra due Governi.

Attesa portata e possibili conseguenze, anche politiche, di una simile convenzione necessita conoscere parere V.E.

Addetto militare telegrafato barone Sonnino.

Comunicato generale Piccione cui osservazioni riservomi eventualmente telegrafare4.

34 1 Era l’ammiraglio Calthorpe.

36

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, [26 marzo 1919].

CONVERSAZIONE COL COLONNELLO HOUSE

In una conversazione generale House lascia intendere voler conversare coi bolscevichi. Un americano giunto da Mosca ove si era recato senza alcun incarico ufficiale ha riferito che Mosca e Pietroburgo sono perfettamente tranquille, ma scarseggiano di viveri. Egli ha parlato con Lenin e Trotzkij che gli hanno detto essere desiderosi di pace, non avere alcuna avversione per l’Intesa, ma non volere invasione straniera sul territorio russo: «Lasciate Arcangelo, Odessa ecc. e non vi daremo molestia, pagheremo il debito estero e non ci alleeremo con i tedeschi».

Dopo una conversazione generica l’onorevole Orlando chiese se gli americani si erano finalmente intesi con Francia per la frontiera est. Il colonnello House rispose che finora non si era raggiunta un’intesa; ma forse potrebbero riuscire se gli americani ammettessero che sulla sinistra del Reno non dovrebbero essere mandate truppe né dovessero rimanere fortificazioni e che l’invio di soldati sulla sinistra del Reno costituirebbe un casus belli onde l’America e l’Inghilterra dovrebbero inviare truppe in Francia. Quest’ultimo impegno non pare possa essere preso dal Governo americano: questo ammetterebbe che nel caso contemplato deve tagliare i viveri alla Germania ma l’obbligo d’inviare truppe non crede poterlo assumere.

Avendo l’onorevole Orlando cercato di sapere se le questioni della frontiera italiana verrebbero in discussione sollecitamente, il colonnello House ha risposto non

4 Con T. 102 del 27 marzo Lago comunicava poi l’approvazione del generale Piccione, con leseguenti modifiche per le condizioni 2 e 3: «2) In caso operazioni assume comando in capo tutta frontead est fiume Morava tutte truppe di qualsiasi origine e comunque destinate operare su tale fronte. 3) Neidue casi capo missione italiana dipende esclusivamente da ministro difesa dal quale soltanto riceve ordinie al quale soltanto riferisce».

36 Cfr. MANTOUX, vol I. p. 24 sgg. e RAC, n. 201. L’appunto reca la data del 25 marzo, corrispondente a quella della conversazione Orlando-House. Ma deve essere stato redatto effettivamente ilgiorno successivo unitamente al resoconto delle sedute del Consiglio dei quattro del 26 marzo, comerisulta dal confronto con Mantoux. Alla seduta del pomeriggio partecipava, per l’Italia, anche il delegatoe consigliere tecnico Mariano D’Amelio.

credere che ciò accadrà in questi primi giorni, assolutamente non lo crede, ma pensa cha un breve ritardo non è dannoso per l’Italia, sembrando utile che la discussione della frontiera francese preceda immediatamente quella della frontiera italiana.

S.E. l’on. Orlando accennò alla preoccupazione che ritardando aumentino le speranze italiane anche per quelle città della Dalmazia, pure italiane, ma che noi non chiediamo per spirito di conciliazione. Accennò a Spalato ove il sentimento italiano è fortissimo e che si agita per essere unita all’Italia mentre il popolo italiano segue con affetto le aspirazioni di Spalato. House si limitò ad ascoltare senza pronunciarsi.

Essendosi fatta ora tarda il colloquio finì e House espresse desiderio di incontrarsi ancora frequentemente col presidente del Consiglio.

CONVEGNO DEI PRIMI MINISTRI (presente Loucheur)

Nella prima parte della conferenza si svolse lunga discussione fra Lloyd George e Loucheur. Il primo si sforzò di svalutare le pretese francesi circa le indennità ripetendo gli argomenti già esposti nella seduta precedente, ai quali Loucheur cercava opporre considerazioni sui danni realmente subiti dalla Francia. «I miliardi che domandate superano il valore di tutta la Francia» concluse Lloyd George.

Wilson osservò allora che piuttosto di discutere sulla realtà ed importanza dei danni subiti conveniva fermarsi ad esaminare la potenzialità di pagare che ha la Germania. Le maggiori difficoltà che si avranno con la Germania sono la cessione di Danzica ed i miliardi. Possiamo occupare Danzica e consegnarla ai polacchi, ma come impadronirci materialmente dei miliardi?

Loucheur osserva che si può occupare la Westfalia e trarne i miliardi chiesti. Lloyd George osserva che l’occupazione costerebbe più di quanto se ne trarrebbe.

Dalla conversazione apparisce che la potenzialità di pagamento della Germania oscillerebbe secondo i calcoli americani dai 25 ai 30 miliardi di dollari. Secondo calcoli francesi da 30 a 50.

Interviene nella discussione Clemenceau che osserva esservi due questioni: 1) potenza della Germania di pagare; 2) distribuzione delle somme da ottenersi fra gli Alleati. Per questa seconda si potrebbe rimettersene in un arbitro: per esempio Wilson.

S.E. Orlando si dichiarò favorevolissimo a questa soluzione.

Clemenceau continuò osservando che per la prima questione conveniva rimettercene al risultato degli studi che gli experts farebbero e così pareva finita la discussione. Se non che Lloyd George, cui non doveva garbare l’arbitrato, riaprì la discussione sulla ripartizione delle somme fra gli alleati; la conversazione proseguì animata e, venuta l’ora di levare la seduta, se ne rimandò la continuazione al pomeriggio.

CONVEGNO DEL POMERIGGIO (assente Clemenceau, presente Loucheur; Wilson accompagnato da Davis e da un altro1, Lloyd George pure accompagnato da un consulente tecnico2)

Loucheur espone le sue cifre (vedi Allegati)3. Lloyd George gli chiede a quanto ascenda la spesa annua per le pensioni di guerra francesi. Loucheur risponde: quattro miliardi. Ne segue lunga animata discussione nella quale interviene con accanimento Lloyd George, sempre cercando svalutare le pretese francesi.

Wilson interviene per dichiarare che a suo avviso l’Italia deve partecipare alla ripartizione delle indennità che pagherebbe la Germania. Il massimo che potrà essere imposto alla Germania non supera i trenta miliardi di dollari (cifra massima stabilita dagli americani, minima dai francesi). Questa somma potrebbe essere così ripartita:

50% alla Francia;

32, 1/2% all’Inghilterra;

7, 1/2% al Belgio;

7, 1/2% all’Italia;

2, 1/2% alla Serbia.

S.E. l’on. Orlando trova insufficiente la percentuale attribuita all’Italia ed osserva i danni sopportati da noi possono calcolarsi al terzo di quelli subiti dalla Francia, e prega quindi cercare di avvicinarsi a tale quota.

Lloyd George fa notare che l’Italia resta sempre creditrice dell’Austria, ma l’on. Orlando risponde che egli troverebbe giusto aumentare la percentuale attribuita all’Italia e far partecipare anche gli altri alleati alla ripartizione dell’indennità austriaca.

Ne segue una discussione senza giungere a precise conclusioni e si finisce per decidere di attendere il risultato dell’esame che i differenti experts faranno della proposta indicata più sopra.

35 3 Nel testo 762/98: «dal reggimento in su».

37

L’ESPERTO TECNICO, PATERNÒ AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 26 marzo 1919.

Secondo colloquio col generale Stefánik.

Ho l’onore di riferirmi alla mia relazione del 23 c.m.1. Il generale Stefánik mi ha detto che il Governo cecoslovacco ha fatto la dichiarazione annunziatami durante

2 Era Keynes (ibidem).

3 Non rinvenuti.

37 Manoscritto autografo.

1 Si tratta in realtà di una relazione in data 22 (e non 23) marzo, relativa ad un primo colloquiocon il generale Stefánik, nel corso del quale l’esponente cecoslovacco aveva sottolineato l’interesse delsuo paese per stretti legami con l’Italia ed aveva riferito di sue iniziative per una dichiarazione ufficialeagli jugoslavi «che il Gabinetto cecoslovacco è fermamente deciso a non appoggiarli se il problema italojugoslavo dovesse degenerare in guerra».

il primo colloquio. Ha anzi aggiunto che la dichiarazione stessa aveva avuto una portata anche maggiore, il Governo iugoslavo essendo stato esplicitamente avvertito che il Gabinetto di Praga ha deciso di non appoggiarlo «nella sua politica di odio contro l’Italia». Fatta la comunicazione che precede il generale Stefánik ha enunciato a grandi linee i desiderata cecoslovacchi circa i futuri rapporti economici con l’Italia (comunicazioni ferroviarie, porti e navigazioni) esprimendoli nei termini seguenti:

1) La Cecoslovacchia desidera avere comunicazioni ferroviarie dirette con l’Italia all’infuori della Iugoslavia. Per la parte di ferrovia intermedia in territorio austriaco dovrebbe essere escogitato un sistema interstatale possibilmente italo-ceco il quale, mentre dovrebbe impegnare l’Italia e la Cecoslovacchia ad assicurare all’Austria le possibili facilitazioni di trasporto, dovrebbe dare ai due paesi contraenti la sicurezza di non subire intralci da parte dell’ex Monarchia.

2) Per il porto di Trieste2 la Cecoslovacchia attende le proposte italiane con la speranza che esse le consentiranno di sottrarre le proprie merci ai porti del Nord (dalla conversazione svoltasi su questo punto ho riportato l’impressione che le proposte dei nostri tecnici potranno in massima accontentare i cecoslovacchi).

3) Per la navigazione il generale Stefánik ha mostrato desiderare vivamente che si stringano intimi legami fra la marina mercantile italiana e la futura marina cecoslovacca. Ha fra altro accennato all’idea della creazione di una grossa società di navigazione italo-ceca la quale influirebbe, a suo giudizio, notevolmente a rinsaldare i vincoli economico-politici fra i due paesi.

Il generale desidera che io gli tracci un programma sulle basi prospettate nei tre numeri che precedono. Su questo programma egli mi darà il benestare del Governo cecoslovacco, dopodiché si potrà fra i tecnici dei due paesi precisare i particolari tecnici dell’accordo. Per affrettare tale accordo il generale ha ritardato la sua partenza.

Prima di lasciarmi il signor Stefánik mi disse che è sua intenzione promuovere una politica di intesa con l’Ungheria alla quale la Cecoslovacchia venderà i propri prodotti industriali in cambio di prodotti agricoli di cui ha bisogno. Sembra che egli pensi di spingere gli ungheresi alla industrializzazione agraria col duplice intento di aumentare il suo fabbisogno di prodotti industriali (macchinari agricoli) e di aumentare altresì la sua produzione di cereali3.

3 In calce alla relazione, annotazioni manoscritte di De Martino in pari data: «Occorre ora chei nostri tecnici formulino il programma, non impegnativo, dopo di che sarà possibile concertare una azione comune per le tariffe ferroviarie ecc. a vantaggio di Trieste. Altrimenti è prevedibile che, di fronteall’ostruzionismo di Trumbiƒ appoggiato da altri, le proposte italiane rischiano di rimanere bocciate».

36 1 Si tratta di Lamont (cfr. MANTOUX, vol. I, pag. 32).

37 2 Un pro-memoria sui traffici via Trieste era stato inviato da Sonnino a Lago con foglio 802del 23 marzo 1919.

38

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 2009. Roma, 26 marzo 1919 (perv. il 28).

Nel ringraziare della comunicazione fatta del telegramma 577 in data 7 marzo corrente1 della Delegazione italiana a Parigi, pregiomi portare a cognizione di codesto Ministero che al riguardo è stato trasmesso al Governo dell’Eritrea il telegramma che qui si allega in copia2, mentre per posta gli si comunica il testo integrale del telegramma qui rimesso da codesto Ministero.

Come l’E.V. ben vede le condizioni del blocco sulla costa araba del Mar Rosso sono state peggiorate, anziché migliorate nell’interesse dell’Eritrea, giacché, mentre si sperava in una sollecita cessazione del blocco, viene invece a risultare che la linea di costa arabica bloccata rimane estesa di circa 45 miglia marine più a nord nel Mar Rosso.

Non ho bisogno di richiamare l’attenzione della E.V. sulla gravità di una situazione che viene non soltanto mantenuta, ma sibbene aggravata a danno dei traffici dell’Eritrea.

Credo che allo stato delle cose, più che protestare per l’ampliamento del blocco, sia necessario insistere che il blocco stesso abbia una buona volta termine nell’interesse dei nostri commerci, non essendovi più una ragione giustificabile per mantenere nella regione dell’Arabia meridionale quel regime di blocco che si è ritenuto conveniente far cessare negli altri possedimenti della Turchia. Unisco copia del telegramma di Asmara n. 14993 del 25 corrente4.

2 Non rinvenuto.

3 Non rinvenuto.

4 Annotazioni manoscritte a margine di mani diverse: a) «L’estensione della zona del bloccodopo che tutte le truppe turche si sono arrese è evidentemente ingiustificata e sembra un trucco ingleseinventato ai nostri danni»; b) «29. Durini. Riferire alla Delegazione pace per un possibile riesame dellecose da parte Consiglio superiore blocco» e c) «fatto 31.3.1919».

38 1 Con T. Posta 5186 del 16 marzo il Ministero degli esteri aveva trasmesso a quello delle colonie il testo del T. 577 del 7 marzo con cui la Delegazione italiana a Parigi aveva comunicato le deliberazioni del Consiglio superiore del blocco, tra cui il mantenimento del blocco del Mar Rosso entro limitiassai ampi.

39

IL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

NOTA 2880. Roma, 26 marzo 1919.

Da quanto è esposto nel telegramma n. 4564 in data 10 corrente1 del ministro degli affari esteri V.E. avrà senza dubbio rilevato come l’invio del generale Pellé a Praga e le funzioni ad esso attribuite possano nascondere l’inizio di una preponderante influenza militare francese in Boemia, e quindi, come ho già accennato nella mia lettera n. 2253 del 12 corrente2, lo stabilirsi di una situazione assai critica per i nostri ufficiali che si trovano colà ed anche per il nostro prestigio.

Effettivamente sono intervenute successive dichiarazioni del signor Benes che assicurano la posizione indipendente del generale Piccione e che limitano le funzioni attribuite al generale Pellé a quelle di semplice comandante delle truppe czeco-slovacche provenienti dalla Francia3.

Mi sorge però il dubbio, che ritengo far presente all’E.V., che tali dichiarazioni non rispondano effettivamente alla realtà degli intendimenti futuri del Governo boemo verso le nostre autorità militari in Boemia.

È evidente che la nuova Repubblica vuole aver favorevole il Governo francese nelle trattative relative ai confini della Boemia. Può darsi anche che abbia già preso impegno di affidare alla Francia la direzione e l’organizzazione del proprio esercito e che quindi questo contegno apparentemente conciliativo e premuroso verso di noi non sia che transitorio.

Allorché gli ultimi scaglioni delle ancora numerose truppe czeco-slovacche che si trovano in Italia saranno partiti ed il Governo boemo avrà ottenuto da noi tutti gli aiuti di materiali, armi, ecc., che si ripromette, non è improbabile che il favoreggiamento per la Francia si faccia più palese e conseguentemente la situazione del generale Piccione e dei nostri ufficiali in Boemia si renda insostenibile.

Ad avvalorare la supposizione che al Governo boemo non stia molto a cuore né la presenza né la posizione dei nostri ufficiali colà, sta il fatto che mentre esso richiede (foglio n. 2656 annesso)4 che i nuovi battaglioni in formazione in Italia siano avviati in Boemia accompagnati da un solo ufficiale italiano ciascuno, riserbandosene l’inquadramento con i molti ufficiali propri disponibili, continua d’altra parte ancora a tenere gli ufficiali italiani del Corpo d’armata del generale Piccione in quelle località ove la situazione è più difficile, mentre sarebbe facile e conveniente il sostituirli con i propri.

Riterrei perciò che un’azione, nel modo che V.E. giudicherà migliore, tendente a rendere più chiara la situazione, sarebbe molto opportuna in questo momento, poiché il Governo boemo, come si può rilevare anche dalla lettera n. 2655 della Legazione della

39 La nota fu inviata per conoscenza anche a Sonnino e a Diaz.

1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

2 Non pubblicata in serie sesta, vol. II.

3 Vedi D. 35.

4 Non rinvenuto.

Repubblica czeco-slovacca a Roma (pure annessa)5 insiste nell’ottenere da noi la sollecita concessione di altre cospicue quantità di materiali d’armamento, cessione che io subordinerei, salvo contrario avviso dell’E.V., a formali assicurazioni da parte del Governo czeco-slovacco circa il trattamento dei nostri ufficiali in Boemia e circa il pagamento, da iniziarsi al più presto, specialmente in materie prime, delle ingenti spese già da noi sostenute per l’organizzazione delle forze militari della Repubblica czeco-slovacca6.

40

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 2495. Parigi, 26 marzo 1919.

Mentre si ringrazia della comunicazione qui fatta1, relativamente all’evacuazione delle truppe alleate dal Montenegro, non si può a meno di notare, come certamente avrà osservato codesto Ministero, che l’evacuazione degli alleati dal Montenegro è apparentemente una misura liberale, ma si traduce nella sostanza ad abbandonare completamente quel paese all’azione serba.

41

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA. Parigi, 26 marzo 1919.

Risposta all’elenco 00863 del 25 corr.1.

Esaminati i documenti che cotesto Ministero ha inviato, relativamente alla questione del generale Piccione, sembra a questa Sezione che convenga rispondere al signor Pichon nel senso proposto dal regio ambasciatore a Parigi2.

Secondo gli accordi presi, e su dichiarazione dello stesso ministro Benes, il generale Piccione avrebbe accettato il comando del Corpo d’armata czeco-slovacco a patto però di non essere mai posto sotto gli ordini di altro generale alleato; ora, pel nostro prestigio conviene far rispettare tale patto, il quale, come giustamente osserva il regio ambasciatore, era stato concluso fin dal dicembre 1918, mentre gli

6 Annotazione manoscritta a margine in data 12 aprile: «Per ora ogni invio di materiale militare è sospeso. L’incidente Piccione trattato a Parigi».

2 Vedi D. 14.

accordi presi fra i Governi francese e czeco-slovacco sono stati conclusi nel gennaio e nel febbraio 1919.

In detti accordi inoltre è detto che il maresciallo Foch esercita il comando supremo sulle truppe czeco-slovacche nelle medesime condizioni nelle quali lo esercita rispetto alle altre armate sul fronte occidentale. Ora si osserva che non si vede la ragione di voler dare all’esercito czeco-slovacco un capo di Stato Maggiore e, quindi in sostanza un comandante supremo, quando tale misura non è stata presa verso nessun altro degli eserciti alleati combattenti sul fronte occidentale.

Perciò a nostro avviso, sulla base dei documenti che si spera esistenti presso il Ministero della guerra e che sono stati già urgentemente richiesti, si dovrebbe ottenere:

1) che al generale Pellé fosse tolto l’incarico di capo di Stato Maggiore in quanto tale carica è in contrasto con accordi presi precedentemente fra i Governi italiano e czeco-slovacco; lasciando al generale stesso l’incarico della organizzazione e riordinamento dell’esercito territoriale;

2) che al generale Piccione, in vista delle migliorate condizioni d’ambiente, fosse lasciato l’incarico del comando delle truppe mobilitate in Slovacchia, alla dipendenza diretta del Ministero della difesa;

3) che agli ordini del generale Piccione fossero messi tutti gli altri battaglioni che dall’Italia saranno inviati in Boemia.

Con ciò sembra si addiverrebbe ad una soluzione soddisfacente anche verso la Francia alla quale rimarrebbe sempre un compito bene importante e molto più duraturo del nostro.

39 5 Non rinvenuta.

40 1 Si tratta della Nota 758 del 20 marzo di Sonnino, non pubblicata in serie sesta, vol. II.

41 1 Non pubblicato.

42

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO, BIANCHERI

T. 1448. Parigi, 27 marzo 1919, ore 12.

Circa quanto S.V. ha comunicato con telegramma 10081 prego V.S., se già non lo ha fatto, di voler far agire Monti2.

2 Con biglietto «confidenziale» n. 1071 in pari data Biancheri trasmetteva a Monti, direttoregenerale del Fondo per il culto, un promemoria sull’argomento (le iniziative di Belgrado presso il Vaticano perché riconoscesse il nuovo Regno serbo-croato-sloveno) con preghiera di «voler agire allo scopo disventare il tentativo a nostro danno».

42 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 919.

43

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 920 P. Roma, 27 marzo 1919, ore 19.

Ministro guerra con rapporto 22 corrente1 fa presente che nostro corpo spedizione in Murmania, oltre ad avere morale assai depresso, corre pericolo essere contagiato da bolscevismo, a causa specialmente frequenti contatti con truppe americane, formate in buona parte di militari di nazionalità italiana, già contagiate dal massimalismo. Propone quindi sua sostituzione con volontari largamente retribuiti. Con altro rapporto 24 corrente2 detto ministro riferisce circa condizioni corpo spedizione in Siberia e, rilevando che circa metà dei militari che lo compongono, compresi un migliaio volontari terre redente, appartengono a classi anteriori al 1893, e quindi già licenziate in parte o prossime licenziamento; che volontari redenti anelano rimpatriare e sarebbero ottimi elementi per servizi nuove terre italiane; che infine cambio parziale corpo spedizione produrrebbe grave pericoloso malcontento nei restanti, propone rimpatrio intero corpo e sua sostituzione con volontari largamente remunerati, come in Murmania. Prego

V.E. farmi conoscere sue determinazioni in merito cennate proposte3.

44

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1191/65. Belgrado, 27 marzo 1919 (perv. stesso giorno).

Da fonte attendibile vengo informato che Governo serbo, d’accordo con principe reggente, avrebbe deciso di non intervenire attivamente contro rivoluzionari ungheresi se non gli venga assicurato compenso territoriale da parte Romania e Italia. Esso avrebbe dato istruzioni in questo senso alla sua delegazione a Parigi1.

2 Non pubblicato.

3 Sulla questione si vedano poi DD. 801 e 811.

43 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

44 1 Analoga informazione risulta da un telegramma del 26 marzo del capitano Riso, ufficiale dicollegamento presso l’armata di Ungheria a Belgrado, ritrasmesso alla DICP con T. 825/7884 del 1° aprile di Biancheri.

45

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 804/46. Costantinopoli, 27 marzo 1919 (perv. il 31).

Mio telegramma Gabinetto n. 411.

Sindaco (?) Adrianopoli (?) venuto espormi progetto creazione immediata Governo provvisorio Tracia che includerebbe parte della Tracia bulgara col tacito consenso di Sofia in odio alla Grecia. Egli ed i suoi compagni lo stimano solo mezzo salvarsi dalla Grecia ma gran visir vi è contrario. Data presenza truppe italiane Adrianopoli gli organizzatori dichiarano che vogliono solo seguire mio consiglio. Ritengo successo incerto se Sublime Porta non favorevole. Vi è poi sempre pericolo dei soliti eccessi di repressione che i turchi non perdonano. A meno diversi ordini di V.E. mi limiterei quindi consigliare soltanto larghe manifestazioni della loro volontà rimanere turchi, dirigendosi alle quattro potenze non a noi soli2.

46

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 758/312. Vienna, 27 marzo 1919 (perv. i1 28).

Maggiore italiano reduce Budapest riferisce quanto segue. Missione italiana fu disarmata, poi armi vennero restituite. Alla missione francese furono prese armi ed automobili, agli ufficiali furono tolti distintivi; non si sa dove si trovino 50 soldati francesi arrestati. Monitori inglesi furono occupati, ma poi liberati, un ufficiale inglese ferito. Si tratta essenzialmente di una mossa di Karolyi che si sentiva finito e volle cadere da popolare. Egli fece credere al popolo che zona neutra fissata dall’Intesa fosse definitivamente perduta per Ungheria; carattere patriottico rivoluzione sta scomparendo di fronte procedimenti Governo comunista che sta organizzando la canaglia, e regna col terrore. Usciranno da ora in poi due soli giornali: uno radicale socialista e l’altro comunista. Capo del Governo rivoluzionario si chiama Garbai, è un operaio metallurgico onesto e intelligente; Pogany ministro guerra ex prigioniero in Russia sembra pure capace; ministro esteri Bela Kun è invece una figura losca. Sembra sia stato condannato in passato per furto. Qui ambiente nervosissimo e panico alla borsa. Ferrovieri Süd-Bahn hanno dichiarato sciopero e operai molte industrie avanzano pretese. Tutte le classi abbienti chiedono intervento Intesa.

2 Vedi poi D. 96.

46 La minuta autografa di Macchioro è del 26 marzo ma il telegramma fu spedito il 27 marzo.

45 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

47

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 766/313. Vienna, 27 marzo 1919 (perv. il 28).

Mio telegramma n. 312 di oggi1.

Ministro Repubblica argentina e auditore nunziatura, sono venuti a parteciparmi voti corpo diplomatico potenze neutre per occupazione Vienna2. Essi dichiarano che da notizie assunte da ottima fonte situazione appare grave. Chiedono invio immediato forze italiane da Innsbruck. Sciopero ferrovie meridionali non è composto e due stazioni sono in mano degli scioperanti. Non credo che tali preoccupazioni siano esagerate e ritengo anche per parte mia che ad evitare estendersi movimento comunista Vienna dovrebbe essere occupata.

48

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 27 marzo 1919.

CONVERSAZIONE CON WILSON

S.E.- Orlando fa osservazione sulla proposta attribuzione all’Italia del 7.1/2% dell’indennità pagata dalla Germania1, che dichiara insufficiente, ed esprime il dubbio che già francesi ed inglesi siansi direttamente intesi sulle quote loro attribuite nella proposta stessa. - S.E.- Orlando insiste e conclude credere preferibile ritornare al progetto di deferire ad un arbitrato la spartizione delle indennità. L’arbitro dovrebbe essere, a suo avviso, il presidente Wilson. - S.E.- Orlando accenna poi al confine italiano dicendo non averne parlato nelle riunioni perché desidererebbe prima conoscere esattamente modo di vedere americano e che attende perciò di avere comunicazione dal colonnello House.

(T. 880/7671 di Borsarelli a Sonnino, del 6 aprile).48 Conversazione di Orlando con Wilson e riunioni del Consiglio dei quattro del 27 marzo.

Cfr. MANTOUX, vol. I, pp. 41 sgg e 49 sgg. e RAC, nn. 202-204. 1 Vedi D. 36.

CONVEGNO DEI QUATTRO

DISCUSSIONE GENERALE SULLA FRONTIERA FRANCESE

Lloyd George insiste sulla necessità di procedere con moderazione onde non mostrarsi meno saggi di quanto non siano stati al Congresso del 1815. Non si volle allora distruggere la Francia come sarebbe stato possibile, e la si lasciò forte e potente. Ora non si deve sopprimere la Germania, e non si deve nemmeno mutilarla.

Clemenceau è in principio nello stesso ordine di idee, ma, in pratica, osserva che si deve pur costituire una Polonia, una Boemia, ecc., e si dilunga su questo tema pur non scendendo ad indicazioni precise. Annunzia poi che il maresciallo Foch ha terminato i suoi studi sulla difesa contro la Russia. Sarebbe bene che in una riunione dei comandanti francesi, inglesi, italiani, si esaminasse il progetto del maresciallo e poi i vari comandanti ne riferissero nella riunione pomeridiana.

CONVEGNO DEL POMERIGGIO

Lloyd George ha ricevuto una relazione di persona autorevole giunta dalla Mesopotamia e ne legge alcuni brani per dimostrare che la nomina della Commissione è inopportuna: quei popoli semi-barbari avrebbero l’impressione che lo Stato mandante non ha alcun potere e la sua autorità ne verrebbe scossa.

Wilson sostiene la Commissione, osserva non trattarsi di un referendum ma semplicemente di rendersi conto dei sentimenti delle popolazioni; tale incarico eseguito con tatto eviterà facilmente i pericoli segnalati da Lloyd George.

QUESTIONE FRONTIERA FRANCESE

La proposta si riassumerebbe nei seguenti punti:

1.- Sarebbe creata una zona di 50 kilometri ad est del Reno (o della frontiera francese?) nella quale la Germania non può tenere truppe né fortificazioni, né fabbriche d’armi, né ferrovie strategiche. 2.- Ogni trasgressione a tali disposizioni sarà ritenuta atto di aggressione che obbligherà Inghilterra ed America ad inviare truppe.

Wilson dice: «Spero anche truppe americane», e quindi in un lungo discorso accenna all’intenzione di impegnare per tale garanzia la Lega delle Nazioni e giustificare in tal modo dinanzi all’opinione pubblica americana l’invio di truppe.

Alle quattro entrano i generali2. Manca il generale Diaz.

Foch legge la relazione di cui si acclude copia3.

Orlando domanda se questo piano è noto al generale Diaz.

Risulta che il generale Diaz non è stato invitato alla riunione e quindi ignora il progetto.

3 Non rinvenuta.

Si svolge una discussione tecnica durante la quale S.E. Orlando legge i telegrammi di Macchioro dai quali apparisce la popolazione di Vienna desiderosa di un’occupazione militare italiana o americana.

Wilson e Lloyd George non sembrano favorevoli all’occupazione militare di Vienna.

Arriva il generale Diaz, che approva il programma del maresciallo Foch, consente all’occupazione di Vienna, ma purché comando di quelle truppe, che necessariamente dovrebbero essere in gran parte italiane, appartenesse ad un generale italiano.

Bliss è contrario a spedizioni per scopi politici.

Partono tutti i generali e resta Foch.

Wilson è contrario ad intervento militare in questioni politiche; è d’avviso che si deve lasciare che i popoli manifestino liberamente le loro intenzioni. Le popolazioni crederebbero che vogliamo rifare la guerra.

Lloyd George si associa pienamente.

Orlando osserva non si deve confondere la questione militare con la questione politica. Con i bolscevichi noi non abbiamo fatto nulla che possa indicare una linea di condotta chiara e precisa: si potevano considerare nemici ed in tal caso combatterli; si poteva invece ammettere l’esistenza di fatto di quel Governo, anche senza riconoscerlo, ma non combatterlo. Invece abbiamo mandato truppe ad Odessa ed a Arcangelo, ma non abbiamo osato mandarne in quantità sufficiente per distruggere il bolscevismo.

Oggi però non si tratta di intervento per questioni politiche, si tratta di difendere i russi che sono nostri alleati. A Vienna si andrebbe per ragioni militari, per mantenere i contatti fra noi e l’esercito rumeno: è quindi favorevole a tale occupazione, che avesse carattere interalleato, ma sotto il comando italiano, visto che la maggior parte delle truppe sarebbe italiana.

Clemenceau aderisce interamente e pienamente all’opinione espressa da Wilson e da Lloyd George.

Si chiama il maresciallo Foch cui si comunica decisione di eseguire tutto il suo programma eccetto l’occupazione di Vienna.

Maresciallo Foch prega di ricordare che il giorno 27 marzo 1919 i capi dei Governi hanno respinto la sua proposta di occupare Vienna.

Si riprende la discussione sulla frontiera della Sarre.

La domanda francese consiste nell’adottare la frontiera del 1814 che attraverserebbe il bacino minerario, e stabilire che alla Francia spetta il libero sfruttamento delle miniere di carbone che rimanessero oltre la frontiera. Ciò in diminuzione della indennità spettante alla Francia.

L’ora essendo tarda la discussione proseguirà un’altro giorno.

47 1 Vedi D. 46. 2 Un passo analogo per un intervento dell’Intesa fu fatto presso il ministro di Svizzera aVienna, e comunicato anche al Ministero degli esteri italiano attraverso il ministro svizzero a Roma

48 2 Si tratta di Foch, Bliss e Wilson.

49

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI

T. 6888. Roma, 28 marzo 1919, ore 21.

Suo telegramma 2521.

Non è possibile autorizzare per ora signor Bammate2 recarsi Roma, in conformità linea condotta del R. Governo di non riconoscere nuove formazioni costituitesi in Russia3.

50

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI

T. 6923 URG. Roma, 28 marzo 1919, ore 24.

Mio telegramma 18511.

Missione etiopica essendo prossima imbarcarsi Gibuti per Francia prego V.E. intendersi con codesto Governo perché Governi inglese francese italiano siano d’accordo sul modo contenersi con essa2, sulla base accordo Londra 19063 e adoperandosi perché missione rimanga nei limiti del solo scopo dichiarato di «missione per presentare felicitazioni per vittoria Intesa».

2 Haidar Bammate era ministro degli esteri della Repubblica del Caucaso del Nord.

3 Ma vedi poi D. 157.

2 Con T. 679 del 7 maggio Preziosi comunicava poi che anche lord Derby, ambasciatore inglese a Parigi, informato di un analogo passo di Bonin presso il Quai d’Orsay, aveva fatto rilevare a Pichonl’opportunità di un completo accordo dei tre Governi sulla questione.

3 Il riferimento è all’accordo tripartito del 13 dicembre 1906 sul mantenimento dello statu quoin Etiopia.

49 1 Non rinvenuto.

50 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

51

IL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 794/1080. Atene, [28 marzo 1919]1 (perv. il 31).

È tornato da Smirne presidente comunità armena di Atene ed è stato ricevuto dal vice-presidente del Consiglio e ministro affari esteri ai quali ha esposto situazione. Sembra che basi sulle quali si svolgono trattative fra greci ed armeni per collaborare ad una soluzione soddisfacente delle rispettive aspirazioni in Asia Minore siano le seguenti: armeni considerano popolazione attuale ridotta, per opera dei successivi massacri, in tale stato inferiorità numerica e senza appoggio, tanto che non è loro possibile costituirsi a Stato, sopratutto per quanto riguarda litorale del Mar Nero ed il porto Trebisonda. Questo appoggio Governo greco sarebbe disposto concederlo in cambio di quello che a sua volta colonia armena di Smirne dovrebbe dare alle pretese che su di essa accampa Grecia2.

Non mancherò informare V.E. sul seguito di questi maneggi. Trattandosi della questione di Smirne aggiungo che, se dilazione posta risolverla a missione (...) a fissare riconoscimento dei diritti attribuitici dagli accordi stipulati in proposito, ha d’altra parte fornito occasione di dimostrare come, per la indolenza dell’elemento turco e per la opposizione degli altri cospicui nuclei levantini ed anche di buon numero di ellenizzanti, Grecia sia meno adatta annettersi o amministrare il più importante e florido scalo dell’Anatolia senza condannarlo a certa rovina anche in grado maggiore di quanto avviene a Salonicco. Fra i rappresentanti gruppi sociali politici e giornalistici greci più esaltati appare una certa esitazione sull’accoglienza che sarebbe riservata alla Grecia nei territori che ambisce. Si ammette invece che il momento presente volga a noi favorevole come i meglio accetti ai turchi, irritati dell’appoggio che alla Grecia danno Inghilterra e Francia, e come più tollerati dalle altre nazionalità consce che le nostre alleate, già aggravate di vaste responsabilità territoriali, non possono estenderle anche all’Anatolia. Stessa missione americana, pure ostile per principio a qualsiasi intervento, finirebbe (ammessa impossibilità ricostituire in Asia Minore una Turchia non soggetta a tutela) per (...) di uno Stato come il nostro per tradizioni e costituzioni tollerante in materia religiosa e di propaganda.

Riferisco questo stato dell’opinione pubblica locale affinché non sia dato soverchio peso alle contrarie affermazioni dei delegati greci a Parigi quando dovrà decidersi della occupazione di territori asiatici che la propaganda e gli intrighi greci rendono sempre più urgente, se si vogliono evitare maggiori guai.

2 Queste notizie sull’appoggio della colonia armena di Smirne alle intenzioni greche, in cambiodel sostegno di Atene alle aspirazioni armene per la costituzione di uno Stato, furono poi confermate daRomano con T. 875/1084 del 4 aprile. Sulla questione un appunto manoscritto di De Martino, in data 31marzo, reca: «In relazione al telegramma da Atene 794/1080 dal quale risultano trattative fra greci e armeni per rispettive aspirazioni in Asia Minore, non sarebbe il caso di attivare contatti, non impegnativi, conarmeni a Parigi, per evitare che siano accaparrati dai greci?». In calce, breve nota dello stesso De Martinoin data 3 aprile: «S.E. dice che sta bene. Contatto non impegnativo». E poi «Al marchese Salvago. 4/4».

51 1 La data di partenza 28 marzo si deduce dal T. 163 di Romano del 16 aprile in cui si fa riferimento ad un precedente telegramma del 28 marzo n. 1080.

52

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 774/131. Parigi, 28 marzo 1919 (perv. il 29).

Con riferimento al telegramma di V.E. n. 00862 del 25 corrente1, ho l’onore di trasmetterle, per conoscenza, copia della nuova nota da me diretta2 al signor Pichon circa la situazione di Fiume e il controllo sulla ferrovia Fiume Zagabria.

Par sa lettre du 13 mars V.E. a bien voulu m’informer que les renseignements qui Lui étaient parvenus sur les conversations qui ont eu lieu à Raguse entre les généraux Franchet d’Esperey et Grazioli ne paraissaient pas concorder avec ceux que j’avais eu l’honneur de Lui indiquer par ma lettre du 24 février3. Le général Franchet d’Esperey aurait fait remarquer qu’il était impossible d’assigner des limites précises à la base de Fiume et le projet consistant à remettre à une commission internationale le contrôle de la voie ferrée Agram-Fiume et, en général, des communications avec l’intérieur, n’aurait pas été adopté. Ayant porté à la connaissance de mon Gouvernement les renseignements que V.E. avait ainsi voulu me fournir, je suis à même de L’informer que, d’après le rapport du général Grazioli, le général Franchet d’Esperey lui a formellement promis d’établir le plus tôt possible le contrôle interallié sur la ligne Fiume-Agram et sur toutes les communications en général. Le général Franchet d’Esperey avait d’ailleurs trouvé juste que l’on assignât à la base de Fiume des limites définitives, tout en demandant quelques nouveaux locaux que le général Grazioli s’est engagé de son côté à fournir d’accord avec les Autorités françaises à Fiume. Je suis par conséquent chargé d’avoir encore une fois recours à l’obligeance habituelle de Votre Excellence en La priant de vouloir bien, en éclaircissant s’il y a lieu le malentendu qui parâit s’être produit, obtenir des Autorités militaires françaises qu’elles veuillent bien adhérer à la fixation de limites définitives à la base française de Fiume ainsi qu’à l’établissement du contrôle interallié de la voie ferrée Fiume-Agram. En remerciant d’avance V.E. de la réponse qu’il Lui plaira de me faire parvenir à ce sujet.

2 In data 27 marzo.

3 Sia la lettera di Pichon del 13 marzo che la lettera di Bonin del 24 febbraio qui citate nonsono pubblicate in serie sesta, vol. II.

52 1 Con il T. Posta 862 del 25 marzo, Sonnino aveva chiesto a Bonin di intrattenere Pichon sui problemi del funzionamento della base francese di Fiume e del controllo della ferrovia Fiume-Zagabria.Sulla questione anche Diaz era del resto più volte intervenuto con Sonnino (ultimamente con T. 2803del 25 marzo), sottolineando lo stato permanente di crisi provocato a Fiume dalle divergenze tra il generale Grazioli e le autorità francesi, e la necessità di direttive moderatrici da parte del comando dell’Armata d’Oriente.

53

L’ AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 781/132. Parigi, 28 marzo 1919 (perv. il 29).

Ho chiesto oggi al signor Legrand qualche particolare circa la missione che il Governo francese manda a Vienna e della quale è ormai cenno anche nei giornali. Egli mi confermò1 che il Quai d’Orsay invia a Vienna il signor Allizé ministro di Francia all’Aia, che rimane però titolare di quel posto, e due segretari, i signori Romieu e de Cherisey. Il signor Allizé ha l’incarico di studiare da vicino le condizioni dell’Austria e di riferire in proposito. «Non potevamo», mi diceva il capo di Gabinetto del signor Pichon, «disinteressarci di quanto succede a Vienna, sopratutto in presenza degli avvenimenti di Budapest e della minaccia sempre più grave dell’invasione delle idee bolsceviche in Occidente».

Non ho avuto bisogno di interrogare in proposito il signor Legrand per essere sicuro che il principale scopo della missione Allizé è quello di cercare di impedire l’unione dell’Austria Tedesca alla Germania2. La scelta stessa dell’inviato sembra provarlo; il signor Allizé infatti, titolare di una delle legazioni più importanti per la Francia, non potrebbe in questi momenti venire allontanato dal suo posto se non per una missione di speciale importanza; e per quella che è da presumere egli avrà da compiere a Vienna egli è particolarmente qualificato essendo stato prima della guerra ministro della Repubblica a Monaco di Baviera ed essendo quindi bene informato delle questioni che concernono la Germania meridionale.

La sua missione a Vienna, mi disse il signor Legrand, non durerà probabilmente che alcune settimane.

2 Sulla questione si veda anche D. 271.

53 1 In un T. 500 RIS. senza data dall’Aia (pervenuto a Parigi il 24 marzo), Calvello aveva già datonotizia della imminente missione del ministro Allizé, sul quale formulava positivi apprezzamenti, sottolineando la sua amicizia per l’Italia e la sua opposizione ad ogni ipotesi di unione tra Austria e Baviera.

54

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 776/310. Vienna, 28 marzo 1919 (perv. il 29).

Mio telegramma n. 257 del 211 e telegramma di V.E. 3072.

Ho rinnovato mie pratiche ministro degli affari esteri per questione ferrovie Caravanche urtando contro opposizioni motivate principalmente ragioni seguenti:

1) Esiste già legge dello Stato, corredata da carte geografiche ed elenco dei comuni, in cui si determina quale debba essere futuro confine Stato. Carniola non fa parte di tali rivendicazioni. Legge dello Stato non potrebbe essere modificata senza approvazione Parlamento e senza grave conflitto con lo Stato Jugo-Slavo; 2) Austria-Tedesca, conoscendo sua debolezza, non intende fare alcuna rivendicazione che non sia pienamente giustificata da ragioni etnografiche che altrimenti essa comprometterebbe rivendicazioni che ritiene legittime. Nel territorio contestato abitano invece circa ventiduemila sloveni e solo settecentocinquantasei tedeschi; 3) il Governo attuale di carattere prevalentemente socialista intende seguire con particolare rigore questa linea di condotta. Con sua lettera di oggi, che trasmetto per corriere3, ministro affari esteri Bauer mi scrive però dover costituire rapporti diretti fra Italia e Austria-Tedesca e pertanto dovere arrivare ad un regolamento internazionale secondo il quale ferrovie Caravanche siano amministrate da questi due soli Stati e sottratte all’influenza di un terzo Stato. Ripeto che movimenti stazione Marburgo furono da me comunicati con telegrammi del 12 e 17 marzo 166 e 2174. Non esistono comunicazioni in proposito, ma dati furono telegraficamente comunicati a questa direzione ferrovie meridionali della stazione di Marburgo. Trasmetto dichiarazione relativa firmata dalla direzione meridionale5.

54 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 909. 3 Non rinvenuta. 4 Non pubblicati in serie sesta, vol. II.5 Non rinvenuta.

55

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 28 marzo 1919.

CONVEGNO DEI QUATTRO

Riunione antimeridiana

Klotz presenta una memoria con la quale la questione delle riparazioni viene riesaminata e si propone un nuovo sistema.

(Vedi progetto a stampa allegato)1.

Lloyd George si dimostra favorevole.

Wilson osserva che, indicando un seguito di categorie di danni per i quali si può domandare indennità, senza fissare la cifra delle indennità stesse, si apre sulla Germania un credito illimitato perché l’importo delle varie categorie supera certamente la capacità di pagare del debitore.

Orlando fa rilevare il vantaggio che avrebbe questo sistema, di evitare adesso discussioni fra gli alleati che potrebbero riuscire penose: egli, per esempio, non potrebbe accettare per l’Italia l’accettazione del 7 e mezzo che ritiene insufficiente. Per altro l’obbiezione del presidente Wilson merita considerazione ma potrebbe evitarsi indicando un limite massimo della somma totale dell’indennità. Adottando questa sua proposta crede però che converrebbe aspettare che la stessa obbiezione fatta ora dal presidente Wilson ci venisse presentata dalla Germania; offrendole allora la limitazione da lui proposta si soddisferebbe alla giusta domanda germanica e si otterrebbe d’altra parte un implicito riconoscimento della giustizia delle domande rivolte-le. Conclude proponendo di rimettere la questione ad una commissione di experts.

Wilson non accetta la proposta di deferire ora la questione agli experts e preferisce rimandare il seguito della discussione ad un’altra seduta dopo che egli avrà conferito coi tecnici specialisti americani.

Tutti concordano.

Segue una conversazione sulle concessioni territoriali da chiedere alla Germania.

Danzica sarà ceduta alla Polonia? S.E. Orlando non ha ben compreso, ma ha avuto l’impressione che vi fossero tendenze contrarie alla Polonia.

Clemenceau si ritira e la conversazione fra Lloyd George e Wilson continua. Si accenna alle enormi pretese di indennità dei francesi (35.000 franchi per ogni casa distrutta).

55 Riunioni del Consiglio dei quattro del 28 marzo 1919. Cfr. MANTOUX, vol. I, pp. 58 sgg.1 Non rinvenuto.

RIUNIONE DELLE 4 POMERIDIANE (presenti anche Tardieu e Loucheur)

Tardieu fa la difesa della domanda francese per il bacino della Saar. La domanda è basata su ragioni storiche ed economiche. Ragioni economiche: miniere di carbone. La Francia aveva bisogno prima della guerra di 43 milioni di tonnellate, mentre solo 21 milioni di tonnellate erano prodotti in Francia. Ora, con l’annessione dell’Alsazia-Lorena aumentano le industrie e quindi aumenta la necessità di carbone.

Ragioni storiche. Circa metà del territorio chiesto venne occupato dalla Francia ai tempi di Mazzarino e rimase francese per tutto il XVIII secolo, essendo stato staccato dalla Francia nel 1815. Il rimanente, ed il territorio di Landau, venne conquistato dai francesi nel 1794 e perduto nel 1815. La popolazione si è affezionata alla Francia come lo prova la freddezza da essa sempre dimostrata alle autorità germaniche, mentre fece un’accoglienza cordiale alle truppe francesi quando recentemente occuparono quel paese, e le autorità comunali inviarono in quell’occasione telegrammi molto entusiasti alle autorità francesi.

Partono Tardieu e Loucheur.

Lloyd George e Wilson ammettono la Francia abbia diritto ad ottenere un’indennità per le miniere guastate per deliberato proposito dalla Germania, però il danno in tal modo ingiustamente recato può venir compensato dall’assegnazione per un certo numero d’anni dell’esercizio di alcune miniere tedesche.

Lloyd George propone di dare a tutta la regione chiesta ora dalla Francia un’autonomia. Sembra accennare ad una speciale forma di Governo sul quale la Francia possa esercitare anche una supremazia creando per quel territorio uno stato di cose analoghe a quello esistente per l’isola del Man.

Wilson dice che è necessario spiegarsi molto chiaramente a questo proposito. Noi siamo qui per fare giustizia, abbiamo chiesto riparazioni, la Francia ha ottenuto l’Alsazia-Lorena con l’armistizio; se le si attribuisse altro territorio si violerebbe il patto. In conclusione si mostra recisamente contrario ed osserva che si farebbe un torto al generoso popolo francese insistendo su domande eccessive. Wilson stesso si sentirebbe in grado di persuadere il popolo francese a dimostrare moderazione ed a convincerlo che di moderazione noi dobbiamo dare esempio alle piccole nazionalità fameliche che ci assediano di domande territoriali.

Clemenceau risponde con poca energia e pur convenendo di inchinarsi ai suoi principi in astratto crede sarebbe un errore volerli applicare energicamente. Conclude: «ma per quanto ci siano care quelle terre, l’amicizia della Gran Bretagna e del-l’America ci sono più care ancora».

Orlando dichiara che quando la delegazione iugoslava mandò alla Conferenza una protesta contro l’Italia che pretendeva essere giudice e parte, ha compiuto un atto scorretto e superfluo perché non ha considerato che il rappresentante di un grande popolo ha coscienza dei limiti che la delicatezza impone. Questo sentimento egli lo prova tanto vivamente da non sentirsi sicuro della sua serenità intervenendo in questa discussione dove si pongono principi che si possono applicare alle cose italiane.

Posto ciò, egli aderisce al concetto di Wilson che le ragioni economiche non devono influire sulle assegnazioni territoriali. Aderisce pure al concetto che le ragioni storiche della Conferenza non sono da sole considerazioni sufficienti per l’attribuzione di territori, giacché con tali concetti l’Italia potrebbe pretendere di annettersi e Francia e Gran Bretagna.

Il signor Tardieu ha detto però che quelle popolazioni desiderano unirsi alla Francia: dato ciò la questione muta aspetto. Non crede che l’armistizio possa impedire alla Conferenza modificazioni territoriali ed infatti non impedisce che si tolgano alla Germania territori importanti per darli ai polacchi ed ai czeco-slovacchi.

Resta a vedere se l’aspirazione di quei popoli è realmente di unirsi alla Francia. Dal momento che Lloyd George ha detto che i suoi experts stessi erano incerti noi pure dobbiamo esserlo e conclude proponendo d’incaricare gli experts di continuare le loro indagini. Ciò è accettato da tutti.

56

RELAZIONE DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

Parigi, 28 marzo 1919.

S.E. il generale Diaz ha conferito col generale Wilson il 24 corrente alle ore 18 per averne un generico orientamento sulla situazione militare del Caucaso e considerare le pratiche modalità della sostituzione delle truppe inglesi colà.

Il generale Wilson ha sommariamente esposto la situazione delle truppe britanniche, indicando ch’esse ammontano a una quindicina di battaglioni, ma ne è prevista, per desiderio del generale Milne, da cui esse dipendono, la formazione su due divisioni organiche. Ha soggiunto che l’occupazione terrestre deve a suo avviso essere integrata dal dominio marittimo del Caspio, od almeno del bacino meridionale di questo, ciò che esige, a suo avviso, il mantenimento dell’occupazione terrestre di Krasnovodsk di fronte a Baku. Sul Caspio gli inglesi dispongono di un certo numero di battelli a vapore armati tolti ai russi. Le forze navali bolsceviche sono ora bloccate dai ghiacci alle bocche del Volga, ma potranno divenire attive col ritorno della buona stagione. La superiorità britannica su di esse è data essenzialmente dagli aeroplani da bombardamento di cui gli inglesi dispongono.

Il generale Wilson ha convenuto con S.E. il generale Diaz sulla necessità che una missione italiana si rechi sul posto per rendersi esatto conto della situazione e delle misure occorrenti per la sostituzione delle truppe. Egli provvederà ad appoggiarla presso il generale Milne il quale riceverà la missione a Costantinopoli e disporrà per il proseguimento del viaggio e per agevolarla nello svolgimento del suo compito.

S.E. il generale Diaz ha poscia affrontata la questione del tonnellaggio, rappresentando le necessità che gli stessi piroscafi destinati al ritiro delle truppe britanniche portino anche le truppe italiane, e che anche successivamente il Governo britannico provveda con proprio tonnellaggio, almeno per un certo tempo, al rifornimento delle

56 Trasmessa all’Ambasciata a Londra con Nota 1038 del 4 aprile, a firma Aldrovandi, «peropportuna conoscenza e norma di linguaggio».

nostre truppe. Circa il primo punto il generale Wilson ha convenuto; si è riservato di chiedere istruzioni circa il secondo. Il generale Wilson ha anche espresso l’avviso che la sostituzione non potesse essere effettuata prima di tre-quattro mesi.

Interpellato sulla situazione politica della regione, il generale Wilson non ha avuto che frasi vaghe qualificando ripetutamente sull’epiteto di «cochons» la popolazione del luogo, specie pel suo deliberato proposito di non dare alcun appoggio alle nostre operazioni militari.

Circa lo stato della ferrovia e della conduttura per il petrolio sul percorso Baku-Batum, il generale Wilson ha comunicato che l’una e l’altra sono in discrete condizioni soltanto sul tratto Baku-Tiflis, che si sta provvedendo a riattarle entrambe e che una parte notabile del materiale rotabile è concentrato a Baku necessitando di importanti riparazioni.

Può essere interessante notare la domanda rivolta dal generale Wilson a S.E. Diaz al principio del colloquio, in tono semi scherzoso: «Ma dunque volete proprio andare al Caucaso»?

S.E.- Diaz ha risposto evasivamente, insistendo sul proprio compito specifico di prendere accordi preventivi di carattere tecnico. - S.E.- il generale Diaz ha inoltre accennato alla questione di Konia, dichiarandosi disposto a sostituire con un battaglione italiano il battaglione britannico che presidia quella regione.

Il generale Wilson ha dichiarato di nulla avere in contrario a tale sostituzione, che l’occupazione di Konia è alle dipendenze del generale Milne (il quale non dipende dal generale Franchet d’Esperey) e che il battaglione italiano dovrà recarsi a Konia sbarcando a Costantinopoli per prendere la ferrovia che porta a Konia.

Alla richiesta di S.E. Diaz di fare lo sbarco a Adalia il generale Wilson ha opposto ragioni tecniche (mancanza di una ferrovia Adalia-Konia) ed ha soggiunto che ad ogni modo riteneva essere questa una questione di Governi, mentre il passaggio per Costantinopoli potrà essere regolato in sede puramente militare.

57

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CABRINI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

L. Parigi, 28 marzo 1919.

Mi permetto di richiamare la tua attenzione sulla opportunità di un’altra tua parola scritta al ministro degli esteri di Francia circa il Trattato di lavoro.

Come sai, la questione dell’emigrazione italiana per la Francia è ormai posta dinnanzi alla nostra pubblica opinione: alla quale è apparso nettamente scoperto il

57 Alla lettera è allegato un breve biglietto, in pari data, di Mayor des Planches a Bonin, peresprimere la perfetta concordanza d’idee con Cabrini. Il Trattato di lavoro fra l’Italia e la Francia fu poifirmato a Roma il 30 settembre 1919.

giuoco del Governo francese che vorrebbe ottenere la nostra mano d’opera, negandoci il Trattato. Lo stato d’animo determinato nelle nostre masse operaie da questo atteggiamento della Francia è tale che, in questi giorni, uno dei più temperati leaders del movimento operaio, l’on. Rigola, il quale aveva scritto, un mese e mezzo fa, un articolo nel «Tempo» di Roma sulla famosa libertà di emigrare, ha recitato, nelle colonne dello stesso giornale, una specie di confiteor, lanciando questa idea: cada pure il nulla-osta; ma i sindacati operai italiani provvederanno a circondare la frontiera italo-francese di un cordone sanitario onde alla Francia sia negata mano d’opera italiana.

Il nostro Governo può, dunque, contare su una certa solidarietà delle nostre organizzazioni proletarie, anche per giustificare la conservazione del nulla-osta dopo il trattato di pace: ma un simile stato di cose non potrebbe essere a lungo tollerato. D’altra parte, non dobbiamo non inscrivere nel preventivo della vita italiana la eventualità di situazioni economiche che consiglino di agevolare lo sfollamento di alcuni nostri mercati di lavoro.

Al Ministero del lavoro di Francia, il sig. Fontaine mi assicurava in questi giorni che effettivamente il Quai d’Orsay ha chiesto alla Direzione generale del lavoro degli elementi per ritoccare, sembra, le controproposte elaborate dalla Commissione francese: e il Fontaine si propone, così mi dichiarava, di sbrigare la cosa in questi giorni.

Forse gioverebbe che tu, traendo argomento dalle quotidiane richieste di mano d’opera alla spicciolata che pervengono all’Ambasciata ed al Regio Commissariato di Roma (richieste le quali si abbattono tutte quante contro la nostra risposta inevitabile: «Occorre prima definire la questione del Trattato di Lavoro») forse, ripeto, gioverebbe che tu richiamassi l’attenzione del Quai d’Orsay su tale situazione.

Nel tempo stesso, potresti segnalare le discussioni sollevate nella stampa da recenti interviste: per esempio da quella del signor D’Aragona, segretario della Confederazione generale del lavoro d’Italia, il quale ha dichiarato che, se questa o quella richiesta messa innanzi dal Regio Commissariato dell’emigrazione ad interpretazione dei desideri degli emigranti, venisse dimostrata, nelle discussioni, non accettabile per considerazioni di opportunità o altro, la opinione pubblica operaia italiana si renderebbe ragione della cosa, purché rimangano i capisaldi della tutela degli emigranti.

E gioverebbe specialmente che tu rilevassi, nella lettera al Quai d’Orsay, qualche passo delle dichiarazioni del segretario della Confederazione del lavoro d’Italia per precisare la portata di quanto abbiamo proposto in materia di addetti di emigrazione. Bisogna togliere di mezzo qualunque possibilità che si sfrutti quanto abbiamo chiesto in proposito per dare ad intendere che, da parte nostra, si pretenda di voler sostituire i nostri funzionari ai funzionari francesi in materia di ispezione del lavoro. Si tratta solo di mettere le funzioni dei consoli in relazione alla organizzazione tecnica della nostra vita economica sociale; e cioè di far sì che i consoli (o i funzionari dell’emigrazione che devono attuare una specializzazione dell’opera consolare) possano corrispondere con le imprese francesi direttamente e controllare, insieme ai funzionari francesi, la esecuzione degli impegni assunti da imprese con i contratti stipulati con il Regio Commissariato di emigrazione. L’operaio immigrato ha una somma di bisogni sconosciuti agli operai nazionali: e a soddisfare tali bisogni, anche nell’interesse della continuità del lavoro nelle aziende, occorre la assistenza specializzata di cui sopra.

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IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 52 P.R.S. RIS. PERS. Roma, 28 marzo 1919.

Con la soppressione del blocco in Adriatico, il problema marittimo viene ad acquistare una nuova fisionomia che è mio dovere di segnalare alla E.V.

Mentre finora era interdetta la navigazione in Adriatico e fuori a qualsiasi nave che battesse bandiera jugoslava, o serba, o croata, e mentre finora l’esatta osservanza di tale divieto poteva, in virtù del blocco, essere mantenuta mediante la stretta vigilanza esercitata dalle nostre navi, è certo che d’ora innanzi tanto i serbi quanto i croati si affretteranno a percorrere l’Adriatico con piroscafi battenti bandiera di quelle nazioni, in ciò favoriti dagli inglesi e dai francesi, e senza ostacolo da parte degli americani, in virtù dell’avvenuto riconoscimento da parte di questi della nazione jugoslava.

Avremo per tal modo una marina mercantile jugoslava che già prima della conclusione della pace avrà battuto il mare, ed il cui riconoscimento legale sarà, perciò, un fatto compiuto.

All’atto della pace la nazione jugoslava potrà quindi prospettare che, avendo una flotta mercantile da proteggere, le occorre anche una marina da guerra: e per quanto si possano limitare le unità di questa nuova marina ad un tonnellaggio esiguo, ed a un numero ridotto, si avrà pur tuttavia una nuova marina da guerra in quel mare sul quale, per ovvie ragioni, conviene che sventoli soltanto la bandiera italiana. Con una magnifica costa, col pretesto di una marina mercantile da proteggere e con l’appoggio morale e finanziario di Francia ed Inghilterra, è chiaro che la marina da guerra jugoslava, per quanto embrionale, sarebbe destinata ad un rapido sviluppo: onde in Adriatico le condizioni militari potrebbero in breve tempo diventare non diverse da quelle contro le quali l’Italia ha strenuamente lottato in questa asprissima guerra.

Quanto precede ritengo di dover quindi sottoporre alla considerazione della

E.V. affinché possa tempestivamente essere combattuta ogni velleità o tentativo dei jugoslavi, o per essi dei serbi, ad invocare una qualsiasi forma di marina da guerra a protezione di quella mercantile che, con l’abolizione del blocco, io non ho quasi più alcun mezzo di ostacolare nella prematura sua attività e nella legale sua apparizione sui mari.

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IL GOVERNATORE DELL’ERITREA, DE MARTINO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 2/265 RIS. Asmara, 29 marzo 1919, ore 8,40 (perv. il 3 aprile).

Caprotti già partito per l’Italia direttamente con Porto Savona suppongo viaggio convenuto costà. Egli darà perciò dirette informazioni sul Yemen.

Ho intervistato Mohammed Salem che trattengo qui attesa istruzioni di V.E. Una persona secondo lui atta e nostra amica sarebbe certo Mohammed Jahia ma converrà sempre indicazione venga dall’Idrisi stesso presso cui manderemmo a momento opportuno Mohammed Salem.

Parlare degli arabi nello Yemen e nell’Asir (già da me prospettato col mio 785 del 15 febbraio ultimo scorso)1 confermasi contrariare Inghilterra ma difficile sapere se e in quanto si potrebbe con atti palesi manifestare. Certo idea propria indipendenza che ritengono minacciata da Inghilterra sarebbe indubbia e potente scintilla e l’Italia inalbererebbe una bandiera che assicurerebbe nostra influenza in Arabia. Ma se ed in quanto possa senza rischio o inconveniente ciò essere fatto V.E. solo può, avuta risposta dal barone Sonnino, giudicare. Per me è dovere, che V.E. apprezzerà, usare assoluta prudenza.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 29 marzo 1919, ore 12,30.

Ringrazio del telegramma di ieri1.

Circa proclamazione bolscevismo in Ungheria, America e Inghilterra, la cui influenza è sempre più prevalente nella Conferenza, ritennero non fosse il caso di intervenire a titolo di repressione politica e si limitarono a consentire disposizioni tendenti a recare aiuto militare ai rumeni. Per tale aiuto servirà quasi esclusivamente Armata d’Oriente. Nei piani del generale Foch era compresa occupazione Vienna. Questa proposta fu combattuta da Wilson e da Lloyd George, ritenendo che essa potesse essere consigliata da ragioni politiche. Fui io solo a sostenere opportunità del provvedimento, rilevando che esso si collegava con indiscutibili ragioni militari, ten

denti ad evitare che le spalle delle truppe operanti non fossero sicure. Ma Clemenceau aderì alla proposta anglo-americana, e l’occupazione di Vienna fu esclusa. Commissione dei quattro lavora da circa sette giorni sulle condizioni di pace della Germania2. Risoluzioni sinora prese sono contrassegnate da questi due elementi: primo, prevalenza dei principi wilsoniani; secondo, attività sottile ed accorta di Lloyd George, che manovra abilmente secondo i suoi interessi il più delle volte di accordo con Wilson. Nel complesso, le rivendicazioni francesi non hanno sinora grande fortuna. Attitudine italiana si mantiene in una giusta riserva, pur avendo io cercato di dare aiuto ai francesi, anche per impedire che nostra indifferenza fosse sfruttata ai nostri danni quando si fosse pervenuti all’esame delle questioni nostre. Per quanto riguarda queste ultime, io attendo sempre che americani (coi quali mantengo i migliori rapporti possibili) abbiano definito le loro proposte. Il prolungato ritardo della loro comunicazione dipende, secondo me, meno da ragioni di studio che da una intima perplessità, poiché si vorrebbe evitare così la violazione dei principi wilsoniani quanto di scontentare l’Italia. Allo stato delle cose, non sono in grado di prevedere se verrà fuori una proposta che potremmo accettare come base di discussione. Comunico poi che noi abbiamo sicuri affidamenti che questione nostra sarà trattata immediatamente dopo la risoluzione delle questioni francesi, in guisa da impedire che la nostra pace rimanga in aria. Dal punto di vista materiale, il carico di lavoro e di responsabilità che è sulle mie spalle è veramente inconcepibile, ed io stesso non so come vi resista fisicamente3.

59 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.60 1 Non pubblicato.

61

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 785/1108 RIS. PERS. Roma, 29 marzo 1919 (perv. il 30).

Risulta confidenzialmente che il cardinale Bourne, giunto Roma dalla Palestina e Stati balcanici, si è espresso in modo molto favorevole alla causa jugoslava1. Egli avrebbe detto fra l’altro che se Italia non recede dalle sue pretese si creerà un irredentismo assai più pericoloso che quello italiano, poiché trattasi di un popolo bellicoso che non aspetterà pazientemente 50 anni per realizzare sue aspirazioni ed avrebbe

3 Il testo per Colosimo reca inoltre una chiusa più confidenziale: «Dico ciò soltanto perché tumi abbia indulgenza per quanto concerne la molteplicità e la lunghezza delle mie comunicazioni».

qualificato come invenzione italiana i dissensi e le lotte fra serbi e croati e avrebbe negato l’italianità di Fiume. Ho comunicato quanto precede a barone Monti2.

60 2 La seconda parte di questo telegramma, dal capoverso seguente alla fine, fu trasmessa in paridata a Colosimo, con T. 947 delle ore 22,45, con questa premessa: «Eccoti un sunto dell’andamento deilavori della commissione dei quattro presidenti in questi ultimi giorni. Commissione ha lavorato soprattutto sulle condizioni di pace con la Germania nei rapporti con la Francia».

61 1 La politica filoiugoslava del cardinale Bourne era da ricondursi, secondo Preziosi (T. 885dell’11 giugno a Sonnino), al movimento avviato dalla Chiesa cattolica inglese per attrarre nella propriaorbita le Chiese ortodosse slave balcaniche.

62

L’UFFICIO RISERVATO DI PUBBLICA SICUREZZA DEL MINISTERO DELL’INTERNO AL SEGRETARIATO GENERALE DEL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 8058 R. Roma, 29 marzo 1919.

Per opportuna conoscenza e per gli ulteriori accertamenti che codesto on. Ministero credesse eventualmente disporre. Informasi che da una segnalazione di carattere fiduciario risulterebbe che alcuni grandi industriali tedeschi, quali Krupp, Siemens, Tisfew, nello intento di attivare la propaganda bolscevica in Italia, sarebbero disposti a fornire fondi occorrenti1.

63

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 824/34. Bucarest, 29 marzo 1919 (perv. il 2 aprile).

Telegramma di V.E. 3001.

Presenza qui truppe italiane sarà certo accolta nel modo più favorevole da Governo e popolo rumeno.

In quanto all’invio nostri soldati in Ungheria V.E. mi permetta raccontarle, per la conoscenza che ho così della ex Monarchia austro-ungarica come di questo paese, che le lotte tra rumeni ed ungheresi assumeranno (se magiari hanno davvero deciso resistenza) carattere di vere lotte di razza nelle quali magiari non esiteranno ricorrere ai sistemi dei massimalisti russi e dei comitagi macedoni. D’altra parte dallo stesso telegramma di V.E. e da altri precedenti risulta (...) Governo riconoscere interesse del nostro paese a non spingere magiari nelle braccia degli slavi e a non creare tra noi ed essi una barriera insormontabile di (...).

Come V.E. avrà rilevato da (...) telegramma identico dei quattro ministri in data di ieri Inghilterra vorrebbe togliere dalla Dobrugia una sua divisione per mandarla in Russia facendola sostituire da truppe rumene mentre Governo rumeno, il quale non ha truppe disponibili, chiede che la divisione inglese rimanga in Dobrugia oppure che possa sostituirsi da altre forze alleate. Non crederebbe Regio Governo che, per evitare gli inconvenienti segnalati più sopra, divisione inglese potrebbe essere sostituita in Dobrugia 1ª brigata «Ivrea» e da reparti destinati rispettivamente in Ungheria e Transilvania, evitando così ogni nostro intervento in queste ultime regioni?

61 2 Comunicazione a Monti, direttore generale del Fondo per il culto, fu data lo stesso giorno, connota 1110, con la postilla: «Comunico quanto precede in via confidenziale per quei passi che crederà dipoter fare». Conferme delle considerazioni non sfavorevoli alle aspirazioni iugoslave espresse in Vaticanodal cardinale Bourne risultano «da informazioni direttamente assunte» dallo stesso Monti, come da L. 1236/572 del 4 aprile a Sonnino. Sarebbero stati i vescovi cattolici di Croazia, Slovenia e Boemia a pregareBourne perché protestasse presso il papa, Lloyd George, Clemenceau e Wilson contro l’occupazione italiana. Così Manzoni a Sonnino (T. 6648 del 26 marzo) che cita il giornale «Rijcc» di Zagabria del 15 marzo.

62 1 Vedi poi D. 246.

63 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 908.

64

IL COMANDANTE DELLE FORZE ITALIANE NELL’EGEO, ELIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 195. Rodi, 29 marzo 1919.

Comunico seguente telegramma di Ferrante da Adalia data ieri giunto ora.

«Oggi ore 15 con perfetta disciplina senza minimo incidente due compagnie marinai, totale 300 uomini con quattro mitragliatrici, hanno occupato Adalia al fine tutelare ordine pubblico gravemente compromesso ultimi avvenimenti.

La popolazione che aveva chiesto nostro intervento ha accolto i nostri marinai con senso sollievo. Ignoro quanto tempo potranno rimanere terra nostri marinai. Loro presenza Adalia non potendo essere che provvisoria, penso sostituirli con nostre truppe».

Comandante Ciano con radiotelegramma di ieri ha riferito analogamente a Ministero marina1. Accenna allo scoppio grossa bomba che causò gravi danni al quartiere cristiano. Sembrami necessario addivenire senz’altro invio truppe da Rodi per sostituire marinai potendo da un momento all’altro cattivo tempo obbligare r. nave «Regina Elena» allontanarsi Adalia. Perciò ho pronto un battaglione bersaglieri 400 uomini con mitragliatrici che, se R. Governo approva, possono partire primo cenno2. Con esso manderò qualche ufficiale per studiare qualche elemento per funzionamento servizio pulizia o vettovagliamento. Attualmente qui nessun piroscafo disponibile, ma se ministro mi manda ordine esecuzione mi varrò piroscafo «Brione» il cui arrivo è preannunziato per domani. Attendo Brizzi da Adalia: telegraferò sue ulteriori notizie. Prego comunicare Ministero guerra e marina3.

64 Il telegramma pervenuto a Roma alle ore 3 del 30, fu ritrasmesso a Sonnino da Biancheri lostesso giorno con T. Gab. 65 delle ore 10,30.

1 Vedi D. 74.

2 Su ordine di Sonnino (T. 346 uu. del 31 marzo) i marinai furono poi sostituiti dai bersaglieridel 31° battaglione (T. 2323 di Ferrante del 3 aprile).

3 Ritrasmettendo a Sonnino il telegramma di Elia, Biancheri aggiungeva: «Prego fornire istruzioni. Sarebbe conveniente stabilire esatto raggio d’azione delle truppe di sbarco e, se non è stato fatto,determinare anche se esse dipenderanno eventualmente da alto comando inglese o se, come sarebbe preferibile sotto tutti i punti di vista, esse saranno indipendenti da qualsiasi autorità estera».

65

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 805/118. Sofia, 29 marzo 1919 (perv. il 31).

Nuovo allarme serpeggia nel pubblico a causa della notizia diffusa dalla stampa francese secondo cui sottocommissione Conferenza avrebbe deciso assegnare Tracia alla Grecia. Siccome presidente Consiglio si manifesta depresso quasi sino alla disperazione, mi sono provato con ogni circospezione per rianimarlo e impedire una crisi ministeriale che sarebbe in questo momento esiziale per l’ordine pubblico e per gli interessi dell’Intesa nei Balcani. Ritengo per ora caduta Gabinetto evitata nonostante intrighi alcuni elementi sovversivi.

Questo Governo, secondo quanto mi risulta, farebbe ogni sincero sforzo per evitare anche pericolose avventure oppure complicazioni alle frontiere. Non conviene però illudersi sulle disastrose conseguenze d’un trattamento troppo duro contro la Bulgaria in materia di questioni territoriali. Nessun Governo resisterebbe nelle attuali circostanze all’urto che deriva dal completo trionfo delle rivendicazioni elleniche e la guerra balcanica scoppierebbe spontanea. Questo Governo ormai è conscio dei servizi che esso potrebbe rendere all’Intesa contro il bolscevismo e, se non si terrà conto di tali buone disposizioni, verrà fomentata una corrente in senso opposto. Non è più possibile infine nascondere che nei Balcani la (...) è fondata adesso (...) Grecia sulle sue truppe troppo assottigliate e sparpagliate quanto sopra un prestigio delicatissimo che l’Italia più delle altre potenze è stata e sarà capace salvaguardare nell’interesse comune. Mi consta che di tale situazione pur senza dirlo sarebbe ora persuaso anche questo comando francese che teme tuttavia la prevalenza di correnti male influenzate (...) informate a Parigi.

66

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. POSTA 193. Parigi, 29 marzo 1919 (perv. il 2 aprile).

Telegramma di V.E. n. 51331.

Ho veduto ieri il signor Legrand, capo di Gabinetto di questo ministro degli affari esteri, e gli ho fatto viva raccomandazione, della quale egli mi ha promesso di tener conto, acciò si diano istruzioni al rappresentante francese ad Addis Abeba d’inspirarsi

nella sua azione presso il Governo locale e nelle sue relazioni con i suoi colleghi a quello spirito di concordia e di solidarietà che si conviene alla alleanza che lega i tre Governi2.

66 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 842.

67

IL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

PROMEMORIA. Parigi, 29 marzo 1919.

NESSUNA RIUNIONE NEL MATTINO POMERIGGIO

Si è discusso della questione di Spalato. È stata esaminata la risposta tedesca ed i francesi tentarono di dimostrare che con essa venne opposto un reciso rifiuto, mentre ciò in realtà non apparisce. Vennero quindi stabilite minutamente le istruzioni da darsi al maresciallo Foch.

Episodi ungheresi. S.E. l’on. Orlando dà comunicazione della lettera ricevuta dal principe Borghese nella quale sono esposte le comunicazioni che il Governo ungherese desidera fare ai Governi della Intesa1.

Lloyd George approva la condotta degli ungheresi. Afferma che essi hanno pienamente ragione e conclude: «Quali maggiori diritti hanno i croati? Essi passeggiano liberamente Parigi come fossero degli alleati, ma che hanno fatto in realtà? Essi hanno ammazzato molti italiani ed anche degli inglesi. Conclude essere opportuno intendersi con gli ungheresi.

Wilson concorda con Lloyd George. Clemenceau domanda di non prendere una decisione desiderando poter riflettere prima di continuare la discussione. Riparazioni: (Vedi accluso progetto di Lloyd George)2.

ALLEGATO I

PROGETTO LLOYD GEORGE 29 marzo 1919.

1. Le perdite ed i danni cui i Governi alleati ed associati ed i loro rispettivi cittadini sono andati soggetti, come diretta e necessaria conseguenza della guerra imposta loro dall’aggressione terrestre aerea e marittima del nemico, ammontano a circa sterline 30.000.000.000.

67 Riunione pomeridiana del Consiglio dei quattro del 29 marzo 1919. Questi appunti hanno laforma di promemoria per il presidente del Consiglio. Cfr. FRUS, vol. V, pp. 15 sgg., MANTOUX, vol. I, pp. 76 sgg. e RAC, n. 205. Per l’Italia erano presenti alla seduta anche Diaz e Cavallero.

1 Vedi D. 26.

2 Vedi Allegato I. Edito in SALANDRA, pp. 94 sgg. L’originale inglese è in FRUS, vol. V, pp. 19 sg. (app. III a IC 169c). Vedi anche D. 109.

2.- Malgrado l’indiscutibile diritto dei Governi alleati ed associati ad un completo rimborso, essi riconoscono che le risorse finanziarie ed economiche degli Stati nemici non sono illimitate e che quindi, per quanto essi ne possono giudicare, sarà impossibile per gli Stati nemici di dare completa riparazione. 3.- Comunque i Governi alleati ed associati esigono che gli Stati nemici rimborsino almeno il valore dei danni materiali arrecati nonché delle perdite di danaro e fisiche subite dagli individui, incluse quelle che gli Stati nemici hanno causato ai borghesi aggregati all’esercito combattente. Tale rimborso dovrà essere fatto quale che ne sia il costo per i Governi nemici. 4.- Ciascuna delle potenze alleate ed associate dovrebbe ricevere dalla Germania una giusta indennità relativamente alla morte, all’invalidità o danno permanente alla salute causato direttamente da qualcuno dei suoi sudditi3 con ostilità ed operazioni di guerra sia sul mare che per terra o nell’aria, o per atti compiuti dalle forze nemiche, popolazioni od autorità in territorio occupato, invaso o nemico. Per ognuna delle potenze interessate tale riparazione può sempre essere commisurata alla quota delle pensioni o indennità ora concesse nei suoi territori. 5.- Ciascuna delle potenze alleate ed associate dovrebbe ricevere dalla Germania una giusta riparazione relativamente a tutta la proprietà appartenente allo Stato o a chiunque dei suoi cittadini, ad eccezione delle officine, fabbriche e materiali militari, che è stata asportata, catturata o distrutta dal nemico, oppure danneggiata direttamente in conseguenza delle ostilità

o di qualunque operazione di guerra:

a) coll’immediata restituzione della proprietà asportata, la quale possa essere identificata nella specie, e con giusto compenso se è stata danneggiata.

b) col pagamento dell’intero costo del rimpiazzo, della riparazione o della ricostruzione di detta proprietà asportata, catturata, danneggiata o distrutta, se essa non possa essere identificata nella specie, o col pagamento del suo valore.

6.- L’ammontare da pagarsi, il tempo ed il modo dei pagamenti e le garanzie che dovranno perciò essere date, verrà tutto determinato da una commissione interalleata dopo avere accuratamente esaminato i reclami e dato alla Germania il modo di esprimere il suo pensiero in proposito. 7.- Le indennità possono essere richieste, sia nella forma di pagamento in oro o valori immobiliari, o nella forma di depositi minerari, consegna di merci e bestiame ed altre indennità in specie, ciò che verrà accreditato dalla potenza che riceverà l’indennità a un giusto valore delle cose ricevute al tempo della consegna. Si adotterà il principio «tonnellata per tonnellata», ed altri analoghi. 8.- Ciascuna delle potenze alleate interessate riceverà una parte proporzionale alle sue perdite sopra accennate di ciascun pagamento di mano in mano che questo verrà fatto dal nemico. 9. -Al fine di mettere le potenze alleate ed associate in grado di procedere subito alla restaurazione delle loro industrie e della propria vita economica mentre si sta fissando l’ammontare dei rispettivi reclami, la Germania pagherà a rate (sia in oro, azioni, merci o vapori, secondo che verrà fissato) nel 1919 e nel 1920 l’equivalente di un miliardo di lire sterline in modo da includere i dovuti mezzi per mantenere gli eserciti di occupazione e per fornire i necessari approvvigionamenti.

10. Questo progetto verrà sviluppato nelle linee suddette in ulteriori discussioni.

ALLEGATO II

APPUNTI SULLO SCHEMA PROPOSTO PER LE «RIPARAZIONI»4

1.- Gli articoli 1 a 5 contengono formulazioni di massime e di criteri generici, alcuni accettabili, altri discutibili, ma senza segnare menomamente la via delle applicazioni. 2.- L’articolo 6 deferisce tutte le questioni concrete di applicazione ad una futura commissione interalleata. Il che, in pratica, significa il rinvio della questione delle riparazioni. 3. -All’articolo 7 è notevole la designazione delle varie forme di pagamento delle indennità. Tra queste sono annoverati i «depositi minerari». È possibile che se ne faccia immediata applicazione al bacino della Sarre, con o senza l’attribuzione della sovranità territoriale; il che per noi è indifferente. Sarebbe invece di somma importanza, sia di per se stesso, sia per gli effetti sulla opinione pubblica italiana, giustamente e vivamente interessata nella questione del carbone, ottenere affidamenti sicuri che sarà tenuto conto del nostro bisogno di carbone, anche più urgente di quello della Francia, attribuendo fin da ora, sia pure sotto forma di indennità, l’assegnazione dello sfruttamento dei bacini carboniferi, dovunque essi si trovino, nei territori asiatici di cui disporrà la Conferenza. Ciò indipendentemente dalla sovranità territoriale sopra di essi. 4.- Nello stesso art. 7 si enuncia il principio della restituzione «tonnellata per tonnellata». Conviene esaminare, in relazione ai dati di fatto ed alla situazione giuridica della flotta mercantile già austro-ungarica, se e fino a che punto la sua applicazione possa giovarci. 5. -All’art. 8 la sola cifra di 25 miliardi di lire (1 miliardo di sterline), di cui s’imporrebbe il pagamento nel 1919-1920, rappresenta un risultato concreto ed immediato. Importa moltissimo fissare con quali criteri essa sarà ripartita. Su di questo punto essenziale manca qualsiasi accenno nello schema proposto. 6.- Lo schema parla nei primi articoli di «Stati nemici», poi soltanto della Germania. Dal nostro punto di vista sarebbe necessario precisare per quanto è possibile l’obbligo delle riparazioni e, rispetto ad esse, il limite della solidarietà attiva e passiva di tutti gli Stati nemici, tenendo conto dei successori della Monarchia austro-ungarica, nonché dell’Impero turco e dei suoi eventuali successori.

66 2 Vedi anche D. 50.

67 3 Traduzione errata dal testo inglese che reca più correttamente: «directly caused to any of its subjects».

67 4 Al progetto di Lloyd George erano uniti questi appunti redatti da Salandra per Orlando eSonnino (v. SALANDRA, pp. 92 sgg.). La copia degli appunti conservata nell’Archivio Sonnino reca leseguenti annotazioni manoscritte: «A noi conviene il blocco solidale dei debitori e creditori con quotepredeterminate per ciascuno Stato»; «Eraclea è di proprietà privata ...».

68

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 957 P. RIS. Parigi, 30 marzo 1919, ore 20 (perv. ore 20,45).

Come ti ho telegrafato1, la prima operazione da compiere per ciò che riguarda questione Caucaso consiste nell’invio di una nostra missione militare la quale dovrà avere l’incarico formale di studiare d’accordo col comando inglese la dislocazione, l’alloggiamento ed il vettovagliamento delle nostre truppe; ma dovrà nel tempo stesso compiere una inchiesta riservata ma molto attenta sulla complessa situazione politica in cui verremmo a trovarci nonché su tutte quelle altre indicazioni economiche e commerciali che possano giovare. S. E. Diaz, che trovasi qui, ritiene giustamente che costituzione ed invio di tale missione rappresenti argomento di competenza comune tra il Comando Supremo ed il Ministero della guerra ed ha dato incarico a S.E. Badoglio di occuparsi di ciò col Ministero della guerra. Ministro Caviglia ha oggi diretto telegramma a S.E. Diaz2 con cui parla della missione mandata presso generale Denikin e di cui si attende il prossimo ritorno, manifestando l’opinione che convenga sospendere l’invio missione speciale fino al ritorno di quegli ufficiali. Io ignoro se tu hai informato o no il generale Caviglia del vero scopo di quella missione. Nel caso contrario, credo opportuno che tu ti metta in rapporti col generale stesso e gli dia le informazioni occorrenti, pur circondandole della raccomandazione del più stretto riserbo. Ciò posto, io non credo che sia il caso di attendere il ritorno della missione presso Denikin, e ciò per due ragioni: 1) perché si tratta di due argomenti assolutamente distinti e che non giova confondere; 2) perché mi sembra utile non procrastinare di troppo questo primo atto preparatorio. Circa il modo di comporre la missione Comando Supremo e Ministero della guerra potranno occuparsi per ciò che riguarda formazione tecnica. Dal punto di vista politico, importerà soltanto che tra quegli ufficiali siano comprese persone (anche appartenenti all’elemento civile) più specialmente competenti a dare un giudizio su quelle questioni politiche, economiche, commerciali che si collegano colla missione stessa, giusta quanto dissi dianzi.

68 1 Vedi D. 30. 2 Non pubblicato.

69

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL COMANDANTE IN ALBANIA, S. PIACENTINI, A VALONA

T. 324. Roma, 30 marzo 1919.

Telegramma di V.E. n. 21761.

S.E. Sonnino prega V.E. fare senza ritardo passi con generale Franchet d’Esperey nel senso precedentemente indicato e cioè che francesi si limitino avere ad Oboti solamente ufficiali di collegamento.

V.E. rammenterà a Franchet d’Esperey che principio generale concordato Parigi è occupazione tutta Albania da parte delle truppe italiane con a nord la sola eccezione di un presidio interalleato per la città di Scutari, che perciò Oboti deve essere presidiata da nostre truppe. Comunque possa essere considerata questione giurisdizionale Scutari, Oboti resta sempre fuori discussione giacché, anche nell’ipotesi da noi esclusa del ripristino della situazione 1913, quella località rimarrebbe fuori dei dieci chilometri.

70

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 852/48. Costantinopoli, 30 marzo 1919 (perv. il 4 aprile).

Stanotte gran visir mi ha informato che forze italiane, non sapeva se soldati o marinai, sbarcati Adalia in seguito disordini provocati da greci. Egli sperava che le nostre forze si ritirerebbero pur lasciando eventualmente un piccolo contingente per salvaguardare ordine ma rispettando prestigio autorità locali. Possiamo dunque constatare che lo stesso gran visir chiede in una certa misura una nostra occupazione1. Ho radiotelegrafato generale Elia: «Gran visir mi informa che in seguito disordini Adalia sbarcate truppe italiane. Se ciò è esatto ritengo conforme nostri interessi accentuare occupazione ma anche non togliere apparenza di autorità ai funzionari turchi. Questi ed il loro Governo ora desiderano soltanto salvare le apparenze. Mantenimento apparenza ottomana ci può essere prezioso anche per ulteriori occupazioni».

69 1 Potrebbe trattarsi in realtà del T. 1035/2178, da Valona, del 13 marzo, pubblicato in seriesesta, vol. II, D. 795.

70 1 In pari data con T. Gab. 50 Sforza dava notizia di una protesta scritta inviata al console aSmirne, Carletti, dal Comando del 17° Corpo d’armata turco.

71

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 855/346. Pera, 30 marzo 1919 (perv. il 4 aprile).

Telegramma di V.E. 2621.

Agenzia (...) annunzia consegna ad autorità Libia del principe Osman Fuad che con tono dispregio chiama preteso figlio Abdul Hamid. Egli è nipote del sultano Murad ed è qui generalmente simpatico. Sarebbe opportuno valersi bensì della sua persona per quanto può affermare nostro prestigio Libia ma evitare quanto può ferire turchi i quali oggi che sentono minacciato ogni loro reale potere sono sopratutto sensibili a (...) e riguardo di zone prettamente turche dobbiamo evitare delle impressioni inutilmente odiose. Non ho qui fatto pubblicare notizia consegna Fuad per evitare pressanti domande sultano per il suo ritorno. Ma appena Sua Maestà lo sappia me lo chiederà. Prego dirmi se come a me sembra si può rimandare principe qui appena non occorre più a Tripoli2. Assicurerò comunque che egli è trattato coi riguardi dovuti alla sua qualità di principe imperiale.

72

L’ESPERTO TECNICO, R. PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

PROMEMORIA. Parigi, 30 marzo 1919.

Il 24 febbraio u.s. il Ministero delle colonie1, affermando esser note le simpatie per l’Italia dell’imam Jahia dello Yemen, dell’Idrisi dell’Asir, e delle popolazioni delle due regioni, propose a questa Delegazione che si facesse in modo che quei due capi arabi potessero mandare «uno o due rappresentanti alla Conferenza della pace per perorare la loro causa d’indipendenza, invocando l’assistenza dell’Italia».

Il 1° marzo corrente il comm. De Martino parlò in tal senso con sir E. Crowe, il quale si riservò di dare una risposta.

Questa venne il 7 marzo, da parte di lord Hardinge. Essa era negativa «as the question of representation at the Peace Conference has already been finally decided».

2 A proposito dell’eventuale ritorno del principe Osman Fuad a Costantinopoli Colosimo, nel

T. 2357 del 1° aprile al Ministero degli esteri, tra l’altro osservava: «del contegno del principe Fuad nonabbiamo ragione di essere soddisfatti».72 Minuta autografa. Che l’autore di questo promemoria sia Renato Piacentini risulta da un pre

ciso riferimento nel pm. redatto dallo stesso Piacentini per Aldrovandi in data 8 aprile. Vedi All. a D. 75. 1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 482.

La delegazione inglese prendeva così a pretesto una questione di forma e di procedura per eludere la questione sostanziale.

Il Ministero delle colonie2, basandosi su altre informazioni pervenute dal r. console di Aden3, affermanti le favorevoli disposizioni dell’imam Jahia e delle popolazioni locali a che l’Italia fosse incaricata del mandato di assistenza per lo Yemen, torna sull’argomento precedente insistendo nella proposta di provocare l’intervento dei rappresentanti yemeniti e assiriti a Parigi.

Per dare risposta al Ministero delle colonie occorrerebbe decidere se, malgrado la sopra indicata opposizione inglese, sia il caso di insistere e fare i passi necessari per ottenere che i delegati arabi possano venire a Parigi, non come rappresentanti dei loro paesi ammessi ufficialmente a prender parte alla Conferenza (come è avvenuto per l’emiro Faisal) bensì come incaricati di esporre alla Conferenza i desideri dello Yemen e dell’Asir, così come han fatto, ad esempio, i rappresentanti dei siriani, dei sionisti eccetera.

L’Ufficio attende in proposito le istruzioni di V.E. Dalla decisione che V.E. crederà di prendere dipenderà anche il tenore della risposta da darsi ad una lettera che l’imam Jahia diresse a S.M. il re — pel tramite del r. console in Aden — lettera in cui egli invocava l’appoggio italiano a favore dell’indipendenza dello Yemen sotto l’imamato.

71 1 Con T. 262, del 13 marzo, Sonnino aveva ritrasmesso a Sforza il T. 2632 di Colosimo, dell’11 marzo, con la notizia che il principe Osman Fuad, presentatosi alle linee tunisine, era tenuto anostra disposizione dalle autorità francesi.

73

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 55 P.R.S. Parigi, 30 marzo 1919.

Se le notizie riportate dal «Temps» del 30 corr. sono esatte, la sorte delle navi da guerra nemiche sarebbe in procinto di essere nuovamente discussa: ma nelle ipotesi o rivendicazioni che quel giornale affaccia ho invano cercato un accenno all’Italia ed agli incontestabili diritti ch’essa ha a partecipare «da pari a pari» ad ogni eventuale beneficio, qualora le navi nemiche dovessero essere distribuite tra gli alleati.

Come è noto a V.E. le sole soluzioni che si possono concepire sotto tre:

1) Distruzione della navi mediante affondamento.

2) Demolizione delle navi e ricupero delle materie prime.

3) Distribuzione delle navi tra gli alleati.

La prima soluzione, già caldeggiata dagli americani e dagli inglesi, ebbe recisamente avverse Francia ed Italia: troppo sfavorevole sarebbe nei popoli l’impressione, se dopo tanta rovina di guerra il Congresso per la pace iniziasse il suo regime con un nuovo immenso atto di distruzione. E da quanto mi risulterebbe la tesi della distruzione di affondamento fu abbandonata.

3 Vedi serie sesta, vol. II. D. 768.

Resta dunque a scegliere tra la demolizione e la distribuzione. In entrambi i casi l’America si sarebbe dichiarata astemia in quanto la distribuzione non sarebbe accettabile presso un popolo che palesemente (se non sinceramente) vuol dimostrare di non avere alcuna cupidigia sul bottino territoriale o materiale dei vinti: e la demolizione non sembra accettabile perché, dato l’alto costo della mano d’opera americana, il demolirle non è da essi considerato come un affare redditizio.

Rimangono dunque in giostra Gran Bretagna, Francia, Italia: e qualunque possano essere le decisioni dal Supremo Consiglio, occorre che di fronte alla sorte delle navi nemiche, queste tre nazioni siano trattate alla stessa stregua, giacché ciascuna, senza eccezione, portò sul mare tutto il contributo della propria forza, e lo sforzo compiuto deve evidentemente considerarsi non nel suo valore assoluto, ma nel concetto relativo delle proprie possibilità.

Se quindi le navi nemiche dovranno essere distribuite tra gli alleati, è giusto ed è necessario, per evitare gravi ripercussioni morali in paese, che il 33% vada all’Inghilterra, il 33% alla Francia, il 33% all’Italia.

Ma poiché evidentemente una simile soluzione non mancherà di presentare qualche difficoltà, io ritorno a prospettare come la miglior soluzione sembri quella di demolire le navi. E poiché in Inghilterra la mano d’opera non sembra né abbastanza numerosa né abbastanza a buon mercato per rendere proficuo un simile procedimento, sorge naturale la convenienza che il mandato sia, in suo nome, affidato all’Italia: la quale, per la lunga pratica, è specialmente progredita nell’industria demolitrice di navi, da cui trasse in passato e certamente saprà trarre in futuro lauti guadagni.

L’Italia, provveduto a demolire la propria aliquota (33%) di navi nemiche, potrà altrettanto fare di quelle assegnate alla Gran Bretagna, lasciando a questa soltanto la cura di controllare con commissione propria il ricupero della materia prima: ed il ricavato (dedotte le spese di mano d’opera) potrà da essa venir ritirato.

Così, mentre si avrà pronto impiego per un largo numero di operai, ai quali non occorre specializzazione raffinata di lavoro, si avrà anche modo di sottrarre prontamente alla disoccupazione una forte percentuale di mano d’opera tutt’ora priva di impiego; e di avere in Italia una considerevole quantità di materia prima pronta all’impiego.

Queste considerazioni io sottopongo all’alto esame della E.V. affinché, ove le trovi giuste, voglia farsene patrocinatore in seno alla Conferenza.

72 2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 929.

74

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 809/66. Roma, 31 marzo 1919, ore 12 (perv. il 1° aprile).

Ministero della marina comunica seguente telegramma del comandante Ciano:

«Comunico proclama da origine diretta cittadinanza Adalia. La sicurezza dei cittadini e delle loro (...) in Adalia sono (...). Gravi disordini con morti e feriti sono avvenuti in questi ultimi giorni. Delinquenti evasi dal carcere e provenienti dall’interno commettono soprusi ed omicidi. Ieri il corriere postale per Costantinopoli è stato svaligiato. Questa mattina una grossa bomba è stata fatta scoppiare nel centro della città. In nome delle nazioni alleate e degli Stati Uniti d’America1, a protezione di tutti indistintamente, reparti di marinai d’Italia a richiesta molti cittadini occupano oggi Adalia per concorrere alla polizia e (...) al mantenimento dell’ordine pubblico (...). Nell’interesse generale facciamo avvertire le persone di buona volontà a qualsiasi nazionalità appartengano invitandole alla esatta osservanza dei nostri ordini, dichiarandoci ben lieti se non saremo obbligati a prendere misure le più severe secondo le leggi della guerra contro i trasgressori, ciò che non esiteremo a fare ove risultasse necessario».

A meno che V. E. non abbia inviato istruzioni direttamente, qui non risulta che comandante Ciano sia stato autorizzato occupare in nome nazioni alleate e Stati Uniti. Mi sembra sempre più urgente vengano impartite direttive precise su tutta la questione.

75

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 810/7236. Roma, 31 marzo 1919, ore 22 (perv. il 1° aprile).

S.E. Colosimo mi accennava ieri alla opportunità segnalata anche a V.E. con sue lettere n. 1362 e 1909 del 24 febbraio e 22 marzo1 circa invio [delegato o]2 delegati Yemen e Asir alla Conferenza. Alla mia volta mi domando se è possibile organizzare praticamente la cosa nello Yemen, se Inghilterra lo consentirebbe, se delegato giungerebbe a tempo e sarebbe ammesso alla Conferenza. Inoltre dal telegramma di V.E. (rac

74 In arrivo il numero del telegramma è dato erroneamente come Gab. 667.

1 Su questo punto del proclama si veda poi qui D. 95.

2 Manca nel testo in arrivo.

colta Delegazione)3 non apparisce chiaro se nel termine generico di Arabia sia compreso anche Yemen. In caso affermativo sarebbe utile che funzionari facenti parte della missione interalleata incaricati di esaminare sentimenti delle popolazioni arabe fossero assistiti4 da persona pratica dello Yemen. In tesi generale a me pare opportuno stabilire anzitutto sino a che punto Italia intende interessarsi allo Yemen, perché se quella regione che ha tanti legami economici e morali colla Eritrea dovesse essere attratta nella nostra sfera diretta di azione converrebbe preparare il terreno per tempo. Ed in questo caso il procedimento da seguirsi nella zona turca mi sembrerebbe il più consigliabile. Sarò grato a V.E. se vorrà farmi conoscere suo pensiero al riguardo per norma condotta con S.E. Colosimo5.

ALLEGATO

L’ESPERTO TECNICO, R. PIACENTINI, AL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

PROMEMORIA. Parigi, 8 aprile 1919.

Per rispondere a questo telegramma occorre:

1) conoscere la decisione di S.E. il ministro circa la partecipazione dei delegati arabi dello Yemen e dell’Asir alla Conferenza (cfr. relazione a S.E. il ministro addì 30 marzo 1919)6.

2) sapere se la Commissione interalleata incaricata di fare una inchiesta in Levante partirà realmente7, e, in caso affermativo, se si potrà ottenere che la sua azione debba svolgersi anche nello Yemen e nell’Asir8.

Quanto all’ultima parte del telegramma Biancheri si osserva che l’Italia ha già precisato

— nel suo programma coloniale — i criteri cui intende attenersi per lo Yemen: indipendenza del paese sotto capi arabi locali; libertà di commercio e di penetrazione economica.

Ciò implica rinuncia a qualsiasi aspirazione territoriale italiana sull’Arabia sud-occidentale; ma implica anche opposizione recisa da parte nostra a qualunque ingerenza palese o mascherata di altre potenze (vedi Inghilterra) in quelle regioni.

4 Nel testo in partenza si legge: che nostro funzionario facente parte [...] fosse assistito.

5 Sulla questione, in data 8 aprile, l’esperto tecnico della Delegazione italiana, Renato Piacentini, presentò ad Aldrovandi il breve promemoria allegato.

6 Vedi D. 72.

7 Annotazione manoscritta: «non si sa ancora».

8 Annotazione manoscritta: «non è stato deciso».

75 1 Vedi serie sesta, vol. II, DD. 482 e 929.

75 3 Manca il numero di protocollo del telegramma di Sonnino.

76

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1245/70. Belgrado, 31 marzo 1919 (perv. il 1° aprile).

Telegramma di V.E. 63401.

Dopo alquante esitazioni questo ministro degli affari esteri mi ha oggi confermato esistenza divieto di importazione ed esportazione ma limitatamente alla via di Fiume2. Misura non riguarda solo merci da e per l’Italia ma di qualsiasi provenienza e destinazione.

Egli mi ha dichiarato trattarsi di una misura di carattere politico negli esclusivi riguardi di Fiume.

Ha tenuto ad aggiungere che misura è temporanea. A mia richiesta se ordinanza era stata emanata da autorità locali Zagabria o da Governo Belgrado rispose essere stato notificato da Governo centrale. Probabilmente in relazione tale disposizione giornali locali pubblicano oggi notizia che importazione da territori Regno S.H.S. devono effettuarsi esclusivamente da via Ragusa.

77

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE NELLA COMMISSIONE INTERALLEATA IN POLONIA, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 63. Varsavia, 31 marzo 1919.

Mio telegramma n. 621.

In presenza del provvedimento già adottato dalla Francia, credo doveroso insistere sull’opportunità che R. Governo non indugi ad inviare suo rappresentante diplo

76 Il telegramma fu trasmesso da Belgrado il 1° aprile e poi una seconda volta via Fiume il 2aprile, ore 18,43, con arrivo a Roma il 3 aprile, ore 9,45 (T. 1253/70). Fu ritrasmesso da Manzoni a Sonnino con T. 7457 del 3 aprile.

1 Errato. Si tratta del T. 340 del 28 marzo, non pubblicato.

2 Il riferimento è al bando n. 9518 del 17 marzo 1919 emesso da G. Paleck, bano di Croazia e Slavonia, in base a un decreto del Consiglio dei ministri di Belgrado.

77 La Commissione interalleata per gli affari di Polonia era stata istituita per iniziativa del Consiglio supremo della Conferenza della pace. Composta da due rappresentanti (uno diplomatico ed unomilitare) per ciascuna delle quattro maggiori potenze, era presieduta dall’ambasciatore francese Noulens.Delegati per l’Italia erano il ministro plenipotenziario Giulio Cesare Montagna (capo della delegazione) eil generale Giovanni Romei Longhena.

1 Il T. 62, dello stesso giorno, comunicava l’avvenuta nomina del signor Pralon a primo rappresentante diplomatico della Francia a Varsavia.

matico a Varsavia con lettere credenziali d’inviato straordinario e ministro plenipotenziario. Confermo che Governo ed opinione pubblica della Polonia attendono con impazienza tale atto di cortesia da parte dell’Italia, la quale ripeto è il paese per cui qui si nutrono le maggiori e più generali simpatie2.

78

IL DELEGATO IN POLONIA, ROMEI LONGHENA, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. PER CORRIERE 142 RIS. Varsavia, 31 marzo 1919.

Riassumo situazione generale in Polonia (esclusa Poznania) alla data partenza di questa Commissione interalleata per Parigi:

Situazione militare: Persistono combattimenti su tutte le fronti eccettuata czeca. Polacchi, quantunque inferiori di forze, tengono ovunque testa al nemico. Continua difetto armamento ed equipaggiamento. Attendesi ansiosamente annunciato aiuto Intesa. Cominciato afflusso reclute chiamate ultimamente alle armi (vedi mio telegramma ..bis)1. È in corso riorganizzazione esercito ancora diviso in svariate formazioni autonome. Persiste dissenso tra comandi a causa varia loro provenienza e colore politico. Spirito generale truppe buono. Contasi oggi circa

120.000 uomini armati.

Situazione politica: Attuale ministero Paderewski manca di solida base alla Dieta causa sua composizione extraparlamentare e prevalenza alla Dieta elementi radicali agrari orientati piuttosto verso Pilsudski. Parlasi di crisi ministeriale. Paderewski ricomporrebbe Gabinetto su base coalizione partiti moderati democratici con elementi parlamentari. Ordine interno discreto nonostante grave crisi economica ed alimentare. Disordini massimalisti di Lublino continuano rimanere isolati. Persiste grave disoccupazione operaia e caroviveri. Approvvigionamenti americani, causa loro alto prezzo, non giungono fino alle classi povere. Condizioni finanziarie sempre assai critiche: stentano giungere introiti: crescono spese e continuano forzose emissione carta moneta. Parlamento approvato prestito forzoso generale (vedi mio telegramma ..bis).

Tutto paese attraversa difficile pericolosa crisi. Scarso il risveglio energie ricostitutrici. Tutto attendesi dall’estero.

78 Trasmesso per conoscenza al Gabinetto della Presidenza del Consiglio e al Gabinetto delMinistero affari esteri con n. 3791 SP. del 6 aprile.1 Manca il numero del telegramma.

Confidenza nell’Intesa molto scossa a causa esagerate speranze concepite su aiuto alleato. Opinione pubblica specialmente abbattuta da recenti notizie circa attitudine qualche potenza Intesa contraria ad aspirazioni territoriali polacche. Proclamazione alleanza con Intesa2 e viaggio Paderewski a Parigi sono peraltro prova persistente attaccamento Polonia all’Intesa da cui soltanto attende effettiva resurrezione e vitalità.

Conclusione: Polonia è paese pieno di ricchezze materiali e non manca di doti morali fra cui prevale un profondo patriottismo. Sua attuale disorganizzazione e prostrazione sono effetto lunga schiavitù e 5 anni di guerra combattuta su suo suolo. Ove Intesa potesse intensificare suo aiuto fino a permetterle superare attuale crisi e raggiungere condizioni indispensabili per esistenza indipendente, non v’è dubbio che Polonia potrà presto divenire alleato vitale e fedele. Esercito polacco è capace lottare vantaggiosamente contro bolscevismo russo se sarà presto e bene armato ed equipaggiato e se potrà essere alleviata crisi economica interna.

Detto esercito, unitamente a quello rumeno, potrebbe arrestare minacciosa invasione bolscevica, consentendo alle nazioni occidentali di riprendere più facilmente e più sicuramente il loro assetto di pace.

Ma se aiuti e appoggi dell’Intesa trassero3 a giungere e giungessero scarsamente, le sofferenze e la profonda crisi che travagliano la Polonia non le permetterebbero di resistere più a lungo contro le minacce che la serrano da ogni parte; e la disillusione grandissima nel Governo degli elementi d’ordine, alleati all’Intesa, porterà al trionfo di quegli altri elementi ora in minoranza, che tendono, con tinte più o meno marcate, al bolscevismo.

Quest’ultimo giungerà così alle frontiere delle potenze occidentali.

Paderewski mi ha confessato che, prima del nostro arrivo in Polonia, l’opinione pubblica, artificialmente preparata, riponeva assai poche speranze nell’Italia e le concedeva poca fiducia. Con certezza posso affermare che ora la situazione è diametralmente cambiata. L’Italia è la nazione che occupa uno dei primi posti nell’affetto di ogni classe del popolo polacco.

Che il nostro paese sappia trarre i dovuti vantaggi da una simile favorevole situazione.

77 2 Con T. 64, anch’esso del 31 marzo, Montagna proponeva poi la creazione di una missionemilitare italiana a Varsavia sull’esempio di quella creata dalla Gran Bretagna per la Polonia e la Boemia.Con T. 1300 a Diaz del 18 aprile Sonnino, nel dichiarare sufficiente (d’accordo con il parere espresso daDiaz con n. 4041 Sp. del 10 aprile) la nomina di un addetto militare, annunciava provvedimenti in corsoper la creazione di una legazione a Varsavia «onde iniziare rapporti normali e regolari fra Italia e Polonia».

79

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE E CONSOLARI

CIRCOLARE 5. Roma, 31 marzo 1919.

Per ordine del comandante in capo delle forze navali italiane1, il comandante in capo dell’Armata italiana2 ha emanato la dichiarazione della cessazione del blocco del mare Adriatico dalle ore zero del 30 marzo 1919.

Il 29 marzo è stato firmato da S.A.R. il luogotenente generale di Sua Maestà3 un decreto, ora in corso di registrazione, col quale sono aboliti gli elenchi degli oggetti e dei materiali considerati come articoli di contrabbando di guerra assoluto e condizionale, a mente del decreto luogotenenziale 8 novembre 1917, n. 1883; ed è stato approvato un nuovo elenco degli oggetti e dei materiali da considerarsi come articoli di contrabbando di guerra assoluto.

Resta però stabilito che, fino alla conclusione della pace, non sono per nulla infirmate le disposizioni generali inerenti allo stato di guerra marittima, circa la polizia del mare, il diritto di visita, il cambio di bandiera delle navi mercantili appartenenti a Stati nemici, il contrabbando di guerra.

Si trasmette, qui unito, copia del testo della dichiarazione di cessazione di blocco e copia del decreto luogotenenziale sopra menzionati4.

78 2 Il 27 marzo la Dieta polacca aveva approvato all’unanimità una mozione invitante il Governo a concludere un’alleanza formale, politica, militare ed economica con i Governi dell’Intesa.3 Recte, forse: tardassero. 79 1 L’ammiraglio Thaon di Revel, capo di S.M. della Marina. 2 Il vice ammiraglio Cusani Visconti.

80

PROMEMORIA DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

[Parigi], 31 marzo 1919.

PROMEMORIA SULLA QUESTIONE DEL GENERALE PICCIONE

Precedenti

– I –

Il generale Piccione partì il 16 dicembre u.s. per la Czeco-Slovacchia al comando del corpo d’armata dei legionari czechi d’Italia.

Si ritenne allora che il generale stesso fosse stato nominato comandante supremo dell’esercito czeco-slovacco dato che il generale Janin1, già avente tale carica in Francia, era stato inviato in Estremo Oriente.

– II –

Appena giunto a Praga il generale Piccione fu incaricato, col suo corpo d’armata e con una brigata formata di reparti territoriali istruiti in Slovacchia e comandati dal colonnello Scknobl, di procedere alla occupazione della Slovacchia.

4 Non si pubblicano.

80 Il promemoria (non firmato) fu steso molto verosimilmente dal generale Cavallero e comunquedalla Sezione militare della DICP. L’originale è datato «25 marzo», ma la data corretta è il 31 marzo, come sideduce dal riferimento all’incontro tra Diaz e Stefánik avvenuto «ieri 30 corrente alle ore 17,30». La datazione 25 marzo è probabilmente dovuta alla riproduzione meccanica da un primo promemoria, preparato in quelladata, che costituisce quasi testualmente la base delle prime due pagine del documento che qui si pubblica.

1 Si tratta del generale francese Maurice Janin, comandante supremo delle truppe cecoslovacche in Siberia.

– III –

Intanto il 14 febbraio giunse a Praga il generale Pellé come rappresentante del maresciallo Foch. Il ministro Benes, interrogato dal nostro ambasciatore sull’incarico affidato al generale Pellé in relazione alla posizione del generale Piccione, ha risposto che il generale stesso era nominato capo di Stato Maggiore dell’esercito e non generalissimo come avrebbe voluto la Francia (giacché il generalissimo era sempre il generale francese Janin ancora in Estremo Oriente) e che sia il Pellé che il Piccione dipendevano soltanto e direttamente dal ministro della difesa nazionale2.

In detta occasione, e in due altre successive, il sig. Benes ha assicurato al nostro ambasciatore che avrebbe vigilato perché la posizione indipendente del generale Piccione fosse rispettata fino a che tutti i comandi superiori avessero potuto essere degnamente coperti da elementi nazionali senza partecipazione di elementi stranieri.

– IV –

Contrariamente a dette affermazioni il generale Piccione ha telegrafato3 che il 21 marzo il ministro della difesa gli ordinava di cedere il comando della Slovacchia orientale al generale francese Honoque4, che era incaricato di dirigere le operazioni già studiate dal generale Piccione in quel settore. Contemporaneamente il generale Pellé richiedeva al generale Piccione stesso l’ordine per le dette operazioni per poterlo esaminare.

Il generale Piccione ha vivamente protestato presso il Ministero della difesa nazionale, anche a mezzo del nostro incaricato d’affari a Praga, pregando che detti ordini venissero revocati e minacciando in caso contrario di lasciare il comando. Gli ordini sono stati momentaneamente sospesi.

– V –

In seguito ai passi fatti da S.E. Bonin il ministro degli affari esteri francese sig. Pichon rimetteva al nostro ambasciatore una nota5 colla quale, inviando copia degli accordi presi tra il Governo francese e czeco-slovacco circa la missione Pellé, pregava di dare istruzioni al generale Piccione in conformità di detti accordi.

Detti accordi sono due: il primo in data 26 gennaio tratta dei compiti della Missione militare e delle attribuzioni del generale Pellé.

La Missione ha il compito di organizzare e istruire l’esercito czeco-slovacco specialmente per la formazione:

a) del Ministero della difesa nazionale; b) dello Stato Maggiore generale dell’esercito; c) delle varie scuole di Stato Maggiore di ufficiali superiori, ecc.

3 Il telegramma di Piccione cui si fa riferimento è riportato nel T. 675/74 di Lago del 22marzo. Alla questione si richiama anche il T. 683/240.75 di Lago del 24 marzo.

4 Recte Hennocque.

5 La nota di Pichon (non pubblicata) è unita in copia al T. 119 GAB., del 24 marzo, di Bonin a Sonnino (qui D. 14).

Il generale di divisione (Pellé) capo della missione esercita le funzioni di capo di Stato Maggiore generale dell’esercito czeco-slovacco, supplente del comandante in capo.

In ciò egli è consigliere tecnico del ministro. Come supplente del comandante in capo, il generale di divisione capo della missione dipende dal maresciallo comandante in capo delle forze alleate, comandante supremo dell’esercito czeco-slovacco.

Il secondo documento in data 16 febbraio6 (cioè posteriore al precedente) regolarizza la detta dipendenza dell’esercito czeco-slovacco dal maresciallo Foch e dice (articolo III):

«Il maresciallo Foch esercita il comando supremo sulle truppe czeco-slovacche nelle medesime condizioni nelle quali lo esercita rispetto alle altre armate sul fronte occidentale».

In contrapposto ai patti stipulati circa la missione Pellé fra il Governo francese e quello czeco-slovacco, da parte del nostro Governo non è stato concluso nessun accordo al riguardo delle attribuzioni del generale Piccione.

Nel dicembre erano stati conclusi soltanto accordi verbali fra il ministro Benes e il generale Piccione, secondo i quali il generale stesso accettava il comando dei legionari czeco-slovacchi in Italia a patto però di non essere mai posto sotto gli ordini di altro generale alleato.

Il generale stesso, avendo pregato il ministro Benes di mettere tali accordi per iscritto, fu consigliato dallo stesso Benes, a mezzo del colonnello Fierlinger, di non insistere su tale preghiera, dandogli però i più ampi ed espliciti affidamenti in merito7.

Tali accordi verbali furono del resto confermati nel loro testo dallo stesso Benes in due successive conversazioni col nostro r. ambasciatore a Parigi, nei primi del corrente mese di marzo.

La situazione si è aggravata verso il 22 marzo in seguito al provvedimento deliberato dal Ministero della difesa czecoslovacco di sottrarre al generale Piccione il settore orientale della Slovacchia affidandone il comando ad un generale francese, e alla richiesta fatta dal generale Pellé al generale Piccione di avere in esame il progetto per le operazioni dal generale Piccione medesimo compilate.

Il generale Piccione ha protestato contro questa menomazione del suo prestigio minacciando di dimettersi qualora gli ordini non fossero ritirati.

Di fronte a tale intimazione gli ordini furono sospesi e furono intavolate trattative col ministro Masaryk8.

Ma, da un telegramma in data 27 marzo9, oggi pervenuto, risulta che il ministro Masaryk, facendo affidamento sulla arrendevolezza del generale Piccione, mentre conferma a quest’ultimo il titolo di comandante delle truppe in Slovacchia, conferma però praticamente gli ordini dati.

La situazione del generale Piccione diviene per tal modo insostenibile.

7 Così nel T. 750/96, del 26 marzo, di Lago al Ministero degli esteri.

8 Masaryk era in realtà il presidente della Repubblica cecoslovacca.

9 Si tratta del T. 770/100 di Lago alla Delegazione per la pace.

Passi fatti da S.E. il generale Diaz

Il giorno 29 corrente il maresciallo Foch intrattenne su questo argomento S.E. il generale Diaz e propose di chiarire la situazione mediante una riunione dei rappresentanti italiani, francesi e czeco-slovacchi, nella quale, esaminate le convenzioni rispettivamente stipulate dal Governo czeco-slovacco coi Governi italiano e francese, si cercasse una via di componimento.

S.E. Diaz ha riferito ciò a S.E. il presidente del Consiglio ed è rimasto convenuto che intanto S.E. Diaz avrebbe parlato col generale Stephánik ministro della guerra czecoslovacco.

L’abboccamento ha avuto luogo presso S.E. il generale Diaz ieri 30 corrente alle ore 17.30. Il generale Stephánik ha dichiarato:

1) Di non essere a conoscenza delle convenzioni stipulate dal Governo czecoslovacco con quello francese e di averne appreso l’esistenza solo in questi ultimi giorni;

2) Di ritenere che la contraddizione fra questa stipulazione e gli accordi presi col Governo italiano non sia intenzionale ma conseguenza di errore da parte del ministro Benes;

3) Che l’errore deve e può essere riparato e che egli si impegnava a trovarne la soluzione; 4) Che all’uopo avrebbe conferito stamane coi ministri Benes e Kramar dopo di che avrebbe riferito a S.E. Diaz.

Frattanto prima di congedarsi, il generale Stephánik ha concretato al generale Cavallero una bozza di accordo contenente i punti fondamentali di una possibile soluzione.

Tale bozza, che non ha assolutamente carattere impegnativo è acclusa alla presente memoria10 ed è stata stamane inviata al ministro Stephánik col foglio di accompagnamento pure qui unito11.

ALLEGATO

DELEGAZIONE ITALIANA PER LA PACE Sezione Militare

Bozza di accordo compilata dal generale Cavallero e dal generale Stephánik la sera del 30 marzo 1919 (N.B.: La bozza non ha alcun carattere impegnativo).

Suivant l’accord établi le ...

1) Le Maréchal Foch exerce le haut commandement sur l’armée Tchéco-slovaque dans les mêmes conditions et pour la même durée qu’il l’exerce vis-à-vis des autres armées alliées sur le front occidental.

8010 Vedi Allegato. 11 Non si pubblica.

2) A cet effet il peut déléguer son représentant à Prague.

3) A ce sujet, pour que la convention établie avec le Gouvernement français ne soit pas en contradiction avec la convention conclue préalablement avec la Gouvernement italien, il est entendu que:

a) le représentant du Maréchal Foch sera tenu au courant de toute opération en vue;

b) il transmettra au Général Piccione les communications du Maréchal Foch par l’entremise du Gouvernement Tchéco-Slovaque;

c) le Général Piccione est le commandant des armées de la République Tchéco-Slovaque soit de campagne que territoriales à l’est de la Morave et dépend exclusivement et directement du Gouvernement Tchéco-Slovaque.

79 3 Tomaso di Savoia, duca di Genova.

80 2 Vedi D. 19.

80 6 Recte 18 febbraio.

81

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 3240 SP. Parigi, 31 marzo 1919 (perv. stesso giorno).

Trasmetto a V.E. gli acclusi telegrammi1 del Comando Supremo e del nostro ufficiale di collegamento presso il Comando truppe Albania.

Il rifiuto del Governo serbo di far sgombrare le proprie truppe dai territori albanesi indebitamente occupati, la proposta del generale francese comandante il presidio di Cattaro di affidare ad una commissione italo-franco-serba2 l’incarico di inquirire sugli incidenti verificatisi alla frontiera serbo montenegrina, sono fatti intimamente connessi che di per se stessi toccano il nostro prestigio.

Per quanto riguarda lo sgombro dei riparti serbi dal suolo albanese, in attesa che il Comando truppe d’Albania predisponga i mezzi necessari ad ottenerlo con la forza, esprimo a V.E. l’avviso di tentare un ultimo atto presso il Governo francese facendo presente che l’evacuazione delle truppe serbe dall’Albania potrebbe essere ottenuta per intervento del Governo francese stesso presso quello di Belgrado, purché tale intervento sia effettivo ed immediato.

Ogni ritardo può essere fonte di inconvenienti gravi che è nell’interesse di tutti gli alleati di evitare.

In merito alla commissione che dovrebbe giudicare su gli eccidi di Plava3, esprimo avviso nettamente sfavorevole a che essa sia costituita con le modalità proposte

81 La nota fu inviata per conoscenza al presidente del Consiglio Orlando.

1 Non rinvenuti.

2 Il comando francese di Cattaro proponeva una commissione composta da un ufficiale italiano e uno serbo sotto la presidenza di un colonnello francese. Il Governo italiano propose invece una commissione con i rappresentanti delle quattro grandi potenze e in questo senso Bonin si attivò nei confrontidi Pichon (come da telegrammi a Sonnino 904/149 dell’8 aprile e 986/154 del 13 aprile).

3 Nel gennaio 1919 truppe serbe avevano attaccato le località albanesi di Gusinje e Plava, massacrando e costringendo alla fuga gli abitanti. Si veda anche D. 147.

dalle autorità militari francesi. Io ritengo che il rappresentante serbo dovrebbe essere escluso essendo esso parte giudicabile e non giudicante, e che se si ritiene necessario affidare ad una commissione l’incarico di definire responsabilità così gravi, questa non potrebbe essere costituita che dai rappresentanti delle quattro grandi potenze alleate.

In ogni caso gli atti della commissione dovrebbero essere preceduti dalla completa evacuazione dei serbi dall’Albania settentrionale.

82

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 93/41 RIS. Addis Abeba, 1° aprile 1919 (perv. il 4).

Console americano Aden, della cui missione ho riferito con mio telegramma

n. 38 del 2 marzo1, ha formulato al Governo etiopico seguenti quesiti:

1) Se il Governo etiopico intende inviare Parigi una missione speciale.

2) Quali ne saranno i membri.

3) Quale ne sarà lo scopo.

4) Quali sono le richieste che il Governo etiopico si propone di fare alla Conferenza della pace.

5) Se il Governo etiopico intenda introdurre nell’Impero le necessarie riforme per abolizione schiavitù e per riorganizzazione interna.

6) Se è disposto accettare dei consiglieri europei.

7) Quali misure intende di adottare per garantire sicurezza frontiera delle colonie confinanti.

8) Quali disposizioni intende prendere per reprimere brigantaggio e per garantire sicurezza, libertà, pace.

9) Quale atteggiamento assumerà Abissinia in relazione eventuale occupazione di Gibuti e della Somalia inglese da parte dell’Italia, anche quando la Lega delle Nazioni garantisse indipendenza Etiopia.

Le domande formulate dal console americano hanno vivamente impressionato Governo etiopico che si è finora astenuto dal rispondere categoricamente ma invece ha indetto tra i principali capi ed ufficiali presenti ad Addis Abeba una specie di «referendum» onde conoscere la loro opinione sulle domande suddette. I risultati di tale referendum non sono ancora ufficialmente noti, ma da quanto mi risulta le opinioni dei capi sono così contraddittorie e stravaganti da rendere ancora più difficili ed imbarazzanti le decisioni del Governo.

82 Il telegramma fu trasmesso via Asmara il 3 aprile. 1 Il T. 38 da Addis Abeba è in realtà del 22 marzo. Vedi serie sesta, vol. II, D. 925.

Ho però ragione di temere che sull’ultimo quesito riguardante cessione Gibuti all’Italia, la grande maggioranza capi sia per pronunziarsi assolutamente contraria, ed alcuni di essi avanzerebbero anzi pretesa che Gibuti debba essere ceduta all’Abissinia.

A parte quest’ultima pretesa, mi risulta che ras Tafari stesso ha accennato col console americano all’esistenza di un altro antico trattato stipulato tra il signor Lagarde2 e ras Maconnen, per il quale la Francia si impegnava non cedere ad alcuna potenza, tranne che all’Abissinia, i suoi possedimenti della costa somala e mi risulta d’altra parte che fu questo stesso ministro di Francia a rivelare a ras degiac Tafari esistenza di tale trattato allo scopo di indurre Governo etiopico ad unire le sue proteste alla ripulsa del Governo francese per la cessione di Gibuti all’Italia.

Quel che è certo è che questa Legazione francese sta facendo una tale campagna per sollevare contro noi la diffidenza e il sospetto dell’Abissinia quale non fu mai fatta nemmeno dalla Legazione di Germania durante la guerra.

Non mi è ancora possibile prevedere quale sarà atteggiamento e quali le decisioni che prenderà Governo etiopico, il quale ha pertanto sospeso invio missione Europa ed ha indetto per domani una grande riunione di capi per decidere sul da farsi.

83

L’AGENTE DIPLOMATICO AL CAIRO, NEGROTTO CAMBIASO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1239/113 RIS. Il Cairo, 1° aprile 1919.

Corre voce verrà fra breve annunziato qui il riconoscimento del protettorato britannico da parte di tutte le potenze. Ritengo mio dovere far presente che, se ciò può fino ad un certo punto chiarire la situazione e togliere illusione, in certi circoli egiziani vi è il pericolo reazione contro la colonia straniera e sopratutto contro la nostra, noto essendo che gli egiziani continuano a fondare ingiustificate speranze sull’appoggio morale dell’Italia. Nel caso voci siano esatte, converrebbe fare precedere nostro riconoscimento da dichiarazione ufficiosa per preparare opinione pubblica.

82 2 Lagarde, governatore di Gibuti, il 26 marzo 1897 ad Addis Abeba aveva stipulato una convenzione di frontiera e un trattato commerciale tra Francia ed Etiopia.

84

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE NELLA COMMISSIONE INTERALLEATA IN POLONIA, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 823/58. Varsavia, 1° aprile 1919 (perv. il 2).

Miei telegrammi n. 501 e 512.

Nel corso della seduta pomeridiana di ieri della nostra Commissione3, alle delegazioni operaie polacche chiedenti armi, munizioni ed equipaggiamenti per le truppe nazionali, capo della Missione militare francese annunziò formalmente avere suo Governo disposto invio dalla Francia in Polonia a partire da prossima data di due grossi treni al giorno caricati di materiali da guerra e di articoli ad uso dell’esercito. Generale Slittel(?)4 fece altresì rilevare sacrificio della Francia nel destinare a quei trasporti una così rilevante quantità di proprio materiale ferroviario di cui essa tanto scarseggia. A quanto pare quelle forniture verranno corrisposte a credito. Francia continua a svolgere, e con successo, attiva azione predominio influenza politica in Polonia. Accenno di sfuggita che nostro apparente disinteressamento è destinato a farci perdere qui fra breve anche i vantaggi dell’ottima piattaforma morale che tuttavia vi contiamo.

85

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 830/344. Vienna, 1° aprile 1919 (perv. il 2).

Per iniziativa colonnello Cunningham, capo missione militare inglese, ebbe luogo oggi presso generale Segre riunione con rappresentanti inglesi ed americani alla quale sono intervenuto. Cunningham comunicò in via riservata una relazione di fonte austriaca circa situazione. Tale relazione conferma situazione grave secondo notizie da me telegrafate. Essa conclude proponendo: 1) [aumento] invio viveri 2) occupazione Vienna con truppe inglesi ed americane. Missione inglese appoggiò tale punto di vista accennando altresì necessità che due treni viveri per settimana fossero messi disposi

2 Vedi D. 21.

3 Si tratta della Commissione interalleata d’inchiesta, che lasciò Varsavia appunto il 31 marzo.

4 Recte, forse, Niessel.

85 Il testo in arrivo a Parigi reca, rispetto alla minuta in partenza, alcune varianti e alcune cancellazioni poste qui tra parentesi quadre.

zione ferrovie[ri] e necessità che invio truppe sia fatto sotto pretesto garantire comunicazione ferroviaria con Stato czeco-slovacco e Polonia, o sotto altro pretesto, escludendosi qualsiasi apparenza di provvedimenti presi contro l’Ungheria per la quale elementi estremi simpatizzano. Generale Segre ricordò che questione invio viveri è legata anche funzionamento ferrovia Caravanche il cui esercizio è sospeso causa conflitti fra austro-tedeschi e jugoslavi. Circa questione invio truppe Segre ed io, pure ammettendone in massima opportunità, ci tenemmo riservati, soprattutto essendosi accennato soltanto invio truppe inglesi e americane. Segre ed io riteniamo invece che, se Vienna deve essere occupata, truppe italiane debbano far parte corpo occupazione, e comando truppe alleate debba essere tenuto da ufficiali italiani. Cunnigham avrebbe desiderato si facesse a rispettivi Governi telegramma concordato ma Segre ed io osservammo non essere ciò opportuno anche per assenza da riunione dei francesi e czechi. Domani Segre ed io avremo però conferenza analoga con locale ministro czeco Tusar da questi proposta. [Rappresentante americano dichiarò che egli prendeva parte seduta come semplice informatore e non aveva veste per manifestare giudizio.] Generale Segre invia analoga informazione a Comando Supremo1.

84 1 T. del 25 marzo, non pubblicato.

86

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

T. POSTA 983. Parigi, 1° aprile 1919.

Mi riferisco al telegramma n. 60 della R. Legazione in Belgrado qui allegato1. La risposta del signor Gavriloviƒ aggiunge indizio nuovo a quelli che facevano ritenere provocati dai serbi i recenti incidenti in Albania allo scopo di creare agitazione fittizia e pretesto non evacuare. Si rende pertanto necessario venire in chiaro circa supposta ignoranza accordo in base al quale Albania settentrionale dovrebbe essere occupata esclusivamente da truppe italiane. Voglia quindi segnalare al signor Pichon il procedimento inesplicabile del Governo serbo chiedendo in pari tempo conferma degli ordini di evacuazione che il generale Franchet d’Esperey avrebbe dovuto emanare. Sarà inoltre opportuno rinnovare almeno verbalmente le considerazioni contenute nel mio precedente telegramma n. 7332 circa le conseguenze e la responsabilità di tali procedimenti.

86 Il telegramma fu inviato per conoscenza anche all’Ambasciata a Londra ed al Ministero degliesteri a Roma. Vedi poi D. 133.

1 Vedi D. 6.

2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 887.

85 1 L’analogo telegramma di Segre al Comando Supremo, qui annunciato, è il T. 5123 del 2 aprile, e fu ritrasmesso alla DICP Sezione militare con T. Posta di Badoglio 3870 op. del 5 aprile (da Abano)che riporta anche un secondo T. 5168 es. op. di Segre del 2 aprile relativo al previsto colloquio con Tusar,alla presenza di Allizé, sugli stessi problemi.

87

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO DELL’INDUSTRIA, COMMERCIO E LAVORO, CIUFFELLI

T. POSTA 992. Parigi, 1° aprile 1919.

Mi si comunica che la attività che viene sviluppata dalle colonie inglese francese ed americana di Smirne è tutta intesa a scopo commerciale, mentre poco o nulla si farebbe da parte nostra. Prego V.E. volersi compiacere di farmi conoscere se qualche azione siasi da noi iniziata per la ripresa delle relazioni commerciali con quella piazza, e comunque predisporre l’opportuno perché tale ripresa possa avvenire quanto più presto e quanto più intensamente possibile1.

88

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 7305. Roma, 1° aprile 1919, ore 24.

Quest’Ambasciata britannica ha diretto una nota, di cui si acclude copia1, intesa ad ottenere che il R. Governo assuma a proprio carico un quarto della somma mensile occorrente al Governo della Russia del Nord per far fronte al disavanzo tra le entrate (98.000.000 di rubli) e le spese (284.000.000)2.

La quota mensile che l’Italia dovrebbe assumersi ammonta a rubli 2.500.000.

Prima di interessare il Tesoro al riguardo o di dare risposta alla nota inglese, pregasi V.E. di voler comunicare le sue istruzioni sull’argomento3.

2 Con Nota Gab. 19 del 31 marzo l’incaricato d’affari ad Arcangelo, Savona, comunicando ladisponibilità britannica a fornire assistenza finanziaria al Governo provvisorio del Nord, aveva sottolineato: «Data politica economica inglese verso la Russia tendente a diminuire carattere interalleato, partecipazione italiana sarebbe più desiderabile di prima».

3 Con T. 1196 dell’11 aprile Sonnino rispose richiamando l’opportunità di conoscere prima ilparere di Washington, trovandosi gli Stati Uniti nell’identica situazione dell’Italia nella questione.

87 1 Analogo sollecito, con più specifico riferimento alla ripresa della linea con Trieste, fu inviatoin pari data da Sonnino al Ministero dei trasporti con T. 1532. Vedi anche D. 159.

88 1 Non rinvenuta.

89

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, BORGHESE, A BUDAPEST

L. 997. Parigi, 1° aprile 1919.

Le rimetto qui accluse le copie di alcuni documenti1 che si riferiscono a decisioni prese dai capi dei Governi d’Italia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti d’America, cui fu comunicato il contenuto della lettera che ella mi diresse in seguito al suo colloquio con alcuni membri dell’attuale Governo ungherese.

Come Ella vedrà, nelle istruzioni impartite al generale Smuts è fatta esplicita menzione dell’armistizio di Villa Giusti quale punto di partenza della missione del generale Smuts. Tale convenzione è nei riguardi dell’Ungheria la sola che noi riteniamo valida, mentre quella conclusa dal generale Franchet d’Esperey è per noi inesistente: [essa venne del resto qualificata dallo stesso signor Pichon, in un colloquio col conte Bonin, come una gaffe del generale francese]2.

Ella vorrà tener presente quanto precede nelle sue comunicazioni con codesto Governo.

Il generale Smuts, che è un uomo di grande abilità e tatto, partirà per Budapest quanto prima, possibilmente questa sera stessa.

Richiamo l’attenzione della S.V. sull’art. 4 delle decisioni prese dai Governi alleati e La prego di dare l’esecuzione che esso comporta.

È rimasto inteso che, pur essendo il generale Smuts l’unico mandatario delle quattro potenze, V.S. dovrà portare la sua opera in modo che egli possa giovarsene nel compito che gli è stato affidato.

Le invio un cifrario K.21 per le ulteriori comunicazioni telegrafiche che occorressero.

2 Annotazione manoscritta a margine: «questo per lei solo», con riferimento alla frase posta traparentesi quadre.

89 1 Si tratta delle istruzioni del Comando Supremo alleato al generale Smuts e della relativacomunicazione al generale Franchet d’Esperey (allegate al resoconto della seduta del Consiglio dei quattro del 1° aprile, qui D. 90), nonché del testo della nota in francese inviata a Wilson, Lloyd George e Clemenceau il 29 marzo, con la traduzione della lettera di Borghese a Sonnino del 25 marzo (pubblicata neltesto originale italiano in D. 26).

90

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 1° aprile 1919.

Il presidente del Consiglio ha avuto dapprima un colloquio con il presidente Wilson da solo a solo alle ore 10.35.

Il presidente Orlando ha cominciato col far rilevare che fra poco il Consiglio dei quattro avrà regolato le questioni territoriali concernenti la Francia e che l’opinione pubblica in Italia avrebbe considerato intollerabile se contemporaneamente non fossero risolte le questioni concernenti l’Italia. Il presidente Wilson rispose essere d’accordo che insieme con la pace con la Germania dovevano essere risolte tutte le altre questioni (accennò alla pericolosa situazione nei Balcani), comprese naturalmente le questioni italiane. Egli aveva anche recentemente sollecitato i suoi tecnici in proposito, ed aveva avuto occasione di far loro modificare più volte alcune carte che essi gli avevano presentato e di cui due, come si poteva vedere, si trovavano nella camera stessa dove egli parlava. Soggiunse che non gli sembrava un male che le cose italiane fossero risolte dopo le francesi perché così il popolo italiano si sarebbe reso conto che le varie questioni avevano una soluzione eguale per tutti, e cioè basate sugli stessi principi generali contemplati nei quattordici punti.

Il presidente Orlando fece osservare che per quanto si riferiva all’Austria Ungheria i punti che la riguardavano dovevano considerarsi sotto diverso aspetto dopo la dissoluzione della Duplice Monarchia. Tanto è vero che lo stesso presidente Wilson nel-l’ottobre del 1918 non aveva creduto accedere alle offerte del Governo austro-ungarico per la loro applicazione, considerando essere esse state sorpassate dagli avvenimenti.

Il presidente Orlando prese poi ad accennare alle difficili condizioni in cui si trova l’Italia anche come vettovagliamento. Mentre oggi in Francia si levano tutte le limitazioni, in Italia, egli disse, si ritorna oggi stesso al pane nero. Né il problema del carbone per l’Italia era meno grave.

Il presidente Wilson rispose che in America esisteva tutto il carbone che poteva occorrere e che sembrava vi fosse qualcuno che metteva bastoni nelle ruote per rendere impossibile che si avviasse un largo traffico tra l’Italia e l’America.

Il presidente Orlando venne allora a parlare della equità che si trovasse qualche riserva di carbone per l’Italia che ne era affatto priva. Ricordò che il signor Loucheur parlava della necessità per la Francia di importare 22 milioni di tonnellate. Ora, la Francia ne possiede già 20 milioni. Alla Francia sono state assegnate le miniere della Saar; sarebbe equo trovar modo di riparare alla assoluta deficienza dell’Italia. E parlò del bacino di Eraclea come l’unico che poteva prestarsi a questo scopo.

Il presidente Wilson non mostrò di conoscere l’esistenza di questo bacino, chiese informazioni sulla sua importanza e riconobbe che, se anche ora servisse a bisogni locali, un maggiore e migliore sfruttamento avrebbe permesso una fruttuosa esportazione.

90 Conversazioni Orlando-Wilson e riunione del 1° aprile del Consiglio dei quattro. Cfr. MANTOUX, vol. I, pp. 105 sgg. e RAC, nn. 206-209.

Il presidente Orlando narrò al presidente Wilson gli accordi intervenuti con la Gran Bretagna per la sostituzione di truppe italiane a quelle inglesi nel Caucaso e fece conoscere che i popoli della Georgia si erano mostrati favorevoli ad una occupazione militare italiana di questa specie.

Essendo intervenute altre persone la conversazione a due terminò.

***

Nella riunione a quattro che susseguì si esaminò e si definì la questione delle istruzioni da darsi al generale Smuts che partirà questa sera stessa per Budapest. Furono formulati e firmati i documenti qui acclusi in copia e cioè: 1) una lettera del presidente Clemenceau al generale Smuts1; 2) un esemplare delle istruzioni a lui dirette e firmate dai quattro capi dei Governi2; 3) un telegramma del presidente Clemenceau al generale Franchet d’Esperey che lo informa dei due documenti precedenti3.

La conversazione proseguì poi senza ordine, toccando tutte le principali questioni pertinenti al trattato di pace.

Il presidente Orlando ha dedotto in primo luogo che il presidente Wilson ha segrete comunicazioni con i tedeschi ai quali forse fa conoscere di mano in mano le decisioni prese a Parigi per assicurarsene forse la loro approvazione preventiva. Così egli ha comunicato un memorandum proveniente da fonte ufficiale tedesca circa i desiderata tedeschi per alcune modalità che si riferiscono alla forma dei pagamenti nella questione delle riparazioni. Wilson sapeva ancora che i tedeschi erano molto preoccupati per la questione di Danzica ed era sicuro che non si sarebbero opposti che il passaggio delle truppe polacche si facesse attraverso la Germania da qualche punto sul Reno come per esempio Strasburgo.

Qui fu fatto entrare il maresciallo Foch e fu deliberata la seguente risoluzione: «Nel caso che le autorità germaniche dicano per iscritto che esse ammettono completamente il loro obbligo derivante di permettere il trasporto delle truppe del generale Haller attraverso Danzica e Thorn, il maresciallo ha istruzioni di considerare una proposta per il diretto ed immediato trasporto in Polonia di queste truppe per ferrovia, partendo da un punto che si trovi sotto controllo degli Alleati sul Reno».

La portata di queste risoluzioni è che Foch non abbia a suggerire alcun temperamento ma che, se i tedeschi offrono la via di terra, Foch è autorizzato ad accettarla.

Successivamente entrò il ministro Klotz e si deliberò che i tecnici finanziari si riuniscano al più presto per presentare le loro risoluzioni possibilmente alle sedici di oggi stesso.

***

Nella seduta del pomeriggio alle ore sedici risultò che, per equivoci circa il luogo della riunione, i tecnici finanziari non si erano potuti radunare. Essi allora si riunirono subito nella stessa casa del presidente Wilson. Si seppe intanto che i tecnici inglesi ed americani avevano lavorato insieme ed erano giunti quasi ad un accordo

2 Vedi Allegato.

3 Non si pubblica.

sul quale occorreva ottenere l’assenso francese. Il principio informatore era il principio che si doveva richiedere ai tedeschi un’obbligazione di massima di accettare di dare riparazioni su determinate categorie di danni, stabilire la potenzialità di pagamento della Germania, ma lasciare a tempo ulteriore la indicazione specifica delle singole cifre pei singoli danni. Essendo stato comunicato che il ministro Klotz desiderava includere nel trattato di pace la somma annuale da pagarsi dalla Germania, il presidente Clemenceau si recò a conferire personalmente con Klotz su questo punto.

Si venne poi a parlare della questione di Danzica. Prevalse l’idea di Lloyd George che Danzica fosse città e porto libero sotto l’unione economica con la Polonia, con incluso eventualmente, secondo i risultati di un plebiscito, il distretto di Marienwerder. Il tutto sotto la protezione della Lega delle Nazioni.

Clemenceau disse che voleva sentire Pichon, ma intanto la questione fu risolta in questo modo, dandosi però incarico ad un perito inglese di redigere la formula della decisione.

Clemenceau confermò la sua adesione per quanto riguarda la questione del Reno (garanzia anglo-americana fino a che si mostri effettiva quella della Lega delle Nazioni). Clemenceau disse che i militari erano contrari. Egli aveva voluto far venire Foch perché esprimesse il parere dei militari, ma come Governo aveva preso una decisione.

Wilson dichiarò poi che le questioni si debbono risolvere tutte insieme. Occorre sistemare, con la questione germanica, la questione rumena, czeca, ungherese, essendo urgente questo si faccia. Occorre perciò dare istruzioni alle varie commissioni perché si attengano ai principi già applicati.

Lloyd George manifestò l’opinione che si può in concreto considerare che entro questa settimana saranno concluse le questioni francesi. Di poi si dovrà consegnare il materiale ai redattori e fra una settimana e mezzo o due si arriverà alla terza fase, cioè alla comunicazione ai tedeschi.

Il presidente Orlando intervenne per affermare che approvava, soggiungendo che occorre concludere tutto. Disse testualmente: «Concordo pienamente con ciò che il presidente Wilson ha detto; cioè che si dovesse concludere la pace con tutti i paesi, inclusi quelli che interessano l’Italia. L’Italia considera ciò imprescindibile e necessario. Non posso tornare al mio paese con la pace conclusa per altri e non per noi».

Clemenceau chiese allora se il presidente Orlando era pronto ad iniziare la discussione delle cose che lo concernevano anche domani.

Il presidente Orlando rispose di sì.

Lloyd George dichiarò allora che i problemi italiani potevano essere affrontati al principio della settimana prossima.

Dopo si parlò dell’Anatolia.

Lloyd George osservò che occorre considerare se, dato che le regioni dell’Anatolia restino a rappresentare l’Impero turco, sia prudente che il mandatario dell’Anatolia sia lo stesso di quello di Costantinopoli. Espresse avviso contrario. Ciò lascerebbe il Califfato a Costantinopoli con gravi inconvenienti.

Il presidente Wilson escluse esso pure l’opportunità di un mandato comune alle due regioni.

Si parlò poi di Smirne. Wilson non si dimostrò contrario a darla ai greci, con un minore retroterra possibile.

Si decise che la prossima riunione avrebbe luogo domani alle ore 11 e che si tratterebbe delle responsabilità degli autori della guerra e delle relative sanzioni.

ALLEGATO4

REVISED INSTRUCTIONS TO GENERAL SMUTS (To supersede the instructions dated April 1, 1919)

Parigi, 2 aprile 1919.

To proceed to Hungary in order to examine the general working of the armistice concluded at Villa Giusti on November 3, 1918, and of the Military Convention of November 13, 1918, and in particular the arrangement made by the Supreme Council for providing a neutral zone between Roumanian and Hungarian troops in Transylvania. In this connection it will be the duty of General Smuts to explain to the Hungarian Government the reasons for which the zone was established, and to make it clear that the policy was adopted solely to stop bloodshed and without any intention of prejudicing the eventual settlement of the boundaries between Hungary and Roumania. This subject has not yet been adequately considered, and will not be finally settled till the signature of the Treaty of Peace.

General Smuts may make any adjustment in the boundaries of the neutral zone or the method of its occupation by allied troops which he thinks will further the objects of the allied and associated Governments.

It will further be the duty of General Smuts to investigate the treatment of the allied Missions in Budapest since the recent change of Government.

General Smuts has full discretion to proceed to any place whether in Hungary or elsewhere, and to take any steps which may enable him to carry out those objects or others closely connected with them.

He will report fully to the Supreme Council.

Note: The word underlined have been added to the original instructions.

90 1 Non rinvenuta.

91

RELAZIONE DEL COLONNELLO CAFORIO DELLA MISSIONE ITALIANA PER L’ARMISTIZIO A VIENNA

Vienna, 1° aprile 1919.

Il signor dottor Singalewicz ex deputato ucraino al Parlamento austriaco, attualmente ministro a Vienna dell’Ucraina occidentale e membro della Missione di liquidazione degli ex Ministeri della guerra e delle finanze, è stato ricevuto il 30 marzo

91 Non risulta il destinatario di questa relazione, molto probabilmente il capo di S.M. dell’Esercito, Diaz.

dal signor colonnello cav. Alberti, alla presenza del sottoscritto, per riferire sull’attuale situazione in Ucraina, allo scopo di interessare l’Italia in suo favore.

Il signor colonnello Alberti ha premesso che la Commissione italiana d’armistizio, avendo scopi militari e non politici, non avrebbe potuto ascoltare il signor Singalewicz che in via tutt’affatto privata. Dopo di che il dottor Singalewicz ha riassunto la situazione attuale in Ucraina, ove come è noto si ha la Grande Ucraina, ad eccezione del triangolo meridionale ad occidente di Odessa, invasa dai bolscevichi, e l’Ucraina occidentale teatro di lotta tra i polacchi ed ucraini.

Allo scopo di evitare ulteriore spargimento di sangue, il Congresso della pace a Parigi aveva proposto un armistizio fra i combattenti ma le trattative continuano tuttora molto contrastate. Le richieste polacche, che impongono il ritiro delle forze ucraine al di là dei fiumi Bug e Stripa, sono ritenute da costoro eccessive, perché significherebbero, oltre l’abbandono di Leopoli, di Stanislau (sede del Governo dell’Ucraina occidentale), della fortezza di Halusch ecc., anche di tutta la Galizia che, per il continuo contatto con la cultura occidentale, viene considerata dagli ucraini il cervello della nazione.

Essi sono intransigenti in proposito, ed a loro volta dichiarano che solo a condizione che i polacchi si ritirino nei loro territori al di là del San, sono disposti a concludere un armistizio.

Lo Singalewicz afferma che ad armistizio concluso gli ucraini si impegnerebbero di spazzare colle proprie forze tutto il rimanente territorio dei bolscevichi, poiché verrebbero così ad avere disponibili le migliori truppe che si trovano attualmente impegnate di fronte ai polacchi. Esse andrebbero a congiungersi con quelle del generale Petljura che si trova a 33 verste da Kiev e verrebbero a minacciare alle spalle le forze bolsceviche che cercano di penetrare nella Galizia.

Le condizioni interne della Grande Ucraina, benché come si è detto essa sia completamente invasa dai bolscevichi, non sono, secondo l’opinione del ministro, così preoccupanti come apparirebbero a prima vista. La popolazione di quelle regioni solo per ignoranza e per timore di rappresaglie ha aderito agli allettamenti bolscevichi, giacché questi sono entrati in Ucraina spacciandosi per i vincitori dei tedeschi e del famigerato Skoropadskij (generale russo vendutosi ai tedeschi); ma la notizia del-l’avvicinarsi di un esercito nazionale liberatore basterebbe da sola ad avvicinare il momento della riscossa.

Un fattore di enorme importanza e che avrebbe un effetto quasi magico sulle masse ucraine sarebbe il riconoscimento da parte dell’Intesa della nazione ucraina. Su questo punto, il ministro ha particolarmente insistito.

Sulla situazione nemica il dottor Singalewicz ha accennato che le forze bolsceviche sarebbero suddivise in due gruppi dislocati nei pressi di Geisin e di Vasilkov: il primo è comandato da Klosboroskij e punta verso la Romania; il secondo da Gudrow e cerca di penetrare in Galizia. Le loro forze ascenderebbero in complesso a circa 170.000-190.000 uomini e disporrebbero di abbondantissime munizioni.

Il ministro ucraino ha quindi concluso invocando l’interessamento dell’Intesa e specialmente la protezione dell’Italia in favore della propria nazione mettendo in rilievo:

1) lo speciale interesse che l’Italia avrebbe a favorire gli ucraini per cattivarsene la riconoscenza e garantirsi così una sicura sfera di influenza commerciale in quella regione ove già il nome italiano è conosciuto;

2) l’interesse che tutta l’Intesa avrebbe ad aiutare gli ucraini a scacciare i bolscevisti dal proprio territorio in vista della minaccia che incomberebbe sul resto d’Europa qualora i bolscevisti russi effettuassero la loro unione con quelli ungheresi.

Sul particolare aiuto che l’Ucraina invoca dall’Italia, il dottor Singalewicz ha concretato le seguenti richieste:

— -appoggio della causa ucraina al Congresso della pace; — -invio di munizioni e di medicinali; — -eventuale invio di qualche ufficiale superiore.

Alla fine della seduta il colonnello Alberti ha ringraziato il dottor Singalewicz delle notizie fornite ma, ricordando quanto aveva premesso all’inizio, ha espresso il voto che i rappresentanti ucraini presenti a Parigi possano con eguale efficacia perorare la propria causa e disporre in proprio favore i membri del Congresso della pace1.

90 4 Si pubblica il testo definitivo come modificato il 2 aprile con l’aggiunta delle parole sottolineate, come risulta dall’avvertenza iniziale e dalla nota in calce. Avvertenza delle modifiche al testo fu anche trasmessa da Sonnino a Macchioro con T. 364 del 3 aprile.Il documento è firmato da W. Wilson, G.Clemenceau, D. Lloyd George e V.E. Orlando.

92

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO E ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

NOTA 18408 G.M. Comando Supremo, 1° aprile 1919.

Nel trasmettere l’annessa relazione di S.E. Grazioli1 che riassume la situazione politico-economica di Fiume in rapporto all’azione svolta dalla Francia e dall’Inghilterra, si richiama l’attenzione dell’E.V. sulle seguenti questioni:

1) La base francese, creata col pretesto di rifornire l’Esercito d’Oriente, serve in realtà per ricostituire il nuovo esercito serbo-jugoslavo e per inviare merci all’interno, a scopo commerciale.

Le autorità francesi mirano ad estenderla sempre più, appoggiate dalle autorità inglesi.

2) Il controllo interalleato delle ferrovie che uniscono Fiume all’interno, già proposto da S.E. Grazioli ed accettato dai comandanti dei contingenti alleati e dallo stesso gen. Franchet d’Esperey, non è ancora stato messo in opera per l’ostinata opposizione che vi fanno ora i generali Savy (francese) e Gordon (inglese). Così le ferrovie sono ancora adesso in mano ai francesi, i quali se ne servono per accaparrare i mercati jugoslavi e balcanici.

92 La nota fu inviata per conoscenza anche al Gabinetto del Ministero degli esteri a Roma.

1 La relazione di Grazioli a Badoglio è in data 21 marzo. Non si pubblica.

È da rilevare che il controllo interalleato delle ferrovie che fanno capo a Fiume, oltre che a mettere l’Italia — come di diritto — in condizioni pari a quelle della Francia e ad impedire che i traffici ed il commercio nella regione balcanica ed ungherese e nell’immediato retroterra di Fiume divengano monopolio francese, sarebbe altresì utilissimo in relazione alle misure di sicurezza prese di recente, per avere verso la Serbia e la Jugoslavia qualche tentacolo che possa esplorare la situazione.

3) Coi piroscafi ex austriaci, requisiti per soddisfare a pretesi bisogni dell’Esercito d’Oriente, la Francia ha costituito delle vere linee di navigazione, che, essendo tutelate dalla bandiera francese, favoriscono il contrabbando con gli jugoslavi.

4) Molte merci giungono a Fiume dall’Italia, ma per le difficoltà monetarie e per l’ostilità degli jugoslavi che non permettono scambio di merci con l’Italia, è stato necessario porre un freno alla esportazione, mentre la Francia commercia liberamente col retroterra.

5) La Francia e l’Inghilterra osteggiano l’invio di nostri ufficiali in missione all’interno, mentre invadono ogni regione con le loro missioni militari, politiche, commerciali. Poiché nessuna difficoltà reale si opporrebbe alla presenza di nostri rappresentanti, sarebbe opportuno intensificare l’invio all’interno, per bilanciare l’attività svolta dagli alleati.

6) Molti ufficiali e soldati serbi-jugoslavi entrano in Fiume con passaporti francesi. Poiché, tale fatto può compromettere l’ordine pubblico, sarebbe opportuno che la facoltà di concedere passaporti per il territorio da noi occupato fosse devoluta esclusivamente al comandante del corpo d’occupazione o quanto meno a commissioni interalleate.

7) Anche gli americani proteggono apertamente gli jugoslavi contro gli interessi italiani.

91 1 Quasi contemporaneamente (2 aprile) il console a Kiev dava notizia di un ultimatum (fissatoall’11 aprile, ma successivamente spostato al 21 dello stesso mese) presentato dal Governo di Kiev aiconsoli stranieri, per il riconoscimento ufficiale della Repubblica ucraina socialista dei sovieti.

93

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO

T. 352. Parigi, 2 aprile 1919.

Ad ogni buon fine informo V.S. che dopo varie conversazioni del conte Bonin con il signor Benes e col generale Stefánik e del generale Cavallero col generale Stefánik, signor Benes ha promesso inviare fra breve al regio ambasciatore Parigi un incarto completo circa le missioni Piccione e Pellé e gli accordi che le concernono.

Frattanto avendo il signor Pichon per mezzo del conte Bonin1 comunicato al Regio Governo gli accordi intervenuti con il Governo czeco-slovacco, per i quali le truppe czeco-slovacche sono messe sotto comando supremo maresciallo Foch, e avendo chiesto che essi venissero notificati d’urgenza al generale Piccione, ho dato

istruzioni al regio ambasciatore in Parigi di rispondere in via preliminare al signor Pichon: che generale Piccione si trova in Slovacchia in seguito accordi presi col Governo czeco-slovacco anteriormente a quelli comunicatici dal Governo francese; che tali accordi creando al generale Piccione posizione indipendente dal generale Pellé, prima dare qualsiasi istruzione al generale Piccione Governo del re desidera chiarire le cose con Governo di Praga2.

93 1 Vedi D. 14.

94

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMANDANTE IN ALBANIA, S. PIACENTINI, A VALONA

T. 355. Parigi, 2 aprile 1919, ore 18.

Continuano dissensi fra membri delegazione albanese specialmente per contegno arbitrario dottore Tourtolis e Mehmed Konitza. Questi ultimi svolgono azione propria all’insaputa degli altri membri e danneggiano prestigio e reputazione Governo provvisorio e delegazione. Intanto altri gruppi a tendenze varie approfittano per esautorare delegazione ufficiale a vantaggio delle mene serbe e greche. Delegazione venuta da Costantinopoli1 non ha mai chiarito fonte e scopi sua azione. Essad prepara protesta contro Governo provvisorio e suoi rappresentanti qui. Da Romania e da America sono giunte o annunziate altre delegazioni delle quali si ignorano intenzioni. Linea di condotta chiara si rende necessaria mentre si avvicina periodo decisivo Congresso.

Prego voler incaricare colonnello Lodi di rappresentare quanto sopra a membri Governo provvisorio e suggerire di telegrafare alla delegazione perché esca da equivoco invitandola confermarsi precedenti decisioni circa collaborazione con azione italiana. Potrà inoltre consigliare che Governo provvisorio chieda invio a Durazzo di alcuno dei membri per riferire.

93 2 In questo senso Bonin inviò a Pichon una Nota in data 3 aprile, dandone notizia in copia aSonnino con T. Gab. 139 dello stesso giorno.

94 1 Si tratta della delegazione presieduta da Halil pascià. Sulla questione si veda poi D. 135.

95

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO, BIANCHERI

T. 357. Parigi, 2 aprile 1919.

Telegramma di V.S. n. 6671.

Prego comunicare Ministero marina, comando Rodi, Ambasciata Costantinopoli che non trovo interamente opportuno proclama comandante Ciano che ha menzionato fra altro Stati Uniti che non sono in guerra con Turchia. Occorre evitare che tale proclama abbia qualsiasi pubblicità. Mi riservo far conoscere se nostre forze Adalia debbono essere poste agli ordini del generale inglese che ha il comando supremo in Asia Minore. Prego comunicare a Costantinopoli se non fu già fatto telegramma 667 summenzionato2.

96

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 360. Parigi, 2 aprile 1919, ore 8.

Rispondo suo telegramma n. 46 Gabinetto1.

Convengo nelle considerazioni esposte da V.S.2. Sarà però preferibile consigliare che popolazione musulmana manifesti desiderio seguire sorte Costantinopoli.

2 Con T. Gab. 72 del 3 aprile Biancheri comunicò a Elia ed a Sforza il telegramma di Cianoinsieme con il parere negativo di Sonnino sopra riportato. Con successivo T. Gab. 246 del 6 aprile, daRodi, Elia diede notizia che Ciano aveva provveduto a ritirare in via confidenziale dal mutasserif il proclama originale, sostituendolo con un altro identico senza l’errata menzione degli Stati Uniti.

2 Si riferisce alla questione dell’eventuale creazione di un Governo provvisorio della Tracia.

95 1 Più esattamente il riferimento è al T. 809/66 del 31 marzo, di Biancheri a Sonnino (qui D. 74).

96 1 Vedi D. 45.

97

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 2669 A. OP. [Abano], 2 aprile 1919.

Riassumonsi conclusioni relazione Segre e verbali commissione inchiesta Lubiana1 riferendoci al telegramma n. 4223 bis SP.2 codesta Delegazione e a nostro 17690 G.M. data 2 marzo3. Primo: Non venne concessa alcuna pubblica riparazione o scuse: nella comunicazione diretta al generale Smiljaniƒ la commissione «a l’honneur de faire savoir au général Smiljaniƒ commandant la division de la Drave qu’il a excedé ses pouvoirs en invitant cette quitter Lioubljana». Secondo: Nulla è stato accordato relativamente incidente Saloch. Terzo: Nostra missione rientra Lubiana con altri ufficiali che non quelli arbitrariamente allontanati: essa comprende anche ufficiali alleati, suoi compiti sono strettamente definiti escludendo quanto può avere riferimento a esecuzione armistizio. Quarto: Nulla è imposto pel ricevimento della nostra delegazione all’atto suo arrivo a Lubiana; questo invece avverrà presenti generale inglese e francese. Verbalmente Smiljaniƒ è stato officiato per suo ricevimento. Complessivamente soddisfazione e riparazione concesseci sono assai inferiori nostre richieste già pur esse eque e miti. Confermasi opposizione assoluta e sistematica generali alleati loro affermazioni cui nostro precedente 2647 data trentuno marzo4 (nome ivi mancante, ove parlasi buon diritto Jugoslavia, è generale americano). Rilevasi che, contrariamente preciso ordine convocazione, commissione non ha fatto intimazioni ad autorità serbo-jugoslave circa eventualità ripetersi incidenti del genere. Sembra però a questo comando, ciò nonostante, situazione sconsigli non accettazione da parte nostra deliberati del genere. Ciò non esclude naturalmente azione Governo su Governi alleati per inopportune e ingiuste affermazioni generale Treat e Gordon per risultati generici commissione dalla quale venne tenuto così scarso conto delle nostre giuste ragioni. Pertanto questo comando, salvo ordine contrario Governo, emanerà, oggi due, ordine riapertura frontiera. Maggiore De Giorgis proseguì ieri sera per Parigi latore relazione e verbali commissioni.

97 Il telegramma fu trasmesso in copia per conoscenza alla PCM (Gab.) e al MAE (Gab.) con

F. 3472 del 3 aprile con la seguente postilla: «avvertendo che il Comando Supremo ha notificato con telegramma 2679 A. OP. del 2 corrente che la frontiera è stata riaperta alle ore 24 del giorno 2 aprile 1919».

1 Sugli incidenti di Saloch e Lubiana vedi serie sesta, vol. II, D. 473, nota 1. La Commissioneinteralleata d’inchiesta, nominata l’8 marzo, era composta dai generali Gordon (Gr. Br.), Savy (Francia),Treat (USA) e Segre (Italia).

2 Non rinvenuto. 3 Vedi serie sesta, vol. II, D. 605. 4 Non rinvenuto.

98

L’AGENTE A GERUSALEMME, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1250/287. Gerusalemme, 2 aprile 1919 (perv. il 3).

È qui arrivato signor Glazebrook già console americano. Egli mi ha detto che d’accordo con Governo inglese riassume ufficialmente rappresentanza americana inglese e italiana1. Per quanto si riferisce a queste pratiche saranno iniziate da parte Agenzia diplomatica spagnola con la nostra Agenzia diplomatica Cairo.

Glazebrook sparge voce essere incaricato Governo americano di una inchiesta sulle condizioni politiche Palestina. Ricevette visita notabili arabi e dette assicurazione non essere vero che America è favorevole sionismo; aggiunse essere amico personale Wilson al quale non mancherà prospettare impossibilità pretese sionisti.

Tali affermazioni producono sensazioni in questi circoli ove udii tosto prospettare idea chiedere protezione americana.

99

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 467. Londra, 2 aprile 1919.

Professore Pardo raccomandò ieri l’altro a sottosegretario di Stato per gli esteri favorevole soluzione questione nostre importazioni in Inghilterra. Egli mi riferisce che argomento da lui usato con maggior successo fu quello relativo alle possibili conseguenze, di natura piuttosto politica, che deriverebbero da eventuali misure restrittive inglesi a nostro riguardo1, stante che nostre esportazioni, in mancanza del mercato inglese, si avvierebbero necessariamente in Germania.

Poiché credo utile interessare all’importante questione anche il presidente della Commissione consultiva sul regime temporaneo delle importazioni, nominato di recente dal Board of Trade, cercherò di vederlo assieme al prof. Pardo.

98 1 Con T. 392 dell’8 aprile Sonnino comunicava queste informazioni alle Ambasciate a Parigi,Washington e Londra aggiungendo: «Mentre è ovvio che Glazebrook non può assumere nessuna rappresentanza italiana, prego V.E. chiarire quale sia carattere sua missione a Gerusalemme». Sulla questionevedi poi D. 165.

99 1 Il riferimento è all’eventuale ritiro delle concessioni fatte con l’accordo del 28 marzo 1918 per la libera importazione di alcune merci italiane in Inghilterra. Sulla questione si veda il T. 764/188 del27 febbraio di Imperiali (in serie sesta, vol. II, D. 546). Rispondendo ad Imperiali con Nota 894 del 27marzo, Sonnino osservava tra l’altro: «A noi preme che l’accordo 28 marzo 1918 sia mantenuto semprein vigore, fin quando sussistano le condizioni che hanno determinato il controllo sulle importazioni daparte di quasi tutti gli Stati, per godere delle libertà e delle garanzie che furono a noi riconosciute da quel-l’accordo nell’interesse del nostro commercio».

100

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

PROMEMORIA. Parigi, 2 aprile 1919.

PROMEMORIA PER IL SIGNOR PRESIDENTE WILSON

Il fabbisogno mensile di carbone per l’Italia può essere calcolato ad un milione di tonnellate. Non appena la trasformazione ed il trapasso dalle industrie di guerra a quelle di pace sarà compiuto non vi ha dubbio che esso non potrà che accrescersi, mentre d’altro canto ove ciò non fosse possibile se ne avrebbe una notevole contrazione nella produzione con conseguente disoccupazione e ripercussione nell’ordine pubblico.

Per questo fabbisogno l’Italia è totalmente tributaria dell’estero, essendo costretta a ritirare il carbone principalmente dall’Inghilterra, ed in parte dalla Germania. E bisogna pure tener conto della necessità di un’equa distribuzione fra gli alleati dei vantaggi di carattere minerario in seguito alla guerra.

Per non citare altro, il diritto di sfruttamento delle miniere della Sarre alla Francia, le regioni petrolifere di Mesopotamia attribuite all’Inghilterra, debbono comportare qualche compenso all’Italia, per quanto Eraclea come importanza non sia paragonabile ai detti vantaggi acquisiti dagli alleati.

È cura odierna degli uomini di Stato italiani cercare di diminuire le preoccupazioni che l’Italia ebbe durante la guerra per la totale mancanza di carbone. Il sollievo che l’Italia ricaverebbe dalla possibilità di possedere un proprio giacimento carbonifero potrebbe rappresentare, sotto un certo punto di vista, anche un principio di parziale indennità dei gravi danni economici e finanziari da essa sopportati durante la guerra.

Tale possibilità potrebbe aversi, ove, nella zona da affidarsi all’Italia in Asia Minore, fosse compreso il bacino carbonifero di Eraclea. Il bacino carbonifero di Eraclea non è ancora completamente studiato e sfruttato, e non se ne conoscono tutte le precise risorse. Nel 1911 si era giunti ad una produzione annua di 750.000 tonnellate (di non ottima qualità) e si crede che intensificando il lavoro si potrebbe arrivare ad una produzione di un milione di tonnellate all’anno, cioè 1/12 del fabbisogno del-l’Italia.

Tuttavia con sacrificio di capitali e di mano d’opera italiana si potrebbe sperare di superare, in qualche anno di intensa attività, la massima produttività oggi raggiungibile e che, pur rappresentando come si è visto una quota minima di fronte al fabbisogno totale, pur tuttavia gioverebbe a sollevare parzialmente l’Italia da uno dei suoi più gravi tributi, varrebbe a far fronte all’incremento delle industrie e potrebbe costituire una riserva ed avrebbe anche qualche piccola benefica ripercussione sulla questione del cambio. Attualmente sono concessionari dello sfruttamento di Eraclea un

100 Si tratta della bozza di un promemoria per Wilson preparata da Crespi e da lui consegnata aOrlando la mattina del 2 (come risulta da CRESPI, p. 380). Ma esso ha origine, molto probabilmente, nelcolloquio Wilson-Orlando del 1 aprile (vedi D. 90), nel corso del quale si era discusso dell’interesse italiano per il bacino carbonifero di Eraclea, sul cui conto il presidente americano aveva chiesto informazioni.

gruppo italo-francese (nel quale peraltro il capitale italiano rappresenta un’esigua minoranza), un gruppo tedesco, un gruppo turco. Vi è anche un piccolo gruppo greco di importanza trascurabile.

È ovvio che le concessioni tedesche e turche dovrebbero passare ipso iure all’Italia in acconto delle indennità che i nemici le dovranno versare.

Quanto alla quota francese ed al gruppo greco si ritiene possibile un accordo di carattere finanziario.

L’Italia assicurerebbe il rifornimento di carbone alle navi di passaggio.

101

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 2381 RR. Roma, 2 aprile 1919 (perv. il 6).

Richiamo tutta l’attenzione dell’E.V. sulla unita lettera1 che, circa la situazione in Tripolitania, ho creduto necessario inviare a S.E. il generale Diaz in seguito ad una sua comunicazione al ministro della guerra nella stessa lettera trascritta.

È superfluo che io mi indugi sulla estrema gravità e delicatezza dell’argomento, anche dal punto di vista internazionale.

ALLEGATO

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

L. RR. Roma, 2 aprile 1919.

Il Ministero della guerra mi ha comunicato il seguente telegramma di V.E. in data 28 marzo scorso:

«Con riferimento al telegramma 2658 data 23 corrente2, dovendo studiare eventuale impiego altro teatro di operazioni di parte truppe occupazione Libia, prego compiacersi farmi conoscere inizio note operazioni, durata e portata delle medesime con obbiettivi che si intendono raggiungere e mantenere».

Ho risposto al Ministero della guerra inviando un telegramma del generale Garioni in data del 25 scorso mese n. 3283 sulla situazione politico-militare sino a quel giorno in Tripolitania.

2 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

3 Non pubblicato.

Il governatore della Colonia, che telegrafa esser solamente ora giunti a Tripoli gli ultimi elementi della divisione assalto, spiega in questo momento una duplice azione di offensiva politica per tentare una pacificazione incruenta e di preparazione militare per il caso che la prima fallisca, con obbiettivo di rioccupare Azizia, Misurata e Sirte secondo modalità che saranno indicate dalle circostanze.

Come V.E. vede, in seguito allo sforzo fatto dall’Italia, dopo la grande guerra e in pieno armistizio, di inviare forze e materiali in Tripolitania, non è assolutamente possibile pensare al ritiro di quelle forze proprio nel momento culminante in cui esse sono necessarie, se non si vuole perdere il frutto di tutta la nostra opera, e recare insieme gravissimo danno alla Colonia creando una situazione senza uscita. È evidente che, sia nel caso che l’azione politica riesca (e non può riuscire se si indebolisce anche in minima parte la posizione dell’attuale occupazione militare), sia nel caso che essa fallisca, le nostre forze dovranno per qualche tempo essere conservate nella loro completa efficienza.

Ho voluto direttamente informare la E.V. del vero e grave stato delle cose e ne informo contemporaneamente il presidente del Consiglio e il ministro degli esteri.

101 1 Vedi Allegato.

102

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

NOTA 3243 SP. RR. Parigi, 2 aprile 1919 (perv. il 6).

Dalla memoria all’oggetto «Notizie militari politiche sui paesi serbi-croati-sloveni» l’E.V. avrà constatato come il Comando Supremo serbo presieda alla formazione di nuove grandi unità jugoslave e come esso abbia già iniziato e condotto a buon punto l’assetto organico di 5 nuove divisioni dislocate fra Lubiana e Spalato.

Con notizie pervenute dopo la diramazione della suddetta memoria l’esercito dei paesi S.H.S. si può ora attendibilmente ritenere composto di quattro armate: le armate 1ª, 2ª e 3ª serbe e la 4ª (su cinque divisioni), composta esclusivamente di elementi del-l’ex esercito austro-ungarico o dei richiamati alle armi nelle regioni dell’ex Monarchia.

Da informazioni recentemente raccolte risulta ora che il concorso francese alla riorganizzazione dell’esercito serbo continua tuttora e si estende alle unità jugoslave in misura così notevole che non posso a meno di richiamare su questo argomento l’attenzione della E.V.

L’approvvigionamento che la Francia fornisce alla Serbia è infatti così completo e metodico che nessuna delle principali necessità sentite da un esercito in formazione (aviazione-artiglieria-armi portatili-equipaggiamento individuale) è trascurata.

Presso l’esercito serbo funzionano ancora missioni tecniche francesi, fra cui quella per l’aviazione diretta dai maggiori De Perriez e De Larsam1 particolarmente attiva per organizzare il servizio aeronautico della 4ª armata jugoslava.

102 La nota fu inviata per conoscenza a Sonnino.1 Forse errato. Potrebbe trattarsi di un solo ufficiale, il maggiore du Périer de Larsan.

La Francia avrebbe permesso alla Serbia la cessione dei materiali di artiglieria da 155 all’atto della partenza delle unità francesi dalla penisola balcanica; questi materiali sarebbero destinati alle armate 3ª (serba) e 4ª (jugoslava).

I congedandi francesi dell’Esercito d’Oriente partono disarmati, e sembra che armi e munizioni siano concentrate a Belgrado per essere cedute alla Serbia.

Il generale Franchet d’Esperey con telegramma del 5 febbraio ha chiesto d’urgenza per l’esercito serbo l’invio di 40.000 serie vestiario di foggia americana. L’entità della richiesta e le basi cui è destinata, fanno logicamente supporre che tali materiali servano per la vestizione della 4ª armata jugoslava.

Nel complesso dunque sembra che l’attività dimostrata dal Governo francese ad organizzare l’esercito serbo in generale, ed in particolare le unità composte con i sudditi dell’ex Monarchia austro-ungarica, non sia consona all’attuale situazione politico- militare e all’atteggiamento ostile del Governo S.H.S. verso l’Italia.

Segnalo quanto sopra all’E.V. per quell’azione politica che riterrà opportuno svolgere su tale argomento.

103

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 7483. Roma, 3 aprile 1919, ore 4.

Mi riferisco telegrammi raccolta arrivo Roma n. 1176, 1199 e 12091.

Generale Franchet d’Esperey ha chiesto a generale Tahon conoscere d’urgenza se comando truppe italiane Antivari — Vir Pazar — Dulcigno è stato prevenuto decisione Parigi che tutte le truppe di qualsiasi nazionalità debbono evacuare Montenegro e quali decisioni furono prese al riguardo.

Generale Piacentini ha ricevuto da Comando Supremo soltanto ordine ritirare Cattaro distaccamento di Kreslaƒ e mantenere rimanenti nostri distaccamenti Montenegro in analogia a quello che fanno francesi2.

Questo Ministero ha come ultima comunicazione al riguardo telegramma della

E.V. n. 115 del 15 febbraio3, il quale ordina che fino nuovo avviso nostre truppe deb

bono rimanere in Montenegro nei punti ove sono state finora dislocate. Prego perciò V.E. volermi comunicare sue disposizioni, in relazione a quanto sopra. A questo proposito mi permetto ricordare che:

1) Evacuazione Montenegro era stata concordata per primi febbraio e truppe serbe dovevano essere fra le prime ad allontanarsi (telegramma 614 della raccolta)4, ma in fatto evacuazione avvenne solo per truppe americane; quelle francesi e serbe

2 Badoglio ne aveva informato il Ministero con TT. 5199 e 5200 del 27 marzo.

3 Vedi serie sesta, vol. II, D. 343.

4 Vedi serie sesta, vol. II, D. 289.

rimasero ed allora rimasero pure le nostre, le quali però non erano penetrate nell’interno del paese. Serbi hanno così avuto tempo organizzare in Montenegro forze jugoslave al loro comando. Dopo di che francesi sgomberano con l’intesa che si sgomberi anche noi per lasciare il campo completamente libero ai serbi in veste di jugoslavi.

2) Serbi avevano ultimamente occupato Kruja donde padroneggiavano Scutari. Oggi si sono ritirati dentro confine Montenegro, ma sono restati nelle immediate vicinanze e minacciano sempre Scutari dal confine fra mare e lago di Scutari, dalla regione Hoti-Gruda, da Plava e da Gusinje, in attitudine di chi attende la prima occasione favorevole, aiutati dalla propaganda essadista e favoriti dai francesi.

3) Nel primitivo progetto di sgombero del Montenegro da parte delle truppe alleate, era stabilito che il paese sarebbe stato presidiato da sole truppe americane. Ciò era necessario, oltreché per garanzia di neutralità, per il mantenimento ordine e sorveglianza frontiera serbo-montenegrina per impedire ai serbi di continuare nella loro opera di intimidazione.

Dato quanto sopra si propone:

1) Si riprenda in esame questione provvedere con truppe americane, od almeno con comando americano e milizie esclusivamente locali, a mantenere ordine nel Montenegro.

2) Serbi-jugoslavi evacuino per primi o contemporaneamente.

3) Si dia ordine ai nostri di restare a Vir Pazar-Dulcigno-Antivari fino a che truppe francesi e serbe o jugoslave restano in Montenegro.

4) In ogni modo italiani non lascino Antivari e Vir Pazar senz’aver prima assicurata protezione interessi italiani colà.

103 1 Non pubblicati. Si tratta rispettivamente dei Telegrammi n. 1720 di S. Piacentini del 26marzo, n. 5200 di Badoglio del 27 e n. 307 di Perricone, anch’esso del 27 marzo.

104

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 368. Parigi, 3 aprile 1919, ore 12.

Generale Mahmud Mukhtar pascià, che le è personalmente noto, è stato avvicinato da nostro informatore1 in Isvizzera al quale disse che, pur preferendo Turchia rimanga indipendente, sarebbe disposto richiedere che mandato per Turchia venga assegnato all’Italia a preferenza altre potenze. A tale scopo intenderebbe scrivere al sultano ed al gran visir per domandare necessaria autorizzazione. Relative lettere dovrebbero venire inviate per nostro mezzo.

Pregola telegrafarmi2 se ritiene opportuno che questa Delegazione si faccia tramite per comunicazioni in parola.

2 Con T. 397 del 10 aprile Sforza rispose: «Nessuna obiezione ad una soltanto materiale trasmissione di lettere di Mukhtar pascià». Aggiungendo per altro: «Situazione finanziaria di Mukhtar lopone sopra sospetti di corruzione ma una di lui situazione politica personale qui è ora inesistente».

104 1 Si tratta del cavalier Guisi, console onorario a Losanna, il cui rapporto del 22 marzo 1919 erastato trasmesso da Paulucci a Sonnino con F. 745 R. del 27 marzo.

105

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 849/1183 CONFIDENZIALE. Roma, 3 aprile 1919 (perv. il 4).

Da fonte confidenziale risulta che il bano della Croazia e Slavonia ha fatto arrestare il capo partito Radiƒ perché aveva inviato un memoriale alla Conferenza di Parigi1 e con ciò pregiudicato la posizione politica della Serbia, e perché propagava malumori nel popolo, volendo provocare una grande sommossa a Zagabria ed in Croazia; che un delegato del partito rurale ha chiesto in modo categorico che Radiƒ fosse immediatamente messo in libertà, declinando ogni responsabilità per l’avvenire.

Il bano sarebbe stato informato che tra qualche giorno dovrebbero iniziare le dimostrazioni per la proclamazione della repubblica, che Radiƒ è in relazione con gli italiani, e che è possibile che gli italiani diano aiuto al partito rurale per proclamare la repubblica2. In questo caso il Governo serbo si propone prevenire a mano armata il tentativo.

106

L’ADDETTO A SHANGHAI, VOLPICELLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1274/... Shanghai, 3 aprile 1919 (perv. il 5).

Giappone perduto due compagnie sbarco Manciuria perché americani rifiutato aiuto1.

Può servire precedente riacquistare nostra libertà azione militare riguardo nuovi nemici falsi amici.

2 Il testo in arrivo reca invece a questo punto: «che Radiƒ è in relazione con gli italiani perchédiano aiuto al partito rurale per proclamare la repubblica».

105 1 Il 2 aprile Radiƒ, già in carcere, aveva fatto spedire da Fiume a Sonnino un appello per la libertàdella Croazia. Il 6 aprile, con F. 1085 Aldrovandi lo ritrasmise all’ambasciatore Dutasta, segretario generaledella Conferenza pace, con preghiera di comunicarlo ai rappresentanti delle potenze alleate e associate.

106 1 Va ricordato che sin dal marzo 1918 gli Stati Uniti, a differenza della Gran Bretagna e dellaFrancia, avevano mostrato perplessità e contrarietà per ogni ipotesi di intervento giapponese in Siberia; e chesolo controvoglia Wilson aveva acconsentito agli sbarchi congiunti a Vladivostock nell’agosto successivo.

107

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON

L. Parigi, 3 aprile 1919.

The quite unexpected way in which the Italian questions came up for discussion to-day, made it impossible to examine more thoroughly the many difficult points, including even questions of procedure, which present themselves.

I had not been able to come to an understanding with my colleagues on the Delegation, nor had my colleague, the Minister of Foreign Affairs, Baron Sonnino, come to the meeting, as it had been agreed that he would do, and as was done in the case of Mr. Tardieu when the problem of the French frontiers was under consideration.

As for the very delicate matter of giving a further hearing to the representatives of the Slovenes and Croats, against whom Italy has been at war for four years, I would not insist against it1, just as I would not exclude the advisability of giving a hearing to the representatives of any other enemy people on whom it is a question of imposing conditions. But, on the other hand, as no such debate has yet been granted, I insist in thinking it advisable to abstain from taking part in a meeting which, as things stand, must necessarily give rise to debate.

I realize, with keen regret, that my absence may give rise to an impression, which I should be the first to wish to avoid, that a misunderstanding has arisen between the Italian Government and the Allied and Associated Governments. I think however that such an impression will not be given, as the meeting this afternoon is not the meeting of the representatives of the four Powers, but a conversation between the President of the United States and the Prime Ministers of Great Britain and France with those Gentlemen.

I earnestly hope, Mr. President, that in this way the reason for my absence will be seen in its true light, i.e. not as an evidence of disagreement, but as an act of consideration towards colleagues, whose wish it is to obtain all the data available in order to form their own opinion on the grave matters under consideration.

107 1 La questione dell’audizione della delegazione iugoslava si era posta già l’11 marzo, quando neaveva fatto richiesta Pasiƒ. E già allora Sonnino e, soprattutto, Orlando si erano opposti, sottolineando l’impossibilità di discutere con una delegazione di cui facessero parte anche nostri nemici (cfr. SALANDRA, p. 68).

108

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 3 aprile 1919.

Alle ore 11 è stata tenuta presso il presidente Wilson la riunione dei quattro capi di Governo.

Si è trattato dapprima di Danzica, e sono stati incaricati dei tecnici di delimitarele frontiere. È stata portata alla discussione la questione della nostra occupazione di Adalia. Il presidente Orlando ha avuto l’impressione che lo sbarco di soldati potrebbe essere molto malvisto e rendere difficile la situazione dell’Italia rispetto agli alleati.

Alle 11,30 si è iniziato l’esame dei problemi italiani e la discussione ha continuato fino al tocco, ora in cui la riunione si è sciolta.

Si pose sul tappeto la questione di Fiume ed il presidente Orlando fu richiesto di esporre il suo pensiero in proposito. Egli cominciò con lo spiegare perché l’Italia non ha chiesto Fiume nel Patto di Londra. Il Patto di Londra rappresenta un compromesso nel quale l’Italia rinunziò ad alcune cose ed altre non domandò, fra cui Fiume, che ora è rivendicata dall’Italia. Le domande attuali dell’Italia sono: il Patto di Londra più Fiume. Nel fare il compromesso di Londra l’Italia ebbe in vista il mantenimento dell’Austria perché era l’ipotesi la più ovvia. Ora, conservandosi l’Austria, Fiume sarebbe stato indispensabile per il grande hinterland austro-ungarico al quale si toglieva lo sbocco di Trieste. La situazione di Fiume fu considerata analogamente al modo con cui si è consideratae trattata ora la questione di Danzica. È vero che allora non fu chiesto Fiume, ma è altresì vero che ora si è creata una situazione nuova per il fatto dello sfasciamento dell’Austria. Questo ebbe in rispetto a Fiume due conseguenze. Si acuì la questione nazionale. Di fatto in Austria-Ungheria, dove esistevano molteplici nazionalità, il Governo della duplice Monarchia aveva necessità di creare un equilibrio fra le nazionalità. Ciò seguì anche a Fiume. Negli altri paesi della Monarchia gli italiani erano perseguitati. Così non avveniva a Fiume dove tra il conflitto croato-magiaro la razza italiana poté vivere. Se Fiume fosse ora aggregata a popolazioni di una sola delle nazionalità dapprima in contrasto, ciò significherebbe la rovina della nazionalità italiana.

Lloyd George chiese a questo punto se Fiume non appartenesse né alla Croazia né all’Ungheria.

A questo il presidente Orlando rispose che Fiume era corpo separato, ma apparteneva alla Corona di Santo Stefano. Fiume possedeva un’autonomia comunale rafforzata, ed aveva diritto ad essere interrogato sulla applicabilità della legge ungherese.

Il presidente Orlando avvertì che a Fiume si trovavano parecchie migliaia di magiari.

Egli aggiunse che la seconda ragione per cui l’Italia, avvenuto lo sfasciamento dell’Austria, richiede Fiume è dipendente dalle nuove condizioni economiche. Le

108 Riunione a.m. del 3 aprile del Consiglio dei quattro. Cfr. MANTOUX, vol. I, pp. 125 sgg. eRAC, nn. 219-222.

condizioni in cui l’Italia entrò in guerra nel 1915 potevano consigliarle la rassegnazione. Allora dietro Fiume esisteva un hinterland compatto che ora non esiste più. Non si può dire che Fiume sia sbocco della Dalmazia, né che sia sbocco di grande importanza per la Croazia. Il commercio diretto alla Croazia che passava per Fiume non rappresentava che il 7% dell’attività di quel porto.

Lloyd George riconobbe la grande importanza di questa affermazione.

Il presidente Orlando fece osservare quale ingiustizia sarebbe di assegnare Fiume ad un paese cui serve con così scarsa parte della sua attività, togliendolo ad un altro che ne usufruisce in tanta maggior misura. Gli jugoslavi hanno d’altronde numerosi porti che possono loro servire di sbocco: Porto Re, Segna, Metkoviƒ, Cattaro e Spalato, se pure quest’ultimo venga loro assegnato, ciò che non si dovrebbe se si tenessero presenti i diritti che ivi pure vanta la nazionalità italiana. Il presidente Orlando concluse dichiarando che per ragioni nazionali ed economiche l’Italia chiedeva che le venisse assegnato Fiume.

Il signor Lloyd George chiese se l’Italia avrebbe difficoltà che Fiume fosse dichiarata città interamente indipendente.

Il presidente Orlando rispose: «Non posso accettare questa soluzione per due ragioni. Ciò rappresenterebbe un ingiusto sospetto verso l’Italia che è dal canto suo pronta a riconoscere tutte le più ampie forme di garanzia internazionale. Fiume è italiana e non deve essere tolta all’Italia. Fiume abbandonata a sé è destinata divenire slava. Ciò accadrà fra un secolo o 50 anni, ma avverrà. Ora, io vi dico che l’Italia non vuole perdere questa sua città».

Il presidente Wilson cominciò col dichiarare che egli non conosceva meglio, né aveva studiato così profondamente nessuna questione come la questione italiana. Egli faceva appello allo spirito di conciliazione dell’Italia. Per rendersi conto della situazione reale a Fiume egli vi aveva mandato l’uomo di maggiore competenza ed autorità di cui disponesse. Questi aveva fatto un’inchiesta ed era tornato con la convinzione che la tendenza prevalente nell’elemento locale è per l’autonomia. Il grado e la misura di questa autonomia dà luogo a qualche contrasto. Di poi egli ha visto dei rappresentanti di Fiume i quali gli hanno detto che desideravano che la loro città fosse dichiarata città libera. Ciò gli fece molto impressione. Circa agli sbocchi che gli jugoslavi hanno nell’Adriatico all’infuori di Fiume, egli riconosce che nell’Adriatico verrebbero loro assegnati altri porti naturali, ma riconosce altresì che l’accesso a questi porti è difficile, onde bisognerebbe fare spese considerevoli per adattarli ai bisogni del traffico. D’altra parte l’Italia deve considerare che le viene assegnata Trieste. Trieste e Fiume costituirebbero un monopolio eccessivo sull’hinterland di quella parte dell’Europa. Se invece i due porti si trovassero in rapporto di concorrenza, tale concorrenza potrebbe essere assai proficua ai paesi che necessitano di sbocchi in quella zona.

Il presidente Orlando cominciò col ringraziare il presidente Wilson dello studio particolare che egli aveva dedicato alle questioni italiane perché egli interpretava ciò come prova di amicizia e di affetto verso l’Italia. Soggiunse che, se si fosse trattato di interessi individuali, nessuno avrebbe potuto ispirargli personalmente maggior deferenza e fiducia del presidente Wilson per qualsiasi arbitrato, ma egli doveva osservare che la situazione non è la stessa per chi si trova a rappresentare un paese. Il rappresentante di un paese come l’Italia in questo momento ha un mandato che se non è esplicito è morale. Nessuno potrebbe andare più in là di questo mandato. Egli dà poca o almeno minore importanza alle ragioni economiche, ma ne dà una grandissima alla ragione nazionale. Se dovesse abbandonare Fiume per causa del porto, farebbe piuttosto saltare il porto. Se viene fatta la questione della coappartenenza di Trieste e Fiume egli certamente non può ammettere che l’interesse economico venga a svalutare il sentimento nazionale. Si dice che Fiume non interessa Trieste. Si può rispondere che ciò suppone una concorrenza leale. Il Governo italiano non ha prove, ma ha ragioni di ritenere che fra croati e ceco-slovacchi siano intervenuti già accordi per dirigere tutto il rispettivo commercio a Fiume. L’argomento della utilità e della equità della concorrenza si risolve quindi in senso contrario a quello per cui è stato posto. Per quanto riguarda le spese necessarie agli altri porti da assegnarsi alla Jugoslavia, si osserva che se il commercio croato avrà effettivamente una importanza tale da giustificarle, sarà facile addivenirvi.

Il presidente Wilson cominciò allora col dire: «Ma se l’Italia afferma di aver fatto una guerra per liberare i fratelli oppressi, per quale ragione non si è pensato nel 1915 a Fiume?».

La frase non fu terminata perché intervenne alla riunione il signor Hankey per prendere accordi circa l’intervento del re del Belgio alla Conferenza. E tale frase fu tradotta al presidente Orlando soltanto dopo che era avvenuta la conversazione sull’intervento del re del Belgio. Poiché era già tardi non fu continuata la discussione. Mentre però i capi di Governo erano già in piedi, qualcuno disse: Ora è il caso di sentire gli jugoslavi1, e fu chiesto al presidente Orlando se egli avesse difficoltà. Egli rispose di no; però soggiunse che egli si doveva riservare di non intervenire ed affermò che non doveva aver luogo contraddittorio con i nemici. Osservò che non sono stati sentiti i tedeschi. Lloyd George disse che se fosse intervenuto Vesniƒ questi era il rappresentante di uno Stato alleato. Il presidente Orlando ripeté che egli personal-mente era per non intervenire, ma su questo punto si riservava di interrogare i colleghi della Delegazione italiana2.

ALLEGATO

APPUNTO PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RR. PERS.

Conversazione avuta con influente persona del mondo americano:

L’impressione del discorso di Orlando per esporre la tesi sulle rivendicazioni ha fatto presso i Quattro un’impressione deplorevole. Il suo discorso sprovveduto di dati tecnici, di cifre, ma vago di affermazioni e pieno di retorica ha assai sfavorevolmente impressionato Wilson e Lloyd George.

2 Un appunto senza data e senza firma, conservato tra le carte Aldrovandi, al quale deve esserequasi certamente attribuito, si riferisce con ogni evidenza alla seduta a.m. del 3 aprile del Consiglio deiquattro e al discorso di Orlando sulle rivendicazioni italiane, nonché al successivo incontro pomeridianoa tre con gli iugoslavi, in assenza di Orlando. Si è ritenuto utile pubblicarlo qui in Allegato.

Per contro l’esposizione di Trumbiƒ è stata di una limpidezza rimarchevole. Egli ha confutato con logica che parve stringente una ad una tutte le asserzioni di Orlando ed ha risposto con precisione a tutte le domande che gli venivano dirette.

Si è fatto un confronto assai poco lusinghiero per noi tra la quadratura della tesi jugoslava svolta semplicemente ma obbiettivamente da Trumbiƒ e l’incomprensibile arruffato lungo discorso di Orlando, nel quale un’esagerata intonazione melodrammatica di sentimentalismo era assolutamente fuor di luogo.

La stessa persona riferiva che il ribasso delle nostre azioni in questi giorni è dovuto unicamente alla poca abilità e all’incertezza del nostro delegato.

È opinione nei circoli americani che ove Sonnino avesse trattato questa materia, l’impressione sarebbe stata assai differente. Nella conversazione ho notato delle reticenze, come se in quella giornata fosse accaduto qualche fatto nuovo che non si conosce, ma che avrebbe subitamente peggiorata la causa.

Ho vagamente creduto comprendere che Wilson, se le cose non si definiscano nel senso da lui voluto, si ritirerebbe dalla Conferenza con una pace separata con la Germania.

La persona in questione, che ho tutte le ragioni di credere sia sincera, mi ha affermato essere necessario che la Delegazione italiana chieda senza ritardo alla Conferenza l’approvazione delle sue richieste e in caso di rifiuto preceda gli avvenimenti.

Mi aggiungeva: l’arrenamento della Società delle Nazioni per le riserve giapponesi, la rinuncia da parte Wilson a due fra i famosi quattordici punti, l’atteggiamento dell’Inghilterra così acre nemica dell’imperialismo italiano e francese, pur avendo occupata quasi tutta l’Asia e l’Africa, sono avvertimenti troppo patenti perché si comprenda l’interesse di agire.

L’Italia ha un contratto, essa ha mantenuti i suoi impegni: la guerra e la rinunzia alla pace separata. Ora le si contesta ciò che è stato pattuito. L’Italia è quindi legalmente libera ove la Conferenza non riconosca il suo buon diritto di fare la pace a sé. Un atto di annessione è nei poteri parlamentari.

108 1 Sulla riunione del pomeriggio con gli iugoslavi, in assenza di Orlando, venne formulato ilseguente breve comunicato «Les délégués jugoslaves ayant exprimé le désir d’être de nouveau entendusau sujet des questions qui les concernent ils ont été reçus aujourd’hui chez le président Wilson. MonsieurClemenceau et Lloyd George assistaient à l’entretien. M. Orlando malgré les insistances de ces collèguesn’a pas cru d’intervenir dans cette conversation. D’autre part tout en maintenant son point de vue de nepas accepter de contradictoire M. Orlando n’a pas voulu soulever d’objections à cette audition».

109

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, E I DELEGATI E CONSIGLIERI TECNICI, CHIESA E D’AMELIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

RELAZIONE. Parigi, 3 aprile 1919.

Abbiamo l’onore di riferire a V.E. che, nell’odierna seduta, che sembra l’ultima della Commissione speciale dei delegati delle quattro grandi potenze per l’esame delle riparazioni e dei danni di guerra, è stato deliberato che ogni delegazione avrebbe presentato ai rispettivi capi di Stato l’accluso schema di progetto angloamericano1 colle proprie osservazioni e coll’eventuali proposte di modificazioni.

Il progetto non ha potuto riportare voto concorde2 specialmente per le divergenze insorte sui seguenti punti: sugli articoli 2-3-4 la delegazione francese opponeva la

2 Per il parere della delegazione italiana vedi anche D. 119.

necessità di obbligare la Germania a pagare l’intero debito riconosciuto e non soltanto la parte corrispondente alla sua capacità finanziaria in trenta anni, intendendo con ciò che ogni partita fosse coperta, sia pure in un periodo di tempo superiore.

La delegazione italiana opina conformemente, ma non essendo conciliabile questa tesi con quella avversa degli americani che credono non debba essere fatto alla Germania un carico superiore a quello che può sopportare una generazione, ha riservato al Comitato dei quattro una definitiva soluzione della controversia.

Sull’articolo 4 la delegazione inglese propose di abolire il secondo periodo, avvertendo che i beni ivi indicati come fonte sicura di pagamento servirebbero unicamente al pagamento dei primi 5 miliardi di dollari nel 1919-20, che si prevedono destinati nella massima parte alle spese di occupazione militare, al vettovagliamento, e all’approvvigionamento di materie prime alla Germania.

La delegazione italiana non ha potuto accettare il significato di tale soppressione, che potrebbe forse obbligare l’Italia a destinare il valore dei beni nemici in Italia, e le stesse navi agli Stati provveditori e occupanti della Germania.

La questione verrà quindi al Comitato dei quattro: alla delegazione italiana sembra questa partita di spesa non debba imputarsi nella somma delle riparazioni, e che in ogni caso non debba fermarsi colla liquidazione delle migliori attività nemiche.

All’articolo 6 tre questioni si sono presentate proprie della delegazione italiana:

a) Si è chiesta la soppressione delle ultime parole «et le droit de chacun» sembrando che nella proporzione da fissarsi per la ripartizione dell’ammontare delle riparazioni dovesse bastare l’espresso criterio della «équité générale», col quale non è conciliabile il sistema assorbente del diritto di ciascuno.

In queste parole già introdotte dalla delegazione francese, la delegazione italiana ravvisava il pericolo di una separazione dei crediti di ciascuno Stato di fronte a ciascun nemico.

V.E. riuscirà certamente a far cancellare la frase insidiosa, a cui del resto le delegazioni americana e inglese sembravano disposte a rinunziare.

b) Il ministro Loucheur ebbe a esprimere il dubbio che la ripartizione del-l’ammontare delle riparazioni fra Inghilterra, Francia, Italia, Serbia e Belgio non fosse una deliberazione definitiva del Comitato dei quattro.

Non essendosi per tale ragione fatta menzione di ciò, V.E. potrà al caso ottenere l’integrazione necessaria dell’articolo.

c) Per la eventuale ipotesi che la Commissione interalleata non si mettesse d’accordo nel fissare la misura di ripartizione dell’indennità, si era chiesto che le divergenze venissero sottoposte ad una commissione arbitrale nominata dal presidente degli Stati Uniti d’America.

La proposta non ha avuto apparenti opposizioni ma si è ritenuto fosse di competenza del Consiglio dei quattro, in seno al quale preghiamo V.E. di sostenerla.

V.E. troverà accluso3 anche un annesso colle categorie dei danni ammessi alla riparazione, il cui testo è stato accolto dalla Commissione, per quanto portasse notevole restrizione alle primitive categorie lungamente discusse e deliberate dall’apposi

ta Commissione delle riparazioni nominata dalla Conferenza, specie per l’esclusione dello Stato dal risarcimento di molte categorie di danni.

L’accettazione di tale annesso è stata fatta dalla delegazione italiana colle due seguenti riserve:

1) Che nell’articolo 6 sia compreso il danno avutosi: «pour défendre les citoyens et les biens contre les attentats en violation des droits des gents et des usages de guerre, tels que les gas asphyxiants et l’ypérite, les bombardements des villes sans défense et les attaques des sousmarins».

La tesi essendo conforme ai principi di Wilson, V.E. saprà certo farla accogliere.

2) Che venga soppressa la Note posta in calce del documento.

Tale Nota contiene un principio escluso dalla Commissione delle riparazioni, che affermò, nel testo che qui si cita, l’opposto pensiero:

«Les règles générales énoncées au chapitre II ci-après sont exclusivement applicables aux réclamations qui seront présentées à l’ennemi et ne régissent nécessairement ni les rapports des Etats alliés et associés entre eux, ni les rapports de chacun de ces Etats avec ses ressortissants».

Così le riparazioni sono concesse allo Stato e i privati non hanno alcuna azione diretta sulle somme pagate dal nemico, delle quali potrà disporre a suo tempo lo Stato secondo equità.

Il principio contrario affermato dalla Note determinerebbe tali pretese degli interessati, e tale caotico groviglio di rapporti giuridici, che V.E., nel presentarne gli inconvenienti, troverà modo di sopprimerne l’enunciazione.

ALLEGATO

PROPOSTE ANGLO-AMERICANE4

Praga, 3 aprile 1919, ore 1.

1.- Les Gouvernements Alliés et Associé affirment que les Etats ennemis sont responsables d’avoir causé toutes les pertes et touts les dommages auxquels les Gouvernements Alliés et Associé et leurs Nationaux ont été soumis comme conséquence de la Guerre qui leur a été imposée par l’agression des Etats ennemis. 2.- Les Gouvernements Alliés et Associé reconnaissant que les ressources financières des Etats ennemis ne sont pas illimitées et, tenant compte des diminutions permanentes de ces res

sources qui résulteront d’autres clauses du traité, ils estiment qu’il est impossible aux Etats ennemis de donner réparation complète pour toutes ces pertes et pour tous ces dommages. Les Gouvernements Alliés et Associé exigent cependant que les Etats ennemis donnent, jusqu’à la dernière limite de leur capacité, compensation pour tous dommages causés à la population civile des puissances Alliées et Associée et à leurs biens par l’agression des Etats ennemis par terre, par mer ou dans les airs (et aussi pour les dommages résultant d’actes commis par eux en violation d’engagements formels ou en violation du droit des gens).

(Voir annexe préparée par la Délégation britannique pour l’interprétation de cette clause)5.

3.- Le montant des dommages pour lesquels compensation devra être donnée sera déterminé par une Commission interalliée qui sera instituée dans des conditions à déterminer immédiatement par les Gouvernements Alliés et Associé. En même temps, cette Commission examinera les réclamations présentées et permettra aux Etats ennemis de se faire entendre. Les conclusions de cette Commission relatives aux montant des dommages visés par l’article 2 seront prêtes et communiquées aux Etats ennemis le 1er mais 1921 au plus tard. La Commission établira également un tableau des payements, dont le total ne dépasserait pas la somme totale due par l’Allemagne et que à son avis l’Allemagne serait en état de payer dans un délai de 30 ans. Ce tableau sera alors communiqué à l’Allemagne comme représentant le montant de ses obligations. 4.- La Commission interalliée aura de plus les pouvoirs nécessaires pour modifier de temps à autre la date et les modalités du tableau visé à l’article 3 et pour les étendre si nécessaire au delà de 30 ans, soit en acceptant des bons à longue échéance, soit autrement si une telle modification ou extension vient ultérieurement à paraître nécessaire, et cela après avoir donné à l’Allemagne la possibilité de se faire entendre6. - 5. -Afin de permettre aux Puissances Alliées et Associé de commencer dès maintenant la restauration de leur vie industrielle et économique, en attendant que leur créance soit exactement déterminée, l’Allemagne paiera par tels acomptes et suivant telles modalités (que ce soit en or, en marchandises, en navires, en valeurs ou autrement) que la Commission interalliée pourra fixer, en 1919 et 1920, l’équivalent de 5.000.000.000 en or à valoir sur les créances cidessus. Cette somme servira d’abord à payer les frais de l’armée d’occupation après l’armistice, à condition que telles quantités de produits alimentaires et de matières premières qui pourraient être jugées par les Gouvernements Alliés et Associé comme nécessaires pour permettre à l’Allemagne de remplir ses obligations puissent, avec l’approbation des Gouvernements Alliés et Associé, être payées sur la somme ci-dessus. 6.- Les acomptes successifs versés par les Puissances ennemies en paiement des créances ci-dessus seront répartis par les Gouvernements Alliés et Associé suivant des proportions déterminées d’avance par eux et basées sur la justice et sur les droits de chacun. 7.- Les paiements ci-dessus ne comprennent pas la restitution en nature des espèces enlevées, saisies et sequestrées ni la restitution en nature d’animaux, d’objets de toute sorte et de valeurs enlevés, saisis ou sequestrés, dans les cas où il sera possible de les identifier en territoire ennemi. Si une moitié au moins des animaux pris par l’ennemi dans les territoires envahis ne peut être identifiée et restituée, le reste, jusqu’à concurrence de la moitié du nombre enlevé, sera livré par l’Allemagne comme restitution. 8.- L’attention des quatre chefs des Gouvernements respectifs doit être attirée sur les points suivants:

a) des garanties nécessaires pour assurer l’obtention des sommes fixées pour la réparation doivent être établies;

b) il existe d’autres clauses financières que cette Conférence n’a pas été chargée d’étudier.

109 1 Vedi Allegato.

109 3 Non si pubblica.

109 4 Si è preferito pubblicare questo documento nella versione francese, data come «ultima edizione, 3 aprile 1919 ore 1» (nella annotazione manoscritta in testa al documento), piuttosto che nell’originale inglese che appare come una prima bozza, con numerose correzioni in francese. Il testo inglese diquesto documento, così come quello dell’allegato alla clausola 2, è edito in FRUS, vol. V, pp. 27 sgg., inappendice alla Nota sulla riunione del Consiglio dei quattro del 5 aprile a.m. che ne discusse. Cfr. ancheCRESPI, pp. 389 sgg. Il testo definitivo degli articoli, poi adottato dai Quattro nella seduta del 7 aprile, è inFRUS, vol. V, pp. 49 sg.

109 5 Non si pubblica.6 Il periodo che segue, qui tra parentesi quadre, appare cancellato e non è presente nel testoinglese edito in FRUS.

110

IL MINISTRO DEGLI ESTERI BRITANNICO, BALFOUR, ALL’AMBASCIATORE IMPERIALI

L. Parigi, 3 aprile 1919.

Our conversation of last Sunday has left a somewhat painful impression upon my mind; and all the more because I have long known you as a most devoted friend of England, and one who shares to the full my earnest desire to see our two countries drawn continually closer by the ties of mutual regard.

What, in substance, you told me was this. You had arrived but a few hours from London when you found yourself in a wholly new atmosphere of international distrust. You were assailed, it seems, in what should have been well-informed Italian quarters with such questions as: «why has England become suddenly hostile to Italy?». Persons who professed to be in the secrets of another Chancery asked you derisively «what you now thought of your English friends?». An American journalist appears to have informed you that Britain, not America, was the real obstacle to the fulfilment of Italian aspirations. An important Italian citizen of Fiume exclaimed that till now England had always been the object of his affectionate admiration, but that her present attitude roused in his breast emotions equally compounded of amazement and despair!

110 Ambasciatore a Londra dal 1910, Imperiali risulta in servizio a Parigi presso la Delegazioneitaliana alla Conferenza della pace già dalla fine di marzo 1919. Durante l’assenza della Delegazione italiana (24 aprile-7 maggio) rimarrà a Parigi per ordine di Sonnino, e firmerà, dal 27 aprile, i c.d. telegrammi collettivi. Il 5 maggio sarà designato a rappresentare l’Italia nella Commissione per la Società delleNazioni. Nominato delegato plenipotenziario con R.D. del 23 maggio, firmerà il 2 giugno con Sonnino eCrespi il trattato di pace con la Germania. Non confermato da Tittoni nella Delegazione a Parigi, ritornerànella sede di Londra lo stesso giorno.

La traduzione italiana di questa lettera (allegata in più copie al testo inglese) presenta qualche inesattezza. Una delle copie in italiano reca, evidentemente per errore, l’annotazione manoscritta: «Letteradi L. George a Imperiali».

You took a serious view of this state of things, and you were right. No doubt any capital where a World Conference is sitting must always be the hot-bed of scandal and petty intrigue. Nor should too much importance be attached to the unending stream of diplomatic gossip, usually false and sometimes malicious. But the facts you brought to my notice are of a different order of interest, and deserve, I think, our most careful consideration.

There are two or three points which in this connection have to be specially borne in mind.

1. -The problems of the new Italian frontier have not as yet received any consideration whatever from the Conference, nor has any inter-Allied Commission been appointed to examine them. For this state of things there are doubtless good reasons; but it has among its inevitable consequences that some Members of the Conference are imperfectly acquainted with the relevant facts. 2. -Whatever may have been the case between the Italians and the other Allies, there has so far been no confidential discussion on the subject between the Italians and the British. Speaking for myself, I have never been anxious to initiate such a discussion: for the position is a delicate one; and it is for the Italians to begin. We are not in the same position as the Americans or the Japanese. We do not approach the question free and unfettered. We are bound by the Pact of London, and have already signed away our full liberty of action.

At first sight the position thus created would seem at least to be simple. The Pact of London laid down certain frontiers which Italy desired to possess, and which we promised to help her to secure. The frontiers may be good or bad for Italy, fair or unfair to Italy’s neighbours. But if Italy, in spite of all that has happened since 1915, still wishes to obtain them, we are bound by Treaty to support her.

I gather, however, though quite informally and unofficially, that Italian statesmen quite realise the immense changes that have occurred in the European situation through the collapse of Austria, the junction of Serbia with other Southern Slavs, the entry of America into the War, the steady growth of opinion in favour of assimilating, as far as may be, political and ethnological boundaries. For these and other reasons they now desire (if I am rightly informed) to modify the territorial provisions in the Pact of London; and in particular to gain Fiume and give up much of the Dalmatian coast.

What, then, in the Italian view, is the present position of France and Britain in relation to the Pact? Are we free to approach the subject with an open mind like the Americans and the Japanese, or are we still bound by the clauses of the Treaty? If the latter, I do not see that we have any part to play at the Conference except that of supporting the Italian claims. But if the Italian Government have, owing to the progress of events, somewhat changed their point of view, does not this change modify in its turn the position which France and England would otherwise be bound to maintain?

3. This brings me to that part of our conversation in which you spoke of Fiume, and of the attitude supposed to be adopted by the British Government on that much debated subject. Into the merits of the controversy I do not propose to enter. Indeed, I am little qualified to do so until the question has been examined by an impartial Commission. But some observations I must make of a general character.

In the first place, I must express my deep feeling of resentment at the suggestion that the British are animated on this or any other subject by hostility or even indifference to Italian interests. This, I am well aware, has never at any time been your own view1. But I gathered from you that it was a view often expressed in political circles both at Paris and at Rome; and that it has even found more or less discreet expression in some Italian newspapers.

What possible justification can there be for such insinuations? If there were any conceivable collision of material interests or political ambitions between our two countries, if any traditional reasons could be found for mutual jealousy or ill will, no doubt there would be plenty of intriguers ready to make the most of misfortune so useful to their schemes. But the most ingenious of intriguers will find nothing to serve their purpose either in the past or the present. What can it possibly matter to any merely British interest that Fiume should be Slav rather than Italian, or Italian rather than Slav? Not only have we no motive in the matter other than the general good of Europe and the well-being of our friends, but it is plain that no other motive can be either discovered or invented.

I therefore most earnestly hope, my dear Ambassador, that we shall all be allowed to approach this vexed problem without prejudice. When you recited to me in powerful and eloquent language the wrongs which Italy had suffered at the hands of the Croats, from the days of the Austrian occupation up to the very moment when Croatia ceased to be Austrian, I sympathised with your feelings. But should not every effort be made to forget this unhappy past? Italy and Yugo-Slavia are destined to be neighbours; is it impossible that they should also be friends? And is it not to Italy’s manifest interest that the new State, which can never be her rival, should be her economic and political associate?

These may be dreams. But Italy, and we her Allies, who have fought side by side with her in the cause of freedom, must not make them impossible of realisation by adopting in the case of Yugo-Slavia principles of frontier delimitation which we refuse to follow elsewhere. This is all that I have ever suggested either in public or private. Do not, I beg of you, regard the suggestion as hostile to Italy2.

111

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 54.681. Praga, 3 aprile 1919.

La crisi delle industrie tessili traversa in questo paese una fase acuta che merita la nostra attenzione. Particolarmente colpita è l’industria cotoniera, la quale si trova assolutamente sprovvista di materie prime, mentre l’industria laniera dispone ancora

2 Nota manoscritta a margine di Imperiali: «N.B. Di questa lettera, malgrado ripetute vivissimemie insistenze, non fu tenuto alcun conto, né si credette di servirsene per occasione di conversazionidirette e confidenziali cui, manifestamente, Balfour mi invitava, e, come dissemi verbalmente, desiderava intraprendere con me. 20 giugno 1919».

di qualche riserva tratta durante la guerra dalla Turchia e, dopo la disfatta, dai depositi di Vienna che sono stati qui trasportati.

Attualmente i cotonieri stanno accaparrando cotone in America ed altrove: ma date le difficoltà di acquisto, di trasporto, di lavorazione, essi stessi calcolano di non poter sopperire ai bisogni del paese prima di sette od otto mesi.

Ho discusso l’argomento con qualcuno di essi, specialmente col signor Arthur Kuffler, presidente dell’Associazione cotoniera dell’ex Impero austro-ungarico. Presa in esame la situazione nonché le difficoltà di principio sollevate dal Governo e dalle organizzazioni industriali in genere, tendenti a limitare irragionevolmente l’importazione di manufatti per riservare la richiesta alle materie prime, con sacrificio soprattutto immediato dei consumatori, siamo venuti alle seguenti conclusioni.

Un accordo tra i produttori italiani e quelli cecoslovacchi potrebbe essere raggiunto su questa base: che la produzione italiana potrebbe sostituire quella locale, senza danneggiare l’industria del paese, alla condizione di essere regolata in modo da integrarne l’attività senza insidiarne durevolmente il mercato.

Si dovrebbe cioè:

a) stabilire il quantitativo di manufatti che può essere assorbito dal paese in un primo periodo di tempo occorrente all’industria locale per rifornirsi ed iniziare la lavorazione;

b) limitare in un secondo periodo di tempo l’importazione ai prodotti semilavorati, che saranno assorbiti dalle industrie cotoniere complementari;

c) predisporre sin d’ora il rifornimento in materie prime del mercato cecoslovacco nei modi che dirò più sotto.

Per l’avvenire questi cotonieri si accorderebbero volentieri con i cotonieri nostri con l’intento di evitare o moderare la lotta per la conquista dei mercati esteri.

È infatti da tener presente che gli opifici che verranno a trovarsi nella Repubblica cecoslovacca costituiscono l’80% della produzione dell’ex Monarchia. Essi rappresenteranno in rapporto della popolazione una produzione di circa tre fusi per abitante: donde l’evidente necessità di una intensa esportazione. Essi, unitamente agli altri industriali cecoslovacchi, costituiranno indubbiamente un fattore tendente alla ricostituzione, almeno nella sfera economica, di un organismo statale in grado di sostituire l’ex Austria-Ungheria come mercato interno e come base per una politica di esportazione nei mercati del Levante, tanto più se si sentiranno minacciati da un’attività industriale concorrente troppo aggressiva e indipendente.

A parte questa questione, è certo che un accordo tra cotonieri italiani e cecoslovacchi, mentre gioverebbe all’industria nostra che potrebbe piazzare qui rapidamente un po’ degli stock accumulati e che ora la impacciano, varrebbe, d’altra parte, ad agevolare le trattative con questo Governo il quale, per la sua momentanea disorganizzazione e per l’incompetenza e diffidenza della sua improvvisata burocrazia, crea in generale ogni specie di impedimento.

Infine per il traffico delle materie prime sarebbe senza dubbio di somma utilità per Trieste il poter trar profitto della situazione attuale per mettersi in grado di esercitare in avvenire, in condizioni molto più favorevoli, quella concorrenza ai porti di Rotterdam, Brema ed Amburgo che, nonostante i provvedimenti protettivi escogitati dall’ex Governo austro-ungarico, era quasi completamente fallita.

La ragione di questa inferiorità era la seguente: che nei grandi porti atlantici esistevano vasti depositi di cotone continuamente alimentati dall’America indipendentemente dalla richiesta, in modo che le operazioni di acquisto potevano essere fatte da parte di questi manufatturieri in qualunque momento ed anche per quantitativi ridotti, con sicurezza di pronta consegna, evitando i grossi anticipi di fondi per l’acquisto ai mercati di origine ed i lunghi termini per la consegna, e le alee delle oscillazioni di prezzi sia per la speculazione sia per l’influenza dei nuovi raccolti.

Orbene, converrebbe profittare dell’attuale disorganizzazione commerciale tedesca per tentare di trasportare una parte dei depositi americani dai porti atlantici a quelli adriatici.

Sembra che le stesse grandi ditte esportatrici americane dovrebbero prestarsi alla costituzione dei nuovi mercati in deposito a Trieste qualora il porto di Trieste, facendosi parte diligente, offrisse facilitazioni.

Questo nella sua linea generale il programma per il commercio ed il traffico cotoniero tra l’Italia e la Cecoslovacchia.

In linea pratica mi sembra converrebbe:

a) che uno od alcuno dei rappresentanti della organizzazione cotoniera italiana venissero a Praga per abboccarsi con i rappresentanti dell’organizzazione cotoniera cecoslovacca. Per esempio i nomi dei cotonieri italiani Mylius, Cantoni, sono qui ben conosciuti.

b) che per iniziare felicemente questa attività si disponesse che un numero limitato di treni speciali, esclusivamente destinati al trasporto di cotone, fossero predisposti in modo che appena arrivata la merce a Trieste potesse essere inoltrata in pochi giorni alla frontiera cecoslovacca, per esempio fino a Budweis, ove si stabilirebbe un deposito generale che verrebbe assunto dal sindacato dei cotonieri per la ripartizione fra gli interessati.

c) che la Camera di commercio di Trieste sia invitata a studiare urgentemente la questione dei depositi cotonieri nel porto.

Mi permetto di raccomandare per un sollecito esame il problema da me indicato, e che ho cercato di prospettare nelle sue linee elementari, così come potevo fare io stesso senza competenza specifica in argomento.

È superfluo notare che in tal materia la rapidità di decisioni è un elemento di importanza decisiva1.

110 1 Nella traduzione italiana questo passo è reso, per errore, con: «non è stato in alcun momentoil nostro pensiero».

111 1 Sulle iniziative per l’attivazione dei rapporti commerciali tra Italia e Cecoslovacchia si vedapoi D. 310.

112

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 4 aprile 1919, ore 0,35.

Nella seduta antimeridiana dei Quattro di oggi1, essendo venuta improvvisamente a mancare la materia di lavoro attendendosi alcune relazioni di commissioni tecniche, fu improvvisamente proposto di deliberare le questioni italiane. Malgrado fossi preso alla sprovvista, ritenni preferibile di non mostrare alcuna esitazione e dichiarai che non avevo alcuna difficoltà di conversare in proposito. Discussione si portò immediatamente su Fiume ed occupò un’ora e mezza. Di fronte alla mia energica affermazione del diritto d’Italia, non si osò nemmeno accennare alla possibilità di dare Fiume agli jugoslavi, e la questione si portò circa il farne una città libera o annetterla all’Italia. La prima soluzione fu sostenuta da Lloyd George e da Wilson. Clemenceau rimase silenzioso. Senza nessuna intransigenza formale, io mantenni con assoluta fermezza la tesi italiana. In fine di seduta Lloyd George osservò che era il caso di sentire sulla questione i delegati jugoslavi. Risposi che io li consideravo come nemici, ma che non mi opponevo a che fossero uditi, nel modo stesso che non mi sarei opposto all’audizione di un altro nemico. Aggiunsi tuttavia che, non potendo accettare il contraddittorio coi nemici e non potendo rimanere passivo nella discussione, preferivo astenermi dall’intervenire nella seduta pomeridiana. Questa mia dichiarazione fece molta impressione e i tre presidenti mi fecero molte premure perché desistessi da quella intenzione. Dissi che la mia opinione personale era e rimaneva di non intervenire, ma che avrei parlato della cosa coi colleghi della Delegazione.

Tornato a casa, ebbi tale conferenza coi colleghi e d’accordo con essi mandai a Wilson una lettera2 nella quale in maniera amichevole ma dignitosa confermavo la mia risoluzione di non intervenire. La lettera essendo stata portata da Aldrovandi, Wilson desiderò di parlare con lui e manifestò una vera emozione esprimendo il desiderio che l’incidente non fosse considerato come segno di dissidio tra l’Italia e i suoi alleati. Aldrovandi poté rispondere, in conformità della lettera, che non era punto quella la mia intenzione e che l’opinione pubblica sarebbe stata illuminata in proposito.

Come considerazione complessiva, io sono contento di quanto è avvenuto, poiché, mentre da un lato si è risoluta in maniera soddisfacente la questione del contraddittorio, la nostra attitudine ferma e risoluta ha prodotto l’effetto che io mi ripromettevo e ha dato la sensazione che la Delegazione italiana è disposta alle più risolute ed energiche decisioni per la difesa degli interessi e della dignità del paese.

Oggi ho avuto l’onore di ricevere una visita di Sua Maestà il re del Belgio, che mi intrattenne delle varie necessità del suo paese e si espresse con termini molto cordiali verso l’Italia. Ricambiai tali espressioni e diedi tutte quelle assicurazioni di interessamento che potei migliori.

112 1 Si riferisce alla seduta del 3 aprile: il telegramma, dato in partenza alle ore 0,35 del 4, erastato evidentemente preparato la sera del 3.2 Vedi D. 107.

113

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

T. 1040. Parigi, 4 aprile 1919.

A telegramma n. 133 del 28 marzo 19191.

Ho l’onore d’informarla che S.E. il capo di Stato Maggiore dell’esercito, da me interpellato, ha espresso parere2 recisamente contrario all’impiego nella Russia meridionale di due brigate della 35esima divisione3.

L’E.V. potrà quindi rispondere al signor Pichon che il R. Governo non crede di poter riesaminare, allo stato delle cose, la questione dell’invio delle due brigate nella Russia meridionale.

114

IL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 930/9 RR. Budapest, 4 aprile 1919 (perv. il 10).

Se intenzione alleati continuare relazione e trattative con questo Governo, riterrei molto utile poter annunziare fin da ora ritorno missione Smuts od altra analoga.

Cammino incalzante nuovo regime Baviera Austria-Tedesca Galizia e particolarmente Boemia permetterà, fra non molto, libertà transito e scambio anche con Ungheria riconducendo rifornimenti necessari, diminuendo immediatamente dipendenza Ungheria da Intesa.

Per giungere in tempo sarebbe necessario togliere subito blocco Ungheria agevolando e se necessario imponendo czeco-slovacchi, romeni e serbi libero commercio fra territori da loro occupati e Ungheria stessa.

Ulteriore misura molto opportuna sarebbe convocazione proposta conferenza rappresentanti tre paesi suddetti e Ungheria sotto la direzione Intesa discutere divergenze interessi comuni e anche questioni territoriali.

Vi si annette qui molta importanza con fiducia risultato pratico e sollecito.

2 Il parere di Diaz era stato comunicato dal generale Cavallero con F. 3205 sp. del 31 marzo.Da parte sua, anche Orlando, già il 26 marzo, con T. 909 RR. a Petrozziello, aveva recisamente escluso di aver mai pensato ad un intervento in Russia, mentre neppure un’eventuale occupazione della Georgiaavrebbe potuto configurarsi come tale.

3 Per l’esattezza, a datare dal 1° aprile, la denominazione della 35ª divisione era stata mutatain quella di Corpo di spedizione italiano in Oriente, già usata nei documenti ufficiali alleati (T. Circ. 5110op. del Comando Supremo, in data 26 marzo 1919). Ma la vecchia denominazione continuò ad essereregolarmente usata nella corrispondenza.

113 1 Non rinvenuto.

115

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 874/473. Londra, 4 aprile 1919 (perv. il 5).

Ho fatto oggi a Graham comunicazione di cui telegramma di V.E. n. 3661.

Egli mi ha risposto che nessuna informazione di attività militari greche era finora pervenuta al suo Governo2 e che parevagli poco probabile che greci intraprendessero spedizioni segnalate nel momento in cui da una parte Conferenza si accingeva a sue decisioni e dall’altra Commissione d’inchiesta per Asia Minore a suoi lavori.

Ho replicato che notizie pervenute a R. Governo erano definite di buona fonte. E poiché mi è sembrato che scetticismo mio interlocutore fosse alquanto artificioso ho aggiunto, come improvviso ricordo personale, che del resto analoghe intenzioni greche erano state manifestate anche mesi fa allorquando Governo francese ammise intera convenienza evitare intervento truppe greche in Asia Minore prendendo immediatamente opportune misure al fine stesso. Graham ha concluso che si sarebbe meglio informato e che ne avremo così potuto riparlare lunedì prossimo3.

116

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 2387 RIS. Roma, 4 aprile 1919.

BLOCCO DEI RIBELLI ALLA FRONTIERA TUNISINA

Il Governatore della Tripolitania telegrafa in data 27 marzo:

«Credo opportuno, informare codesto Ministero che attraverso confine tunisino si permette largo approvvigionamento popolazioni dissidenti Tripolitania. Specialmente mercato Ben Gardane si consentono acquisti merci e derrate facendo opera attrazione compratori, i quali si provvedono anche di tabacco francese, ciò che per popolazioni interno Tripolitania è grande incentivo a recarvisi, essenso molto avide di tali merci di cui, forse più che di ogni altra, sentono e soffrono difetto.

3 Con successivo T. 474 dello stesso giorno Preziosi precisava che Graham aveva insinuatoche: «motivo notizie attività militare greca poteva trovarsi anche in sentimenti reazionari a nostro sbarcoad Adalia».

Recentemente tabacchi francesi che, è bene notarlo, costituiscono monopolio anche in Tunisia, sono penetrati a Zauia dove facilmente sostengono concorrenza coi nostri pel basso prezzo al quale vengono ceduti. Tutto ciò rappresenta danno politico ed economico perché, mentre dà modo ai dissidenti di approvvigionarsi di parecchie merci che fanno loro difetto, contribuendo ad alimentare spirito d’intransigenza, pregiudica commercio locale che attende soluzione grave crisi che lo travaglia appunto da largo approvvigionamento interno appena sia possibile».

Non è d’uopo porre in evidenza la gravità delle circostanze denunciate dal Governo della Tripolitania e la necessità quindi di un pronto energico intervento presso il Governo francese per le disposizioni da dare alle autorità della Reggenza. Quel che si verifica alla frontiera tunisina è non solo in aperta contraddizione coi formali accordi intervenuti tra l’Italia e la Francia relativamente al blocco dei ribelli della Tripolitania, ma annulla di fatto quei benefici effetti che da tali accordi si attendono.

La condotta dalla autorità tunisine ci è poi di grave danno specialmente in questo momento in cui dal Governo della colonia si sta svolgendo un’intensa azione politica per la pacificazione del paese; azione che, come comprenderà codesto on. Ministero, incontra tanti maggiori ostacoli e difficoltà in quanto la resistenza dei ribelli trova alimento e incoraggiamento nella possibilità per essi di sfuggire alle rigorose conseguenze del blocco di frontiera1.

Prego perciò codesto on. Ministero di voler informare d’urgenza di quanto precede il nostro ambasciatore a Parigi affinché intervenga energicamente presso il Governo della Repubblica, rappresentando in tutta la loro gravità e in tutte le loro dannose conseguenze gli inconvenienti segnalati e richiegga colla dovuta fermezza che le autorità tunisine siano richiamate ad un atteggiamento, nei riguardi del blocco, più rispettoso degli accordi.

Gradirò assicurazione.

115 1 Il T. 366 del 3 aprile di Sonnino si riferiva a voci di preparativi di sbarchi greci a Smirne. 2 Con T. 148 del 7 aprile anche Bonin comunicava poi che neppure al Governo francese eragiunta alcuna notizia di preparativi greci per uno sbarco a Smirne.

117

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

NOTA 708 RR. P. Roma, 4 aprile 1919.

La povertà del suolo italiano in fatto di combustibili minerali non era stata molto rilevata nel periodo antecedente alla grande guerra europea, perché essi potevano importarsi senza difficoltà e a prezzi ragionevoli, e la grande industria non era ancora in pieno sviluppo.

Durante la guerra e specialmente negli ultimi due anni di essa si sono incontrate difficoltà assai gravi e ben note al R. Governo; né esse accennano attualmente a diminuire, anzi sotto certi aspetti assumono un carattere di maggiore gravità, dappoiché

117 Il documento fu inviato per conoscenza anche a Sonnino, De Nava e Del Bono.

Inghilterra e Stati Uniti, che sono i grandi fornitori mondiali di combustibili fossili, non hanno più attualmente l’interesse che avevano durante la guerra ad assicurare la resistenza interna del nostro paese. Inoltre, le sempre crescenti pretese dell’elemento operaio (minatori), non più tenute in freno dallo stato di guerra, e la libertà di traffico gradualmente concessa al naviglio mercantile costituiscono per i paesi grandi esportatori nuove difficoltà, alle quali essi possono appigliarsi per apportare restrizioni sempre maggiori all’approvvigionamento dell’Italia.

Per contro il nostro fabbisogno di combustibile, già molto ingente per la necessità dei trasporti marittimi e ferroviari, dovrà essere accresciuto considerevolmente, per favorire lo sviluppo industriale indispensabile affinché l’Italia possa prendere il posto che le spetta nel mondo, ed assicurare lavoro e giusto benessere alle sue classi operaie.

A questo riguardo non è fuor di luogo osservare che una Italia industriale costituirà un concorrente di più nella gara per la conquista dei mercati mondiali, il quale non può certo esser visto di buon occhio dai grandi paesi esportatori di manufatti; ed essi logicamente cercheranno, pur salvando le apparenze, di rendere costoso e difficile l’approvvigionamento dei combustibili indispensabili alle nostre industrie.

Io ritengo saggia opera di Governo premunirsi adeguatamente contro i gravi pericoli qui sommariamente prospettati, ed all’uopo, oltre ad intensificare la produzione e l’impiego dei combustibili nazionali e di energia idro-elettrica, senza troppo preoccuparsi dell’eventuale maggior costo del cavallo vapore così ottenuto rispetto a quello ottenuto col carbon fossile, è a mio avviso indispensabile che l’Italia si assicuri il possesso e il diretto sfruttamento di alcune miniere di carbon fossile nonché di sorgenti di olii minerali, cui possa con sicurezza attingere indipendentemente da qualsiasi intralcio straniero, ed in ogni eventualità.

Per lo scopo summenzionato segnalo in particolar modo alla E.V. le miniere di carbon fossile del Venezuela, nonché quelle di Eraclea in Asia Minore, ed i terreni petroliferi di Batou nella regione del Caucaso; anche colla Romania, che è molto ricca di olii minerali, io ritengo sarebbe possibile e conveniente concludere convenzioni politiche e commerciali a nostro vantaggio1.

È mio profondo convincimento che l’avvenire del nostro paese dipende in gran parte dall’azione che i suoi uomini di Stato esplicheranno nell’attuale periodo di assetto mondiale, per ottenere che l’approvvigionamento delle materie prime indispensabili alla vita e allo sviluppo dell’Italia sia reso in quanto possibile indipendente dal beneplacito degli stranieri.

116 1 A conferma di quanto qui segnalato, con T. 2408 della stessa data il ministro delle coloniedava notizia di un nuovo scontro con i contrabbandieri alla frontiera tunisina.

117 1 Annotazione manoscritta in calce: «S.E. Paratore su premure degli Esteri se ne sta interessando. Pare che il Governo di Bratianu sia contrario a concessioni petrolifere».

118

IL DIRETTORE GENERALE DEL FONDO PER IL CULTO, MONTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. RR. Roma, 4 aprile 1919 (perv. il 5).

Non ho mancato di assumere informazioni su quanto il cav. Biancheri mi faceva presente col foglio del 28 marzo pp. n. 1071 Gabinetto1, circa l’azione che il ministro di Serbia presso la Santa Sede sig. Bakotiƒ avrebbe spiegato nelle visite fatte, prima della sua partenza per Belgrado, al card. Gasparri e a mons. Tedeschini.

Effettivamente il Bakotiƒ prima di lasciare Roma si è recato, come era ben naturale data la sua carica, presso il cardinale segretario di Stato e presso il suo sostituto, ma dalle informazioni assunte ho ragione di escludere che egli abbia cercato di agire nel senso indicato dalla lettera cui rispondo.

E del resto qualunque suo passo diretto a provocare dalla Santa Sede il riconoscimento del nuovo Regno di Serbia non avrebbe trovato favorevole accoglimento; posso anzi aggiungere che in Vaticano si è fatto intendere al Bakotiƒ la nessuna probabilità che la unione serbo-croata sia per realizzarsi, dato l’atteggiamento della Croazia risoluta a non voler sottostare alla monarchia serba.

Informazioni giunte alla Santa Sede rappresenterebbero invece la Croazia desiderosa di venire ad accordi con l’Italia per la formazione di uno Stato sloveno-croato che, secondo essa, non potrebbe dar ombra alla potente vicina sotto la cui protezione verrebbe volentieri a porsi.

Riferisco così come le ho apprese queste informazioni a V.E. che avrà modo di accertarne la veridicità.

A meglio lumeggiare infine l’atteggiamento della Santa Sede verso le aspirazioni serbe, debbo far presente a V.E. che, desiderando il Governo serbo che i vescovi croati della Jugoslavia celebrassero funzioni propiziatorie per la salute del re Pietro, la Santa sede ha dato ai vescovi istruzioni in senso contrario, anche perché la sovranità del re di Serbia su quelle regioni non è stata riconosciuta.

118 La lettera fu inviata in copia, in pari data, al presidente del Consiglio Orlando.1 Non rinvenuto.

119

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

L. CONFIDENZIALISSIMA STRETTAM. PERS. Parigi, 4 aprile 1919.

Come ti ho riferito verbalmente, e perché fra tante cose resti precisa traccia di una delle più importanti discussioni della Conferenza (la discussione rispecchiò tutta la tragicità del conflitto interalleato dalla cui soluzione dipende la pace e l’avvenire del mondo), in aggiunta e a complemento dell’odierno rapporto ufficiale firmato da Crespi, Chiesa e D’Amelio1, riassumo il più brevemente possibile i fatti e la mia opinione su di essi.

Lunedì, 31 marzo, a mezzogiorno, mi hai convocato in casa del presidente Wilson perché in collaborazione con Chiesa e D’Amelio e in confronto di Lamont, Baruch, McCormick, Davis per l’America, di Montagu, Lord Sumner, Keynes per l’Inghilterra, di Klotz e Loucheur per la Francia, esaminassi il progetto Lloyd George sulle clausole per le riparazioni dei danni di guerra in confronto della Germania.

La mia impressione su quel progetto fu tosto sfavorevole.

Lo discutemmo nella seduta di lunedì 31, in una lunga seduta di martedì 1° aprile, e ieri, 2 aprile, in tre successive sedute, l’ultima durata fino all’una di notte.

La proposta originale di Lloyd George fu emendata dagli stessi rappresentanti inglesi, e dagli americani, che tutti si dimostrarono durissimi nella discussione, non accettando nessun emendamento sostanziale, né francese né nostro.

I delegati italiani e specialmente Chiesa appoggiarono in genere le proposte francesi essendovi evidentemente identità di interessi. D’altra parte mi accorsi ben presto che inglesi ed americani, dapprima divisi, dovevano intendersi, come si intesero, per una manovra con un recondito ma ben preciso scopo: quello di costringere la Francia, minacciata di un trattato che le lascerebbe solo gli occhi per piangere, ad accettare che alla Germania sia chiesta una cifra fissa, o una cifra massima e una cifra minima, per l’indennità globale verso i nemici.

La Francia rifiutò per motivi di politica parlamentare e interna. E questa manovra apparve chiarissima ieri, quando avendo Chiesa proposto solennemente che si fissasse un massimo e un minimo, americani e inglesi per tutta risposta si abbandonarono a viva ilarità.

Avvicinati confidenzialmente, Davis e Lamont entrambi mi confessarono che il loro scopo era di accordarsi su un piano sempre più contrario agli interessi francesi onde costringerli a capitolare prima che si iniziassero le conversazioni coi nemici.

E così fecero infatti, concretando rapidamente ieri, durante la seduta notturna, il testo comune anglo-americano che ti è allegato2.

D. 109). Anche questa lettera di Crespi deve essere stata scritta il 3 aprile per i riferimenti siaall’«odierno rapporto» che alla seduta di «ieri 2 aprile», ma reca la data del 4.

2 Il testo definitivo della proposta anglo-americana, che reca la data del 3 aprile, ore 1, è allegato al D. 109 sopra ricordato.

Ieri notte gli inglesi presentarono una ristretta categoria di danni da ammettere a riparazione.

Così tutto il lavoro della Commissione delle riparazioni presieduta da Klotz fu reso inconsistent.

Nell’odierna seduta — dalle 15 alle 16.30 — i francesi strinsero così fortemente di sacrosante argomentazioni gli inglesi e gli americani che entrambi non poterono più rispondere e perciò le trattative furono rotte.

Gli allegati documenti3, giusta le dichiarazioni fatte dagli inglesi ed americani, vengono presentati ai quattro presidenti come risultato di un accordo fra le due delegazioni anglosassoni in opposizione colla delegazione francese, senza opposizione da parte del Governo italiano, essendomi io taciuto durante tutta l’odierna seduta ed avendo infine dichiarato su richiesta dei francesi che mi limitavo a riferire al mio presidente. Così il mio presidente è nella posizione della massima possibile libertà di fare tutto quanto il suo senso gli suggerisce.

Prima dell’odierna seduta ho dichiarato in stretto colloquio a tre fra me, Montagu, e Lord Sumner, e poi in stretti colloqui a due, fra me e Davis e fra me e McCormick, all’incirca quanto segue:

«Mi sono reso perfettamente conto dell’impossibilità di far opera conclusiva senza fissare una cifra globale oppure un massimo e un minimo. Io ho cercato di difendere e difendo l’interesse dell’Italia che è principalmente in questa sede quello di fare fronte onoratamente e nel minor tempo possibile ai suoi impegni finanziari. Vi dichiaro che intendo difendere col mio il vostro interesse, poiché voi, americani ed inglesi, siete i miei creditori. Ma voterò tutto ciò che a voi piacerà che io voti perché voi siete buoni giudici del vostro interesse di creditori».

Ho ragione di ritenere che questo mio discorso è piaciuto; perché Davis e McCormick tosto mi dichiararono che hanno lavorato e continuano a lavorare per far entrare l’Italia nelle riparazioni verso la Germania in forma e misura conveniente; poi mi invitarono ad andare da loro, appena finita questa questione delle riparazioni, per trattare una nuova forma di finanziamento di quelle materie prime necessarie all’Italia, che dal 12 marzo non sono più finanziate dal Tesoro americano.

Da quanto sopra risulta come io non possa neppure lontanamente ammettere che nel trattato di pace si includano clausole come quelle che ti sono oggi trasmesse. La mia acquiescenza dipese solo dalla certezza acquisita che si tratti di una manovra per costringere la Francia a fissare una cifra. A noi non interessa ostacolare tale manovra, perché ci interessa che la cifra sia fissata.

Io non posso certo ammettere che sia lasciato veramente e definitivamente a una commissione interalleata, nella quale i più forti scaricherebbero perfino i loro malumori sui più deboli, di fissare fra due anni e mezzo (quando saranno in gioco chi sa quali forze) le indennità spettanti all’Italia, e neppure posso ammettere altri articoli tutti tecnicamente assurdi.

A te, alla tua grande sagacia trarre da quanto accade e che ti è così ben chiaro tutti i maggiori profitti per l’Italia nostra.

119 1 Il rapporto ufficiale a firma Crespi, Chiesa, D’Amelio reca la data del 3 aprile (vedi qui

119 3 Cfr. D. 109.

120

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 1024. Parigi, 5 aprile 1919, ore 12,45.

A telegramma 10091.

Ti confermo che incidente2 ha avuto effetti pratici favorevoli a noi. Iugoslavi furono intesi soltanto su questione Fiume: non sembra che abbiano fatto impressione valutabile. Non si è più parlato delle cose nostre come io prevedevo. Mossa Lloyd George non fu premeditata poiché non poteva prevedersi che quel giorno si rimaneva senza lavoro; ritengo bensì che aveva lo scopo di mettermi in imbarazzo col fatto stesso di cogliermi all’improvviso. Ciò non è riuscito. Sull’argomento generale dei lavori della Conferenza continua a pesare un’atmosfera di incertezze e di inquietudine e ciò assai più per quanto riguarda gli altri che noi. Per nostro conto, il fatto di ieri l’altro rappresenta come una specie di scaramuccia di ricognizione che ha dato la sensazione molto netta della fermezza delle nostre risoluzioni.

121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO, BIANCHERI

T. 94/374. [Parigi], 5 aprile 1919, ore 15,30 (perv. stesso giorno).

Telegramma 73/121.

Non è possibile nelle presenti circostanze procedere occupazione Makri e Budrum dove però è opportuno siano dislocate nostre forze navali e vi permangano.

120 1 Del 4 aprile, non pubblicato.2 Si riferisce all’audizione degli iugoslavi da parte dei capi di Governo alleati, in assenza diOrlando.

121 1 Con T. 73/12, del 3 aprile, Biancheri aveva suggerito l’occupazione di Makri e Budrum «siapure con contingenti minimi [...] a tutela ordine interno ed a formale richiesta delle popolazioni locali», alfine di impedire praticamente «maneggi greco-francesi» nella regione. Per lo sbarco di piccoli presidinelle due località si pronunciarono poi anche Sforza (T. 401 dell’11 aprile) ed Elia (T. 319 del 14 aprile).Sull’ulteriore sviluppo della questione si veda poi D. 418.

122

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 377. Parigi, 5 aprile 1919, ore 19.

Mi riferisco al dispaccio 9283 del 1° aprile1.

Autorizzo rispondere Ambasciata britannica che si concorda con quanto Governo britannico ha dichiarato circa la Turchia ed eventualmente si darà risposta conforme2.

Uguale risposta ho dato a comunicazione analoga, direttamente indirizzatami da questa delegazione britannica.

123

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO

T. 1064. Parigi, 5 aprile 1919.

Con riferimento al telegramma n. 5725 OP.1. Comunico che nessun nuovo accordo essendo intervenuto circa l’evacuazione del Montenegro, confermansi le istruzioni già impartite circa il mantenimento dei nostri presìdi2.

2 In questo senso Nota verbale (n. 13398/175) fu presentata il 2 maggio all’ambasciatore diGran Bretagna a Roma.123 1 Non pubblicato. Si tratta di un telegramma di Badoglio del 4 aprile.2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 343.

122 1 Con il dispaccio n. 9283 (senza data, pervenuto a Parigi il 1° aprile) il Ministero aveva trasmesso una nota dell’Ambasciata britannica, del 19 marzo, che dava notizia della richiesta di protezioneavanzata da personalità turche al Governo di Londra, per salvare la Turchia dalla distruzione. Comunicando i termini della risposta britannica, che rinviava alla Conferenza della pace ogni decisione su uneventuale mandato, la nota esprimeva fiducia che anche l’Italia volesse dare analoga risposta ad unaeventuale simile richiesta.

124

L’AGENTE DIPLOMATICO AL CAIRO, NEGROTTO CAMBIASO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1278/117. Il Cairo, 5 aprile 1919 (perv. il 6).

Comandante Levi Bianchini riferisce che elementi arabi in Palestina assunto attitudine decisamente contraria agli inglesi e torbidi erano attesi pel 30 marzo. Essi furono evitati stante attività spiegata da comandante che gode piena fiducia autorità: prospettò esatta situazione e seppe invocare ed ottenere opportuno appoggio. Altri torbidi sono attesi per 11 aprile ma comandante venuto qui per conferire con generale Allenby sulla gravità situazione riferiscemi che dopo una franca esposizione ebbe assicurazione saranno presi provvedimenti. Generale Allenby declinò per ora offerta di truppe (...). Maggiore e capo affari politici interessati separatamente sembravano (...) ragione. Sono segretamente informato che generale Allenby è allarmato e partirà appena possibile per Siria e Palestina. Truppe attualmente esistenti in Palestina sono scarse ma sembra probabile che autorità cercheranno scongiurare imminente pericolo massacri di ebrei e probabilmente successiva rivolta contro europei coi seguenti mezzi: informare arabi che loro futuro non sarà deciso se non dopo che loro desideri saranno stati ascoltati e vagliati dalla Commissione interalleata prossimo arrivo; scegliere le proposte dei sionisti alla Conferenza della pace; fare venire emiro Faisal ed invitarlo a fare dichiarazioni tranquillizzanti; dividere in frazioni arabi e cristiani e metterli in antagonismo; rinforzare gradatamente scarsi contingenti occupazione; disarmare popolazione quando si avranno forze sufficienti.

Nonostante tutto ciò comandante considera che la situazione permane pericolosa e ritorna in Palestina ove già successero piccoli disordini fra arabi egiziani ed ebrei.

Comandante assicurami Soragna quotidianamente informato situazione.

125

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 882/53. Costantinopoli, 5 aprile 1919 (perv. il 6).

Ho svolto opera diminuire effetto occupazione Adalia ridurre simpatie turche per noi. Ieri ebbi lunga spiegazione con Ahmed Riza bey testé revocato da presidente del Senato ma tuttora influentissimo specie nelle correnti di opinioni come presidente del blocco nazionale che vuole essere successore onesto del Comitato unione e progresso.

Egli finì per riconoscere che non possiamo astenerci se altri occupano. Dichiarò che tutti i suoi amici dopo quanto hanno osservato dal novembre sarebbero unanimi preferire gli italiani ad altri come mandatari se a tanto dolorose necessità Turchia dovesse rassegnarsi. Aggiunse che egli che è il più fedele amico della Francia non esiterebbe dirlo ai francesi stessi.

È superfluo aggiungere a V.E. che io pongo ogni cura a coltivare questo stato di spirito, ma che non conviene farvi soverchio calcolo come elemento positivo e permanente. Un fatto nuovo come una intesa italo-greca può tutto cambiare lasciando presso dirigenti l’impressione imparzialità (?) speranza che i mandatari italiani sarebbero meno invadenti dei francesi e meno sprezzanti degli inglesi.

126

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 490. Londra, 5 aprile 1919.

È venuto ieri a vedermi generale Torkom, capo di questa missione militare armena.

Dopo avermi parlato della viva, profonda affezione che lo lega al nostro paese, e dell’attività da lui spesa nei Balcani, in nostro favore, durante la guerra libica, generale espresse tutta sua gratitudine per atteggiamento di sincera simpatia assunto da popolo e Governo italiano per causa armena. Tale suo sentimento, che trovava riscontro nella stampa armena, era adesso di tanto più vivo, in quanto politica francese dava così profonde ragioni di disillusione ai patrioti armeni. Pretese della Francia su Cilicia erano inammissibili, giacché l’Armenia non avrebbe mai potuto fare a meno di sbocchi sul Mediterraneo; né la neutralizzazione dei Dardanelli, che assicurerebbe il libero commercio da Trebisonda verso quel mare, poteva ritenersi misura sufficiente, giacché essa era contingente allo stato di pace, e pertanto di natura precaria. L’Armenia — egli aggiunse — è pronta bensì ad accettare la cooperazione di una potenza europea, ma alla condizione di esser resa un’Armenia integra e veramente vitale.

Generale mi annunziò quindi che egli intendeva recarsi in Italia per patrocinarvi aspirazioni del suo popolo. Mi pregò per ultimo di trasmettere a V.E. l’unito documento1.

Mi limitai ad ascoltare il discorso del generale Torkom, ringraziandolo a varie riprese delle parole di amicizia e di devozione da lui rivolte verso l’Italia.

126 1 Non si pubblica. Si tratta di una lettera per Sonnino a firma di Avetis Aharonian, presidentedella delegazione della Repubblica armena alla Conferenza della pace, per un intervento alleato in difesadella nazione armena minacciata di distruzione dai tartari.

127

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 722 RR. P. Roma, 5 aprile 1919.

Nelle clausole navali per i preliminari di pace, lette ed approvate in seduta plenaria dal Supremo consiglio di guerra, è espressamente fatto divieto alla Germania di possedere sottomarini di qualsiasi specie.

La proposta di tale limitazione dei mezzi di guerra navale partì dall’Ammiragliato britannico, e fu combattuta in seno al Consiglio navale dai rappresentanti della Marina francese ed italiana propensi ad includere i sottomarini difensivi nella futura flotta germanica, sia perché, se a questa deve essere tolta ogni possibilità di nuocere, non può negarsi il diritto di essere in grado di difendersi, sia specialmente sembrando loro scorgere nella proposta inglese una prima avvisaglia per procedere allo sviluppo della tesi anglo-americana dell’abolizione del sottomarino come arma di guerra navale. Detti rappresentanti finirono tuttavia per accettare il punto di vista inglese per quanto concerne tale limitazione nei riguardi della flotta germanica, giustificabile a cagione degli atti di inutile brutalità e barbarie sistematicamente commessi dai sottomarini nemici.

Occorre però tener ben fermo il criterio che tale limitazione da imporsi alla Germania, come del resto quella dell’abolizione della coscrizione, non possa in alcun modo invocarsi come precedente e ritorcersi contro l’Italia e Francia, le quali, come potenze continentali, con vaste estensioni di coste da difendere e mezzi navali relativamente limitati, si trovano in condizioni ben diverse dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti di America.

L’abolizione del sottomarino sarebbe infatti favorevole agli interessi militari e commerciali di queste nazioni, ma riuscirebbe di grave jattura per quei paesi che sul mare tendono piuttosto ad una politica difensiva, e significherebbe per l’Italia la necessità di accrescere largamente la flotta e le fortificazioni lungo tutto il suo estesissimo litorale del continente e delle isole.

Sottopongo quanto sopra alla considerazione dell’E.V. per il caso che la questione dell’abolizione del sottomarino fosse portata in discussione in relazione al progetto della Lega delle Nazioni.

128

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 6 aprile 1919, ore 11,15.

Grazie del telegramma1.

Dopo il primo scontro di cui diedi notizia2, della nostra questione non si è più parlato. Si è continuato invece a parlare della pace con la Germania e gli ultimi atteggiamenti fan credere che accordo potrà raggiungersi sul punto delle riparazioni che era il più contestato. Per quanto qualche riserva sia ancora possibile, pure io inclino a credere che effettivamente in questa settimana l’accordo della pace francese sarà fatto. Io ho già fatto intendere in tutti i modi che non posso assolutamente consentire che, prima della firma coi plenipotenziari tedeschi, non abbia anche luogo decisione questione italiana. Siamo quindi in attesa e V.M. può credere che nulla lascerò intentato perché si abbia una soluzione soddisfacente. Ove ciò non fosse, la mia intenzione sarebbe di arrivare ai mezzi estremi di protesta. Io sono infatti convinto che l’urto violento che riceverà il paese da una pace non soddisfacente, sarebbe aggravato ancora di più se si trovasse di contro un Governo consenziente. Sebbene la partita sia difficilissima, io conservo la speranza che tali ipotesi estreme siano evitate.

129

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. SONNINO

T. 7746 URG. Roma, 6 aprile 1919, ore 14.

Trasmetto qui accluso un esemplare della memoria sui Luoghi Santi1 che il custode di Terrasanta ha indirizzato2 alla Conferenza della pace.

Il padre custode ha annunziato che l’8 di aprile, seguendo il consiglio datogli dal Vaticano, partirà per Parigi. Egli viene costà a far valere i diritti e le aspirazioni della Custodia di Terrasanta esposti nel memoriale qui unito.

2 Precipua missione dell’ordine francescano, istituita nel 1217, ricostituita nel 1333 (avendoRoberto d’Angiò acquistato dal sultano alcuni luoghi santi di Gerusalemme, vedi qui D. 181) e confermata da papa Clemente VI nel 1342, e poi ancora da Pio X nel 1912, la Custodia di Terrasanta era un organismo internazionale di particolare interesse per l’Italia, specie dopo la conquista alleata di Gerusalemme.Custode di Terrasanta, dal febbraio 1918, era padre Ferdinando Diotallevi.

La venuta costà del custode potrebbe coincidere con una azione da parte dei circoli francesi interessati per la difesa dei diritti dei latini in Oriente e degli interessi speciali della Custodia in Palestina.

In questa maniera la Francia assumerebbe essa l’iniziativa della difesa della latinità cattolica in Oriente, giovandosi opportunamente della presenza del padre custode a Parigi, per affermare la protezione francese su quell’istituto e per mantenere la sua posizione di fronte alla cattolicità.

Che la Francia non si sia disinteressata di questi problemi, ma abbia invece attivamente agito, per quanto in segreto, credesi lo si possa dedurre da vari fatti, alcuni dei quali sono i seguenti. Poche settimane fa è venuto a Roma il cardinale Amette. I giornali francesi hanno annunciato che prima di partire da Parigi egli ha avuto un colloquio col presidente Clemenceau ed hanno affermato che tra gli scopi della visita del card. Amette vi era anche quello di conservare alla Francia i suoi diritti secolari in Oriente. Il convento del Monte Sion, occupato prima della guerra da benedettini germanici e fatto evacuare dagli Alleati dopo l’occupazione della Palestina, è stato ora riaperto da benedettini belgi, che sono arrivati laggiù senza che qui se ne avesse avuta alcuna notizia, malgrado l’interessamento da noi preso, e fatto conoscere anche in Vaticano, perché ai benedettini tedeschi succedessero, almeno parzialmente, dei religiosi italiani. Poco dopo il loro arrivo, i benedettini belgi hanno celebrato una solenne cerimonia religiosa. Durante essa sono stati resi gli onori al rappresentante francese. Il fatto è molto importante perché fino adesso non era mai avvenuto che al convento del Sion si rendessero gli onori ad un rappresentante francese e perché in tal modo è stata rotta la situazione, che ci era stata assicurata dal Vaticano dopo gli ultimi incidenti avvenuti alla Custodia, di nulla alterare nello statu quo ante guerra in Palestina in materia di onori e protezione religiosi fino a dopo la conclusione della pace. Il fatto non può esser dunque avvenuto a completa insaputa del Vaticano: in ogni caso, fino ad oggi il Vaticano non ha fatto nulla per ristabilire la situazione da lui assicurata.

In queste condizioni l’ufficio scrivente prega Vostra Eccellenza di volergli far sapere se non sia venuto il momento per potere consentire, agli enti ed ai privati che hanno interesse di farlo, di iniziare in Italia un’azione pubblica di propaganda per la difesa degli interessi dei latini in Oriente e per la rivendicazione dei diritti della Custodia.

L’ufficio scrivente informa che il padre custode appena giungerà a Parigi si metterà in rapporto con codesta Delegazione. Sarebbe bene di controllarne l’azione e, per quanto possibile, di dirigerla nonché di facilitare al custode la trasmissione telegrafica e postale di quelle comunicazioni che egli volesse dirigere a Roma.

L’ufficio scrivente conferma la comunicazione già fatta della prossima venuta a Parigi del padre Rosati, italiano, e del padre Robinson, inglese. Essi giungeranno al più presto dopo il custode e, se possibile, contemporaneamente. Il padre Rosati è persona di sicuri sentimenti: potrà svestire l’abito ed assumere vesti secolari; potrà servire di collegamento tra codesta Delegazione ed il padre custode, il quale, per prudenza e per mostrare indipendenza, intende prendere dimora presso persona amica e tenersi così lontano anche da qualsiasi influenza di comunità religiose.

128 1 Si tratta del telegramma del 5 aprile (ore 19), non pubblicato.2 Vedi D. 112. 129 1 Non si pubblica. Si tratta della memoria «Les Lieux Saints à la Conférence de la Paix», datata da Gerusalemme, Natale 1918.

130

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO DEI TRASPORTI MARITTIMI E FERROVIARI, DE NAVA

T. 379. Parigi, 6 aprile 1919.

A telegramma n. 51461.

Interessomi perché vapori indicatimi possano essere lasciati nostra disposizione per ripresa traffico Trieste Smirne2. Intanto considerazione necessità nostra bandiera si affermi quanto più rapidamente possibile su coste Asia Minore ed in vista intensa ripresa traffico greco prego V.E. vedere quali altri provvedimenti possano essere attuati di urgenza.

131

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 6063 OP. Abano, 6 aprile 1919.

Affinché questo Comando possa avere norma per conseguenti predisposizioni da prendere pregasi far conoscere possibilmente carattere che dovrà assumere occupazione Anatolia in relazione suo scopo. Cioè se per ordine pubblico oppure se per assumere funzioni governative nella zona; ciò interessa riaffermare anche per decidere circa assegnazione tribunale al comando corpo spedizione per eventuale amministrazione giustizia popolazione civile1.

2 Con T. Posta 1119 dell’8 aprile Sonnino provvide poi a trasmettere a Crespi copia del telegramma di De Nava per un eventuale intervento su Londra.131 Trasmesso per conoscenza dalla Sezione militare alla Presidenza del Consiglio dei ministri,Gabinetto e al Ministero affari esteri, Gabinetto con n. 3846 SP. del 9 aprile.

1 In calce annotazioni manoscritte di De Martino (10 aprile): «Il conte Aldrovandi dice di farecome fanno gli inglesi e i francesi nelle loro zone di occupazione. A questo scopo vedere l’accordo francoinglese dell’ottobre o novembre scorso per l’occupazione della Siria, che fu comunicato al Governo italiano da quello di Londra con richiesta di benestare. Abbiamo risposto allora affermativamente. Quindi èda esaminare se ora ci convenga o no seguire analoga procedura. A prima vista pare di no. Ad ogni modo,il caso è diverso perché la Siria era conquistata per forza d’armi, non così l’Anatolia dalle truppe italiane.Inoltre vi è un recente telegramma di Sforza [vedi D. 70] che raccomanda lasciare le autorità turche.Credo quindi che le nostre autorità militari debbano conformarsi a quel complesso di norme tradizionaliin Oriente per cui le autorità locali rimangono in funzione ma controllate e dirette di fatto». L’accordo cuiaccenna De Martino è quello del 7 novembre 1918. Con esso i Governi di Francia e d’Inghilterra dichiaravano congiuntamente l’intenzione di stabilire in Siria e in Mesopotamia «Governi nazionali che derivino la loro autorità dall’iniziativa e dalla libera scelta delle popolazioni».

130 1 Con il T. 5146 del 3 aprile, non pubblicato, De Nava aveva lamentato la difficoltà dei trafficimarittimi con il Levante chiedendo un interessamento presso il Comitato interalleato perché lasciasse ladisponibilità di alcuni piroscafi del Lloyd Triestino.

132

IL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 898/1098. Atene, 6 aprile 1919 (perv. l’8).

Opinione pubblica e stampa hanno accolto con moderata acrimonia notizia nostro sbarco Adalia. Siffatta accoglienza relativamente conciliante alla nostra decisione è da attribuirsi alla speranza che occupazione di quel punto possa influire rinunzia da parte nostra a Smirne e al litorale occidentale dell’Anatolia.

Giornali additando l’esempio dell’Italia consigliano che si rompano gli indugi e che Grecia sbarchi anche essa nei territori che rivendica.

133

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 891/146. Parigi, 6 aprile 1919 (perv. il 7).

Ho l’onore di qui unita far pervenire alla E.V. copia di una nuova lettera da me trasmessa ieri a questo ministro degli affari esteri, e concernente l’azione delle truppe serbe e delle bande di Essad in Albania1.

Paris, le 5 avril 1919.

Faisant suite à ma lettre du 27 mars dernier, je crois utile de vous informer à titre confidentiel que, dans ses conversations avec notre Chargé d’Affaires à Belgrade M. Gavriloviƒ, Ministre Adjoint des Affaires Etrangères du Royaume de Serbie, tout en niant qu’il y ait aucune connivence entre les troupes serbes et les bandes essadistes, a fait connaître que ces troupes, loin d’évacuer le territoire albanais, ont reçu l’ordre de se maintenir dans les localités qu’elles occupent, et a laissé entendre qu’elles recevront même des renforts. Le Gouvernement serbe déclare ignorer absolument l’accord interallié2 en force duquel l’Albanie du Nord doit être occupée par des troupes italiennes.

Ces circonstances nous paraissent exiger avec une urgence encore plus grande ce qui était l’objet de la demande contenue dans mes lettres du 19 et du 27 mars, à savoir que le Commandant en chef de l’Armée d’Orient veuille bien ordonner aux troupes serbes de se retirer au delà de la ligne établie en 1913.

Je Vous serais très reconnaissant, mon cher Ministre, si Vous vouliez bien me faire connaître, dès qu’il Vous sera possible, si et quelles mesures le Général Franchet d’Esperey aura jugé à propos de prendre à cet effet, et je saisis l’occasion de Vous renouveler l’assurance bien sincère de mes sentiments les plus dévoués.

133 1 Sulla questione si veda D. 86.2 Si allude evidentemente agli accordi intercorsi ai primi di novembre 1918 tra il generale Pia-centini e il generale Franchet d’Esperey e tra Sonnino e Pichon, vedi serie sesta vol. I, DD. 25 e 31.

134

IL CAPO DELL’UFFICIO I.T.O. DELLA VENEZIA GIULIA, FINZI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

NOTA 4940 SEGRETA. Trieste, 6 aprile 1919.

Onde rendermi esatto conto del lavorio segreto dei vari centri, del risultato da essi ottenuto ed a fine di sussidiarli ed impartire personalmente direttive che servissero ad orientarli secondo l’attuale momento politico ho intrapreso un viaggio che mi ha permesso di avere contatto con tutti gli elementi ch’io ho ritenuto utile vedere.

Il viaggio è stato compiuto usufruendo di auto, ferrovie, vetture, portando secondo l’opportunità o no bandiera italiana, vestendo quasi sempre l’uniforme: date le predisposizioni da me prese col mio personale e dato che evitai sempre contatti con autorità slovene, croate o serbe esso si è svolto su tutto il territorio jugoslavo senza alcun incidente non solo, ma senza che alcuna autorità potesse controllare la mia azione o il mio passaggio (tolto all’uscita - 8° giorno).

Itinerario percorso:

1° giorno: Trieste - Lubiana - Marburg;

2° giorno: Marburg - Varasd - Veröcze;

3° giorno: Veröcze - Darvar - Bjelovar - Köros;

4° giorno: Köros - Zagabria;

6° giorno: Zagreb - Sisak - Ujgradiska;

7° giorno: Ujgradiska - Djakovo - Cepin;

8° giorno: Cepin - Zombor - Szeged - Arad;

10° giorno: Arad - Mako - Szentes;

11° giorno: Szentes - Kecskemet - Budapest;

14° giorno: Budapest - Vienna;

18° giorno: Vienna - Tarvis - Trieste.

A Lubiana e Marburg ho incontrato i capi centro che agiscono in Slovenia, a Varasd e a Zagreb i capi centro che agiscono in Croazia, a Ujgradiska e Djakovo i capi centro che agiscono in Bosnia-Erzegovina, a Cepin e Verözce parte di quelli che agiscono in Slavonia, a Arad quelli che agiscono nel Banato e in Serbia, a Budapest e Vienna i capi gruppo collegamento ed altri elementi di contatto con stampa estera o sorveglianza agenti esteri.

134 Uffici I.T.O. (Informazione Truppe Operanti) era la denominazione assunta dagli Ufficiinformazione delle armate con l’ordinamento del Servizio informazioni in vigore dal 5 ottobre 1916.

Lavorio svolto dai vari centri. Dai rapporti orali ricevuti, dai dati fornitimi, dai contatti procuratimi risulta in modo positivo che i centri, anche perché il lavoro era in massima consono alle loro idee, hanno svolto molto bene i compiti loro affidati che sinteticamente possono riassumersi:

a) lavorio di disgregazione dell’idea unitaria jugoslava1;

b) lavorio di denigrazione a carico dei serbi, di esagerazione dei molti incidenti procurati da questi, di provocazione degli stessi;

c) lavorio di contropropaganda politica per bilanciare quello a noi contrario (molto, e fatto sfacciatamente quello francese, più oculato, ma con carattere politico commerciale quello inglese e americano), smascheramento dell’eccessivo sfruttamento commerciale attuato pur ora dai soli francesi (servendosi della base di Fiume);

d) lavorio di propaganda, molto oculato, a nostro favore.

Risultati ottenuti. (Li riassumo sinteticamente senza fornire dati di giornali o nomi di persone. Essi saranno a disposizione di codesto Comando a lavorio compiuto).

Slovenia. Tre mesi fa decisamente unitaria (Stato S.H.S.), serbofila, antiitaliana, è oggi in crisi.

Frequenti gli articoli pubblicati da tre degli otto giornali contro i croati, frequenti quantunque di minima importanza gli incidenti contro i serbi.

L’idea della formazione di uno Stato repubblicano separato — frutto di una propaganda spicciola insistente — ha fatto enormi progressi nella media borghesia, nel popolo, nel clero; minori nell’elemento intellettuale elevato che si aggrappa ancora al

S.H.S. come all’unica ancora di salvezza per le sue aspirazioni ... ormai, a detta degli stessi interessati platoniche ..., su Trieste e Istria.

Molto diminuito, specie nel popolo da un mese a questa parte, il sentimento antiitaliano: persone eminenti di origine italiana e dimoranti in Slovenia furono ben liete, dopo avere ricevuto indirettamente mie direttive, di lavorare a tale scopo.

Svalutata quasi completamente la propaganda francese a proprio favore e con carattere antiitaliano: tutte le volte che fu possibile farlo con tatto fu smascherato l’esclusivo interesse commerciale della subdola azione.

Complessivamente la Slovenia è oggi in uno stato d’animo tale, a detta del mio personale e per la mia visione diretta, che una eventuale nostra provvisoria occupazione militare non verrebbe accolta malvolentieri. L’Italia è ormai riconosciuta dal popolo per la grande nazione che effettivamente è; i problemi diciamo così irredentistici (Trieste, Istria, Stato Jugoslavo) lo lasciano nella indifferenza la più assoluta essendo ormai diffusa la convinzione che cogli italiani si sta bene ed è infine la sola stampa, e non tutta, e solo quella sussidiata abbondantemente dai serbi (francesi?) che agita ancora, senza però essere seguita, il bandierone jugoslavo antiitaliano.

I serbi, anche per la necessaria ambiguità della loro condotta, non hanno saputo guadagnarsi molte simpatie. I discorsi o giudizi intimi possono riassumersi in questa

frase assai diffusa: «Resteranno finché potranno essere utili ai nostri fini poi li faremo tornare fra i loro maiali».

Croazia e Slavonia. Il sogno unitario è svanito.

La propaganda francofila è fallita.

L’odio accanito contro gli italiani ha ceduto ed è stato sostituito da un desiderio di conciliazione.

I serbi sono considerati i veri oppressori, i francesi i traditori della causa croata, gli inglesi i mercanti indifferenti ai guai morali altrui.

Se si pensa alla Croazia di tre mesi fa, specie nel suo elemento intellettuale, l’evoluzione compiuta e il risultato raggiunto appaiono enormi. Molto è dovuto alla forza delle cose ma molto, e lo riconosco con piacere, al tatto, intelligenza, sagacia, fede, degli elementi che mi coadiuvarono.

Il partito di Radiƒ, tre mesi fa debole, è ora fortissimo, ha dietro sé 4/5 della Croazia, ha guadagnato alla sua causa gli intellettuali pan-croati, i democratici cristiani, i socialisti moderati.

Radiƒ è nella più assoluta buona fede.

Ha ricorso indirettamente a me, preso nella rete, perché in noi ha intravisto la salvezza delle sue idee.

Ma ha sempre trattato con intenzioni conciliative oneste serbandosi puro e non accorgendosi, nel suo ascetismo patriottico, dell’unzione intelligente fatta in tutto il suo entourage.

La stampa, aiutata dai miei ed all’infuori della pressione sui vari partiti — ed è stata questa una nuova forza — ha sempre agito al di là delle intenzioni dei capi partito pubblicando spesso articoli d’una violenza tale da obbligare i dirigenti a calmare i neofiti.

Nulla fu tralasciato per acuire, disgregare, creare malintesi, rancori, critiche. E l’azione nostra, se in qualche rarissimo momento fu sospettata, non fu mai provata: i capi, prima del 25 marzo, non furono mai travolti ed i gregari arrestati qua e là (credo 36 in tutto) in possesso anche di moneta (inglese, americana, francese) non sapevano da dove partiva l’impulso direttivo.

Si è insomma giocato sulla buona fede della quasi totalità.

Alla data attuale una occupazione italiana della Croazia-Slavonia è desiderata dalla quasi totalità e dal popolo e dagli intellettuali perché in noi essi vedono l’esponente della civiltà, moderazione.

Malgrado che parte della stampa continui ancora ad inveire contro di noi (quanto cambiato però il tono!) e anzi appunto per l’acuirsi di queste invettive — frutto più che altro dei comunicati delle agenzie jugoslave di Berna, Zurigo, Parigi — posso con sicurezza affermare che essa non rappresenta l’opinione pubblica o il pensiero croato ma è l’esponente di direttive che partono da Parigi e Belgrado. Ma anche nella stampa l’equilibrio è a vantaggio della nostra tesi; su 9 giornali importanti della regione ben 6 pubblicarono sovente articoli di critica al nuovo regime e 3 si scagliarono decisamente contro («Jutarnic Lista» - «Sloboda» - «Dom»).

Oggi a qualunque costo la Croazia-Slavonia vuole liberarsi dai serbi.

Con Predavez (il segretario di Radiƒ) ero rimasto d’accordo dopo l’arresto dello stesso che o il 7 o il 14 Zagabria sarebbe insorta (hanno armi per 20.000 contadini, i serbi a Zagabria sono 1200 in tutto) avrebbe catturato il presidio serbo, liberato Radiƒ, proclamato l’indipendenza della Croazia.

L’arresto di Predavez e di altri ancora, comunicatomi da agenti rientrati, complica le cose, ma ad ogni modo nulla lascerò di intentato perché vi sia una soluzione clamorosa consona ai nostri interessi.

A Fiume, per istinto, continuano a presentarsi inviati di vari partiti che cercano il nostro appoggio ufficiale. Aiutato dalla grande cortesia e tatto di S.E. Grazioli, ho sempre disposto le cose in modo che essi avessero accoglienze cortesi e promesse di appoggio nel limite del lecito e giusto: mai ho compromesso o impegnato l’azione del Governo accontentandomi sempre della continua incessante azione, senza scoprire il nostro gioco, dei vari fidatissimi miei capi centro.

È vero essere seppellito presso Zagabria un album con 200.000 firme protestanti contro l’attuazione dello Stato S.H.S.; avrei dovuto portarlo con me ma non potei farlo dato il volume e la tema del sequestro e altro.

Temo che a Radiƒ e adepti siano stati presi documenti che erano a noi destinati: nulla e nessuna prova sulla mia attività indiretta.

Le mie comunicazioni con Zagabria sono sempre perfette. Confermo i disordini gravissimi anti-serbi avvenuti un po’ dappertutto (la stampa dette a suo tempo i vari particolari, tutti esatti) nel periodo dal 5 al 20 marzo.

Confermo le dimostrazioni anti-francesi del 18 e 24 marzo.

Confermo che la Croazia è oggi in una situazione tale che una scintilla basta a far scoppiare gravi moti anche bolscevichi a meno che vi vengano tolte le truppe serbe.

Bosnia-Erzegovina. Si sono acuiti i dissidi religiosi in relazione alle finalità politiche.

Cattolici e mussulmani, quasi i due terzi della popolazione, si sono definitivamente schierati contro i serbo-ortodossi e di conseguenza contro l’idea della formazione dallo Stato jugoslavo sotto la direttiva serba.

Inutili gli sforzi serbi per contrastare il passo al progredire dell’idea separatista.

Anche nei vari centri di questa regione il lavoro è stato svolto con vera abilità e da parte di molti elementi con vera passione.

I dirigenti i vari centri hanno saputo collegare il loro lavorio con quello svolto dai centri finitimi in Croazia. Il risultato è stato sorprendente, il partito degli indipendenti ha preso uno sviluppo ancor maggiore accentuando il carattere anti-serbo. Oggi più di 120.000 firme sono nascoste a Serajevo tutte invocanti la formazione di una repubblica indipendente. Ma il temperamento primitivo dei bosniaci arriva più in là: essi ripetono agli stessi serbi che se Parigi vuole proprio metterli sotto di loro essi incominceranno la guerriglia. E carceramenti, persecuzioni sono inutili; il dover cambiare un imperatore padrone di tante terre e tante razze col povero ex mercante di maiali abitante nel comitagio di Arad — che tale essi ricordano re Pietro — non entra nei cervelli dei mussulmani e cattolici bosniaci.

Confermati i disordini anti-serbi, a Serajevo, Travnik, Doboj, Mostar, avvenuti nei mesi di febbraio e marzo.

Pubblicati con abbastanza frequenza, su tre giornali, articoli antiunionisti.

Lavorio francese in questa regione minimo.

Dalmazia (parte non occupata). Dai rapporti orali avuti rientrando a Trieste risulta che la situazione generale è un po’ stazionaria. Il lavorio di propaganda a nostro favore è lento, il lavorio di distacco dalla Croazia (il popolo non parla di Jugoslavia) trova molti ostacoli nel temperamento del contadino. I serbi, e pel loro contegno e per la eccessiva loro avidità e per tutto il lavorio di denigrazione fatto, non sono però amati: l’idea unitaria malgrado tanti strombazzamenti ha fatto ben poca strada.

Provocato qua e là qualche incidente, però di poca importanza.

Pubblicati parecchi articoli o conciliativi o a noi favorevoli sui giornali.

Lavorio francese, specie nei porti di Spalato, Ragusa, intenso.

Da tutto il complesso degli elementi forniti risulta ad ogni modo positivamente che un’eventuale definitiva presa di possesso nostra lascerebbe la massa indifferente.

Serbia. Quantunque il Governo cerchi con provvedimenti sociali di fermare la marea rivoluzionaria che incalza, è certo che la Serbia subirà quanto prima una profonda crisi evolutiva.

La massa, è inquieta, indisciplinata; l’esercito subisce la stessa crisi.

Vi furono momenti in cui parve che il Governo facilitasse questo afflusso di idee nuove in tutti i territori occupati, quasi per farne motivo di giustificazione a tutte le repressioni irredentistiche anti-jugoslave e antiserbe; esso non seppe però evitare dal contagio le proprie truppe che si mostrarono proclivi in ogni occasione agli eccessi. Oggi, difficilmente la situazione potrà essere dominata e, se la Serbia agita lo spauracchio del bolscevismo qualora non fosse accontentata nella sue aspirazioni, ben difficilmente saprà dare ad esso lo stesso carattere nazionalista assunto dalle masse ungheresi ed evitare che non degeneri.

Le dimostrazioni spontanee jugoslavofile antiitaliane esistono solo nella fantasia degli elementi destinati a tale propaganda: tutti i tentativi fatti da due mesi a questa parte sono miseramente falliti.

Il popolo e l’esercito sono stanchi di tutto.

Conclusione. L’idea jugoslava lascia indifferente una parte della massa e indispettisce l’altra.

Nei Balcani cova un altro grave incendio.

Se la Jugoslavia, ormai contro la volontà degli interessati, dovesse venir formata con Governo monarchico serbo, debbonsi attendere gravi moti rivoluzionari. Se invece si potrà addivenire ad una confederazione di repubbliche tutto potrà sistemarsi.

Movimento bolscevico ungherese

Sei giorni di permanenza in Ungheria attraversandola tutta in auto e permanendo in Budapest ove non mi mancò il contatto con uomini del vecchio, e nuovo, regime mi hanno convinto che questa seconda rivoluzione ungherese, che potrebbe chiamarsi la prima vera evoluzione, non ha assunto per ora forme tali da preoccupare l’Europa.

Il movimento ha ancora carattere assolutamente nazionalista e gli ungheresi non possono convincersi si decida di loro senza interpellarli mentre invece si sentono gli czechi, transilvani, serbi del Banato che essi considerano tutti ex austriaci e tutti nella stessa posizione giuridica.

Il bolscevismo diventato ormai movimento statale non appare pericoloso e in Ungheria, tolti gli inevitabili incidenti dei primi giorni, l’ordine è perfetto e il rispetto dei privati alla altrui proprietà privata ancora assoluto.

Certo che il movimento potrà degenerare se gli ungheresi si riterranno trattati ingiustamente ed in tal caso essi faranno tutto il possibile, e lo dichiarano, per portare la stessa malattia anche fra l’Entente.

I francesi sono ormai impopolari in tutta l’Ungheria, degli italiani viene invece ricordato con simpatia il senso di equa moderazione.

Inglesi e americani vengono invece guardati con diffidenza e bollati per mercanti.

Ritengo non convenga anche nello stato attuale di cose abbandonare a sé l’Ungheria, noi vi saremo sempre accolti con deferenza.

La Serbia ha molto lavorato e lavora per trascinare l’Ungheria nell’orbita della eventuale unione danubiana; malgrado la lusinghiera offerta — il Banato — l’Ungheria è sempre assai incerta. È però ad ogni modo sicuro che le sue antipatie si appuntano prima contro gli czechi, poi rumeni, poi serbi e che con questi ultimi il popolo non dispera di trovare una via conciliativa.

Nota: Man mano inviai, tramite capo Servizio informazioni, i documenti originali che ritenni più importanti sul fine che vogliamo raggiungere.

134 1 Un piano per sollecitare i dissensi e i conflitti interni contro l’unità jugoslava, preparato forsedallo stesso Finzi, era stato presentato da Badoglio a Sonnino il 3 dicembre 1918 e da questi approvato il9 successivo.

135

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 384. Parigi, 7 aprile 1919, ore 11.

Delegazione albanese presieduta da Halil pascià non ha chiarito ancora suoi movimenti e scopi. Mantiene propria azione indipendente da delegazione presieduta da Turhan pascià e non ha fatto adesione al Governo provvisorio di Durazzo. Non regola propria condotta in conformità azione italiana. Durante lavori commissione per studio domande greche delegati francesi proposero che Halil pascià fosse ammesso esporre suoi desiderata; il che fa supporre fossero noti alle autorità francesi mentre a nostra delegazione egli si è limitato fare accenni titubanze albanesi e danno per buoni rapporti fra albanesi e Italia causato da nostre intenzioni circa Valona. Non si sa per quale tramite Halil pascià si tenga in rapporto con Costantinopoli. Nell’assieme è da ritenere che tale delegazione sia più di danno che di vantaggio per nostra azione a Parigi. Quanto sopra per conoscenza di V.E. e per quanto crederà conveniente di fare per venire in chiaro circa mandato tale delegazione1.

135 1 Vedi anche D. 94 e poi D. 193.

136

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO, BIANCHERI

T. 386. Parigi, 7 aprile 1919, ore 11,05 (perv. ore 16).

Telegramma di V.S. n. 76321.

Non è opportuno dare per ora notizia sbarco nostre truppe Adalia. Prego impartire opportune istruzioni censura italiana.

137

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CONSOLE GENERALE MAJONI, IN MISSIONE AD ODESSA

T. 389. Parigi, 7 aprile 1919, ore 18,30.

S.E. Giers a proposito decisione alleati di evacuare codesta città mi fa osservare1 che questa evacuazione sarà seguita incotestabilmente da nuovi massacri bolscevichi. Mi prega di interessarmi perché siano mandate navi ad Odessa per dare possibilità a quelli che volessero lasciare la città di recarsi altrove. Egli indirizzerà un promemoria identico ai Governi alleati su questo soggetto.

Ho telegrafato al Ministero della marina2 comunicando ed appoggiando quanto precede. Prego la S.V. volersi interessare perché, con gli eventuali mezzi che saranno messi a disposizione dalla nostra marina, nei limiti del possibile e dopo avere imbarcato nostri connazionali, sia data possibilità anche a cittadini russi lasciare città.

2 È il T. 388 dello stesso 7 aprile. Ad esso rispose l’8 aprile l’ammiraglio Revel con T. 35934 SM., assicurando di aver telegrafato all’ammiraglio Salazar «di concorrere al momento opportuno contutti mezzi disponibili evacuazione Odessa».

136 1 Non rinvenuto.

137 1 La lettera personale di Giers a Sonnino è del 6 aprile, (non pubblicata).

138

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, E ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI

T. 391. Parigi, 7 aprile 1919.

Nell’attuale Commissione di navigazione del Danubio che agisce in base regime militare provvisorio Italia non è rappresentata. Nostro diritto parteciparvi proviene da armistizio Villa Giusti. Inoltre questione navigazione Danubio essendo connessa con quelle commercio penisola balcanica dobbiamo aver modo far valere nostri interessi in seno Commissione1.

Prego intrattenere subito codesto Governo comunicandomi risposta.

139

L’UFFICIO RISERVATO DI PUBBLICA SICUREZZA DEL MINISTERO DELL’INTERNO AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. ESPRESSO 9622 RIS. Roma, 7 aprile 1919.

Da informazioni pervenute dalla Svizzera risulterebbe che ben presto l’attività di penetrazione bolscevica verso il nostro paese si attenuerebbe in Svizzera, attese le difficoltà incontrate da quella parte per le misure delle autorità federali e per la efficace sorveglianza alla nostra frontiera, rivolgendosi invece prevalentemente e in maggior proporzioni verso l’Austria, donde si spera che tale penetrazione possa riuscire più facile attraverso la linea di armistizio. Queste notizie troverebbero riscontro in altre dell’Ufficio Stato Maggiore Marina (comunicate anche a codesto On. Ministero con foglio 1° corrente n. 268)1 riguardanti l’Ufficio di propaganda sovversiva contro l’Italia, diretto in Zurigo dal noto Rasim Edmondo, e secondo le quali quest’ultimo avrebbe dichiarato che un’azione di penetrazione bolscevica sarebbe stata già iniziata, da Innsbruck, tra le nostre truppe dislocate lungo la fronte tridentina e particolarmente tra quelle della valle dell’Inn.

138 1 Vedi D. 166.

139 1 La segnalazione fu confermata dal Ministero dell’interno con successivo T. 11206 R. del 1 maggio sulla base di notizie da Zurigo, secondo cui alcuni dei propagandisti italiani rifugiatisi in Germania dalla Svizzera «tenterebbero di penetrare in Italia via Austria-Jugoslavia».

140

IL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 906/... RR. Budapest, 7 aprile 1919 (perv. il 9).

Dispaccio di V.E. 9971.

Non mi è stato possibile giovare esecuzione compito affidato generale Smuts durante suo brevissimo soggiorno perché egli mantennesi meco riservatissimo né da parte sua tenuto al corrente svolgimento sua azione qui. Gli esposi nondimeno dettagliatamente situazione generale indicando possibile soluzione che si potrebbe adottare per rafforzare partito più moderato attuale Governo, assicurare ordine e permettere ripresa relazioni con evidente comune vantaggio. Risultami aspettativa missione Smuts delusa2 essendosi qui sperato egli avrebbe discusso per prima situazione generale Governo e paese e non già questione armistizio e zona neutra qui considerata dettaglio relativamente minore importanza. Stampa correttissimamente accolto missione molto favorevole e dimostrasi assolutamente fiduciosa suo prossimo ritorno continuazione trattative. Scissione fra socialisti e comunisti va accentuandosi in Budapest, ma nel Governo riscontrasi lieve tendenza verso destra la quale, se partito socialista moderatore non sarà rafforzato in tempo utile, potrà condurre a violenta reazione estremisti. Alcune importanti associazioni operaie si sono ieri dichiarate decisamente contro estremisti. Fame e mancanza lavoro aumentano preoccupazione generale facendo temere eccessi masse. Sarebbe urgentissimo immediato invio viveri grassi zucchero latte riso e carbone per dare lavoro operai, con promessa formale continuazione rifornimenti per tranquillizzare e dare modo Governo mantenere ordine ed avere base successo indispensabile sulle masse. Qualora ciò non sia effettuabile e non sia data qualche altra soddisfazione, Governo per mantenere potere e contentare masse sarebbe costretto addivenire con la forza energiche misure, requisizioni proprietà private contro aristocrazia borghese che altrimenti potrebbe essere fatta gradatamente come riforma sociale. Testo risposta data da questo Governo a richiesta Smuts sembrami per forma e sostanza ragionevole e tale in ogni modo da escludere intenzione rifiuto ma da poter servire come base utile per ulteriori discussioni che sarebbero rese assai più facili se fosse concessa soddisfazione morale, reintegrazione funzionari ungheresi zona neutra alla quale si dà qui grandissima importanza. Tutte queste mie impressioni mi furono confermate in conversazioni avute ieri ed oggi con persone più importanti questo Governo. Ordine e tranquillità continuano perfetti ma è indispensabile non interrompere conversazioni e discussioni, aiutare immediatamente

2 Con T. 416 dell’8 aprile da Vienna, Macchioro segnalava per altro un articolo della «Vocedel popolo», organo del Governo rivoluzionario ungherese, che interpretava la missione del generaleSmuts come riconoscimento di tale Governo da parte dell’Intesa. A sua volta Tacoli, con T. 47 del 9 aprileda Vienna, riferiva una dichiarazione di Bela Kun esprimente soddisfazione per l’intervista con Smuts,considerata come primo contatto ufficiale dell’Intesa con il Governo comunista ungherese.

questo Governo con urgenti rifornimenti viveri, carbone. Ho avuto anche occasione insistere con Governo sulla esecuzione articolo quattro3, riferirò ulteriormente. Prego telegrafarmi direttamente Hotel Ritz Budapest.

140 1 Vedi D. 89.

141

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1299/373. Costantinopoli, 7 aprile 1919 (perv. l’8).

Cenacolo. Gran visir ottenuto consenso sultano e preparato testo iradé di cessione al re d’Italia. Ho veduto documento. Eliminate così tutte le obiezioni turche rimane un solo ostacolo. Gran visir mi ha detto che Gerusalemme essendo in mano degli inglesi egli ha bisogno di essere sicuro che essi non obiettano; ha aggiunto che, data mia intimità col collega inglese, suo consenso era sicuro. Ogni mia insistenza sarebbe stata vana. Ho parlato tosto con collega inglese che ha detto non può rispondere senza sentire Londra anche perché nella questione è coinvolto il principio se riconoscere Sublime Porta conserva diritto sui beni vacuf1. L’ho pregato fare la domanda per il tramite di codesta ambasciata d’Inghilterra onde evitare che a Londra non capiscano la cosa (...) ho spiegato (...) solo importanza storica e morale per noi. Mi ha promesso scriveva sir Rennell Rodd e gli ho rimesso seguente promemoria:

«Il y a Jérusalem une église dite du Cénacle qui était occupée jusqu’en 1449 par les franciscains italiens sous le patronage de la Couronne de Naples. En 1449 les musulmans chassèrent les italiens et en firent un vakouf et l’église et ses souterrains constituent jusqu’à nos jours le vakouf de Nebidaoud. Conformément à différents précédents de cadeaux ou restitutions de biens vakoufs la Sublime Porte est désireuse d’en (...) la restitution à l’Italie et de rendre ainsi ce vakouf à son culte primitif».

Anche per evitare che una possibile caduta gran visir renda vane tutte le mie fatiche, sarebbe bene che V.E. intrattenesse subito sir Rennell Rodd onde provocare qui ordini telegrafici2. Se Governo inglese obiettasse che non vuole riconoscere autorità ottomana sui vakouf non vi sarebbe che da chiedere ad esso di riconoscere i nostri diritti storici.

2 Con successiva lettera a Sonnino n. 1010/204 dello stesso giorno Sforza sollecitava il richiesto consenso inglese con un intervento presso Rennell Rodd, sottolineando l’importanza di una definizione della questione prima della imminente prevedibile caduta del Gabinetto ottomano con cui era statacondotta la trattativa. Vedi anche. D. 190.

140 3 Il riferimento sembra all’art. 4 della convenzione militare firmata a Belgrado il 13 novembre1918, per regolare le condizioni di applicazione per l’Ungheria dell’armistizio tra gli Alleati e l’Imperoaustro-ungarico. L’art. 4 prevedeva fra l’altro la consegna di materiale rotabile per le esigenze delle truppe alleate.

141 1 Vakuf (Waqf), in diritto mussulmano, designa una fondazione pia, la cui amministrazione èsotto il controllo dell’autorità statale.

142

IL CONSOLE A GEDDA, BERNABEI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1296/45. Gedda, 7 aprile 1919 (perv. l’8).

Telegramma di V.E. n. 76471.

Situazione attuale Arabia non offre motivi di indole speciale da non consigliare levata blocco marittimo sue coste occidentali. Governo Aden, che dipende ora politicamente da alto commissario britannico Cairo, mantiene blocco su coste Assir Yemen e Hadramaut unicamente per impedire traffico armi tra paesi arabi e quelli africani. Data quantità sambuchi Mar Rosso, capaci eludere blocco marittimo a causa anfratuosità coste, commissario suddetto2 ritiene pericolosissimo in questo momento traffico armi che abbonda Abissinia e Arabia mentre si sta disarmando popolazione Egitto in seguito moti ivi successi.

Mi consta che blocco marittimo verrà tolto non appena concordate misure proposte Governo inglese alle potenze interessate per efficace sorveglianza terrestre detto traffico su coste Sudan Eritrea Gibuti e Somalia.

È mio avviso che armi passerebbero più facilmente dall’Abissinia che dall’Arabia in Egitto essendo nota affezione beduino al suo fucile da cui ora più che mai non intende separarsi in attesa eventi.

143

L’AMBASCIATORE IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI BRITANNICO, BALFOUR

NOTA. Parigi, 7 aprile 1919.

L’ambasciatore di Sua Maestà ha l’onore di qui unito trasmettere all’Onorevole Balfour alcune note riassuntive1 concernenti la situazione interna dell’Austria Tedesca nelle ultime due settimane, pregandolo di voler attirare la maggiore attenzione del Governo britannico sulla urgente necessità, in previsione di moti rivoluzionari, e da più parti affermata, dell’occupazione interalleata di Vienna ed altre città dell’Austria-Tedesca.

2 Si tratta del generale Edmund H.H. Allenby, comandante supremo britannico in Siria e Palestina. Dal 22 marzo 1919, per l’assenza dell’alto commissario Wingate, era stato nominato alto commissario supplente per l’Egitto e per il Sudan.

Il marchese Imperiali sarà grato al signor Balfour se, con la sua abituale estrema cortesia, vorrà informarlo, non appena possibile, del punto di vista del Governo britannico circa l’invio di truppe interalleata a Vienna ed altre città dell’Austria-Tedesca, che al Governo italiano sembra della massima urgenza per evitare gravissime conseguenze in relazione all’ordine pubblico in quelle regioni2.

ALLEGATO

NOTE RIASSUNTIVE.

Fin dal 24 marzo 1919 un membro non socialista del Governo di Vienna dichiarava al commissario italiano che occorreva l’invio di forze alleate a Vienna per disarmare la Guardia del popolo, senza di che sarebbe stato probabile il dilagare del comunismo.

Il 26 la Missione militare romena in Vienna telegrafava al signor Bratianu additando la necessità dell’invio di truppe alleate e di viveri.

Il 27 il ministro della Repubblica argentina e l’uditore della nunziatura si recavano dal commissario italiano a partecipargli i voti del Corpo diplomatico delle potenze neutre per l’occupazione di Vienna e chiedevano l’invio immediato di truppe italiane da Innsbruk3.

Il 1° Aprile, in una riunione dei rappresentanti militari di America, Inghilterra ed Italia, il colonnello Cunningham comunicava appoggiandola una relazione di fonte austriaca nella quale pure si chiedeva l’invio di viveri e l’occupazione di Vienna con truppe alleate.

Il giorno 2 il ministro di Francia signor Allizé, il commissario italiano, il generale Segre, ed il ministro czeco-slovacco in una riunione tenuta presso la missione militare italiana, si dichiaravano tutti d’accordo nel riconoscere che la popolazione di Vienna, benché avversa al comunismo, non saprebbe resistere alla minoranza dei turbolenti ed in ispecie agli elementi estremi della Volkswehr che è oggetto di viva propaganda da parte dei comunisti ungheresi e che il Governo locale, disponendo di soli 4.000 agenti di polizia in maggioranza fidati, ma che potrebbero anche mutare sotto la pressione degli avvenimenti, non avrebbe la possibilità di opporsi ad una eventuale rivolta della Guardia del popolo che rappresenta la sola forza armata del paese. Detti rappresentanti convenivano quindi che basterebbe un nucleo anche modesto di forze alleate per rinvigorire gli elementi d’ordine, assecondando così il desiderio della parte sana della popolazione e persino di alcuni membri del Governo, per quanto questi, sopratutto i socialisti, non possono dirlo apertamente. Tale occupazione avrebbe dovuto aver luogo sotto pretesto di garantire l’invio di viveri nonché le comunicazioni con la Boemia e la Polonia, escludendo qualsiasi intervento sia nella politica interna del paese che contro la rivoluzione ungherese con la quale gli elementi estremi viennesi simpatizzano.

Il 2 corrente stesso il commissario italiano riceveva informazione che a Vienna si stavano già costituendo consigli di operai i quali all’epoca fissata per il movimento rivoluzionario dovrebbero associarsi ai consigli già esistenti dei soldati e formare con essi il nuovo Governo, e che il movimento suddetto dovrebbe aver luogo prima delle elezioni amministrative, verso la metà del corrente mese.

Il 4 corrente un influente uomo politico, deputato ed ex ministro, insisteva presso il commissario italiano affinché fosse aumentato l’invio di viveri e di carbone e fossero mandate truppe interalleate a Vienna, Linz e Wiener-Neustadt col pretesto di controllare che dopo l’abolizione del blocco, le merci non vengano riesportate in Germania ed in Ungheria.

Nel Résumé des renseignements pervenuti il 4 corrente alla sezione francese del Consiglio superiore di guerra è riferito che «la situazione in Austria diviene grave a causa della propaganda bolscevica russa ed ungherese e che il generale Hallier ed il signor Allizé ritengono che sia assolutamente indispensabile un’occupazione militare interalleata di Vienna.

142 1 Non rinvenuto.

143 1 Vedi Allegato.

143 2 Comunicazione di analogo tenore fu consegnata in pari data da Bonin al ministro Pichon.3 Vedi D. 47.

144

IL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, E AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

NOTA 4358 RR. URG. Roma, 7 aprile 1919.

Per quanto possa sembrare non di competenza di questo Ministero, ritengo tuttavia opportuno richiamare l’attenzione della E.V. su quanto avviene attualmente a Fiume, in Boemia, in Albania ed in Oriente, ove le nostre truppe vivono ed operano a contatto con le truppe francesi.

Espongo obiettivamente i fatti essenziali successi in questi ultimi tempi, e dei quali del resto l’E.V. è certamente al corrente.

A Fiume una proposta del generale Grazioli tendente a costituire un controllo diretto interalleato sull’importante linea ferroviaria Fiume-Budapest, oggi dipendente da tre amministrazioni differenti ed antagoniste (la Repubblica ungherese, il Consiglio nazionale di Zagabria ed il Consiglio nazionale di Fiume), in continua lotta ostruzionistica fra di loro a tutto scapito del regolare servizio di questa importante arteria, ha urtato contro il fermo intendimento del generale francese, comandante del Corpo d’occupazione francese, appoggiato pure dal generale inglese, di assumere direttamente tutto il controllo della linea, controllo già praticamente attuato in gran parte, e che non può avere altra conseguenza che quella di costituire di una delle più importanti linee di comunicazione fra l’Oriente ed il Mediterraneo il monopolio di una sola nazione, la Francia, con grave danno per il nostro prestigio, i nostri interessi e per l’autonomia di Fiume.

In Boemia, come è già noto, per la presenza del generale Pellé, la posizione autonoma del generale Piccione è assai scossa. Infatti, sia per effetto della convenzione stipulata a Parigi il 18 febbraio u.s. fra il sig. Clemenceau ed il sig. Benes, sia anche per un’altra convenzione che sembra esistere in data 25 gennaio u.s.1, risulta

144 Il telegramma fu inviato per conoscenza a Badoglio.1 Vedi D. 80.

ormai che il comando effettivo di tutte le truppe czecoslovacche, e quindi logicamente anche di quelle del generale Piccione, dovrà essere in effetto esercitato dal generale Pellé come capo di S.M. del maresciallo Foch.

È già avvenuto infatti che il generale Pellé richiedesse al generale Piccione per il preventivo esame l’ordine di operazione, da quest’ultimo compilato, per l’occupazione dei nuovi territori della Slovacchia orientale.

Nei Balcani il generale Franchet d’Esperey, grecofilo, ostacola il prestigio acquistato dalle nostre truppe in Bulgaria e intende ormai di poter disporre della 35ª divisione senza alcuna preventiva approvazione del Comando supremo italiano, e preavvisa che richiederà che venga inviata d’urgenza una nostra brigata a sostituire la 26ª divisione inglese in Dobrugia, cercando così di dislocare le nostre truppe ove nessun nostro particolare interesse è in gioco.

In Albania il comando francese del presidio interalleato di Scutari tende da vario tempo e con ogni modo ad estendere la propria occupazione oltre alla città e sobborghi. Una recente comunicazione del generale Piacentini informa che Hani Vraks (nord di Scutari) è stato presidiato da una compagnia del presidio interalleato, ciò che naturalmente ha provocato una protesta del generale Piacentini medesimo al generale Franchet d’Esperey.

Pure in Montenegro l’opera del comando francese contrasta la nostra politica e cerca una giustificazione alla propria azione serbofila nei risultati della visita fatta agli ultimi di gennaio u.s. dal generale Franchet d’Esperey, a Cattaro, Cettigne e Podgoritza, per rendersi conto dei desiderata della popolazione montenegrina, mentre è noto come in tale visita siano state opportunamente selezionate le personalità da interrogare in modo che le risposte costituissero un’affermazione a favore della Serbia.

Concludendo, mi sembra che non possa esservi dubbio nell’affermare che dalla presenza dei francesi, ove sono in gioco nostri interessi, non sono fin’ora derivati che intralci alla nostra opera e non possano quindi ridondarne che svantaggi e danni al nostro prestigio e alle nostre aspirazioni.

Mi sembrerebbe perciò necessario che non solo nei vari casi particolari si ottenesse la giusta soddisfazione ai nostri interessi, ma che gradualmente si potesse ottenere altresì che in quelle regioni ove la nostra politica si propone particolari fini da raggiungere, venisse sostituita la prevalente influenza francese, se non è possibile con la nostra, almeno con quella americana o inglese.

145

IL RAPPRESENTANTE MILITARE BRITANNICO NEL CONSIGLIO SUPREMO DI GUERRA, SACKVILLE WEST, AL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO

NOTA 26 F. 12. Versailles, 7 aprile 1919.

È evidente che nell’eventualità che le potenze nemiche rifiutino di firmare le condizioni di pace presentate loro dai Governi alleati ed associati, le conseguenze (di questo rifiuto) dovranno essere prese in esame dal maresciallo Foch, generale Diaz e generale Franchet d’Esperey per quanto riguarda la situazione militare generale della Germania1.

Tuttavia la situazione nel caso della Turchia non è ugualmente chiara ed il primo ministro britannico desidera che i rappresentanti militari esaminino la questione per decidere quale o quali potenze dovrebbero assumere la responsabilità di condurre a termine quelle operazioni militari che potrebbero rendersi necessarie. Questa questione esige una soluzione immediata affinché i progetti necessari possano venire completati e si possano iniziare subito i preparativi.

Propongo che i rappresentanti militari si riuniscano mercoledì 9 aprile alle ore 10,30 per poter discutere la questione di cui sopra.

146

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 8 aprile 1919, ore 16,50.

Stamane ebbi lunghissimo colloquio con Lloyd George. Questi, in termini estremamente amichevoli, mi confermò che l’Inghilterra si sente legata dal Patto di Londra e che quanto a Fiume, pur non arrivando sino all’annessione, ammette la libertà della città. Aggiunge che le vere difficoltà alle nostre aspirazioni territoriali provengono da Wilson, col quale è necessario che io mi metta d’accordo, pur offrendo l’amichevole sua mediazione ove io lo credessi opportuno. In complesso questa conversazione non ha dato risultati sostanzialmente diversi da una analoga che avevo avuto domenica con Clemenceau, pur essendo ispirata a maggiore simpatia. L’esito di questi due passi

145 Il generale Cavallero, capo della sezione militare della Delegazione italiana alla Conferenzadella pace, era anche il rappresentante militare permanente dell’Italia nel Consiglio supremo di guerra. Intale veste gli fu inviata la nota di Sackville West. Si pubblica la traduzione italiana, non essendo stato rinvenuto l’originale inglese.

1 Si veda la lettera di Clemenceau a Foch dell’8 aprile, qui D. 151, All. Si veda poi anche il D. 454.

dimostra che non a torto io avevo fin dal principio seguito la linea di condotta di fare ogni sforzo per condurre Wilson alle più larghe concessioni. Colloquio con Wilson non è potuto sinora avvenire a causa della malattia di lui; ma mi riprometto di fare energiche pressioni perché fra due o tre giorni si possa avere qualche cosa di risoluto. Stimo pure opportuno aggiungere che in forma decisa e risoluta io dimostrai a Lloyd George che non avrei potuto firmare la pace con la Germania se la nostra questione non era definita e Lloyd George non poté trovare alcuna obbiezione in contrario.

147

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI

T. 331. Roma, 8 aprile 1919, ore 22.

Ambasciata britannica comunica che Governo britannico ha ricevuto gravi notizie circa la situazione sulla frontiera albanese montenegrina.

Gusinje, Plava, Ipek, Giacova, Pedjur, Rasihi sarebbero state teatro di atti di terrore e di assassinii da parte truppe ed agenti serbi che sembrano volere sterminare albanesi abitanti quelle regioni.

Governo britannico ha suggerito che rappresentanti italiano, francese, americano ed inglese ricevano istruzioni rivolgere grave monito al Governo serbo richiamando sua attenzione al monito del 24 gennaio della Conferenza della pace ai belligeranti1 e rimarcando che notizie di tale natura dovranno inevitabilmente influenzare delegati pace quando regoleranno nuove frontiere Serbia.

Ho aderito pienamente questa proposta e prego V.S. agire prendendo accordi con rappresentante britannico.

148

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 7904. Roma, 8 aprile 1919.

Il comandante Levi Bianchini mi ha fatto consegnare dal tenente Lipsey dell’armata britannica la lettera di carattere personale e confidenziale che qui accludo in copia1. Il tenente Lipsey, che è stato negli ultimi mesi collaboratore del Levi Bianchi

ni e che per la sua situazione sembra in grado di conoscere le opinioni di quei circoli militari britannici sull’attuale stato di cose in Palestina, mi ha fatto confidenzialmente presente che il movimento insurrezionale arabo in Palestina prende le sue mosse da Damasco, ove è alimentato e finanziato dall’Egitto. Anche il Lipsey appariva gravemente preoccupato della sorte della popolazione ebraica di Palestina.

Secondo l’approvazione data da V.E. al mio telegramma-relazione n. 61672, è stato fatto comunicare da Soragna al comandante Levi Bianchini quanto segue: «Nulla osta da parte di questo Ministero e Ministero marina che Levi Bianchini accetti far parte comitato esecutivo della Commissione sionista. Non conviene però egli assuma formalmente o apparentemente azione direttiva. Sua attività rimane libera ma non può coinvolgere responsabilità R. Governo».

Il miglioramento della situazione in Egitto, in seguito agli ultimi provvedimenti dell’autorità britannica, porterà, molto probabilmente, anche ad un miglioramento della situazione in Palestina.

ALLEGATO

IL COMANDANTE LEVI BIANCHINI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

L. CONFIDENZIALE. Giaffa, 26 marzo 1919.

Soragna l’avrà già informato della gravità della situazione e Lei avrà già ricevuto il telegramma che richiede, per me, il permesso di assumermi responsabilità politiche inaspettate. Dette responsabilità gravano già sulle mie spalle; oggi sono considerato l’unica persona che goda l’intera fiducia delle autorità, della Commissione di questi infelici ebrei di Palestina. Dal 12 febbraio ho cominciato ad agire, oggidì gli inglesi hanno finalmente capito che qui è in via di rapida organizzazione una insurrezione anti-europea e che urge provvedere. Dal 17 marzo si stanno prendendo rapide misure, disgraziatamente la situazione in Egitto è ancora oscura e le truppe disponibili sono poche.

Tre città sono garantite da massacri, non da spargimento di sangue; esse sono Haifa, Giaffa, Gerusalemme; pel resto si sta provvedendo ma non si può garantire. Io mi moltiplico, ho fondato una organizzazione per sorvegliare il movimento, un’altra per fornire notizie, una terza per fornire guardie armate. Ciò col consenso degli inglesi, i quali hanno fiducia nella mia lealtà e disinteresse. Ho in mano la popolazione ebraica e rispondo della sua disciplina e calma. Tutti si sono messi sotto i miei ordini e sento tutto il peso della mia responsabilità. Soragna e Negrotto sono informati, così Pesenti. Se qualcosa avviene io non sarò armato, non voglio toccare nessun arabo o cristiano, difenderò gli ebrei con la mia persona, senz’armi.

Lei vede come la mia posizione è anomala, difficile, pericolosa. Non potevo fare altrimenti senza venir meno al nostro buon nome. Venendo qui, trovai la situazione disastrosa; le autorità, la Commissione sionista, gli ebrei si sono tutti uniti per indicarmi come l’unico che la potesse salvare. Era impossibile che io facessi diversamente.

Se in Egitto l’insurrezione sarà domata, non lo è ancora. Se Allenby atteso a giorni potrà disporre per la Palestina di altre truppe, il grosso, cioè massacri, sarà evitato. Resta sempre la possibilità di disordini parziali.

La prego di portare testimonianza, se alcunché accadesse, che io ho fatto il mio dovere d’uomo d’onore. Mi preme particolarmente sia informato il Ministero marina. La pregherei informarne anche Sereni.

147 1 Il 24 gennaio Wilson aveva redatto e fatto approvare dalla Conferenza della pace un «solenne ammonimento» a tutte le nazioni che occupassero con la forza territori da esse rivendicati, prima diuna decisione della Conferenza stessa.

148 1 Vedi Allegato.

148 2 Non rinvenuto.

149

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

T. 6141 OP. Abano, 8 aprile 1919.

Generale Segre mi riferisce che situazione Vienna e in genere Austria Tedesca è seguente. Massa popolazione tranquilla e soltanto desiderosa attraversare alla meglio così grave presente periodo ma pervasa specie a Vienna da grande timore disordini movimenti estremisti. Alcuni ministri sono anzi fortemente sospettati essere già intesi con elementi più accesi e qualche indizio personalmente avuto da generale Segre lo confermerebbe. Altri ministri temono pure essi e particolarmente per arsenale ove è raccolto molto materiale guerra già fermato da generale Segre. Tale situazione è assai favorevole a colpo di mano di elementi esaltati e timore della massa. Centro più pericoloso è Wiener-Neustadt (...) centro operaio e prossimo Ungheria. Linz è importante come nodo ferroviario. Gratz è pure turbolenta. Se paese fosse interamente estremista nessuna occupazione militare sarebbe atta a scongiurare divampare rivolgimenti con carattere bolscevico ma, non ritenendolo tale generale Segre, tempestiva occupazione dei centri più importanti deve ritenersi misura di saggia prudenza. Tale è del resto il pensiero espresso da commissari politici dell’Intesa ora a Vienna e anche da ministri neutri. Qualora occupazione non fosse italiana distruggerebbe lavoro finora fatto da nostra missione per mantenere alta nostra situazione. Generale Segre ritiene basterebbe una brigata fanteria Vienna, due battaglioni alpini per Wiener-Neustadt e eventualmente per Gratz e un altro battaglione per Linz. Totale nove battaglioni. Invio truppe dovrebbe apparire non come occupazione militare, ma per Vienna determinata da necessità effettuare ritiro materiale bellico da noi accantonato in arsenale e da considerarsi come preda, per Linz e Wiener-Neustadt da necessità assicurare movimento ferroviario vettovagliamento e rifornimenti varie verso Austria Tedesca e Polonia.

149 Il telegramma fu trasmesso lo stesso giorno per conoscenza al Ministero affari esteri Gabinetto con n. 3927 SP.

150

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 78. Belgrado, 8 aprile 1919 (perv. il 12).

Telegramma-posta di V.E. n. 5791 in data 21 marzo u.s.1.

Informazioni nostre autorità militari Albania corrispondono perfettamente a quelle che ho potuto avere da Uskub, da Prizren e dal nostro ufficiale addetto al quartier generale serbo.

Movimento essadista a mio avviso è completamente artificioso non trattandosi in realtà che di un’azione diretta serba.

Nelle mie conversazioni con questo ministro aggiunto affari esteri non ho mancato accennare tale mia opinione. Signor Gavriloviƒ, che riterrei personalmente alieno da avventure albanesi, non ha contestato direttamente ciò, limitandosi affermare che analoga accusa viene mossa dai serbi ai comandi italiani per quanto riguarda agitazione albanese nei territori occupati dai serbi.

Mi si vorrebbe far credere qui ad un reale movimento nazionalista albanese contro di noi e si aggiunge che tale movimento si estenderà presto anche Albania del sud.

Ho ragione di ritenere possibile un’intesa per azione comune fra Serbia e Grecia in Albania ai nostri danni2. Segnalo a tale proposito partenza di questo ministro di Grecia signor Conduriotis e dell’ufficiale di S.M. greco capitano Kozumbas i quali si recano a Janina e Preveza.

Crederei opportuno che r. console generale Janina ne fosse informato per sorveglianza del caso.

151

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 8 aprile 1919.

Nella riunione di stamane si doveva parlare delle riparazioni ma si decise di aspettare la relazione dei periti che non era ancora pronta.

Clemenceau cominciò a dire in forma ironica di aver ricevuto dal ministro italiano degli affari esteri la domanda che sia occupata Vienna. Dissi che non era esatto, ma che Sonnino aveva solo fatto osservare l’utilità che si avrebbe avuto nell’occuparla.

Lloyd George narrò che le notizie che riceveva dalla Germania erano molto cattive. Vi è la probabilità che oggi vi sia proclamato il Governo dei Soviet. È possibile che vi si costituisca un Governo che non potrà firmare la pace. Bisogna dare al maresciallo Foch, presi accordi con gli altri generali alleati, Wilson, Bliss e Diaz, mandato di vedere quod agendum nel caso questi fatti avvengano, ed egualmente all’ammiraglio Wemyss1. Feci osservare che il problema non si poteva scindere e che se si studiava la questione di Budapest non si poteva escludere quella di Vienna. Lo stesso Erzberger, parlando a Spa, ultimamente disse: «a difenderci dal bolscevismo al nord ci pensiamo noi; ma occorre voi pensiate al sud».

Fu deciso di approvare la seguente risoluzione (Allegato 1)2.

Lloyd George presentò poi un progetto del lavoro da trattarsi dal Comitato dei quattro (Allegato 2)3. Vi si leggono dapprima le questioni con la Germania e poi vengono quelle con l’Italia. Ieri alla seduta dei Quattro era stato presentato un elenco consimile degli oggetti da far studiare ai ministri degli esteri (Allegato 3)4.

Circa la formula che contemplava l’obbligo della Germania di accettare le paci che fossero state stabilite con le altre potenze nemiche, dissi che non facevo questione si facesse un unico contesto, ma desideravo fosse più o meno contemporaneo.

Lloyd George entrò poi a parlare della questione della Sarre. Disse che avendo esaminato il rapporto di Tardieu si era accorto che esso non era praticamente effettuabile. Propose di fare della Sarre uno Stato come il Lussemburgo, una specie di Stato tampone. Si tratterebbe di uno Stato di circa 600 mila abitanti da mettere sotto la protezione della Lega delle Nazioni e di cui poteva essere mandataria la Francia. Si accennò alla procedura da seguirsi per la firma del trattato di pace, se era il caso di chiamare i delegati tedeschi. Fu stabilito che per decidere su questo punto si aspettasse giovedì.

Verso mezzogiorno uscirono Clemenceau ed House ed io allora chiesi a Lloyd George se potevo avere una conversazione con lui. Questa durò un’ora. Cominciai a dire: Vi debbo fare una dichiarazione: non è possibile che le questioni nostre non siano risolte insieme con le altre. Fino ad ora si aveva la sensazione in Italia che nessuna ne fosse stata risolta e «mal comune, mezzo gaudio»; ma voi vi rendete conto quale sia la nostra ansietà, se essa permane per noi mentre ne escono gli altri?

Da un punto di vista tecnico vi è da osservare che non è possibile far la pace con l’Austria Ungheria. Non c’è la persona con cui firmarla. Ma si dovrà fare una pace con determinazione di tutte le frontiere come quella del 1878. Mi è stato detto che lo studio di questa questione è stato rinviato ad una commissione di giuristi. Praticamente la forma mi è indifferente; osservo che non sarebbe difficile, ma impossibile addivenire ad una pace con la Germania senza che sia stabilito il resto. Ricordai che nel trattato di pace fu deciso di includere la Lega delle Nazioni; ora, come posso accettare di garantire i territori altrui senza che siano definiti e garantiti i nostri?

2 Non rinvenuto.

3 Non si pubblica; edito in FRUS, vol. V, pp. 63 sgg.

4 Non rinvenuto; edito in FRUS, vol. V, pp. 40 sgg.

Lloyd George prese nota di ciò senza obbiezioni.

Gli parlai della riapertura della Camera italiana che avrà luogo il 23 aprile e gli spiegai la situazione parlamentare che mi obbliga di ritornare in Italia verso il 18 e che mi rende impossibile il ritornarvi senza una decisione.

Si venne poi al merito. Come vedrete, il discorso ha concluso come con Clemenceau, ma con una intonazione nettamente più simpatica ed incoraggiante. Lloyd George riaffermò che il Patto di Londra per l’Inghilterra è sacro, non si discute. Per Fiume l’Inghilterra si riserva ogni libertà. Vi sono Steed e Northcliffe, ma essi non rappresentano l’opinione pubblica inglese e Lloyd George è certo che il giorno in cui esporrà ai Comuni la politica britannica, per il Patto di Londra e per la sua esecuzione, egli avrà l’approvazione generale. Per Fiume però Lloyd George si deve riservare.

Allora io dissi: «Potrei dire, datemi il Patto di Londra ed esaminiamo la questione di Fiume».

Lloyd George mi ha risposto: dovrete fare i conti con il presidente Wilson. Egli rivelò, con uno dei suoi soliti sistemi, che Wilson ha cercato di persuadere Lloyd George e Clemenceau non essere esatto che siano più legati dal Patto di Londra, perché i fatti hanno creato una situazione nuova non preveduta nell’aprile 1915. Ed aggiunse: Wilson vi è contrario; badate, lo so; e ve lo dico. Io risposi a Lloyd George: «Perché mi venite a fare questione di Fiume o non Fiume, noi ci troviamo di fronte ad una situazione globale. Vi prego, vi supplico credere che non vogliamo esercitare alcuna pressione su di voi. Al di sotto di limiti decenti l’Italia non potrebbe scendere. Sono convinto che il mio paese non potrà accettare alcun Governo che dicesse: ho acconsentito alla rinunzia».

Egli mi fece presenti le gravi conseguenze cui si va incontro. Gli ricordai che Falstaff diceva che la morte è il peggiore di tutti i mali, ma Falstaff non era un uomo stimato. In certe cose io devo sfidare qualsiasi conseguenza e devo dire che la morte non è il peggiore di tutti i mali.

Egli insistette nel dire: voi dovete capire che l’Europa è dissanguata: tutti noi lo siamo, ed almeno per sei mesi dipendiamo dall’America dove Wilson ha il comando ancora per due anni.

Allora gli dissi: Credete pure che io sono animato da tutte le intenzioni più concilianti, ma non possiamo discendere sotto un certo limite ed d’altronde non credo che né la Francia né voi mandereste la vostra flotta per trarci da dove ci ha posto la linea di armistizio. Lloyd George rispose ridendo che non manderebbe per certo nemmeno un sandolino. Ma egli disse: Ciò è vero ma voi dovete considerare che l’America appare ora legata agli jugoslavi. Per conto nostro noi abbiamo simpatie tradizionali per l’Italia ed io personalmente ne ho come discepolo di Gladstone. Io gli ricordai allora che dovevo avere un colloquio definitivo con Wilson. Se non giungo ad un accordo ne riparlerò con voi. Voi siete così fertile di trovate che potreste trovare la soluzione.

Lloyd George mi accennò anche al Caucaso e mi chiese se esso non poteva essere considerato compenso sufficiente per l’Italia. Io lo svalutai dicendo che non potevo mantenere la occupazione militare che per pochi anni e che ci saremmo trovati davanti ad un grave problema se la Russia si ricostituisse.

Lloyd George replicò che il Caucaso non è russo. Ma io ribattei che la Russia aveva bisogno delle materie prime del Caucaso e Lloyd George lo riconobbe.

***

La riunione pomeridiana ebbe luogo presso il presidente. Si parlò delle responsabilità della guerra e del kaiser. Lloyd George sostenne il diritto ed il dovere di punirlo. Wilson volle conoscere il mio parere ed io dissi che avevo lasciato piena libertà ai delegati tecnici Scialoja e D’Amelio i quali hanno aderito alle conclusioni della Commissione. Aggiunsi però che mia opinione personale era che non si tratti di cosa seria. Wilson disse che non aveva un’opinione definitiva e che ne avrebbe riparlato con un perito americano di sua fiducia. Clemenceau era molto favorevole a giudicare i colpevoli.

***

Si parlò poi della questione della Sarre. Wilson disse di non potere accettare la nuova proposta di Lloyd George: che bisognava ritornare a quella studiata da Tardieu alla quale si potevano fare alcune aggiunte. Lloyd George si chiuse in un silenzio. Clemenceau spiegò il punto di vista accennato da Lloyd George di fare della Sarre una specie di Lussemburgo. Wilson rispose: no, non lo consentirò mai; il Lussemburgo esiste già, mentre questo lo create. E durante la discussione ebbe anche questa battuta: «Le questioni dei popoli qui rappresentati ci hanno preso troppo tempo». Al che Clemenceau rispose che i popoli rappresentati al Consiglio dei quattro erano quelli che avevano avuto il maggior peso della guerra.

ALLEGATO

FROM THE PRESIDENT OF THE SUPREME COUNCIL TO MARSHAL FOCH

8th april 1919.

On behalf of the Supreme Council of the Allied and Associated Powers I am asked to request that in conjunction with General Bliss, General Sir Henry Wilson and General Diaz you will examine and report as soon as possible as to what action you would advise from a military point of view in each of the following contingencies:

1) In the event of a refusal by the enemy powers (Germany, Austria, Hungary, Bulgaria and Turkey) to sign the Treaty of Peace.

2) In the event of such a state of chaos in any of the enemy’s countries that there is no Government in existence to sign the Treaty of Peace.

3) In the event of the German Government being able to sign the Treaty of Peace on behalf of the whole of Germany except Bavaria owing to the fact that its jurisdiction is not recognised in and does not in fact extend to that country5.

150 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.2 Nello stesso senso il parere del comando del Corpo di spedizione italiano in Oriente (T. 3279 OP. del generale Piacentini).151 Sedute dell’8 aprile 1919 del Consiglio dei quattro. Cfr. FRUS, vol. V, pp. 59 sgg. ove manca però la minuta della riunione pomeridiana, MANTOUX, vol. I, pp. 179 sgg. e 184 sgg. e RAC, nn. 237-239.

151 1 Furono perciò preparate delle minute di lettere (edite in FRUS, vol. V, p. 65) che, tradotte infrancese e firmate da Clemenceau, furono trasmesse a Foch nella sua qualità di comandante in capo delleforze alleate (vedi Allegato) e all’ammiraglio Wemyss per le questioni navali. Copia delle minute fuinviata lo stesso giorno da Hankey ad Aldrovandi perché le facesse pervenire ufficialmente al generaleDiaz ed all’ammiraglio Grassi rispettivamente.

151 5 Annotazione in calce a firma M.P.A. Hankey: “The above draft was approved, and was handedto M. Mantoux, who undertook to arrange at the French Ministry of War for a French text to be preparedand signed by M. Clemenceau”.

152

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 3601 SP. Parigi, 8 aprile 1919 (perv. il 17).

Nel trasmettere, per conoscenza, l’annesso promemoria riassuntivo del Comando supremo1, faccio presente quanto segue:

1) Il maggiore De Giorgis, giunto in questi giorni da Lubiana, ha espresso il parere che il dissidio fra croati e serbi sia più apparente che reale e che ad ogni modo non basti ad impedire il progressivo consolidamento dello Stato S.H.S.

2) A complemento di quanto ebbi già ad esporre con foglio n. 2435 del 20 marzo u.s.2, riterrei opportuno che, qualora si verificasse una azione, anche solo di fuoco di artiglieria, su Fiume, le nostre truppe allargassero prontamente la loro occupazione sino alla linea Delnice-Fusine-Canale Maltempo, in modo da rendere vane ulteriori offese.

3) Ad ogni modo, dato che il dissidio serbo-croato esiste e che (anche a quanto ebbe a riferire S.E. il generale Grazioli) esso potrebbe essere sfruttato a nostro profitto cercando di attrarre a noi i croati con opportune concessioni di carattere politico-economico, rimango in attesa di quanto al riguardo volesse comunicarmi l’E.V. per le conseguenti disposizioni ed istruzioni di mia competenza3.

ALLEGATO

IL COMANDO SUPREMO, UFFICIO OPERAZIONI ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

SUNTO DELLA RELAZIONE ANNESSA. SITUAZIONE IN CROAZIA. Parigi, 31 marzo 1919.

La relazione dell’Ufficio I della 3ª Armata dà un quadro generale dell’attuale situazione in Croazia.

Il malcontento ha assunto il carattere di un movimento nazionale che comprende in sé elementi di tutte le classi sociali della Croazia, dai contadini agli intellettuali ed ai militari provenienti dall’esercito austro-ungarico. Tutti sono concordi nel non volere più tollerare il predominio serbo impostosi negli ultimi mesi con la violenza.

152 La nota fu inviata, per conoscenza, alla PCM Gabinetto.

1 Vedi Allegato.

2 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

3 Annotazione manoscritta di De Martino (17/IV): «Galli. Per rispondere all’ultima parte mipare che occorre avere più precise indicazioni su ciò che si potrebbe fare dal punto di vista economico.Circa il n. 2 sarebbe da rispondere raccomandando di porre la massima attenzione a che risulti ben constatato che l’aggressione è dei jugoslavi, e per ciò evitare qualunque mossa, sia pure di una pattuglia, ascopo difensivo o di esplorazione, prima della apertura delle ostilità che poi sarebbe sfruttata ampiamentedalla propaganda jugoslava appoggiata come al solito».

I serbi, consci del pericolo che li minaccia, sarebbero intenzionati di ridurre le loro occupazioni in Ungheria abbandonando Pecs agli ungheresi. Per distrarre poi il popolo dalle questioni interne rinfocolerebbero, aiutati in ciò dai francesi, l’odio contro l’Italia. Gli agitatori, forniti di danaro francese, organizzerebbero una forte propaganda anche fra le popolazioni slave della Venezia Giulia, che dovrebbe condurre ad una vera e propria sollevazione qualora la questione dei confini venisse a favore dell’Italia.

L’idea di rispondere alle decisioni della Conferenza di Parigi con un colpo di mano armato contro la nostra linea prende sempre più consistenza. Anche se le autorità serbe volessero impedirlo — dice l’informatore — non ci sarebbe da sorprendersi se qualche shrapnel di medio calibro dovesse scoppiare sulle case di Fiume. Gli ufficiali serbi sarebbero convinti che l’unico mezzo per cementare l’unione dei popoli jugoslavi è la guerra all’Italia.

L’Ufficio I a queste notizie del suo informatore osserva che il movimento anti-serbo trova la sua ragione di essere anche nella tutela degli interessi economici croati. La ricchezza nazionale croata è considerevole; la guerra ha arricchito enormemente tutti i ceti della popolazione. La quota del debito pubblico spettante alla Croazia non supererebbe i 4.000.000.000 mentre la ricchezza totale raggiungerebbe i 17 miliardi. La Serbia invece si trova con un passivo impressionante. L’incorporazione della Croazia nella Serbia allevierebbe sensibilmente quest’ultima, mentre sarebbe la rovina economica della prima.

Il colpo di scena avvenuto a Budapest minaccia direttamente l’occupazione serba in Ungheria e forse obbligherà la Serbia a distrarre maggiori forze verso quelle regioni, e mentre ciò diminuirebbe la probabilità di spostamenti di truppe verso la nostra linea di confine, aumenterebbe per contro per i croati la possibilità di sottrarsi all’egemonia serba e di effettuare — senza l’intervento serbo — il colpo di mano su Fiume, al cui possesso i croati tendono ben più intensamente che non a quello della Dalmazia.

153

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 7960 URG.. Roma, 9 aprile 1919, ore 19.

Santuario del Cenacolo.

Mi riferisco al telegramma del conte Sforza n. 373 di raccolta n. 12991.

L’ufficio scrivente, inteso anche sull’argomento il competente parere del prof. Nallino, non è d’avviso che l’Inghilterra possa volere esercitare in territori occupati dell’impero ottomano riserva od ingerenza qualsiasi su beni vacuf che sono di esclusiva amministrazione religiosa musulmana. A comprova di ciò basterebbe citare l’esempio dell’Egitto ove il Ministero dei vacuf è il solo che si mantenga perfettamente autonomo e sotto le direttive del sultano. D’altra parte la delicata situazione odierna creata dall’atteggiamento delle popolazioni arabe induce più che mai a credere che

l’Inghilterra non intenda allontanarsi, in materia di beni vacuf, dalla linea di condotta fin qui adottata.

Sembra quindi da escludersi che una cessione di vacuf, quale è nello spirito delle nostre trattative per il Cenacolo, possa trovare ostacolo da parte del Governo britannico.

Sembra all’ufficio scrivente che la questione possa venir risolta costà sollecitando l’amichevole interessamento di sir Rennell Rodd: chiarita cioè la natura delle nostre rivendicazioni circa il santuario del Cenacolo, ottenere che da Londra siano impartite istruzioni all’alto commissario britannico di Costantinopoli di lasciare nel-l’argomento libertà d’azione alla Sublime Porta.

Il conte Sforza fa in modo speciale presente la necessità di affrettare la pratica per trarre profitto dalle attuali favorevoli disposizioni del gran visir. E l’ufficio scrivente crede di dovere, dal canto suo, rammentare quale importanza abbia per l’Italia l’eventuale riscatto del Cenacolo.

Poiché nel memoriale per la Conferenza preparato dal custode di Terra Santa2 è menzione (ultima pagina) anche delle rivendicazioni della Custodia sul Cenacolo, e, tanto dal fatto che quel memoriale è stato consegnato alla Francia quanto dal fatto che la Francia esercita una protezione sulla Custodia, il Governo di Parigi potrebbe prendere argomento per intervenire e intralciare la rivendicazione del Cenacolo fatta con la progettata cessione del sultano di Turchia al re d’Italia, l’ufficio scrivente suggerisce che siano di urgenza date rigide direttive in proposito al padre custode ora a Parigi affinché la sua azione non abbia a turbare la nostra.

L’ufficio scrivente informa V.E. che del telegramma del conte Sforza è stata data notizia a Sua Maestà il re pel tramite del ministro della Real Casa.

153 1 Vedi D. 141.

154

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 929/506. Londra, 9 aprile 1919 (perv. il 10).

Telegramma di V.E. n. 3861.

Ho telegrafato al Ministero affari esteri quanto segue2:

«Nessuna notizia è giunta al Foreign Office relativamente incarico che sarebbe stato affidato da Governo francese a suo rappresentante in Addis Abeba di intendersi con colleghi italiano e inglese circa amministrazione dell’Etiopia3. In ogni caso Governo britannico è d’avviso che futuro regime Abissinia non è questione da sottoporsi a

2 Si tratta del T. 507 delle ore 22,16 dello stesso giorno.

3 L’informazione era stata riferita dalla Legazione in Addis Abeba, con telegramma del 19 marzo.

conversazioni internazionali in connessione con Conferenza della pace. Pertanto stesso Governo segnala opportunità di posporre esame di qualsiasi azione collettiva da parte tre potenze fino a quando altre questioni sorte dalla guerra ed interessanti situazione generale nel nord ovest dell’Africa non siano state risolute dalla Conferenza di Parigi».

153 2 Sul memoriale vedi D. 129.

154 1 Il T. di Sonnino (recte 396) è dello stesso 9 aprile. Non pubblicato.

155

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 924/509. Londra, 9 aprile 1919 (perv. il 10).

Al Foreign Office sono giunte completamente ignare questioni di cui al telegramma di V.E. n. 3911. Graham ha osservato che a suo avviso questione2 dovrebbe essere portata dinnanzi Consiglio Alleati di Versailles o generale Franchet stante che essa è connessa sia ad armistizio Villa Giusti che ad occupazione territoriale Esercito d’Oriente.

156

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 955/137. Sofia, 9 aprile 1919 (perv. il 12).

Mio telegramma n. 105 del 19 marzo1.

Generale inglese Bridges, testé di passaggio qui, ha detto al generale Mombelli che avrebbe indotto generale Franchet venire Sofia per meglio informarsi situazione. A scanso incresciosi malintesi ritengo prudente venga definita chiaramente mia situazione ora troppo ambigua2 di fronte generale Franchet. Giova notare che soltanto mie cordiali relazioni personali con questo comando francese hanno permesso evitare incidenti. Tale definizione sembra anche indispensabile per il caso in cui gli avvenimenti conducessero a trattative con questo Governo per eventuale cooperazione Bulgaria e Alleati contro bolscevismo, cooperazione che ormai qui tutti gli ambienti competenti riconoscono quasi inevitabile per prevenire gravi complicazioni. Se simili negoziati fossero condotti

Sofia per esclusivo tramite Franchet d’Esperey ne deriverebbe danno troppo appariscente per nostro prestigio e probabilmente anche per nostri interessi immediati. Comunque sia, se ne fossimo esclusi nei rapporti diretti con questo Governo, mia presenza Sofia diventerebbe agli occhi di tutti incompatibile nostro decoro e tutela nostri diritti.

155 1 Vedi D. 138. 2 Si tratta della questione della presenza italiana nella Commissione di navigazione del Danubio.156 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.2 Si tratta dell’attribuzione della qualifica di Alto commissario, richiesta da Aliotti come assolutamente dovuta, ma non riconosciutagli dal MAE.

157

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. POSTA 1156. Parigi, 9 aprile 1919.

Suo telegramma n. 61701.

In considerazione della nuova situazione creatasi in Russia, ove si è rotta l’unità del paese e si sono venuti creando vari Governi locali, sto esaminando l’opportunità di inviare dei regi agenti presso quei Governi di fatto perché possano far pervenire al R. Governo informazioni di ordine politico e si occupino in modo speciale della possibilità di creare rapporti di scambi commerciali con l’Italia. Mi son messo perciò in proposito in rapporto con il Ministero del commercio. Concordo quindi in linea generale con quanto la S.V. espone riguardo all’Estonia e mi riservo di prendere decisione definitiva fino a quando avrò conosciuto maniera di vedere del R. Ministero del commercio.

158

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 2456. Roma, 9 aprile 1919.

Ricevo suo 6312 del 2 corrente1.

Ho già scritto alla E.V. che ritenevo opportuno mantenere i contatti con sidi Ahmed Scerif.

Credo che non si debba rinunciare all’inserzione nel trattato di pace di una clausola di garanzia circa l’azione di sidi Ahmed Scerif in Libia, ma affinché essa garanzia non sia platonica, sarà necessario che abbia una sanzione in un pegno territoriale come si operò nel trattato di Losanna. Questo pegno potrebbe essere l’occupazione,

in un raggio da determinarsi, della regione nella quale risiede Ahmed Scerif. Saremmo noi stessi a sorvegliarlo, e ciò sarebbe praticamente utile.

Quanto al dar comunicazione a Inghilterra e Francia dei colloqui con Ahmed Scerif, bisogna tener presente che l’accordo italo-britannico del 31 luglio 1916, alla cui sola prima parte ha aderito la Francia2, all’art. 1 lettera A (prima parte) stabilisce che «Italia e Inghilterra convengono che non faranno accordi col Senussi senza previa intesa fra di esse»; e alla lettera B a) (seconda parte) convengono «nel riconoscere ... i poteri religiosi e le funzioni del capo della Confraternita nella persona del Saied Idris el Senussi».

Per conseguenza, secondo il detto accordo, per «Senussi» almeno nei riguardi con l’Inghilterra, deve intendersi il Saied Idris, e noi saremmo obbligati ad intenderci con l’Inghilterra e Francia solo nel caso che ci proponessimo di conchiudere ex-novo con Ahmed Scerif e denunciare quelli con Idris, ciò che, per noi, ora è escluso.

Nessun obbligo quindi da parte nostra di comunicare a Francia e Inghilterra i colloqui con Ahmed Scerif che non hanno altro scopo che di mantenere i contatti col Saied. Si tratterebbe quindi di vedere se ci convenga fare tale comunicazione a semplice titolo di cortesia, o per altro scopo speciale. Ma io sulla opportunità di tale passo dal punto di vista internazionale non possiedo gli elementi che solo la E.V. può avere sia nei riguardi delle due potenze alleate sia nei riguardi della Turchia.

157 1 Con il T. 6170 del 25 marzo Manzoni aveva proposto l’avvio di relazioni commerciali con l’Estonia.

158 1 Con il T. 6312 RR. del 2 aprile, Manzoni, su richiesta di Sonnino del 29 marzo (T. 341), avevasollecitato il parere del Ministero delle colonie sulla continuazione dei rapporti con Ahmed Sherif.

159

IL MINISTRO DELL’INDUSTRIA, COMMERCIO E LAVORO, CIUFFELLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 838. Roma, 9 aprile 1919 (perv. l’11).

Accuso ricevuta della lettera 1° aprile n. 009921 con la quale codesto Ministero chiede di conoscere se e quali azioni si sono iniziate da noi per favorire la ripresa delle relazioni commerciali con Smirne.

Come sarà noto a codesto Ministero, in Italia sono sorte, e sono in progetto, varie società aventi lo scopo di sviluppare il nostro commercio con l’Oriente; si è anche costituito un ente per le esportazioni, che potrà essere di grande aiuto per tale scopo.

Inoltre mi consta che l’Italia è stata visitata dai principali commercianti italiani di Smirne allo scopo di fare acquisti di merci, ed iniziare trattative per il futuro.

Non appena tolto il blocco della Turchia, Smirne fu visitata da varie navi, una delle quali, il “Costantinopoli”, noleggiato dal Consorzio esportatori Oriente, doveva fungere da vero magazzino flottante, e vendere il carico anche a piccole partite.

159 La nota, inviata a Roma al MAE, fu rispedita alla DICP, dove pervenne il 15 aprile.

1 Si tratta in realtà di un T. Posta di Sonnino, vedi D. 87.

Il risultato di tali azioni è stato nullo o quasi e le ragioni sono varie.

Anzitutto Smirne, bloccata per mare da tanto tempo, non dispone di larghi crediti all’estero, e quindi non può pagare con valuta estera, né la lira turca carta può essere accettata dai nostri esportatori.

In secondo luogo, Smirne durante la guerra ha perso il contatto con le sue retro-terre che, per ragioni facili a comprendersi, furono rifornite da Costantinopoli. Da ciò una grande titubanza in tutti gl’importatori di tale piazza, che non intendono riprendere gli affari in grande con l’estero, se non si assicurano di nuovo la clientela dell’interno. Si devono aggiungere gli alti prezzi richiesti dai nostri esportatori, l’incertezza pel futuro assetto politico di Smirne e del vilayet di Aidin, incertezza che trattiene dall’iniziare affari, in quanto che la futura situazione economica del porto di Smirne dipenderà evidentemente dalle retroterre che dovranno essere lasciate alla sua influenza.

Del resto tali condizioni non si ripercuotono solo sul commercio italiano, poiché, come codesto Ministero ebbe a comunicare, né la Francia né l’Inghilterra hanno potuto finora concludere affari di qualche importanza, incontrando le stesse difficoltà che si oppongono, per il momento, allo sviluppo del nostro commercio.

Prego pertanto codesto Ministero di voler invitare il comm. Carletti ad indicare quali sono le iniziative sorte per merito delle colonie francese, inglese ed americana, e segnalate col telegramma al quale rispondo, ed a fornire, sulle medesime, particolari dettagliati.

158 2 L’adesione francese è del 12 febbraio 1917.

160

IL MINISTRO DEGLI ESTERI CINESE, LOU TSENG TSIANG, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA. Parigi, 9 aprile 1919 (perv. il 10).

A la suite d’un entretien que j’ai eu l’honneur d’avoir hier avec Son Excellence,

M. Orlando, je viens de lui faire parvenir un aide-mémoire résumant les divers points relativement à la question de Kiao-Tchéou.

Je crois devoir vous adresser ci-joint un exemplaire du dit aide-mémoire1 pour lequel je vous serais reconnaissant d’accorder votre bienveillante attention.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI CINESE, LOU TSENG TSIANG AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

PROMEMORIA.

Le Gouvernement Chinois désire remettre à la décision de la Conférence des Quatre Chefs de Gouvernement la question de l’attribution des droits allemands dans la Province du Shantung.

En exprimant ce désir, le Gouvernement Chinois fait un pressant appel à l’appui amical de l’Italie, dont les luttes héroiques pour la liberté et l’union ont provoqué l’admiration profonde des populations de la Chine.

Un Mémoire déjà soumis au Comité des Dix a fait ressortir en détail combien le rejet des demandes chinoises mettrait en danger l’indépendance politique, l’intégrité territoriale et le développement économique de la Chine. Peut-être n’a-t-on pas suffisamment insisté sur le préjudice que ce rejet causerait aux intérêts des autres Etats.

Tsingtau est le meilleur port de la côte de Chine. Relié aux principaux centres de production et de distribution par un réseau de voies ferrées, il est destiné à contrôler dans une large mesure le commerce de la Chine du Nord. Laisser entre les mains d’un Etat étranger soit ce port, soit le chemin de fer de Tsingtau à Chinan, c’est lui donner l’arme la plus redoutable de domination commerciale et sacrifier le principe de «l’égale opportunité» pour le commerce de toutes les nations.

Une simple occupation temporaire de moins de trois ans a déjà suffi pour rendre le Japon maître du Commerce de Tsingtau. De 1913 à 1917 sa part dans les importations a passé de moins de 35% à plus de 57%, et sa part dans les exportations de 7,9% à 59%.

Les chiffres relatifs à la navigation sont plus frappants encore: en 1913, sur 1.300.442 tonnes à la sortie, la part japonaise était de 222.693 tonnes; en 1917, elle était de 1.114.159 tonnes sur 1.600.459.

Il serait tout aussi imprudent de restituer à la Chine le territoire de Tsingtau en permettant au Japon d’y créer, comme il le demande, une concession municipale exclusivement japonaise. La portion de Tsingtau où les Japonais se proposent d’établir leur concession englobe, d’après les plans qu’ils en ont déjà dressés, tout le quartier des affaires, avec la douane, le mouillage, les appointements, le terminus de la voie ferrée, etc. la concession japonaise serait la ville commerçante, l’emporium, et il n’y aurait place en dehors d’elle que pour des quartiers de résidence et de villas.

Le Gouvernement Chinois sollicite de la Conférence la restitution directe des droits allemands au Shantung. La restitution indirecte, par l’intermédiaire du Japon, pourrait être interprêtée dans un sens qui (du moins telle est la conviction du Gouvernement Chinois) ne correspond pas aux sentiments que l’Italie porte à la Chine. Elle impliquerait la reconnaissance et la confirmation des accords que le Japon a contraint la Chine de souscrire en Mai 1915 par l’ultimatum qui a suivi la remise des Vingt et une Demandes. L’un de ces accords est celui relatif au Shantung par lequel la Chine a dû s’engager à donner son assentiment à tout ce dont le Japon pourrait ultérieurement convenir avec l’Allemagne touchant la disposition des droits allemands au Shantung. Reconnaître la validité de cet accord, ce serait, au sentiment du Gouvernement Chinois, consacrer l’atteinte portée au droit de la Chine de diriger elle-même ses relations extérieures. Ce serait, même sans en avoir 1’intention, reconnaître la prétention du Japon à une situation spéciale en Chine, prétention que la Chine ne saurait admettre.

La procédure de négociation directe entre le Japon et l’Allemagne, telle qu’elle est prévue par le dit accord, paraît d’autant moins réalisable que la Chine est maintenant un Etat belligérant, qu’elle est représentée à la Conférence, et qu’elle a qualité pour recevoir directement de cette dernière la restitution de ses droits. Au surplus, la question du Shantung est une question née de la guerre et qui ne peut-être reglée que de concert par les Puissances Alliées et Associées réunies en Conférence de la Paix.

La nation chinoise tout entière demande et espère la restitution directe et complète. Il y a sur ce point accord unanime, comme en témoignent les innombrables adresses et télégrammes que la Délégation a reçus du Parlement Chinois, et des Assemblées, Associations d’Enseignement et Chambres de Commerce de toutes les provinces. Toutes ces institutions, en parfaite communion d’idées avec le Gouvernement, mettent leur espoir dans les grandes Puissances d’Europe et d’Amérique; persuadées que ces Puissances traiteront la Chine avec justice et que, si elles le désirent, elles peuvent lui donner un concours décisif.

La population chinoise compte d’autant plus sur 1’appui des Puissances amies qu’elle voit 1’avenir de la Chine dépendre de sa coopération intime avec l’Europe et l’Amérique ainsi qu’avec sa voisine asiatique. Elle sent qu’elle est à un tournant de son histoire. Si elle ne parvient pas cette fois à faire triompher sa juste cause, quel changement la désillusion ne produira-t-elle pas dans son attitude vis-à-vis de 1’Occident, et combien ne faudra-t-il pas de décades pour que les effets de ce changement s’atténuent?

Le Gouvernement Chinois n’ignore pas l’entretien qui a eu lieu le 28 mars 1917, entre le Ministre des Affaires Etrangères d’Italie et l’Ambassadeur du Japon à Rome2. Mais depuis lors la situation s’est tellement modifiée que les solutions envisagées ne paraissent plus réalisables. La Chine était alors neutre: elle est aujourd’hui belligérante et dûment représentée à la Conférence. Le Président Wilson n’avait pas encore formulé les principes que le Japon et la France ont acceptés pour servir de base à la paix: les prétentions japonaises sont inconciliables avec ces principes.

Le Gouvernement Chinois espère que cet échange de vues n’empêchera pas l’Italie de tendre une main secourable à la Chine au moment où celle-ci en a tant besoin.

Le Gouvernement Chinois est aussi persuadé que le Japon, si la situation lui est présentée sous ses différents aspects, se rendra compte lui-même que son véritable intérêt est de rendre justice à la Chine sur la question du Shantung. Le Japon a bien souvent assuré la nation chinoise de son désir amical de lui venir en aide. Qu’il saisisse cette occasion pour lui donner une preuve positive de son amitié et l’on verra se produire entre les sentiments des deux peuples le rapprochement que la Chine autant que le Japon désire voir se manifester dans l’intérêt de leurs relations de cordial voisinage, et que l’Europe et l’Amérique accueilleront comme un heureux présage du maintien de la paix en Extrême-Orient.

160 1 Vedi Allegato.

160 2 Sull’incontro tra Sonnino e l’ambasciatore giapponese qui ricordato si veda il T. Gab. 452del 28 marzo 1917 di Sonnino alle rappresentanze a Londra, Parigi, Pietrogrado, Pechino e Tokio (inserie quinta, vol. VII, D. 599) in cui si comunica che nessuna obiezione viene sollevata alle richiestegiapponesi di diritti territoriali nello Shantung.

161

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 10 aprile 1919, ore 13,15.

Grazie del suo telegramma1.

Ieri ebbi una breve intervista con Wilson, al quale esposi la necessità che prima dell’apertura della Camera italiana io fossi in grado di avere elementi concreti sulla risoluzione delle nostre questioni. Consentì pienamente, e aggiunse che mi avrebbe rimesso prestissimo un memoriale2 che riassume il suo pensiero sulle questioni stesse e che dovrebbe servire di preparazione al nostro colloquio.

162

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL

T. 402. Parigi, 10 aprile 1919.

Giornali francesi pubblicano che dieci navi italiane si sono recate Smirne. Ritengo sia notizia tendenziosa per preparare invece sbarco greco. Prego favorirmi informazioni1 e provvedere perché se eventualmente greci sbarcano Smirne navi italiane effettuino sbarchi a Scalanova. Prego segnar ricevuta.

2 Vedi poi D. 194, All. II.

161 1 Il riferimento è al telegramma di Vittorio Emanuele III del 9 aprile, non pubblicato.

162 1 Lo stesso giorno Revel comunicava essere tale notizia «assolutamente falsa», confermandocomunque l’intenzione di sbarcare a Scalanova nel caso di sbarco greco a Smirne (T. 941/8050 di Biancheri del 10 aprile). L’ipotesi di uno sbarco a Scalanova era stata del resto già avanzata da Cavallero connota 3620 SP. del 5 aprile, ma era stata per il momento accantonata da Sonnino (T. 1096 del 7 aprile). Consuccessiva nota 4160 dell’11 aprile al Comando Supremo, ufficio operazioni, poi, Diaz affermava indispensabile concentrare a Rodi, con la massima segretezza, uno scaglione di forze in grado di proseguireal primo cenno per Scalanova.

163

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1396/46. Addis Abeba, 10 aprile 1919 (perv. il 20).

Mi riferisco mio telegramma 341.

Dopo altri cambiamenti ed incertezze Governo etiopico ha stabilito inviare Europa tre distinte missioni che si recheranno rispettivamente Londra, Roma, Parigi, col semplice incarico consegnare ai rispettivi capi di Stato lettere dell’imperatrice.

Tale incarico sarà affidato a personaggi di secondaria importanza.

Mi riservo telegrafare nomi componenti missione per Italia.

Missioni partiranno da Gibuti verso il 25 corrente, sbarcheranno Marsiglia2.

Mentre mio collega Francia ha tentato in tutti i modi convincere Governo etiopico opportunità inviare alla Conferenza pace una missione speciale della quale avrebbe dovuto essere capo lo stesso ras Tafari, onde esporre sotto gli auspici della Francia i desiderata dell’Etiopia, io ho creduto invece interpretare il desiderio di V.E. adoperandomi ad eliminare tale eventualità.

164

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 947/52. Vienna, 10 aprile 1919 (perv. l’11).

Ritengo superfluo, in seguito miei telegrammi, insistere sopra eccezionale gravità situazione Ungheria e pericoli imminente contagio che presentasi per Austria, come V.E. è informata da Macchioro1, successivamente per altri paesi non escluso il

163 Il telegramma venne ritrasmesso da Asmara il 19 aprile.

1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

2 V. poi D. 341.

164 Con disposizione del 23 gennaio 1919, il primo segretario di legazione Arrigo Tacoli erastato inviato a Budapest «in missione provvisoria» in rappresentanza del Ministero degli esteri, ma formalmente addetto alla missione militare del maggiore Pentimalli, aggregata alla missione francese delcolonnello Vix. Avrebbe dovuto tenere i rapporti di fatto con il Governo di Budapest, mentre rimanevaaffidata alla Svizzera la protezione degli interessi italiani in Ungheria. Giunto a Budapest il 7 febbraio,Tacoli aveva per altro limitato al massimo la sua presenza in Ungheria conservando la residenza a Vienna. Richiamate le missioni alleate dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, Tacoli era ritornato aBudapest sporadicamente, in veste assolutamente privata (essendosi ritenuta inopportuna qualsiasi formaanche ufficiosa), mentre nella capitale ungherese risiedeva, sia pure in posizione non ben definita, ilministro plenipotenziario Livio Borghese (vedi D. 26).

1 Vedi DD. 10 e 47.

nostro. Movimento bolscevico in Ungheria, giova insistervi, non fu nazionalista che da un pezzo ne ha gettato maschera; esso è opera di poche migliaia di persone ed è avverso dalle masse e da stesse maggioranze socialiste e da Governo. Ma attività e terrorismo che spiegano avranno in breve consolidato. Sua attuale remissività di fronte alle accoglienze deferenti fatte a Smuts celano preparazione. Darà luogo ben presto a violenta aggressività. Occorre prevenirli adottando tempestive misure. Giudico indispensabile occupazione militare Stiria e Graz cui accennai Parigi a V.E. e che sento rientrare anche nella proposta Macchioro per occupazione Austria-Tedesca. Tale occupazione rincuorerebbe popolo ungherese e provocherebbe facile costituzione Governo nazionale in località prossima frontiera per esempio Szombathely. Prigionieri ungheresi in Italia opportuno organizzare nonché armare, raggiungerebbero territorio ungherese attraverso zona da noi occupata costituendo esercito nazionale. Piano è di non difficile attuazione. Urgenza è però assoluta per non essere sopraffatti da avvenimenti che rapidamente maturano.

165

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 952/181. Washington, 10 aprile 1919 (perv. l’11).

Telegramma di V.E. n. 3921.

Phillips mi ha detto che signor Glazebroock è stato inviato a Gerusalemme nella qualità di console degli Stati Uniti. Non ha incarichi speciali. Governo degli Stati Uniti volle soltanto, prima dell’invio del signor Glazebroock, accertarsi che la sua nomina non sarebbe riuscita sgradita al Governo britannico2.

2 Frattanto, già il 9 aprile, con T. 921/508, Preziosi aveva comunicato da Londra la rispostadel Governo britannico, escludente in modo categorico che «il signor Glazebroock abbia potuto ricevere incarico rappresentanza britannica in Gerusalemme». Con successivo T. 593 del 26 aprile Preziosi aggiungeva poi l’informazione: «che dottor Glazebroock ha riassunto in Gerusalemme questione di“certi” interessi confidatigli da quel console di Spagna nonché la custodia degli archivi consolari italiani e britannici».

165 1 Non pubblicato. Vedi riferimento in nota al D. 98.

166

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 1154 RIS. Parigi, 10 aprile 1919.

Ministri d’Italia, Francia, Gran Bretagna a Bucarest hanno indirizzato rispettivi Governi seguente telegramma identico1:

«Par une lettre dont nous enverrons le texte par le courrier, le Gouvernement Roumain insiste de nouveau sur la nécessité, en effet très impérieuse, de rétablir d’urgence le fonctionnement de la Commission du Danube, en réinstallant à Galatz nos Délégués et les membres du personnel téchnique qui ont quitté leur poste».

In via riservata e per norma informo codesto R. Ministero che ho risposto così2:

«Questa Commissione porti, ferrovie, fiumi in cui Rumania è rappresentata ha stabilito clausola da inserire preliminari pace secondo cui Commissione europea Danubio riassumerà poteri che aveva prima della guerra. Ne faranno però in via provvisoria parte soltanto rappresentanti italiano, francese, inglese, romeno»3.

167

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 1112 PREC. ASS. Parigi, 11 aprile 1919, ore 11,20 (perv. ore 13).

Sono informato che a causa mancanza carbone e materie illuminanti sono stati parzialmente sospesi servizi vettovagliamento paesi già appartenenti Impero austro-ungarico. Pericolo politico che da tale sospensione deriva è evidente e se rimedio è possibile questo può venire solo da noi. Prego quindi provvedere nei limiti del possibile prelevando se necessario anche dalle più vicine riserve della Marina. Gli americani ritengono sarebbero necessarie 5.000 tonnellate ma lascio naturalmente a voi costà di vedere fino a qual punto possiamo spingerci senza pericolo. Prego informarmi.

2 È il T. 1153 a Bonin per Auriti a Bucarest, anch’esso del 10 aprile.

3 Sulla questione si veda poi D. 442.

166 1 Il telegramma collettivo da Bucarest è del 29 marzo ed era stato comunicato in copia a Sonnino da Auriti con foglio 268.125 del 1 aprile, unitamente al testo della Nota rumena alla Legazione italiana a Bucarest n. 3936 del 15/28 marzo, sullo stesso argomento.

168

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 2585. Roma, 11 aprile 1919.

Ricevo suo 6544 del 7 corrente (allegato)1.

Quanto avviene in Etiopia non ha del verosimile. Un rappresentante di una potenza associata e un rappresentante di una potenza alleata, che ha per giunta insieme con noi firmato un accordo speciale per la Etiopia, eccitano lo spirito pubblico abissino contro l’Italia rendendo impossibile la pacifica discussione del programma italiano alla Conferenza. Io domando alla E.V. quale idea il Governo abissino possa farsi della solidarietà degli alleati e associati, se vedono Francia ed America agire in Etiopia da nemici dell’Italia.

Tutto ciò avviene mentre codesto Ministero con telegramma espresso del 4 corr.

n. 64122 mi riferiva l’assicurazione del r. ambasciatore a Parigi che il capo di Gabinetto del ministro francese degli affari esteri avea promesso di tener conto della nostra viva raccomandazione di dare istruzioni al rappresentante della Repubblica a Addis Abeba di inspirarsi nella sua azione presso il Governo locale e nelle sue istruzioni con i suoi colleghi a quello spirito di concordia e di solidarietà che si conviene alla alleanza che lega i tre Governi.

In Etiopia avviene ora precisamente il contrario per opera di rappresentanti di Francia e America ed io debbo portare innanzi alla E.V. una formale forte protesta contro questi procedimenti ostili specie del console americano che recano all’Italia grave danno attuale e preparano torbidi e conflitti per l’avvenire.

Credo necessario che siffatta protesta giunga pure a Wilson affinché il console americano in Aden abbia categoriche istruzioni di desistere dal suo inconsulto procedere, e giunga fino a Lloyd George per dimostrare che quanto avviene ora in Addis Abeba è la riprova più evidente della necessità che la influenza della Francia sia eliminata dalla Etiopia se si vuole che l’Italia abbia pace nelle sue colonie.

Io non comprendo l’atteggiamento del nostro ministro in Addis Abeba di semplice spettatore in questa tragi-commedia coloniale che si svolge nell’Africa orientale e chiedo alla E.V. se il conte Colli è fornito di mezzi per neutralizzare l’azione franco americana contro la quale bisogna reagire energicamente se non vogliamo essere travolti. Se non lo fosse, sarebbe necessario provvedere subito3.

Gradirò cortesi assicurazioni di V.E.

2 Non rinvenuto.

3 Su questo telegramma si vedano poi le osservazioni dell’ambasciatore a Parigi Bonin, conlettera riservata a Sonnino del 18 aprile (qui D. 237).

168 1 Non pubblicato. In realtà è a firma di Manzoni.

169

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 954/81. Roma, 11 aprile 1919 (perv. il 12).

Mi permetto richiamare attenzione di V.E. sulla situazione che si viene creando in Asia Minore (miei telegrammi Gab. n. 79, 80 e 8083)1 dove, se informazioni sono esatte, inglesi francesi e greci sembrano decisi chiudere la nostra attività di Adalia in un ben stretto e limitato cerchio. Più che lottare localmente [parmi]2 converrebbe procedere ad una franca spiegazione con nostri alleati, ed essere preparati agli avvenimenti che potrebbero anche precipitare, approntando per tempo a Rodi forze idonee e dando unità di direttive e precisioni di obiettivi. La voce che greci hanno numerose truppe a Mitilene, pronte e decise sbarcare a Smirne, circola qui insistente e produce molta impressione3.

170

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 966/182. Praga, 11 aprile 1919 (perv. il 13).

Da notizie inviate da generale Piccione risulta che questo Governo tende decisamente distruggere impegni morali assunti verso missione militare italiana ritenendo[si] completamente in regola qualora mantenga integro Comando italiano entro limiti strettamente geografici Slovacchia.

Generale Piccione, di fronte ordini e contrordini ricevuti questi ultimi giorni, ritiene dignitoso non più rispondere ministro difesa nazionale.

Ho creduto opportuno rappresentare ministro Svehla, presidente del Consiglio ad interim, poca serietà procedere mancanza di riguardo al capo missione italiana specie tenendo con lui (?) trattative in corso Parigi per sostanziale risoluzione conflitto attribuzioni missioni militari italiana e francese.

Svehla riconobbe che molti malintesi erano accaduti e se ne dimostrò spiacente: disse non ricevere informazioni da Parigi; ammise che Kramar e Benes, vivendo

2 Manca nel testo in arrivo.

3 Proprio con riferimento all’eventualità di un colpo di mano greco su Smirne, lo stesso 11aprile, con foglio n. 4160 al Comando Supremo, Ufficio operazioni, il generale Diaz affermava indispensabile concentrare a Rodi — con la massima segretezza — un primo scaglione di forze, in grado di proseguire al primo cenno per Scalanova.

costì, subiscono influenza Governo francese. Ad un certo punto si lasciò sfuggire che Governo Praga non sentiva affatto bisogno di altra missione per organizzare esercito e che missione non fu affatto richiesta. Giungemmo alle seguenti constatazioni e conclusioni: 1) generale Piccione non reputa sufficiente soddisfacente soluzione proposta limitare suo comando confini geografici Slovacchia e considera invece anche lato morale prestigio missione italiana; 2) sarà mantenuto statu quo in attesa decisioni Parigi; 3) in considerazione grave pericolo militare bolscevico avremmo entrambi rappresentato Parigi massima urgenza definire questione.

Per parte mia ho rilevato che lungaggini provengono da Benes il quale prende tempo per dare risposta definitiva.

Addetto militare prega comunicare presente telegramma delegazione militare.

169 1 I telegrammi 79 e 80, non pubblicati, sono rispettivamente del 10 e dell’11 aprile. Il T. 8083non è stato rinvenuto.

171

IL GOVERNATORE DELLA DALMAZIA, MILLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 965/14274. Sebenico, 11 aprile 1919 (perv. il 12).

Facendo seguito mio 14188 del 10 corrente1 informo che posseggo contenuto autografo arcivescovo Zara specificante che egli ad ogni modo firmò mai alcuna petizione2 ma solo dichiarato verbalmente che egli è di nazionalità croata. Se la sua firma figura in qualche documento egli dichiara che ciò costituisce un vero abuso e forse anche un falso. La sua dichiarazione verbale di cui sopra risale a 2 mesi or sono. Circa presidente della Corte appello dei giudicati e vicario vescovo monsignore (...) ambedue dichiarano avere fatto alcuni mesi or sono dichiarazione verbale di nazionalità croata come quella dell’arcivescovo e ciò a scopo censimento e non di petizione politica. Questo è avvenuto durante breve periodo Governo jugoslavo al quale il Governo austriaco cedente aveva invitato i funzionari ad obbedire. Spedisco costà con corriere documento arcivescovo. Informo V.E. che mi pervengono domande giornaliere di occupazione italiana da parte bosniaci e reclami contro malgoverno serbi Bosnia Erzegovina. Ritengo probabile scoppio moto rivoluzionario colà quando fosse imposta annessione Serbia. Aggiungo che proteste sacerdote Bianchini rinnegati italiani Zara presentati in massa sono tutte sul falso.

171 1 Non pubblicato. Copia di tutti i telegrammi scambiati sulla questione era stata rimessa daMillo al Comando Supremo, al capo di S.M. della Marina e al MAE Gab. con n. 11577 del 10 aprile.2 Si sarebbe trattato di una petizione a favore della inclusione della Dalmazia nel nuovo Statoiugoslavo. Sulla questione si veda poi il D. 729.

172

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. POSTA 1182. Parigi, 11 aprile 1919.

Risponde telegramma di. V.E. n. 73991.

Ho letto interessante promemoria della delegazione musulmani Tracia2. Da essa direttamente ho ricevuto nuovo telegramma3 chiedente di far pratiche perché venga chiamata Parigi esporre desiderata al Congresso. Prego voler ringraziare per dimostrazioni simpatia e dire che questione sarà da noi fatta presente. Circa quanto è esposto nel pro-memoria converrà consigliare di attentamente considerare elementi vari delle presenti circostanze non favorevoli in modo alcuno a sanzionare istituzioni con predominio musulmano su cristiani in Europa. Per mantenersi nel campo pratico unica via conveniente pare quella di non aderire alle richieste greche e chiedere seguire sorte Costantinopoli per la quale si pensa a regime speciale.

173

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO

T. POSTA 1183. Parigi, 11 aprile 1919.

Rispondo al foglio n. 3870 del 7 corrente1 circa telegramma 5772 del Comando Supremo2 relativo a truppe serbe in territorio albanese. Avevo già rinnovato incarico a regia ambasciata in Parigi3 di insistere presso Governo francese perché generale Franchet d’Esperey impartisca ordini di evacuazione alle truppe serbe. Ritengo convenga procedere appena possibile a dislocazione nostri distaccamenti accanto a quelli serbi. Mi rimetto apprezzamento Comando supremo circa forza tali distaccamenti e convenienza impianto qualche altro in località dove non risiedano truppe serbe. Prego volermi informare appena tali movimenti saranno ordinati per darne notizia a Governo francese affinché non si ritenga tale misura escluda richiesta evacuazione serba nella quale desidero insistere.

2 Con lettera del 29 marzo a Borsarelli, a seguito di un colloquio del giorno precedente, i delegati del Comitato della Tracia avevano rinnovato la rivendicazione all’indipendenza completa del loropaese nei confronti delle pretese greche e bulgare, e il ritorno alle istituzioni del 1913, invocando a garanzia la protezione e l’appoggio del Governo italiano.

3 Non rinvenuto. Sulla questione vedi anche DD. 45 e 96.

2 Del 5 aprile (non pubblicato).

3 Vedi D. 86.

172 1 Non rinvenuto.

173 1 Non pubblicato.

174

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. 1197. Parigi, 11 aprile 1919.

Suo telegramma n. 76751.

Concordo con quanto la S.V. espone ed approvo la soluzione proposta della completa sostituzione del contingente italiano in Siberia.

175

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. A MANO 4095 SP. Parigi, 11 aprile 1919.

Con riferimento alla comunicazione fatta con foglio 4095 SP. odierno1 faccio rilevare la probabilità che con l’estendersi dei moti bolscevichi le truppe dell’Intesa che sono in Ungheria possano essere completamente isolate.

Faccio quindi formale proposta che vengano occupate militarmente le linee ferroviarie atte a garantire vita e movimenti alle truppe alleate nonché a quelle che in seguito potranno essere inviate nell’Austria Tedesca2.

175 Il telegramma fu inviato per conoscenza alla PCM (Gabinetto).

1 Non rinvenuto.

2 La volontà di presidiare le ferrovie austriache fu reiterata e precisata da Diaz con F. 4395 del 15 aprile.

174 1 Con il T. 7675 del 5 aprile Manzoni, intervenendo sulla questione del corpo di spedizione italiano in Estremo Oriente, aveva espresso l’avviso che, salvo decisione di ritirare completamente le nostre truppe, si adottasse la soluzione proposta dal Ministero della guerra anche per il corpo di spedizione in Murmaniae cioè la completa sostituzione con volontari «da retribuirsi assai più largamente». Si veda anche il D. 43.

176

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 11 aprile 1919.

SEDUTA ANTIMERIDIANA.

S.E. l’onorevole Orlando arriva alcuni minuti prima del signor Lloyd George e del signor Clemenceau. Ne profitta per ricordare al signor Wilson di avergli fatto considerare come sia necessario che nella prossima settimana venga risoluta la questione della frontiera italiana, anche perché la Camera italiana deve riunirsi il giorno 23 ed è impossibile all’on. Orlando di non informare dei risultati della Conferenza per quanto ci concerne.

Wilson è perfettamente d’accordo e ha deciso di destinare il tempo che gli rimane libero in questi giorni per redigere quel memorandum che ha promesso rimettere all’on. Orlando1.

Orlando fa osservare a Wilson che Lloyd George deve partire lunedì o martedì e ripete che egli non può ammettere che la questione italiana subisca altri ritardi. Wilson crede che Lloyd George resterà assente questi ultimi giorni e ritornerà presto.

Orlando anch’egli ha inteso dire ciò, ma desidera averne formale assicurazione da Lloyd George ed è perciò che si riserva di chiedergliene durante la riunione.

Arrivano il sig. Clemenceau ed il sig. Lloyd George.

Lloyd George, prima che il signor Orlando gli abbia rivolto la domanda annunziata, fa una sfuriata contro Lord Northcliffe il quale ha iniziato una campagna contro di lui ed ha prodotto un’agitazione anche nel Parlamento, ond’egli è obbligato a rientrare a Londra. Lloyd George ha l’intenzione di dichiarare molto recisamente alla Camera che egli non vuole e non può dire cosa sia stato deciso, ma domanda al Parlamento di avere fiducia in lui: se non ha questa fiducia lo si dica chiaramente ed egli se ne andrà.

Orlando prende occasione da questo discorso di Lloyd George per chiedere che sia fissata una data per iniziare la discussione su quanto interessa l’Italia, onde nella prossima settimana tale discussione sia finita.

Tutti dichiarano che sono concordi.

Orlando domanda se la partenza di Lloyd George non potrà portare ostacolo.

Lloyd George assicura che la sua assenza non durerà più di tre giorni; certamente venerdì sarà di ritorno. Del resto in sua assenza il signor Balfour lo sostituirà con pieni poteri, egli conosce a fondo la questione e la sua simpatia per l’Italia deve dare ampia garanzia al signor Orlando che le questioni italiane non avranno da soffrire per l’assenza del primo ministro inglese.

Wilson conferma di aver promesso che tutto sarà finito nell’entrante settimana ed accenna al memoriale che intende redigere.

176 Riunione antimeridiana dell’11 aprile del Consiglio dei quattro. Cfr. MANTOUX, vol. I, p. 223 eRAC, nn. 245-246. 1 Vedi poi All. II al D. 194.

Lloyd George è lieto che il signor Wilson abbia in precedenza uno scambio di idee col signor Orlando anche perché l’America abborda la questione con piena libertà, mentre l’Inghilterra è già in gran parte legata dal trattato del 1915 e la Francia trovasi nelle identiche condizioni.

Clemenceau fa atto di piena adesione a quanto ha detto Llyod George, ma non interloquisce.

Continua la conversazione sulla questione della Sarre.

Era stato stabilito che dopo 15 anni di amministrazione francese sarebbe stato fatto un plebiscito. Sorge il dubbio che la Francia possa trovarsi sprovvista di carbone nel caso in cui il plebiscito le riuscisse contrario e quella regione dovesse quindi andare alla Germania.

Il signor Loucheur propone quindi di stabilire che in tal caso la Francia potrà acquistare dalla Germania il carbone al prezzo corrente in Germania e per una quantità eguale a quella che sarà stata estratta annualmente nell’ultimo triennio della sua amministrazione, e ciò per un tempo illimitato.

Wilson osserva che questo impegno illimitato non è possibile.

Orlando interviene nella discussione appoggiando la Francia.

Si conclude per rimettere la questione agli experts.

Lloyd George vorrebbe stabilire che nel pomeriggio, alle 4, si debba trattare la questione della Siria, e chiede al signor Clemenceau un appuntamento per le 3 onde intendersi prima di discutere in presenza del signor Wilson e del signor Orlando.

Wilson osserva che già la questione è stata decisa quando venne deliberata la nomina di una commissione2.

Lloyd George e Clemenceau sembrano non ricordare che tale decisione fosse definitiva e poi Lloyd George osserva che in ogni caso dopo quella discussione si è verificato un fatto nuovo: un expert giunto dalla Mesopotamia con notizie in senso assai diverso a quanto sembrava apparire dalla relazione del generale Allenby.

Ne segue una vivace discussione nella quale Wilson insiste sulla nomina della commissione, già decisa, e che deve servire per conoscere i sentimenti della popolazione e le necessità locali: la commissione non doveva occuparsi soltanto della Siria ma di altre regioni. Era stato offerto all’America il mandato sull’Armenia e l’America sente il dovere di accettare ma solo dopo che una commissione andata sul posto riferisca sulle condizioni locali. Per esempio è necessario all’Armenia uno sbocco nel Mediterraneo? E quindi la Cilicia deve essere annessa all’Armenia?

Lloyd George non vede le relazioni esistenti fra Cilicia ed Armenia e non crede opportuno l’invio della commissione.

Wilson dichiara che in tal caso egli si ritirerà dal prendere parte all’assegnazione di mandati.

Lloyd George e Clemenceau insistono perché ciò non avvenga, ma gli fanno considerare necessità di sollecitare una decisione, necessaria per concludere la pace con la Turchia. Wilson dice che la pace con la Turchia potrà farsi fissando quali territori la Turchia debba perdere.

Orlando interviene facendo notare che concludendo la pace con la Turchia non basta indicare i territori che le saranno tolti, ma stabilire a chi verrà affidato il mandato sulla Turchia stessa.

Lloyd George non dissente ma insiste sulla necessità che la Turchia non aspetti il ritorno della commissione per conoscere le sue sorti.

La seduta si scioglie senza prendere alcuna decisione.

176 2 Si tratta della Commissione interalleata per la Turchia, proposta da Wilson nel Consiglio deiquattro del 27 marzo (si veda FRUS, vol. V, pp. 12 sgg. e MANTOUX, vol. I, p. 49). In effetti solo la sezione americana della Commissione (la c.d. King-Crane Commission, dal nome dei delegati americani)operò in Siria e nel Vicino Oriente dal 10 giugno alla metà di agosto.

177

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 10777 RR. Versailles, 11 aprile 1919.

Con riferimento al telegramma a mano n. 10734, in data 10 corrente1, si ha l’onore di informare V.E. che la questione del comando unico in Turchia verrà, a quanto pare, nuovamente posta dall’Inghilterra, ma non si sa ancora sotto quale precisa veste.

Dal punto di vista militare, non esistono in modo evidente ragioni che esigano il comando unico e quindi il dibattito, che ha fondamento essenzialmente politico, si risolverà, presumibilmente, in un forte contrasto tra l’Inghilterra, che vorrebbe assicurarsi il predominio anche su Costantinopoli, e la Francia che vi si opporrà fino all’estremo. Gli Stati Uniti, presumibilmente, si schiereranno dalla parte britannica.

Poiché considerazioni d’indole politica potrebbero consigliare all’Italia un atteggiamento favorevole all’una potenza piuttosto che all’altra, si riterrebbe necessario conoscere quali direttive V.E. intenda eventualmente che siano seguite in proposito.

Si resta pertanto in attesa di un cortese cenno di riscontro2.

178

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE A BERLINO, BENCIVENGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 61. Berlino, 11 aprile 1919.

Ieri sera (giovedì, 10) ebbi un lungo colloquio coi sigg.:

dir. Starkmann, già accennato in precedenti miei fogli;

dct. Calmon, vice direttore della Bank für Händel und Industrie;

2 Per la risposta di Sonnino si veda D.182.

Regierungsrat dr. Budding, commissario di Governo per le importazioni ed esportazioni;

dr. Krauter, consigliere economico nella Commissione per l’armistizio, consapevole, non ufficialmente, il Governo tedesco.

Fu discusso a lungo il modo conveniente per facilitare, anzi dirò per rendere possibile la ripresa dei rapporti commerciali tra l’Italia e la Germania . Le proposte furono varie, ed il tenente Piazza, che era pure presente al colloquio, potrà riferire in merito a V.E.

Alla fine della discussione prevalsero le mie idee.

Premisi: che la ripresa dei rapporti commerciali coll’Italia non si presentava facile, poiché colla guerra era avvenuta una vera e propria levata di scudi contro l’invasione commerciale tedesca; che perciò bisognava riconquistare il mercato eliminando le diffidenze; e facendo prevalere il concetto che la Germania venga ad essere un ottimo mercato per l’industria italiana esportatrice.

In sostanza feci cader dall’alto la ripresa dei rapporti commerciali per trarne benefici morali e materiali.

Proposi anzitutto che sui più importanti giornali di Berlino apparisse un comunicato esprimente il desiderio delle classi commerciali ed industriali tedesche di riprendere al più presto i rapporti economici coll’Italia, anche per l’importazione di prodotti italiani in Germania. Questo comunicato è di forma molto più attenuata di quello che già comunicai all’E.V. e toglie qualsiasi allusione all’intervento di organi ufficiali.

Proposi quindi che apparissero sui principali giornali di Berlino e provincia articoli generici sulla necessità ed opportunità di promuovere scambi coll’Italia, etc.

A questi articoli io mi riprometto di farne seguire altri che dicano dello sviluppo assunto dalla nostra industria, dei prodotti che siamo riusciti a perfezionare, eccetera. Tutto ciò però apparirà scritto da tedeschi.

Ora occorre però che tutto quanto sarà scritto in merito sui giornali o riviste tedesche venga divulgato in Italia. Io ho qui dei corrispondenti di giornali ai quali segnalerei volta a volta gli articoli più importanti. Ma sarebbe inutile ch’io li segnalassi ai corrispondenti se i direttori di giornali italiani cestinassero la corrispondenza.

Se sui giornali italiani si farà lavoro analogo, gli industriali ed i commercianti dei due paesi finiranno presto coll’intendersi.

E qui però comincia la questione importante. Come intendersi?

È per questo che invio a V.E. il tenente Piazza allo scopo di prendere istruzioni.

177 1 Non rinvenuto.

179

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMANDO SUPREMO

T. 409. Parigi, 12 aprile 1919, ore 11,30.

A telegramma n. 60631. In armonia nostra politica verso Turchia ed in relazione eventuali maggiori compiti avvenire occorre che nostre forze militari in Anatolia non intervengano formalmente nella amministrazione locale ed ancor meno in quella della giustizia. Eventuali deficienze manchevolezze amministrazione e funzionari turchi dovranno essere segnalate a questo Ministero che richiederà provvedimenti necessari a Governo turco a mezzo alto commissario a Costantinopoli. Compito diretto forze militari deve limitarsi mantenimento ordine pubblico in cooperazione autorità turche sulle quali eserciteranno vigilanza e controllo influendo con mezzi ritenuti più efficaci perché loro opera si svolga conforme nostri interessi.

È da raccomandare che nostre forze militari si adoperino in ogni modo per rendersi bene accette popolazione e che a capo dei reparti o comunque vicino a comandi siano posti ufficiali pratici Oriente.

180

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 12 aprile 1919, ore 12,50.

Ringrazio del telegramma di ieri1.

Sono molto lieto di avere spontaneamente pensato come Vostra Maestà circa l’effetto salutare della reazione risoluta che Governo e cittadinanza hanno dimostrato verso i tentativi di sopraffazione anarchica2. Qui la settimana prossima sarà per noi la vera settimana di passione. Auguriamo che anche essa finisca in gloria. Non mancherò di tenere informata V.M. di tutte le fasi della discussione.

179 Il telegramma fu inviato per conoscenza alla Presidenza del Consiglio, alla Sezione militaredella DICP, a Sforza, a Bonin Longare, a Preziosi e a Macchi di Cellere. Nel testo per Sforza, in calce:«Prego comunicare quanto precede a Ferrante».

1 Vedi D. 131. 180 1 Non pubblicato.2 Il riferimento è allo sciopero generale, proclamato a Roma dalla Camera confederale dellavoro, di tendenza bolscevica, svoltosi senza incidenti e terminato con una manifestazione patriottica.

181

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 8191 URG. Roma, 12 aprile 1919, ore 18.

Facendo seguito al mio telegramma-posta n. 7960 in data 9 corr.1 trasmetto qui accluso un pro-memoria riassuntivo sul santuario del Cenacolo2. Tale promemoria potrebbe, a parere dell’ufficio scrivente, essere utilmente comunicato a Sir Rennell Rodd. Vi sono raccolte infatti, con brevità, le ragioni fondamentali delle nostre rivendicazioni sul santuario in parola, e cioè:

1) il legittimo titolo di proprietà dei reali di Napoli;

2) il comprovato possesso da parte dell’Ordine dei frati minori;

3) la secolare consacrazione del santuario al culto latino;

4) l’usurpazione;

5) l’infondata leggenda dell’esistenza in esso della tomba di David, leggenda del resto sfatata dal fatto stesso che la Sublime Porta è pienamente disposta a addivenire alla cessione da noi richiesta.

ALLEGATO

PROMEMORIA

Il santuario del Cenacolo, sul Monte Sion in Gerusalemme, prima chiesa consacrata al culto cristiano, circa nel 11333 fu comperato dai sovrani di Napoli, re Roberto e la regina Sancia sua sposa, dal soldano d’Egitto, e fu di poi custodito dall’Ordine dei frati minori di S. Francesco fino al 1449, epoca nella quale col pretesto che ivi si conservassero i resti di re David, i musulmani ne usurparono il possesso, né vollero mai restituire al culto cristiano tale santuario malgrado le proteste della cristianità e le successive reiterate pratiche dei re di Napoli.

Tali insistenze furono a più riprese rinnovate dal regno d’Italia anche in nome di S.M. il re, legittimo erede di tutti i diritti dei sovrani di Napoli, in forza anche del trattato intervenuto fra l’Italia e la Turchia del 1861.

Le insistenze e le pratiche interrotte dallo scoppio della guerra italo-turca furono riprese recentemente e si ha ora notizia che il gran visir ha ottenuto il consenso del sultano ed ha preparato il testo dell’Iradé che fa cessione al re d’Italia del santuario del Cenacolo.

In tal modo la Sublime Porta si prepara a riconoscere la usurpazione commessa nel 1449 ed a restituire al legittimo proprietario un santuario estremamente caro al culto cristiano.

È sorto però dubbio se, data la attuale eccezionale situazione in Palestina, possa la Sublime Porta disporre senz’altro di un bene vakuf. Non pare dubbio, sentito anche il parere dei

2 Vedi Allegato.

3 Recte 1333.

competenti in materia di diritto musulmano, che la Sublime Porta possa disporre di un bene vakuf, anche in tale eccezionale situazione, poiché i beni vakuf sono di esclusiva amministrazione religiosa musulmana, tanto che in Egitto stesso il Ministero dei vakuf è il solo che si mantenga perfettamente autonomo e sotto le direttive del sultano.

Pertanto il barone Sonnino, chiarita la sostanziale natura delle nostre rivendicazioni le quali non tendono che ad ottenere la restituzione di ciò che fu usurpato, confida che il signor Balfour, in vista anche dall’interessamento di S.M. il re d’Italia, vorrà dare istruzioni all’alto commissario inglese in Costantinopoli perché sia significato alla Sublime Porta come essa è perfettamente libera in tale argomento di agire come meglio le sembri.

181 1 Vedi D. 153.

182

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO

T. 1195. Parigi, 12 aprile 1919.

Mi riferisco al foglio di V.S. n. 10777 dell’11 corrente1.

Confermando le precedenti comunicazioni La informo che l’atteggiamento del-l’Italia circa il comando unico in Turchia deve essere favorevole al comando inglese.

183

L’AGENTE DIPLOMATICO AL CAIRO, NEGROTTO CAMBIASO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 968/3. Il Cairo, 12 aprile 1919 (perv. il 13).

Trasmetto V.E. seguente telegramma comandante Levi Bianchini Gerusalemme:

«Autorità inglesi con collaborazione nostre truppe prendono precauzioni contro disordini ed informano popolazione che commissione interalleata di prossimo arrivo ascolterà tutti i loro desideri e che frattanto nessuna decisione sarà presa dalla Conferenza pace. Tale comunicazione cagiona apprensione e diffidenza specie fra sionisti ed eccita speranza arabi. Autorità inglesi tentano influire su elemento indigeno perché chieda alla predetta commissione il protettorato britannico. Situazione molto complicata si presta a svariate complicazioni. Potrei personalmente esercitare qualche influenza su attitudine ebrei e mi riescirebbe possibile aiutare oppure contrastare voto per sovranità britannica oppure tendere verso internalizzazione [sic] o almeno maggiore partecipazione Italia. In ogni modo nostro appoggio od opposizione all’Inghilterra può avere

gran peso e potrebbe costituire oggetto transazione da parte R. Governo. Soragna è al corrente complicata situazione e potrebbe fare rapida corsa a Roma o Parigi per prospettarla. Prego V.E. telegrafarmi sue istruzioni tramite Agenzia diplomatica Cairo».

182 1 Vedi D. 177.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 414. Parigi, 13 aprile 1919, ore 12,30.

Halil pascià dicendosi incaricato da sultano e gran visir ha compiuto passi presso autorità inglesi per interessare Gran Bretagna alla sorte dell’impero ottomano il quale si metterebbe sotto guida e protezione Inghilterra. Sua missione albanese non è dunque che una finzione per coprire tale sua speciale missione. In materia albanese tiene condotta contraria interessi italiani. Quanto sopra per conoscenza e norma in riferimento a precedente mio telegramma 3841.

185

L’ AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 994/736. Rio de Janeiro, 13 aprile 1919 (perv. il 14).

Questo ministro affari esteri è venuto pregarmi di intervenire presso V.E. affinché Brasile possa essere rappresentato nel comitato esecutivo della Lega delle Nazioni, ottenga cioè uno dei quattro posti riservati alle potenze di interessi limitati. Mi ha svolto varie considerazioni in appoggio al suo desiderio e sopratutto ha addotto la necessità pel Brasile di assumere in quella Lega una attitudine indipendente e di non figurare come organismo politico unicamente dipendente dall’America del Nord.

Per conto mio osservo che ammissione Brasile in quel comitato vi introdurrebbe elemento veramente imparziale e conciliativo in tutte le questioni più difficili sia terrestri che marittime, nelle quali per ora almeno Brasile non è direttamente interessato. Si avrebbe inoltre il vantaggio di dare soddisfazione alle masse italiane e italo-brasiliane che vedono con piacere ogni cosa che rialzi il prestigio di questo paese. Il posto accordato Brasile verrebbe tolto ad uno Stato balcanico con vantaggio della sincerità della Lega delle Nazioni in seno a cui certi paesi balcanici saranno elementi di intrighi e di difficoltà senza fine. V.E. terrà presenti queste considerazioni e vorrà significarmi se e

quale risposta debba darsi a questo ministro degli affari esteri, il quale mi ha informato aver intenzione fare analogo passo presso questo rappresentante Inghilterra.

184 1 Vedi D. 135 e poi D. 193.

186

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 987/445. Vienna, 13 aprile 1919 (perv. il 14).

Cancelliere di Stato Renner, con cui ho conferito sulla situazione, mi ha fatto le seguenti dichiarazioni che corrispondono al modo vedere di tutto il partito socialista cui egli appartiene. Dopo averne tentato di scandagliare chi abbia fatto pratiche presso missioni estere per ottenere occupazione Vienna1 mostrando interesse particolarmente ex ministro Mataja (di cui mio telegramma n. 367 del 3 corrente)2, dichiarò che intervento sarebbe un errore. Ora invece situazione qui è abbastanza soddisfacente perché nove decimi Volkswehr sarebbero favorevoli attuale Governo. In pari (...) però non escluse che comunisti potrebbero tentare un colpo di mano per arrestarlo, ma egli non fa nulla per parare a tale eventualità anzi rimane fino mezzanotte al Ministero, guardato da un solo usciere. In caso arresto da parte di qualche comunista esaltato ha fiducia reazione di tutto il partito socialista. Occorre però che nulla venga a turbare opinione pubblica. Tale dichiarazione offri al cancelliere occasione per consueta raccomandazione risolvere amichevolmente questione Alto Adige. Nulla può succedere in questi giorni per elezioni consiglio operai. Comunismo in Ungheria durerà poco e socialisti riprenderanno presto il potere. Del resto socialisti che collaborano attualmente con comunisti in Ungheria non hanno mai rinnegato loro idee evoluzioniste ma hanno accettato Governo comunista per ragioni di opportunità. Secondo Renner questa era la soluzione migliore. Se comunismo si diffondesse in Germania sarebbe allora (?) la volta dell’Austria Tedesca. In tale caso è prevedibile che socialisti austro-tedeschi imiterebbero condotta loro colleghi ungheresi e collaborerebbero Governo rivoluzionario.

Per quanto dichiarazione Renner fosse rivolta principalmente intento dissuadere intervento Intesa, si rileva da tali parole che egli non esclude possibilità movimento in senso comunista nell’Austria Tedesca ed ammette che in questo caso partito socialista si adatta nuovo stato di cose ed eventualmente vi collabora. Nel corso della conversazione da me avuta oggi con Renner questi manifestò in pari tempo avviso che Ungheria non avrebbe pagato interessi debito pubblico neppure agli stranieri e che Intesa non avrebbe avuto modo obbligarla3.

2 Non pubblicato.

3 Sulla questione vedi D. 187.

186 1 Macchioro ne aveva riferito con T. 440 del 12 aprile, dando notizia della smentita ufficialedel Governo di Vienna.

187

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 990/448. Vienna, 13 aprile 1919 (perv. il 14).

Nessun provvedimento è stato preso finora da Governo ungherese per il pagamento interessi valori di Stato fra i quali 600 milioni buoni del tesoro scadenti oggi. Questione sarà discussa in questi giorni fra rappresentanti ungheresi e questo Ministero delle finanze. Sembra inoltre che rappresentanti potenze neutre a Vienna avranno una conferenza in proposito. Riterrei che potenze dell’Intesa dovrebbero ammonire Governo ungherese che non gli permetteranno sottrarsi suoi impegni verso i loro sudditi. Avverto che di titoli del debito pubblico e di buoni del tesoro ungherese esistono quantità considerevolissime così nel regno d’Italia come nelle province redente. Aggiungo che qualora non si proceda energicamente in tale questione di fronte Ungheria esempio di questo paese potrebbe essere imitato dall’Austria Tedesca il cui Governo socialista non chiederebbe di meglio che esimersi pagamento interessi valori Stato, secondo risulta da parole sfuggite al cancelliere di Stato in una sua conversazione con me1. Se poi si diffondesse nell’Austria Tedesca la convinzione che Intesa non possa nulla contro Ungheria, perché dotata di un Governo comunista, nulla tratterebbe l’Austria Tedesca dall’adottare anche essa simile Governo.

188

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 13 aprile 1919.

Il tema della riunione era una proposta del signor Lloyd George perché si procedesse alla convocazione dei plenipotenziari tedeschi per la firma del trattato di pace.

Risposi subito che non era possibile l’Italia acconsentisse a questa convocazione se prima non erano state risolte le questioni che la riguardavano.

Risultò subito che a questo proposito era già intervenuto un accordo fra i signori Clemenceau e Lloyd George, mentre il presidente Wilson pur dandomi ragione sosteneva debolmente la mia tesi.

La discussione durò circa due ore.

188 Riunione straordinaria del Consiglio dei quattro del 13 aprile p.m. Cfr. MANTOUX I, pp. 237 sgg. e RAC, nn. 250-251.

Fu proposto che la convocazione dei tedeschi dovesse avvenire per il 23 corrente. Io esposi tutte le ragioni in contrario. Dissi che l’Italia non avrebbe potuto restare sotto l’impressione che si regolassero tutte le cose altrui e non le proprie.

Il signor Lloyd George fu come al solito e più del solito violento e sgradevole, svalutando i sacrifici fatti dall’Italia.

Risposi che, poiché si parlava di sacrifici e di sangue, i danni sofferti dall’Italia erano in rapporto alla popolazione assai maggiori di quelli sopportati dall’Inghilterra.

Wilson fece osservare che, se egli aveva ben inteso, si voleva che la pace con la Germania si potesse concludere quando le questioni italiane fossero state regolate: ora, egli trovava che le questioni italiane potevano essere trattate nell’intervallo fra la convocazione e l’arrivo dei plenipotenziari tedeschi. Risposi che non avrei avuto nulla in contrario benché la cattiva impressione in Italia sarebbe rimasta lo stesso. Dissi tuttavia che non volevo fare questioni di ciò, ma domandai: potete essere sicuri che le nostre questioni potranno essere regolate nell’intervallo? A noi occorreva il tempo necessario ed avrei potuto consentire se e quando avessi avuto un’idea di essere nella possibilità di poter concludere anche le cose italiane.

Il presidente Wilson propose di rimandare la convocazione al 25 invece che il 23 dandosene notizia posdimani, mentre lunedì sarebbe stato dedicato a conversazioni tra Wilson e Orlando.

Accettai con questo significato sospensivo che mi riservavo di dire domani sera, dopo l’esito del colloquio con Wilson, a consentire o non consentire che la convocazione fosse spedita.

Lloyd George spiegò allora la situazione gravissima in cui si sarebbe trovato se non avesse potuto annunziare nelle sue dichiarazioni di martedì che i tedeschi erano stati convocati. Egli affermò che altrimenti non avrebbe potuto resistere alla opposizione che si era formata contro di lui nel Parlamento britannico e che aveva avuto una prova nell’indirizzo inviatogli da oltre 300 deputati. Egli disse che, se egli fosse caduto e se la pace venisse ritardata, il mondo avrebbe saputo che ciò era accaduto per la ostinazione dell’Italia.

Io finii col dirgli che egli poteva partire e poteva dire quello che voleva. Che io non glielo impedivo, ma che mantenevo la mia riserva e mi riservavo di spiegare le ragioni del mio dissenso.

Successivamente è stata spedita la seguente lettera1 al signor Clemenceau e di essa è stata inviata copia ai signori Wilson e Lloyd George.

Paris le 13 avril 1919.

Dans la réunion de ce soir il a été convenu qu’aucune invitation ne serait adressée aux plénipotentiaires allemands avant Mardi. Je Vous serai reconnaissant de ne pas mentionner le Gouvernement Italien dans ladite invitation avant la communication que je me réserve de Vous faire parvenir à ce sujet, à la suite de la conversation que j’aurai demain avec le Président Wilson.

Participer à cette invitation impliquerait en effet, dès à présent, une solidarité dans la paix séparée offerte à l’Allemagne, tandis que l’on admettrait par contre la possibilité de laisser en suspens la paix avec l’Autriche-Hongrie, qui est liée d’une manière indissoluble à l’autre.

187 1 Vedi D. 186.

188 1 A firma di Orlando. Edita in CRESPI, p. 423.

189

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 14 aprile 1919, ore 12.

Quantunque ieri fosse domenica e per tradizione non vi fossero riunioni, pure alle 18 ebbe luogo una convocazione straordinaria dei Quattro1, la quale, per tutte le circostanze che vi si connettono, ebbe il carattere di un vero agguato che ci veniva teso. Più volte, infatti, durante la lunga discussione delle questioni francesi, io avevo fatto le più ferme dichiarazioni nel senso che la pace con l’Italia non potesse concludersi indipendentemente dalla pace con la Germania. Aggiungevo che non davo a questa mia pretesa il senso assoluto che tutte le clausole di tutte le questioni italiane dovessero necessariamente essere definite e redatte, ma sostenevo che per lo meno occorreva che fossero fissati i punti essenziali delle nostre rivendicazioni territoriali. Specialmente in questi ultimi giorni Lloyd George aveva fatto due o tre volte il tentativo di far fissare il giorno della chiamata dei delegati tedeschi e tutte le volte io mi ero opposto a tale proposta e le mie considerazioni erano state virtualmente accolte per il fatto stesso che la proposta era fatta cadere. Nella riunione di ieri, Lloyd George, che evidentemente aveva preso accordi con gli altri, ha ripresentato la proposta, precisando che i delegati tedeschi fossero convocati per il 23 aprile. Egli motivava tale necessità per la circostanza che mercoledì egli si deve presentare al Parlamento inglese e se egli non annunziasse un fatto materiale indicativo della conclusione delle trattative, ne verrebbe indubbiamente una crisi con effetti incalcolabili. Naturalmente io mantenni le mie opposizioni e ne seguì una discussione estremamente vivace e in certi punti tempestosa. In conclusione Wilson, che cercò di tenere una attitudine intermedia tra le due correnti, propose che la comunicazione ai tedeschi non si facesse prima di martedì e che la convocazione fosse postergata al 25, dedicando l’intera giornata di oggi a colloqui da avvenire mattina e sera fra me e lui2. Io aderii a questa proposta, spiegando tuttavia che mantenevo tutte le mie riserve per ciò che concerne l’impossibilità dell’Italia di firmare la pace con la Germania se le nostre questioni non si sono risolute in principio. Questa riserva confermai per iscritto ieri sera stesso con una lettera inviata ai tre colleghi. Come Vostra Maestà comprende, si è creata in tal modo una situazione estremamente tesa poiché si deli

2 Vedi poi DD. 194 e 195.

nea l’ipotesi di una nostra rottura. Spero tuttavia che tale nostro atteggiamento risoluto giovi a far intendere che non siamo disposti a cedere al di là quanto la nostra dignità possa consentire ed abbia in tal caso da apportare benefici risultati. Continuerò a tenere informata la Maestà Vostra.

189 1 Vedi D. 188.

190

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI E ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 415. Parigi, 14 aprile 1919, ore 14.

Per Esteri.

A telegramma posta n. 79601.

Ho telegrafato a Sforza quanto segue:

(per Costantinopoli) A telegramma 3732. Occorre V.S. ottenga che iradé preparato sia subito e senz’altro promulgato senza di che interessi a noi contrari potrebbero intervenire per sospendere sine die pubblicazione iradé. Agisco contemporaneamente su Governo inglese.

(per Esteri) Non appena iradé promulgato occorrerà telegrafare Soragna perché prenda subito possesso Cenacolo nome re d’Italia. Successivamente, a nome Sua Maestà, francescani saranno incaricati custodia.

191

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA

T. 416. Parigi, 14 aprile 1919.

Questa sezione militare mi prospetta situazione insostenibile in cui trovasi codesta nostra missione per la riorganizzazione della gendarmeria, in seguito costituzione missione inglese per riorganizzazione polizia1.

2 Vedi D. 141.

Pregola pertanto svolgere opportune pratiche presso codesto Governo allo scopo ottenere che nostra missione venga posta in una situazione tale che ne sia completamente assicurato il prestigio. Ella potrà all’occorrenza far comprendere che in caso diverso ci vedremo costretti a ritirarla completamente.

Ella vorrà anche intendersi al riguardo con codesto ministro di Inghilterra, cercando di giungere con lui ad una amichevole soluzione della questione.

Interesso contemporaneamente R. Ambasciata Londra2 affinché Governo inglese invii istruzioni suo ministro Atene autorizzandolo esaminare questione con V.S.

190 1 Vedi D. 153.

191 1 Dopo la istituzione della missione britannica il Governo di Atene, con decreto del 28 dicembre 1918, aveva provveduto inoltre a separare le funzioni di polizia e gendarmeria, assegnando alla primail mantenimento dell’ordine nelle grandi città e lasciando alla seconda la competenza sui paesi e nelle campagne.

192

L’AMBASCIATORE, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, MACCHI DI CELLERE, AL MINISTRO DELL’INDUSTRIA, COMMERCIO E LAVORO, CIUFFELLI

T. Parigi, 14 aprile 1919.

Mio telegramma 12 corrente1.

Nella seduta di stamane del Supremo consiglio economico il signor Hoover ha dipinto con molta efficacia gravità nostra situazione per mancanza di carbone mettendo in rilievo urgenza provvedere senza ulteriore indugio. Dietro la sua proposta Consiglio ha nominato un comitato speciale composto d’un rappresentante per ognuno dei quattro paesi associati col preciso compito d’escogitare e proporre mezzi per fornire carbone all’Italia e di riferirne al Consiglio medesimo nella sua prossima seduta che avrà luogo martedì 22 corrente.

La delegazione inglese ha tentato di far differire la questione al Comitato carboni già esistente, ma Hoover ha sostenuto che data l’urgenza e la gravità della situazione nostra conveniva che questione fosse affidata ad un comitato speciale. Clémentel da parte sua ha chiesto che questione stessa fosse sottoposta anche all’esame della sezione finanziaria del Consiglio, ma Hoover ha osservato che nel caso presente conveniva lasciare al comitato speciale ampia facoltà trattare anche parte finanziaria salvo a mettervi esso stesso all’occorrenza in rapporti diretti colla predetta sezione finanziaria.

Nel comitato speciale anzidetto l’Italia sarà rappresentata da Attolico.

191 2 T. Posta 1228 dello stesso giorno, non pubblicato. 192 1 Non rinvenuto.

193

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1002/... Costantinopoli, 14 aprile 1919 (perv. il 15).

Telegrammi di V.E. nn. 38421 e 4142.

La notoria e violenta avversione per Grecia e Serbia dei membri delegazione costituisce a mio avviso la prova del loro sentimento albanese. Ritengo che scambio di vedute assunte costà provenga dalle solite passioni albanesi di discordie, e di intrighi politici.

I passi di Halil pascià presso autorità inglesi non erano neppure concepibili quando delegazione partì di qua.

Data la composizione della delegazione da un lato e quella della colonia albanese in Turchia non è il caso parlar di mandato.

194

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 14 aprile 1919.

Cominciai col dire al presidente Wilson, nel colloquio che ebbi con lui stamane alle 11, che dovevo dargli una spiegazione sul mio atteggiamento di ieri sera e sulla lettera che avevo spedito al signor Clemenceau1. Ero addolorato ed irritato del trattamento che ci faceva il signor Lloyd George. Il presidente Wilson poteva far fede che io non avevo mancato mai di oppormi ogni volta che fu posta la questione di chiamare i plenipotenziari tedeschi prima che fossero state definite le questioni italiane. Non solo le mie ragioni non furono mai ribattute, ma nemmeno ebbi alcun segno di opposizione onde interpretai il silenzio come acquiescenza.

Non potevo quindi aspettarmi che la questione fosse ripresentata all’improvviso in un modo così intempestivo e violento. Anche tre giorni or sono, quando il signor Lloyd George aveva ripresentato la proposta, io mi ero opposto recisamente ed il signor Lloyd George aveva taciuto.

A tutto questo il signor Wilson consentiva.

Circa le ragioni della mia lettera di ieri al signor Clemenceau debbo confermare che non è possibile che l’Italia firmi il trattato di pace con la Germania prima di aver definito le questioni proprie e ciò per tre ragioni: 1) per l’effetto politico che ciò avrebbe prodotto sul popolo italiano; 2) perché ciò romperebbe la solidarietà fra gli

2 Vedi D. 184.

alleati; 3) perché non era possibile firmare con la Germania un atto che includesse la Lega delle Nazioni implicante garanzie territoriali quando i territori italiani non erano garantiti perché non ancora fissati.

Il presidente Wilson parve non opporsi alle due prime ragioni, ma riguardo alla terza osservò che la garanzia prestata dalla Lega delle Nazioni nasceva mano mano che i territori venivano determinati. Egli riconobbe tuttavia il fondamento del mio argomento, ma insistette nel rappresentare che a suo avviso l’Italia potrebbe considerarsi come non aver obbligo di garantire i territori altrui finché non aveva ottenuto e riconosciuto i propri. Rispetto poi alla forma della notificazione da farsi alla Germania egli mi osservò che gli sembrava che il presidente della Conferenza poteva chiamare i plenipotenziari tedeschi in nome singolo senza implicare la responsabilità degli altri capi di Governo. A questo proposito comunico la seguente lettera che ho ricevuto stamane dal signor Clemenceau2.

Chiusa questa prima parte del colloquio, io ricordai al presidente Wilson che, fino da quando egli abitava l’Hôtel Murat, gli avevo comunicato che potevano accadere determinati fatti per i quali l’Italia ritenesse necessario il suo ritiro dalla Conferenza. «Quando io vi comunicai questo proposito a mezzo dello stesso attuale interprete, voi, presidente Wilson, chiedeste una conferma della mia dichiarazione ed io ve la confermai. Sono stato coerente. Vi è a proposito delle rivendicazioni italiane un minimo sotto il quale l’Italia non può scendere. Non mi posso nascondere le gravissime pericolose conseguenze che può avere nel mio paese una mia decisione in questo senso come ne avrebbe di gravissime e pericolose il dover adattarsi ad ottenere soddisfazioni insufficienti, ma delle due eventualità io sono deciso a correre le conseguenze della prima». Wilson cominciò con manifestazioni di amicizia e di simpatia verso l’Italia e poi soggiunse: «Io sono legato dai miei principi. Riconosco che alla parte di essi relativa all’Austria-Ungheria non corrispose un atto di accettazione come da parte della Germania; né ad ogni modo le condizioni sarebbero eguali anche tenuto conto dell’avvenuto sfasciamento dell’Impero Austro-Ungarico. Ciò non toglie che io non debba aderire anche per questo a quei principi».

Risposi che io ero disposto anche a riconoscere la necessità per il presidente Wilson di applicare i principi da lui posti, ma osservai che essi giustificavano e suffragavano anche le domande italiane. Io credo di poter dimostrare che ogni aspirazione italiana trova riscontro in analoghe decisioni prese in altri campi. Soddisfare le aspirazioni italiane significa rimanere nel campo dei principi wilsoniani. E cominciai ad esaminare i tre punti contenuti nelle domande delle nostre rivendicazioni:

1) Linea del displuvio alpino; 2) Fiume annessa all’Italia; 3) Dalmazia.

Appena cominciai a parlare sul primo punto, Wilson mi disse che era inutile vi insistessi perché egli ci dava la linea delle Alpi. Si vedrà però in seguito come ciò effettivamente non sia e come egli abbia l’arrière-pensée di darci un secondo displuvio.

Circa Fiume osservai che la decisione che la assegnasse all’Italia sembrava presentare analogia con quella tenuta per Danzica. Infatti che cosa è stato deciso perDanzica? È stata dichiarata città libera. Ora voi fareste eguale trattamento a Fiume; invece fra Danzica e Fiume passano differenze che il popolo italiano ha diritto siano considerate. Infatti, dire che si fa a Fiume lo stesso trattamento che si fa a Danzica, vorrebbe dire fare al popolo italiano peggio di quello che è stato fatto a Danzica, cioè ai tedeschi, cioè ai nemici. Quali sono le differenze? Che la Polonia non ha altri porti. Ma invece lo Stato jugo-slavo ha altri sbocchi. Che Danzica non serve che alla Polonia mentre Fiume provvede ad una quantità di Stati, ed a questo proposito mantengo la cifra da me data del 7% del commercio di Fiume con la Croazia. Dato tutto ciò e dato che la situazione di Fiume è diversa da quella di Danzica e più favorevole ad una decisione di sua annessione all’Italia, vuol dire che decidendo per Fiume come per Danzica voi trattate l’Italia peggio della Germania. Qui sorse da parte del presidente Wilson un lungo contrasto. Egli cominciò a svalutare le differenze fra Danzica e Fiume dichiarando che, mentre l’hinterland di Danzica è tedesco, l’hinterland di Fiume è slavo. Per Danzica vi è inoltre la considerazione che togliendola ai tedeschi si stacca dalla Germania la Prussia orientale, il che non ricorre per Fiume. Dissi che ogni situazione ha le sue specialità, ma che rimaneva il fatto principale e determinante che Fiume, nel dichiarare di voler annettersi alla Italia fino dal 18 ottobre, citava i principi di Wilson e che non era possibile che l’Italia abbandonasse un paese che per unirsi a lei citava proprio i pensieri wilsoniani.

Wilson replicò non aver mai pensato che l’autonomia nella decisione dei popoli si applicasse a nuclei isolati perché altrimenti si formerebbero troppe frazioni di Stati. Risposi esser vero, ma il caso di Fiume essere diverso perché l’autodecisione del suo popolo non faceva che proseguire la tradizione secolare di una città italiana e perché d’altronde non si trattava di fare spezzettature di Stati perché si trattava di congiungere una città italiana a terre italiane confinanti.

Qui Wilson osservò che l’Italia non confinava, nel suo concetto, con Fiume in quanto che la linea di confine che egli ci assegnava era quella del displuvio Albona-Montemaggiore.

Osservai allora che il displuvio da assegnarsi all’Italia è lo spartiacque verso l’Adriatico segnato nel Patto di Londra, ma Wilson mi fece osservare sulla carta che se si dovesse considerare il vero spartiacque verso l’Adriatico e verso il Mar Nero occorreva comprendere anche le Alpi Dinariche. Io replicai che infatti questa era la domanda dei nazionalisti italiani, che io però non secondavo. Questa fu la parte più aspra e movimentata della conversazione. Essendo intervenuto un silenzio, Wilson riprese il discorso osservando: «Voi mi dovete parlare anche della Dalmazia».

Ed io anche qui lo pregai di confrontare le rivendicazioni italiane coi principi applicati finora nei limiti delle altre nazioni: aggiunsi che noi avevamo per la Dalmazia interesse strategico e militare di possederla; che riconoscevo che Wilson non li aveva applicati alla Francia per quanto si riferisce al Reno; che egli poteva fare proposte di neutralizzazione, ma ciò lasciava la questione insoluta, ma che ad ogni modo la questione della Dalmazia non terminava qui. La questione della Dalmazia, infatti, oltre corrispondere ad una necessità militare, ha un sottostrato nazionale. La Dalmazia infatti fu esclusivamente italiana fino al 1800 e citai il documento di Zara sulla popolazione dalmata dal quale risulta, in base alle statistiche austriache del 1887, che 193 comuni su 84 usavano solamente la lingua italiana, 25 le due lingue ed i rimanenti il croato, onde ne risultava l’esistenza prevalente o concorrentedell’elemento italiano. È mai possibile per me, dissi, abbandonare senza difese queste terre italiane? Ed abbandonarle ad un popolo che ha finito or ora di massacrare, come ha riconosciuto un rappresentante della Croce rossa americana, 11 mila albanesi? Certamente no. Soggiunsi: «Voi avete sottratto la valle della Saar alla Germania per dare del carbone alla Francia; volete considerare la difesa di una razza meno importante della difesa industriale che deriva alla Francia dall’assegnarle il carbone della Saar?».

Wilson mi disse che questo argomento gli faceva impressione e che avrebbe ristudiato la cosa. Io gli dissi che, se egli avesse voluto applicare alla Dalmazia il principio della Saar, occorreva se mai applicarlo all’intera Dalmazia che comprendeva non solo Zara e Sebenico ma Traù, Ragusa, Spalato e Cattaro. Che però io preferivo rimanere al compromesso di Londra. È appunto un compromesso che tiene conto dei molteplici bisogni di un vasto hinterland jugo-slavo.

Wilson ripeté: lasciatemi pensare.

Intervenne un altro silenzio. Dopo il quale Wilson riprese: «Vi avevo promesso un memoriale; l’ho fatto; ve lo do ora; esso può servire come punto di partenza; lo esaminerete coi vostri colleghi; esso è base di discussione; non è l’ultima parola».

Susseguentemente dissi che potevo bene discutere, ma dichiaravo che la conclusione doveva essere conclusa prima dell’arrivo dei plenipotenziari tedeschi.

Il presidente Wilson mi disse che ad ogni modo e fin da ora egli mi autorizzava di comunicare il documento al Parlamento italiano quando si aprisse. Aggiunse: «So che l’Italia non ha simpatie per la Francia e per l’Inghilterra e ritengo che non potrà essere mal giudicato il sentimento che ha spinto l’America nelle sue relazioni con l’Italia».

Ho risposto non avere difficoltà, ma fare osservare due cose: 1) che nelle riunioni parlamentari un Governo deve avere una propria opinione, non posso dire alla Camera: decidete voi. Per conto mio devo dire che non l’accetto. L’impressione nel paese sarebbe enorme e la sensazione nel Parlamento terribile. 2) Riconosco la riconoscenza dall’Italia verso gli Stati Uniti, ma debbo riconoscere altresì che tale simpatia esisteva anche tra Francia ed Italia; ora la ingerenza della Francia a Fiume le ha fatto perdere questa simpatia. E accennai ai fatti di Livorno4, dissi la possibilità di esasperazione del popolo italiano e che nel Parlamento, all’infuori di forse 60 socialisti, tutti sono concordi per le rivendicazioni italiane.

Wilson a questo punto mi accennò a Bissolati. Io gli risposi che Bissolati non riuscì a parlare in un comizio dove si era recato per sostenere il suo punto di vista sulle rivendicazioni italiane e che nell’ultima riunione della Camera italiana egli non comparve. D’altronde Bissolati rivendica Fiume.

Wilson rispose che se Bissolati vuole Fiume italiana, vuol dire che ha cambiato di parere perché a Wilson non lo disse.

4 Il riferimento è agli incidenti avvenuti in quella città nel febbraio 1919, quando molti soldatifrancesi furono aggrediti e malmenati, e alcuni uccisi, dalla popolazione infuriata a seguito di episodi dicomportamento scorretto nei confronti delle donne.

Risposi che io non sapevo del colloquio Wilson-Bissolati, ma che so che ora Bissolati rivendica Fiume come rivendica Zara e le isole.

Successivamente il presidente Wilson mi consegnò il suo memoriale di cui prima è cenno5 e mi disse: «Esaminatelo insieme coi vostri colleghi, e poi ritornate quando vorrete nel pomeriggio. Sono a vostra disposizione. Poiché alle tre sarà troppo presto, fatemi telefonare se vi conviene che ci rivediamo alle quattro, alle quattro e mezzo, od alle cinque».

Così si rimase intesi.

ALLEGATO I

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

L. Parigi, 14 aprile 1919.

Je prends note de l’indication contenue dans votre lettre et il est convenu que j’attends la communication que vous m’annoncez.

Permettez moi toutefois de vous faire observer dès maintenant que les préliminaires de paix qu’il s’agit de notifier à l’Allemagne ne constituent aucunement une paix séparée qui lui serait offerte. Ils ne sont que le point de départ de la paix générale à conclure avec les puissances ennemies. On ne peut dire qu’ils «laissent en suspens la paix avec l’Autriche-Hongrie» puisque les conditions de cette paix n’ont pas encore été examinées et qu’elles doivent précisément faire l’objet de l’étude à laquelle il va être procédé.

ALLEGATO II

IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

MEMORANDUM CONCERNING THE QUESTION OF ITALIAN CLAIMS ON THE ADRIATIC

There is no question to which I have given more careful or anxious thought than I have given to this, because in common with all my colleagues it is my earnest desire to see the utmost justice done to Italy. Throughout my consideration of it, however, I have felt that there was one matter in which I had no choice and could wish to have none. I felt bound to square every conclusion that I should reach as accurately as possible with the fourteen principles of peace which I set forth in my address to the Congress of the United States on the eighth of January, 1918 and in subsequent addresses. These fourteen points and the principles laid down in the subsequent addresses were formally adopted, with only a single reservation, by the Powers associated against Germany and will constitute the basis of peace with Germany. I do not feel at liberty to suggest one basis for peace with Germany and another for peace with Austria.

It will be remembered that in reply to a communication from the Austrian Government offering to enter into negotiations for an armistice and peace on the basis of the fourteen points to which I have alluded, I said that there was one matter to which those points no longer applied. They had demanded autonomy for the several states which had constituted parts of the Austro-Hungarian empire, and I pointed out that it must now be left to the choice of the people of those several countries what their destiny and political relations should be. They have chosen, with the sympathy of the whole world, to be set up as independent states. Their complete separation from Austria and the consequent complete dissolution of the Austro-Hungarian empire has given a new aspect and significance to the settlements which must be effected with regard at any rate to the Eastern boundaries of Italy. Personally, I am quite willing that Italy should be accorded along the whole length of her Northern frontier and wherever she comes into contact with Austrian territory all that was accorded her in the so-called Pact of London, but I am of the clear opinion that the Pact of London can no longer apply to the settlement of her Eastern boundaries. The line drawn in the Pact of London was conceived for the purpose of establishing an absolutely adequate frontier of safety for Italy against any possible hostility or aggression on the part of Austro-Hungary. But Austro-Hungary no longer exists. These Eastern frontiers will touch countries stripped of the military and naval power of Austria, set up in enti-re independence of Austria, organized for the purpose of satisfying legitimate national aspirations, and created states not hostile to the new European order but arising out of it, interested in its maintenance, dependent upon the cultivation of friendships, and bound to a common policy of peace and accommodation by the covenants of the League of Nations.

It is with these facts in mind that I have approached the Adriatic question. It is commonly agreed, and I very heartily adhere to the agreement, that the ports of Trieste and Pola and with them the greater part of the Istrian Peninsula should be ceded to Italy, her eastern frontier running along the natural strategic line established by the physical conformation of the country, a line which it has been attempted to draw with some degree of accuracy on the attached map6. Within this line on the Italian side will lie considerable bodies of non-Italian population, but their fortunes are so naturally linked by the nature of the country itself with the fortunes of the Italian people that I think their inclusion is fully justified.

There would be no such justification, in my judgment, in including Fiume or any part of the coast lying to the South of Fiume within the boundaries of the Italian kingdom.

Fiume is by situation and by all the circumstances of its development, not an Italian but an international port, serving the countries to the East and North of the Gulf of Fiume. Just because it is an international port and cannot with justice be subordinated to any one sovereignty, it is my clear judgment that it should enjoy a very considerable degree of genuine autonomy and that, while it should be included no doubt within the customs system of the new Jugo-Slavic state, it should nevertheless be left free in its own interest and in the interest of the states lying about it to devote itself to the service of the commerce which naturally and inevitably seeks an outlet or inlet at its port. The states which it serves will be new states. They will need to have complete confidence in their access to an outlet on the sea. The friendships and the connections of the future will largely depend upon such an arrangement as I have suggested; and friendship, cooperation, freedom of action must underly [sic] every arrangement of peace, if peace is to be lasting.

I believe that there will be common agreement that the Island of Lissa should be ceded to Italy and that she should retain the port of Valona. I believe that it will be generally agreed that the fortifications which the Austrian government established upon the islands near the eastern coast of the Adriatic should be permanently dismantled under international guarantees, and that the disarmament which is to be arranged under the League of Nations should limit the states on the eastern coast of the Adriatic to only such minor naval forces as are necessary for policing the waters of the islands and the coast.

These are the conclusions to which I am forced by the compulsion of the understandings which underlay the whole initiation of the present peace. No other conclusions seem to me susceptible of being rendered consistent with those understandings. They were understandings accepted by the whole world, and bear with peculiar compulsion upon the United States because the privilege was accorded her of taking the initiative in bringing about the negotiations for peace and her pledges underly [sic] the whole difficult business.

And certainly Italy obtains under such a settlement the great historic objects which her people have so long had in mind. The historical wrongs inflicted upon her by Austro-Hungary and by a long series of unjust transactions which I hope will before long sink out of the memory of men, are completely redressed. Nothing is denied her which will complete her national unity.

Here and there upon the islands of the Adriatic and upon the Eastern coast of that sea there are settlements containing large Italian elements of population, but the pledges under which the new states enter the family of nations will abundantly safeguard the liberty, the development, and all the just rights of national or racial minorities, and back of those safeguards will always lie the watchful and sufficient authority of the League of Nations. And at the very outset we shall have avoided the fatal error of making Italy’s nearest neighbors on the East her enemies, nursing just such a sense of injustice as has disturbed the peace of Europe for generations together and played no small part in bringing on the terrible conflict through which we have just passed.

193 1 Recte T. 384. Vedi D. 135.

194 1 Vedi. D. 188.

194 2 Vedi All. I. Edita in CRESPI, pp. 430 sg. A questa lettera Orlando rispose lo stesso giorno,dopo le conversazioni con Wilson, confermando le riserve avanzate nella sua lettera del 13.

194 3 Recte, forse 59 (cfr. D. 247).

194 5 Vedi All. II. Una traduzione italiana è in SALANDRA, pp. 143 sgg.

194 6 Si tratta di quella poi comunemente nota come «linea Wilson».

195

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 14 aprile 1919.

RIUNIONE DALLE 17 ALLE 18,30.

Ho cominciato col dire al presidente Wilson che avevo letto la memoria che egli mi aveva data1 e che mi riserbavo di rispondere per iscritto agli argomenti ivi contenuti2. Gli ho detto poi che avevo comunicato il suo memorandum ai miei colleghi e che essi furono tutti d’accordo con me nel reputare che la situazione nei termini di esso era senza speranza. Soggiunsi essere evidente che ciò che egli presidente Wilson aveva proposto non era per noi né poteva essere alcuna base di discussione. «Per l’a

195 Riunione pomeridiana con il presidente Wilson. 1 Vedi D. 194, All. II. 2 Vedi poi D. 225.

micizia che ho per voi e perché io non ho ragione di partire immediatamente e perché debbo avvertire di tutto i miei alleati, io rimarrò ancora a Parigi qualche giorno sospendendo di partire, ed una volta che rimango a Parigi avrò piacere di conversare ulteriormente». Feci osservare poi in via preliminare esservi contraddizione fra la carta che il presidente Wilson mi aveva rimesso ed il suo memoriale, per quanto concerneva la linea del Brennero. Wilson mi rispose: «Questo non mi riguarda. La modificazione esistente sulla carta, che è una riduzione alla linea convenuta nel Trattato di Londra, corrisponde ad un desiderio del signor Lloyd George. Per mio conto il confine del Brennero è vostro».

Per quanto riguarda la linea del Brennero io gli mostrai e gli lasciai i documenti e le carte che dimostrano come l’Italia non possa accettare altra linea di displuvio se non quella contemplata nel Trattato di Londra.

Entrai poi a parlare della Dalmazia ricordandogli che su questo punto a me non restava che attendere il risultato delle riconsiderazioni che egli mi aveva promesso di fare in proposito. Gli lasciai però una fotografia del documento statistico austriaco e il prospetto presentatomi dal signor Salata da cui risulta che le amministrazioni [dell’Istria]3 di settanta comuni sono italiane e di centoventi sono jugoslave, ma che però i settanta comuni italiani rappresentano una popolazione di 630 mila persone mentre i comuni slavi non ne rappresentano che 240 mila. E gli dissi «ecco già il plebiscito». Wilson mi domandò fin dove dovrebbe giungere l’Istria da darsi all’Italia. Risposi: fino a Volosca, e che non era possibile romperne l’unità amministrativa ed essere convinto che, se la proposta americana tagliava una parte dell’Istria, essa faceva ciò per non farla confinare con Fiume. Continuai dicendo che la questione su cui potevano per ora continuare le nostre conversazioni era quella di Fiume. Il presidente Wilson rispose di riconoscere che la questione centrale era Fiume.

Allora io gli dissi che avevo fatto venir meco il deputato di Fiume che attendeva in anticamera e gli chiesi il permesso di farlo entrare. Il presidente Wilson annuì. Il colloquio fra Ossoinack e Wilson si svolse in maniera molto aspra con repliche e controrepliche, come risulta dalla relazione fatta dal deputato Ossoinack qui allegata4.

Uscito l’on. Ossoinack, io ripresi il discorso dalla frase che egli aveva detto in ultimo, e cioè che se gl’italiani fossero partiti da Fiume, immediatamente il sangue sarebbe corso per le vie con i croati. Affermai che ciò che aveva detto Ossoinack corrispondeva alla verità: «L’Italia ha delle truppe a Fiume; il giorno in cui il Governo italiano desse loro ordine di sgombrare esse si ammutinerebbero». Wilson replicò:

4 Non si pubblica. Il lungo intervento di Ossoinack — introdotto da un richiamo al caso speciale di Fiume ed ai suoi antichi diritti di corpus separatum ed alla rivendicazione di autodecisione pronunciata dal Consiglio Nazionale il 30 ottobre 1918 — si risolse in uno scontro abbastanza duro con Wilson, sostenitore ad oltranza della tesi di Fiume città libera, sulla base soprattutto di argomenti economicie commerciali. Particolarmente dura anche la conclusione di Ossoinack: «È mia opinione irremovibileche la sola giusta soluzione che possa definitivamente risolvere la questione di Fiume, non solo per lacittà stessa, ma tale che insieme assicuri al retroterra tutti i benefici economici, è che Fiume sia annessa al regno d’Italia. Qualora tale soluzione non venga presa, anche se Fiume venga fatta una città libera, [...]sono obbligato di affermare, senza esitazioni, che Fiume non accetterà nessun’altra soluzione, e per partemia declino ogni responsabilità per tutti i risultati che potrebbero derivare da qualsiasi altra decisione chenon sia l’unione di Fiume all’Italia».

«Voi dite cosa grave. E tutta questa discussione è inutile quando voi dite che non volete andarvene da Fiume.

Orlando: Non vi volevo dir questo, ma io debbo ricordarvi come esempio che mio figlio, che è soldato a Fiume, mi ha detto che se ricevesse l’ordine di sgombrare, si ribellerebbe al capo del Governo ed al padre.

Wilson: A che discutiamo se voi dite che non ve ne andrete.

Orlando: Vi ho detto quanto precede per dimostrarvi lo stato d’animo dell’Italia e degli italiani riguardo a Fiume.

Wilson: Ciò significa che scoppierà la guerra fra voi e gli jugoslavi.

Orlando: Se dovrà accadere, accadrà.

Wilson: Ciò mi turba molto.

Orlando: Dimenticate ciò che vi ho detto e considerate che io ve l’ho detto soltanto in forma di effusione amichevole.

Wilson: Vuol dire dunque che il Governo italiano non sarebbe capace di fare allontanare le sue truppe da Fiume?

Orlando: Le truppe obbediranno o non obbediranno, ma certo il Governo ed il popolo d’Italia non obbediranno.

Wilson: Perché avete occupato Fiume? Non ne avevate il diritto.

Orlando: Noi abbiamo occupato molti minori territori che gli altri eserciti alleati in dipendenza dell’armistizio. Il 18 ottobre, dopo le dichiarazioni circa Fiume nel Parlamento ungherese, cominciavano dei torbidi. Dopo la rotta dell’esercito austro-ungarico, i soldati sbandati e fuggitivi affluivano a Fiume e commettevano disordini. In virtù dell’armistizio avevamo diritto di occupare la città per ragione di ordine pubblico. Recentemente, a Spalato, un ammiraglio americano ha dato ordine di sbarcare drappelli di milizie per difendere gl’italiani che erano attaccati in quella città.

Wilson: Sì, ma noi ci siamo ritirati dopo poco tempo e voi a Fiume avete mantenuto il controllo. La questione è molto grave. Se vi mettete su questo terreno non so come la questione si possa risolvere.

Orlando: È quello che dico.

Dopo un lungo silenzio Wilson riprese:

Wilson: Voi per altro avete detto che volete aspettare il ritorno di Lloyd George.

Orlando: Certo, ma con scarsa speranza.

Il presidente Wilson tornò poi a parlare della sua idea di comunicare le proposte americane al Parlamento italiano.

Orlando: In queste condizioni io debbo annunciare al Parlamento la rottura del-l’Italia con gli alleati, perché sono sicuro che almeno 450 deputati converranno che le condizioni contenute nel memorandum non si debbono discutere.

Wilson: Che cosa accadrebbe?

Orlando: L’Italia romperebbe con gli alleati; sarebbe così scomunicata dal mondo intero ed aspetterebbe di essere espulsa con la forza dai territori che occupa.

Wilson: Sono ipotesi inconcepibili. Che cosa significano?

Orlando: Che verrebbero truppe contro di noi.

Wilson: Nessun popolo del mondo farebbe questo.

Orlando: Voi capite che se io credo di dover correre la eventualità di una rottura di questo genere per l’Italia e se la preferisco è perché considero l’altra eventualità della delusione dell’Italia nelle sue rivendicazioni assai peggiore.

Wilson: Questa ipotesi non si potrà verificare.

Orlando: Quale?

Wilson: Quella della rottura.

Orlando: Questa è la mia più grande speranza.

Wilson: Tutte queste ipotesi io le escludo. Si deve arrivare all’accordo. Mi avete detto che parlerete con Lloyd George e con Clemenceau. Chi sa che essi non trovino una via d’uscita. Per ciò che mi riguarda richiamerò l’attenzione dei miei consiglieri per rivedere fondamentalmente tutta la questione. Non ho grande speranza, ma lo faccio con un senso di vera devozione verso di voi e verso la pace del mondo.

Qui io soggiunsi che forse avrei potuto rinviare di due o tre giorni la riapertura dalla Camera italiana, e Wilson rispose: «No, ritengo che entro la settimana tutto debba essere stato risoluto».

195 3 Aggiunta manoscritta.

196

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 14 aprile 1919.

Questo interessante documento1 fu consegnato al capitano Jung dal signor Armitage Smith, delegato inglese per gli affari finanziari della Turchia. Il capitano Jung ebbe impressione che si tratta di un «sondaggio».

La tesi sostenuta nel pro-memoria, cioè mandato collettivo delle grandi potenze per l’Anatolia, dopo che Inghilterra e Francia si siano attribuite mandato individuale per Mesopotamia e Palestina, segnerebbe il tracollo di tutta la politica italiana nel Mediterraneo.

Ho fornito elementi generici al capitano Jung (che doveva rivedere questa sera stessa il signor A. Smith) per replicare verbalmente sulla base del diritto dell’Italia, riconosciuto da trattati, di veder salvaguardati in modo proporzionale i suoi interessi vitali di potenza mediterranea. Tuttavia essendo il capitano Jung a contatto frequente col delegato inglese, gli si possono dare altre più precise istruzioni, se V.E. lo ritiene opportuno.

Risulta anche dal documento di quanto danno sia stata la nostra assenza, rilevata fin dallo scorso gennaio, da queste discussioni finanziarie speciali alla Turchia, le quali ora apparisce avvengono anche cogli Stati Uniti. Speriamo che Nogara arrivi ancora in tempo2.

2 In calce annotazioni manoscritte: «Istruzioni del ministro: confermare a Jung istruzioni di cuisopra. Circa open door dare ampi affidamenti. Circa questioni finanziarie D. P. O. si attende Nogara, manon vi è alcun intendimento di sottrarci alla parte proporzionale che spetterà all’Italia. 15. IV. ’19. G. DeMartino. Comunicato al cap. Jung. 16. IV. ’19.».

196 1 Non si pubblica. Si tratta di un lungo documento recante l’intestazione «The Ottoman Empire and the financial conditions of Peace (Papers prepared by the British Delegation for the use of the American Commission to Negotiate Peace)».

197

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 15 aprile 1919.

Grazie suo telegramma1.

La nostra mossa di rifiutarci di cooperare all’invito dei plenipotenziari tedeschi, per quanto ardita e pericolosa, apparve giustificata dalle circostanze e ha prodotto effetti in complesso utili. I nostri alleati ci hanno dato atto di questa dichiarazione, evitandone la pericolosa impressione sul pubblico col fatto che invito avviene a nome del presidente della Conferenza senza alcuna allusione specifica delle potenze che vi partecipano. Abbiamo avuto quindi il doppio vantaggio di mostrare la nostra risoluzione irrevocabile di ritirarci dalla Conferenza se non abbiamo soddisfazione, evitando dal-l’altro lato una rottura immediata di cui tutti sentiamo la gravità ed il pericolo. Comunicazione fatta oggi dal presidente Wilson è anche utile in quanto, mentre dà al mondo la sensazione che ci avviciniamo alla conclusione, mette in netto rilievo che le aspirazioni italiane saranno immediatamente esaminate e sollecitamente risolte.

Io ebbi ieri due lunghissime conversazioni nell’antimeriggio e nel pomeriggio con Wilson. Furono conversazioni profondamente impressionanti di cui mi riservo di mandare a V.M. copia sugli appunti presi immediatamente dopo2. Wilson mi presentò in forma di sua ultima parola un progetto che ci dà la linea delle Alpi, l’Istria fino a punta Pianora, Fiume città libera e la neutralizzazione militare della costa dalmata. Ripeto che non posso riassumere il colloquio che fu lunghissimo ed emozionante. Con risoluta fermezza io lumeggiai la nostra decisione di ritirarci, ciò che non impedì a Wilson di mantenere la sua attitudine fino all’ultimo, e soltanto all’estremo momento mostrò finalmente di cedere. Egli mi disse testualmente: «impossibile che io consenta l’allontanamento dell’Italia dalla Conferenza». Come è naturale tale cessione di capitale importanza non potrà tradursi in concessioni territoriali se non attraverso ulteriori laboriose trattative, e non bisogna affrettare previsioni ottimistiche. Ma è certo che la nostra situazione, la quale appariva disperata domenica sera, ricomincia a dare diritto a sperare in un esito soddisfacente.

Quanto all’apertura della Camera, a parte i motivi di ordine interno che la rendono desiderabile, essa finora costituisce molta parte del mio giuoco diplomatico perché è uno degli elementi di cui mi sono servito e mi servo per stringere gli alleati ad affrettare le soluzioni. Io sono assolutamente certo che la questione nostra sarà definita in una maniera

o nell’altra prima del 23; ma ciò non risolve la questione dell’opportunità del rinvio e ciò perché da un lato io dovrei arrivare a Roma con qualche giorno di anticipazione e dall’altro lato, perché l’eventuale proroga si deve pure fare con qualche giorno di anticipo. Io credo che questa difficoltà si abbia da risolvere nel modo seguente: primo, limitare la proroga a pochissimi giorni; secondo, fare il decreto di proroga il più tardi possibile.

197 1 Forse è il telegramma del 14 aprile, ore 19,30, non pubblicato.2 Si vedano le relazioni di Orlando sulle sue conversazioni con Wilson, DD. 194 e 195.

198

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 1237. Parigi, 15 aprile 1919.

Rispondo alla lettera del 7 aprile1 circa la divisione delle due colonie Tripolitania e Cirenaica ed esprimo il parere che convenga soprassedere al tramutamento della Cirenaica da governo militare a governo civile, fino a quando sia oltrepassato il periodo di stato generale bellico nel quale tuttora ci troviamo2.

199

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1017/543 PERS. Berna, 15 aprile 1919 (perv. il 16).

Stimo opportuno far conoscere a V.E. testo telegramma che dietro mia insistenza professor Herron diresse domenica al presidente degli Stati Uniti Wilson: «In quest’ultima ora alla vigilia delle gravi decisioni da prendere vi supplico di concedere la maggiore possibile considerazione all’Italia, non solo perché sono convinto che il popolo italiano è leale verso noi e verso il nostro programma più di qualsiasi altro popolo del continente, ma perché sono convinto che tutte le speranze per una pace permanente in Europa dipendono dal massimo rinforzamento dell’Italia. Indebolire in qualsiasi modo Italia in questo momento sarebbe fatale. Renderla invece più forte in ogni maniera è la migliore sicurezza per il nostro programma sul continente. Oltre a ciò, come mi risulta personalmente, certi finanzieri internazionali aspettano adesso concessioni per tutti i porti adriatici che andranno alla Serbia e prestano danaro a tal fine. Esito di questa congiura dell’alta finanza sarebbe completa rovina commerciale dell’Italia, il bando del suo naviglio dai mari e la sua completa disintegrazione sociale. Sono certo che se voi conosceste tutti i fatti voi sareste d’accordo con me nel pensare che le rivendicazioni italiane non solo sono giuste ma che anzi la decisione in favore di tali rivendicazioni è l’ultima e migliore salvaguardia di ciò che resta della civiltà europea. Credete pure che non vi invierei questo messaggio telegrafico se non sapessi verità di ciò che affermo».

198 1 Non pubblicata. Trasmetteva, per il parere, un telegramma di Colosimo, con la proposta diuna divisione amministrativa della Libia e della nomina di un governatore civile in Cirenaica.2 Con successivo T. 1236 P. del 19 aprile, Orlando comunicava poi a Colosimo il parere diSonnino sottolineando di non condividerne le riserve.

200

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1024/56. Costantinopoli, 15 aprile 1919 (perv. il 16).

Evacuazione Odessa compiuta più completo disordine pochi giorni dopo sue complete assicurazioni di resistenza dovrebbe compromettere situazione di Franchet se non fosse da supporre che Parigi vuole ancora sfruttare in lui contro gli alleati ultimo comandante in capo. Anche senza esagerarne importanza va notato rancore dei greci contro i francesi che avrebbero sempre sacrificato Odessa. Quello che doveva essere loro spedizione Crimea sembra comunque perduto per i greci. Anche inglesi irritati contro i francesi e per Odessa e per evacuazione Nicolajev lasciando nell’arsenale due sottomarini che si prevedeva pronti fra un mese1.

201

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1030/157. Parigi, 15 aprile 1919 (perv. il 17).

Come l’E.V. avrà desunto dalla lettera che Le comunicai in copia con il mio telegramma n. 1521, il signor Pichon mentre ricusa di interessare il generale Franchet d’Esperey a ordinare alle truppe serbe di sgomberare l’Albania, dichiara di non conoscere accordi speciali che riservino a noi il diritto esclusivo d’occupare quella regione. Noi invece fondiamo quel nostro diritto su un accordo preso a Parigi al Consiglio supremo nello scorso ottobre2 e citiamo come documento facente fede del medesimo il telegramma inviato al comandante dell’Esercito d’Oriente dal signor Clemenceau, con il quale si invitava quel comando a ritirare dall’Albania senza sostituirle le due divisioni francesi che vi si trovavano.

2 Precisamente il 7 ottobre 1918.

Ora credo opportuno ricordare che il Governo francese per mezzo del signor Pichon ha sempre negato che quel telegramma avesse la portata che noi vi attribuiamo; basterà che io rammenti a tale proposito i miei telegrammi del 25 e 26 ottobre ult. n. 578 e 583 di cui ad ogni buon fine acchiudo copia3. Perciò ora il signor Pichon dichiara di non conoscere che gli accordi del ‘13 e del ‘154.

Ove quindi si voglia replicare alla nota del signor Pichon e insistere perché il generale Franchet d’Esperey ordini il ritiro delle truppe serbe dall’Albania settentrionale credo che non ci convenga continuare a chiederlo in nome di un accordo come quello dell’ottobre al quale il Governo francese si è fin dal primo momento rifiutato di dare l’interpretazione datane da noi. Insistendo su quel punto non otterremmo che di spostare la discussione con una perdita indefinita di tempo. La nostra domanda potrebbe invece essere mantenuta in base alla opportunità di impedire il rinnovarsi di conflitti non provocati da noi, conflitti che non è in potere nostro d’evitare finché i serbi continuano nel loro atteggiamento aggressivo, ma che è interesse comune di tutti gli altri alleati di prevenire.

200 1 Sulle conseguenze del fallimento della spedizione francese in Crimea è anche interessante unalunga lettera di Majoni a Sonnino, dello stesso 15 aprile, che sottolinea: «la rovina dell’influenza francesenel Mar Nero» e «il rafforzamento del fenomeno bolscevista». «Fortunatamente» — egli aggiunge — «nonè coinvolta nel quasi-disastro tutta l’Intesa: se si muovono attacchi in parte anche contro l’Inghilterra, l’America e noi ne siamo completamente esenti. Al contrario, fra i singoli uomini politici e tutte le classi dellapopolazione, l’Italia ha acquistato, non solo per riflesso, ma anche per opera diretta, simpatia e rispetto».Una dettagliata relazione sulla parte avuta dalla marina italiana nella evacuazione di Odessa fu poi redatta indata 16 aprile, da Costantinopoli, dall’ammiraglio Salazar, comandante della divisione navale del Levante.

201 1 Non rinvenuto.

202

IL MINISTRO A STOCCOLMA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1372/261. Stoccolma, 15 aprile 1919 (perv. il 16).

Quello che si osserva in questo momento relativamente alla Russia, più che carattere politico ha naturale aspetto di una corsa internazionale agli affari economici con quel paese. I ministri svedesi, i diplomatici esteri, fanno costantemente dichiarazioni del più ortodosso antibolscevismo ma sotto mano favoriscono ognuno per proprio conto lo sviluppo di quella rete d’interessi economici che non potrà non avere un giorno valore affermativamente politico.

Ministro di Francia in pubblico dice Francia non contratterà con i bolscevichi che si prepara a combattere dopo la pace di Parigi. Egli però è in comunicazione per affari con i due malfamati banchieri russi Pigr (...) e Kamenskij.

Agenti nordamericani vanno vengono da Russia, fanno colà contratti della più grande importanza e vi preparano, come mi diceva un autorevole giornalista svedese, una collaborazione economica nordamericana tedesca per prossimo avvenire nella quale Stati Uniti porranno capitali, direzione, la Germania mano d’opera.

Anche Governo svedese cerca di non restare addietro in questa corsa.

Notizie confidenziali confermano che i capitalisti svedesi trovano nella loro attività espansiva in Russia un discreto ma effettivo appoggio.

T. 583 del 26 ottobre 1918 non è pubblicato.

4 Il riferimento è agli accordi di S. Giovanni di Medua del 5 maggio 1913 che prevedevano lainternazionalizzazione di Scutari e all’art. 7 del Patto di Londra del 25 aprile 1915.

201 3 Non si pubblicano. Il T. 578 del 25 ottobre 1918 è edito in serie quinta, vol. XI, D. 751; il

203

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 554. Berna, 15 aprile 1919.

Il conte Andrassy che è venuto oggi a vedermi, mi ha pregato di esporre a V.E. la situazione critica in cui versa adesso l’Ungheria ed il pericolo che quello stato di disordine presenta per l’Intesa e principalmente per l’Italia. Suo genero il conte Karolyi, «un pazzoide ed un malato», nel quale il paese aveva creduto di vedere un salvatore, perché era in buoni rapporti col presidente Poincaré, con V.E. e con altri uomini di Stato dell’Intesa, quando aveva capito che l’Ungheria sarebbe stata sacrificata, non aveva esitato a mettere in pratica quel principio da lui annunciatogli due mesi fa, che cioè «il solo modo di salvare l’Ungheria era di provocare la rivoluzione mondiale». Oggidì il bolscevismo trionfava a Budapest e tendeva a consolidarsi, causa l’indifferenza dell’Intesa. Perché, mi chiedeva il mio interlocutore, non avrebbe l’Intesa, o almeno l’Italia come sua mandataria, inviato un piccolo corpo d’esercito contro quei pochi fanatici? Perché il nostro paese, egli mi domandava, non avrebbe liberato i prigionieri magiari che trovansi in Italia per provocare una reazione in Ungheria? Egli mi ripeteva la preghiera di far sapere subito a V.E. questo desiderio della gran maggioranza degli ungheresi nel cui nome egli credeva di poter parlare.

Risposi al conte Andrassy che avrei fatto subito quanto egli desiderava.

Avendo poi il mio interlocutore richiesto quale accoglienza avrebbe avuto, a mio avviso, questo suo appello, non gli nascosi che il principio del non intervento, il quale pareva aver in questo momento maggior forza che mai, mi facea ritenere che assai difficilmente le potenze dell’Intesa avrebbero ceduto al suo desiderio ed affidato poi all’Italia il mandato di pacificare l’Ungheria.

Il conte non mi rispose, facendomi però comprendere con un gesto che temeva che io avessi ragione.

204

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 15 aprile 1919.

Stamane ho avuto un colloquio col colonnello House. Gli dissi che avevo passato pessimi giorni. Gli raccontai come si erano svolte le cose; dissi non averne alcuna responsabilità. House infatti poteva attestare che io non avevo mai mercanteggiato. Domandai fino dal primo giorno le stesse cose le quali sono un minimo al di sotto del

204 Colloquio Orlando-House; riunione a.m. del 15 aprile del Consiglio dei quattro. Cfr. MANTOUX, Vol. I, pp. 246 sgg. e RAC, nn. 252-254.

quale l’Italia non può fare atto di accettazione. House mi confermò l’impegno che le nostre cose si sarebbero risolte in settimana. Egli sarebbe andato a parlarne col presidente Wilson.

Tornai a casa dove seppi che era riunito già il Comitato dei quattro presso il presidente Wilson. Quando arrivai la discussione erasi già iniziata. Balfour rappresentava Lloyd George. Parlavano del Lussemburgo. Clemenceau ha rinnovato la dichiarazione fatta più volte e che a me non pare sincera che la Francia non tiene al Lussemburgo, che preferisce sia assegnato al Belgio, ma non può fare certo il casto Giuseppe rinunciando al Lussemburgo se, come pare, il Lussemburgo si offre a lei. Egli ritiene che la forma più appropriata per risolvere la questione del Lussemburgo sia quella del plebiscito. Però era d’avviso che ora non si potesse fare perché non era momento favorevole ma che sarebbe stato più opportuno rinviare il plebiscito di qualche tempo.

Così fu deciso1.

Poi si parlò di Lemberg ed il presidente Wilson lamentò che i polacchi non fossero in buona fede non mantenendo la sospensione delle armi.

Fu deciso che il generale Bliss avrebbe parlato con Paderewski.

Avverto che durante tutto il colloquio di oggi io mi mantenni nel massimo riserbo.

Wilson pose la questione sul modo di procedere per comunicare le condizioni di pace alla Germania. Disse essere questione delicata. D’altronde non abbiamo ancora tutti i testi. Quando li avessimo e li comunicassimo in seduta plenaria agli altri belligeranti ed ai neutri sarebbe lo stesso come pubblicarli. Rimase inteso che non si facesse una seduta plenaria, ma che si incaricassero i cinque ministri degli esteri a fare una comunicazione eguale ai rappresentanti di ciascuna delle altre potenze dividendosi queste tra loro. Fu però stabilito che i ministri degli esteri si intendessero prima tra loro a questo proposito e che lo facessero oggi stesso alle tre.

Si guardò poi a quante questioni non fossero state ancora risolte che abbiano attinenza al trattato di pace con la Germania: Heligoland, Schleswig-Holstein, Belgio, confine dai czecoslovacchi. E si parlò poi della composizione della grande commissione finanziaria, delle condizioni delle restaurazioni che la Germania dovrà fare in materie prime, delle garanzie di pagamento, delle vie di comunicazioni (Kiel), della conclusione delle condizioni economiche (doganali), dell’aviazione civile, delle questioni del disarmo nell’Alsazia e Lorena, e di Kiao-Ciao. Wilson parlò a favore della Cina contro il Giappone. Balfour citò, benché vagamente, aver memoria di un impegno dell’Inghilterra col Giappone. Wilson osservò che l’accordo col Giappone prevede la restituzione di Kiao-Ciao ai cinesi benché sotto condizioni così esose da lasciare al Giappone un’assoluta preponderanza in quel cantone cinese.

La questione fu riservata.

204 1 Sulla questione del Lussemburgo si veda poi D. 774.

205

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 15 aprile 1919.

Nella seduta pomeridiana di oggi si è parlato della questione di Heligoland, e precisamente se oltre allo smantellamento dei forti si debba procedere alla distruzione del porto.

Non si modificò la decisione presa a tale riguardo nella Commissione dei dieci1.

Successivamente si parlò della questione dello Schleswig-Holstein e si deliberò che si procedesse ad un plebiscito parziale procedendo dalle zone più prossime alla Danimarca.

Nella riunione di domani si tratterà della questione del Belgio ed interverrà anche il signor Hymans che sarà però prima ricevuto dal signor Poincaré.

È rimasto stabilito che interverranno per dare eventuali schiarimenti i delegati tecnici, incluso un delegato tecnico italiano.

206

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 16 aprile 1919, ore 11,05.

Per quanto riguarda queste negoziazioni la giornata di ieri rappresentò una fase di sosta dopo le tempeste dei due giorni precedenti. Io ebbi soltanto un colloquio col colonnello House1, che è stato sinora l’intermediario fra Wilson e i francesi e che si prepara alla stessa funzione nei rapporti nostri. Avrò nell’antimeriggio di oggi un colloquio con Clemenceau e con Balfour che rappresenta Lloyd George, e ciò allo scopo di informarli della situazione che si è creata in seguito ai colloqui con Wilson. Compio questo passo per dovere di rapporti interalleati, senza avere tuttavia fiducia nel-l’esito. Tutto al più un certo intervento può aspettarsi da Lloyd George che torna venerdì, non per ragione di maggiore amicizia di lui verso di noi, ma perché è nella sua natura di cercare vie di accomodamento e di saperle trovare con fecondità di risorse. Dall’altro lato non trascuro di tenermi in rapporto con gli americani. Temo fortemente che i dolorosi fatti di Milano2 e le loro inevitabili ripercussioni interne aggravino ulteriormente le difficoltà di qui, che sono già così considerevoli.

205 Riunione p.m. del 15 aprile del Consiglio dei quattro. Cfr. MANTOUX, vol. I, pp. 251 sgg. e RAC, nn. 255-256. 1 Seduta del 17 marzo 1919 del Consiglio Supremo di guerra. Cfr. FRUS, vol. IV, pp. 355 sgg. 206 1 Vedi D. 204. 2 Si allude agli scontri tra la polizia e la folla avvenuti il 13 aprile ed al conseguente scioperogenerale di protesta del 15, con incidenti con dimostranti nazionalisti.

207

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 16 aprile 1919, ore 18.

La giornata di oggi non ha portato alcun mutamento nella situazione. Ebbi stamane un colloquio con Clemenceau ed un altro con Balfour1. Il primo accolse il mio passo con marcata freddezza, ciò che io mi aspettavo. Egli tornò al suo dilemma: «se volete Fiume, dovete cedere tutta la Dalmazia». Vostra Maestà può considerare quale fiducia si possa avere in un mediatore il quale rappresenta come massimo da offrire in mediazione un dilemma inaccettabile. Balfour dimostrò maggiore interessamento e premura ma non sembra che questi sentimenti possano dar frutto, data la scarsa autorità dell’uomo di fronte alla assorbenza di Lloyd George. Agli americani ho fatto pervenire nuove insistenze in via indiretta, ma non ne ho cavato altro che dichiarazioni intorno alle difficoltà e alla pena della situazione. Io credo che bisognerà lasciar passare anche domani e vedere se e quale effetto avrà l’intervento di Lloyd George che arriva domani sera; dopo di ciò non mi resterà che mandare un cortese ma fermo ultimatum a Wilson, in maniera che lunedì al più tardi potessimo prendere quelle risoluzioni, anche estreme, che l’interesse e la dignità del paese impongono.

208

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 1192. Roma, 16 aprile 1919, ore 18,20 (perv. ore 20,25).

Stamane ho avuta la visita di Nelson Page. Il suo discorso era improntato a queste considerazioni: Primo: incresciosa l’attitudine di certa stampa italiana senza riguardi per Wilson. Secondo: gli attacchi non menomano la grande popolarità sua in America né del suo partito, ma potrebbero turbare la intesa fra il popolo americano ed italiano, ciò che non è desiderabile. Terzo: nel Patto Londra non è compresa Fiume, quindi è chiaro che, all’epoca in cui fu firmato, l’Italia riteneva dovesse Fiume appartenere alla Jugoslavia. Quarto: Wilson è uomo di giustizia che ama l’Italia e partendo da Milano esclamò: «Vado a Parigi per aiutare gli italiani».

Ho risposto che gli attacchi di certa stampa il Governo non può reprimere ma contenere; come non ha potuto reprimerli la Francia e come non potrebbe reprimere

l’America data la legislazione vigente nei tre paesi; sono attacchi sporadici e non l’espressione della volontà della nazione che ama l’America profondamente, e sono anche sintomo dello stato animo generale inquieto per la non avvenuta ancora risoluzione delle questioni italiane.

È vero che nel Patto di Londra non è compreso Fiume, ma ad esso non potrebbe fare appello l’America che quel patto non ha firmato e che quindi ad esso non è vinco-lata. Ma non è vero altresì che escludendo, all’epoca in cui fu firmato il Patto di Londra, dalle sue clausole, Fiume, con ciò l’Italia aveva riconosciuto che dovesse appartenere alla Jugoslavia, per la semplice ragione che nell’aprile 1915 la Jugoslavia non era neanche (in mente Dei). Da quella epoca in poi però nuovi avvenimenti s’erano succeduti e nuove orientazioni e maggiori sacrifici da parte dell’Italia che con le sue battaglie vittoriose aveva deciso le sorti favorevoli alla Intesa. In quanto alla giustizia di Wilson in essa appunto noi siamo fidenti per Fiume, poiché la sua assegnazione all’Italia precisamente scaturisce da una delle 14 affermazioni del vangelo wilsoniano.

Nelson Page congedandosi molto amichevolmente mi ha chiesto a bruciapelo quali potevano essere le conseguenze in Italia se Fiume non ci fosse assegnata; e allora, tra il misterioso ed il confidente, gli ho fatto ritenere che potevano essere incalcolabili non solo per le sorti del Governo, ma per le convulsioni che potrebbero produrre con effetti imprecisabili in questo momento critico in cui specialmente America doveva avere interesse a che in Europa non dilagasse il perturbamento che ora regna nel centro e nell’oriente europeo. Nelson Page impressionato mi ha lasciato dichiarando che andava immediatamente a telegrafare a Wilson. Credo che possano farti buon gioco anche le notizie di Milano1 sotto l’aspetto qui sopra enunciato.

207 1 Sui colloqui con Clemenceau e Balfour vedi anche D. 213.

209

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 16 aprile 1919, ore 19.

Grazie dei suoi ultimi tre telegrammi1.

Mi immagino facilmente le difficoltà colle quali Ella deve lottare. Dopo la grande nostra vittoria e dopo tutti i sacrifici sostenuti penso che il paese rimarrebbe assai penosamente impressionato da una soluzione insufficiente. Questo dico anche in modo speciale per Fiume e per le isole delle quali non ho visto menzione nei suoi telegrammi. Confermo il senso di grande impazienza che agita il paese desideroso di arrivare presto (al)la soluzione che esso attende. Ritengo anzi che quando questa attesa soluzione sarà raggiunta le cose interne potranno forse presto avviarsi verso la calma ed il lavoro tranquillo.

209 1 Si tratta dei telegrammi del 14, del 15 e del 16 aprile. Vedi DD. 189, 197 e 206 rispettivamente.

208 1 Vedi D. 206, nota 2.

210

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 420. Parigi, 16 aprile 1919.

Mi riferisco a precedenti telegrammi nn. 384 e 4141.

Halil pascià si è messo a capeggiare elementi turbolenti albanesi rappresentanti gruppi albanesi all’estero contrari all’Italia. Tali atteggiamenti hanno approfondito scissione fra albanesi attualmente in Parigi e danno buon gioco alle propagande avverse nostra azione. In recenti riunioni gruppo ostile Italia ha deliberato formulare protesta contro politica italiana in Albania. Tale protesta contiene intemperanze di senso e di forma. Si pensa inviarla al Congresso ma non fu ancora spedita mancando accordo fra promotori. Prego V.E. voler tenere parola di tale mene rappresentando al Governo ottomano gli inconvenienti che possono derivare dalla condotta di Halil pascià al quale converrebbe far giungere in proposito opportune istruzioni2.

211

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL COMANDO SUPREMO, UFFICIO OPERAZIONI

T. 4514-4514 bis SP. Parigi, 16 aprile 1919.

PRIMA PARTE

Trattative circa situazione nostra missione militare nella Repubblica czeco-slovacca hanno proseguito sino ad oggi attraverso difficoltà molto gravi derivanti essenzialmente dal fatto che mentre mancano da parte nostra convenzioni scritte impegnative per contro convenzioni militari stipulate tra Governo czeco-slovacco e Francia sono così impegnative e rappresentano una così completa presa di possesso di tutto organismo militare czeco-slovacco da parte comando francese da non lasciare praticamente una via di uscita per ottenere a generale Piccione posizione duratura indipendente e mettere nostra missione militare in assoluta parità condizioni rispetto quella francese. Trattative si sono svolte principalmente per mezzo generale Stefánik che ha fatto da intermediario fra comando italiano e comando francese e Governo czeco-slovacco,

2 Un dispaccio più dettagliato sull’argomento fu inviato in pari data da Sonnino all’ambasciata aParigi e al Ministero degli esteri a Roma con T. Posta 1268. Lo stesso giorno, con T. 1034/433, Sforza comunicava un messaggio ai delegati delle grandi potenze da parte del comitato degli albanesi di Costantinopoli, inappoggio alla delegazione di Turhan pascià e a condanna dell’operato di Essad. Il messaggio era firmato daSureya, nipote di Halil pascià. Il 17 aprile, poi, con T. 426, Sonnino informava Sforza che «Halil pascià, neisuoi passi presso autorità inglesi, ha dichiarato esplicitamente agire per incarico sultano e gran visir».

211 Il documento fu trasmesso in due parti con telegrammi n. 4514 e 4514 bis. Copia ne fuinviata in pari data al MAE con F. 4556 SP. unitamente alla nota sugli accordi italo-franco-cecoslovacchi.

sforzandosi sembra con massimo buon volere per ottenere soluzione soddisfacente. Ma di fronte situazione di fatto sopra prospettata, mal celata ostilità questi rappresentanti Governo czeco-slovacco e atteggiamento Governo francese che, per quanto risulta da frasi sfuggite a generale Stefánik, si sarebbe mostrato fermo nello esigere osservanza convenzione da esso conclusa, è apparso, dopo laboriose trattative prolungatesi per ambiguo atteggiamento del signor Benes, che non potendosi ottenere piena soddisfazione si imponeva da parte nostra il ritiro della nostra missione militare dalla Boemia.

SECONDA PARTE

Presidente Consiglio e ministro esteri hanno approvato soluzione ma hanno impartito direttive perché ritiro nostra missione militare fosse fatto senza apparenze di rottura. In tale intento e con approvazione del Governo si è concordato con generale Stefánik soluzione seguente. Nostri desiderata circa situazione generale Piccione vengono accettati dal Governo czeco-slovacco e avranno vigore per tutto il tempo in cui nostra missione militare rimarrà in Boemia. Contemporaneamente Governo italiano fa conoscere a Governo czeco-slovacco che compito della nostra missione, consistente principalmente nel restituire alla patria le truppe czeco-slovacche organizzate in Italia, sta per essere ultimato e che Governo italiano prevede ritiro missione militare entro breve termine. Tale termine sarebbe concordato in un mese circa. Accordo su queste basi può ormai ritenersi in massima definito sebbene manchi ancora conferma ufficiale. Trasmetto con telegramma a parte il testo dell’accordo1. Prego inviare copia del presente telegramma e copia del testo a generale Piccione a mezzo corriere urgente avvertendolo che comunicazione ufficiale gli perverrà fra pochissimi giorni e che si regoli pertanto in conseguenza evitando nuove complicazioni. Comunicazione sarà fatta ben inteso in via strettamente personale a generale Piccione che ne darà conoscenza soltanto a ministro Lago.

ALLEGATO2

T. 4522 SP. Parigi, 16 aprile 1919.

Note précisant dans quel esprit sont à interpreter les accords militaires conclus jusqu’à la présente date par le Gouvernement de la République Tchécoslovaque avec le Gouvernement Italien d’une part et d’autre part avec le Gouvernement Français:

2 Si tratta della nota concordata e approvata da Stefánik, Foch e Diaz e quindi inviata da Stefánik al presidente Masaryk. Con nota 5042 SP. del 24 aprile, Diaz confermava poi al MAE la corrispondenza del documento alle intese intercorse con il generale Stefánik e già verbalmente approvate da Orlando e Sonnino. Nel testo inviato da Stefánik a Masaryk risulta aggiunto il seguente paragrafo: «Remarques. Le Gouvernement Italien nous avise à cette occasion qu’il a concédé l’envoi d’une mission militai-re dans notre république, sur notre demande pour donner une prompte aide au jeune Etat. A cet effet leGénéral Piccione, Chef de cette Mission, d’accord avec le Gouvernement de la République, a) a du assumer dès le début la charge du commandement des troupes tchécoslovaques et le maintien de l’ordre enSlovaquie; b) a pris les mesures utiles pour rendre à leur Patrie ressuscitée les bataillons tchécoslovaquesque l’Italie avait organisés. La double tâche que la Mission Militaire Italienne s’était fixée est aujourd’huipresque achevée. Le Gouvernement Italien envisage donc à bref délai le rappel de la mission».

1) Mission Française a) Le Maréchal Foch exerce le Commandement Suprême sur les troupes tchécoslovaques dans les mêmes conditions qu’il l’exerce vis-à-vis des autres armées alliées sur le front occidental. b) A cet effet il a envoyé son délégué (Général Pellé) à Prague. 2) Mission Italienne Le Général Piccione est le commandant des Forces Tchécoslovaques dans le territoire de la République Tchécoslovaque à l’est de la Morave. Le Général Piccione dépend directement du Gouvernement Tchécoslovaque vis-à-vis duquel il est responsable de la conduite des opérations3. 3) Gouvernement Tchécoslovaque

Le Gouvernement, gardien de la souveraineté nationale, donc arbitre pour toutes les questions qui touchent à l’intérêt moral ou matériel de la République, veille dans la personne du Ministre de la Guerre (ou Ministre de la Défense Nationale, ou autre membre du Gouvernement spécialement désigné à cet effet) à ce que toutes les mesures prises ou indiquées par les Missions Militaires Etrangères — visant par exemple l’organisation, développement de l’Armée, ou opérations du front le cas échéant — soient bien coordonnées, et naturellement toujours conformes à la politique poursuivie par le Gouvernement.

Le Ministre de la République dans cette fin:

a) Tient méthodiquement au courant le Délégué du Maréchal Foch de tous les projets ou actions conduites par le Général Piccione.

b) Communique à ce dernier les vues du Maréchal Foch.

210 1 Vedi DD. 135 e 184.

211 1 T. 4522 SP. dello stesso giorno (vedi Allegato).

212

L’ ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1037/428. Costantinopoli, 16 aprile 1919 (perv. il 18).

Telegramma di V.E. n. 4151.

Quanto ho ottenuto era il massimo ottenibile dalla Sublime Porta che per Cenacolo osa sfidare altri malumori ma non la tema di una disapprovazione inglese. Ogni mio ulteriore passo senza una risposta inglese non solo è ora impossibile ma può guastare l’ottenuto.

211 3 In attuazione di questo punto dell’accordo il generale Piccione avrebbe assunto il comandosupremo di tutte le forze «a oriente della frontiera di Moravia» in data 15 maggio (T. 8737 OP. di Badoglio del 16 maggio).

212 1 Vedi D. 190.

213

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 16 aprile 19191.

Ho avuto stamani alle 9,3/4, un colloquio con il signor Clemenceau. Gli ho detto: «Sono venuto a fare presso di voi un passo doveroso e cioè ad informarvi del-l’esito della mia conversazione dell’altro giorno con il sig. Wilson2. Wilson ha proposto di non dare all’Italia né Fiume né la Dalmazia, e nemmeno tutta l’Istria. Queste condizioni sono inaccettabili. Gli ho dichiarato che esse non potevano nemmeno formare la base di discussione. Gli ho spiegato lungamente le ragioni mie ed ho cercato di confutare le ragioni per cui le nostre domande non erano inconciliabili con i principi di Wilson. Senza venire a disaccordo formale si venne alla seguente conclusione: che Wilson avrebbe fatto riesaminare il problema dai suoi esperti; che, siccome io gli avevo detto che dato il caso di disaccordo tra me e Wilson avrei dovuto comunicarlo agli alleati, Wilson riprese egli stesso la sua conversazione per dirmi che egli approvava ciò, ma che intendeva la portata di questa comunicazione nel senso che, se i due alleati avessero voluto funzionare da mediatori, egli lo avrebbe gradito». Conclusi dicendo che speravo nei passi da farsi da Clemenceau e gli domandai se egli avesse preferito farli da solo o d’accordo con Lloyd George.

Clemenceau: d’accordo con gli inglesi.

Orlando: Volete aspettare con Lloyd George o farlo con Balfour che lo sostituisce?

Clemenceau: Ritengo meglio aspettare Lloyd George che sarà di ritorno a Parigi domani sera.

Orlando: Wilson mi ha promesso che delle cose nostre bisogna concludere nella settimana.

Clemenceau: Mi pare difficile.

Orlando: Così mi ha detto Wilson.

Clemenceau: Vi ho sempre detto che dovete decidervi o per Fiume o per la Dalmazia. Per mio conto io sono obbligato alla esecuzione del Trattato di Londra.

Orlando: Tutte le volte che mi avete detto questo vi ho risposto: Sono sicuro di avere dalla Conferenza tutto il Patto di Londra? Quanto avviene purtroppo dà ragione a me.

Clemenceau: È vero, ma voi vi dovete decidere. Non potete avere il Patto di Londra più Fiume.

Orlando: Nessuna forma di conciliazione ci è stata offerta. Noi abbiamo diritto di avere il Patto di Londra; poi si deve risolvere la questione di Fiume che si è posta

213 Colloqui con Clemenceau e Balfour. Riunione a.m. del Consiglio dei quattro.

1 Crespi (p. 430) colloca erroneamente al 15 aprile i colloqui con Clemenceau e Balfour, diseguito a quello con il colonnello House, avvenuto effettivamente il 15. Che la data esatta sia il 16 sideduce sia dalla presenza, in appendice alla Relazione, di un breve resoconto della seduta a.m. del 16 delConsiglio dei quattro, sia dai riferimenti agli stessi colloqui nei telegrammi di Orlando al re delle ore11,15 e delle 18 dello stesso giorno (qui DD. 206 e 207).

2 Il colloquio con Wilson è del 14 aprile, vedi qui DD. 195 e 197.

da sé indipendentemente dal Patto di Londra e che deve essere risolta col concorso dell’Italia.

Clemenceau: Bene, bene, vedremo.

E ci lasciammo così.

Successivamente sono andato da Balfour.

Il discorso si svolse nelle sue grandi linee come quello con Clemenceau. A Balfour detti giustificazione della nostra attitudine quale appare dallo scambio di lettere con Clemenceau. Feci notare la riserva dell’invito.

Balfour: Avete perfettamente ragione.

Orlando: Non posso firmare la pace con la Germania per ragioni politiche e giuridiche.

Balfour: Non occorre che vi spiegate sulle ragioni politiche, ma non intendo le giuridiche.

Orlando: Esse dipendono dal fatto dell’inclusione del Patto concernente la Lega delle Nazioni che implica garanzie nostre ai territori altrui, mentre non abbiamo le garanzie altrui ai territori nostri.

Balfour: Non vi avevo posto mente, ma ora mi rendo conto del vostro pensiero.

Orlando: Ho letto la vostra lettera al marchese Imperiali3. Vi faccio osservare che il problema di Fiume si è posto da sé fino dal 18 ottobre 1918 con la dichiarazione del deputato Ossoinack al Parlamento ungherese; susseguentemente lo sfasciamento dell’Austria non preveduto dal Patto di Londra ha posto la questione di Fiume di fronte all’Italia in modo assolutamente contrario a quello contemplato da quel Trattato.

Balfour: Ma voi capite che l’Italia esce da questa guerra con maggiori benefici territoriali di tutti gli altri.

Orlando: L’Alsazia-Lorena supera da sola con la sua popolazione tutta quella che acquisterebbe l’Italia, e l’Alsazia-Lorena ha ricchezze grandissime mentre noi, a parte le tradizioni storiche e le possibilità commerciali di Trieste e di Fiume, non acquistiamo che delle pietre.

Gli parlai poi della mediazione e conclusi dicendo che si tratta per il mio paese di una questione essenziale.

Balfour: È questione essenziale per tutto il mondo.

Orlando: Si tratta si sapere se voi volete abbandonare l’Italia al suo destino; isolarla dal mondo.

Balfour: Siamo stati sempre amici e spero che seguiteremo ad esserlo.

***

Ebbe poi luogo la riunione dei Quattro presso il presidente Wilson4. Si discusse circa la necessità di autorizzare il comitato di redazione di fare qualche mutamento di forma per ragione di coordinamento negli articoli sottoposti a suo esame, salvo approvazione del Consiglio Supremo.

4 Vedi. D. 214.

Così fu deciso.

Hoover si dolse che l’Ungheria non consegni parte del materiale rotabile.

Si decise di dirigerle una minaccia.

Si decise di inviare una commissione per i paesi baltici composta di cinque delegati delle cinque grandi potenze.

Il maggior tempo della riunione fu destinato alla questione del Belgio con l’intervento del signor Hymans.

Fu deciso dare al Belgio l’ampliamento richiesto meno un piccolo frammento comprendente un nucleo di quattromila tedeschi.

Fu respinta una proposta fatta dalla commissione circa obblighi della Germania per quanto riguarda ... (vedi Allegato A)5.

Fu approvata una risoluzione secondo la quale la Germania si obbliga a lasciar passare liberamente, alle stesse condizioni che per le proprie, tutte le navi per il canale di Kiel del quale però le venne lasciata la sovranità.

Si è stabilito che alle quattro si tenga riunione al Quai d’Orsay del Comitato dei dieci6.

213 3 La lettera di Balfour a Imperiali è del 3 aprile (qui D. 110).

214

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 16 aprile 1919.

Presenti: Per l’America: Wilson, assistito da Haskins Per la G. Bretagna: Balfour, assistito da Crowe Per la Francia: Clemenceau, assistito da Tardieu Per l’Italia: Orlando, assistito da Vannutelli Rey più l’interprete: Mantoux

Viene introdotto il delegato belga sig. Hymans ed invitato ad esporre le primitive richieste del Belgio circa modificazioni territoriali della sua frontiera con la Germania (annessione del territorio neutro di Moresnet e dei circoli di Eupen e Malmédy), nonché l’ulteriore richiesta, fatta dopo l’apertura della Conferenza, di una rettifica di frontiera presso Aquisgrana e dell’annessione di un altro tratto di territorio tedesco fra i circoli di Eupen e Malmédy.

La competente commissione ha in precedenza approvato le richieste primitive. Quanto alle due nuove, il sig. Hymans giustifica la prima (rettifica presso

Aquisgrana) per motivi puramente strategici e la seconda (annessione di territorio fra i circoli di Eupen e di Malmédy) per il fatto che attraverso questo territorio passa la ferrovia congiungente i due circoli predetti. Alle valide argomentazioni d’indole militare ed economica del sig. Hymans, viene fatta dal presidente Wilson e da Mr. Balfour l’obbiezione che quel tratto di territorio è esclusivamente popolato da tedeschi e che ad ogni modo il Belgio potrebbe forse accontentarsi di franchigie ferroviarie.

Passandosi poi alla questione di eventuali compensi territoriali che l’Olanda potrebbe avere in territorio germanico contro la cessione di alcune parti del suo territorio reclamate dal Belgio (bocche della Schelda e Limburgo), il presidente Wilson esprime l’avviso che la questione sia prematura fino a che l’Olanda, potenza firmataria dei trattati del 1839, non abbia consentito a trattare circa la possibilità di modificare questi ultimi nel senso desiderato dal Belgio.

A questo punto il sig. Hymans, nonché Haskins, nonché Crowe, Tardieu e Vannutelli Rey si sono ritirati, ed i quattro delegati sono rimasti a deliberare, assistiti dal solo interprete Mantoux, per altri venti minuti circa.

213 5 Non rinvenuto. 6 Cfr. FRUS, vol. IV, pp. 476 sgg. 214 Riunione a.m. del 16 aprile del Consiglio dei quattro. Cfr. MANTOUX, vol. I. pp. 257 sgg eRAC, nn. 257-260.

215

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE SERBO-CROATO-SLOVENA ALLA CONFERENZA DELLA PACE, PASI‚, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

L. Parigi, 16 aprile 1919.

J’ai l’honneur de remettre ci-après à Votre Excellence, la copie d’une lettre que j’ai adressée aujourd’hui à Son Excellence Monsieur Georges Clemenceau, Président de la Conférence de la Paix1.

ALLEGATO

PASI‚ A CLEMENCEAU

L. Parigi, 16 aprile 1919.

Notre Délégation a eu l’honneur de recevoir la lettre de Votre Excellence datée du 3 mars, lui faisant savoir que la Délégation Royale d’Italie n’accepte pas notre offre de faire résoudre le problème de nos futures frontières réciproques, par l’arbitrage de M. le Président Wilson.

En regrettant cette décision qui, dans notre pensée, élimine le meilleur moyen pour solutionner ce délicat différend, et animés toujours du désir de trouver une voie amiable de nature

à assurer les bons rapports dans l’avenir, nous prenons la liberté de vous prier, Monsieur le Président, d’informer la Conférence de la Paix que, dans le cas où elle adopterait ce mode de règlement, nous sommes prêts d’accepter que le problème de nos frontières avec l’Italie soit résolu par la voie de la consultation directe des populations intéressées. Nous croyons voir dans ce mode de règlement un moyen propre tout particulièrement à résoudre les différends entre les pays et les Gouvernements amis, comme nous l’avons déjà déclaré dans la séance de la Conférence du 31 janvier, à propos de la délimitation avec la Roumanie dans le Banat.

Nous espérons, Monsieur le Président, que cette suggestion de notre part recevra le bienveillant accueil du Conseil que vous présidez avec tant de distinction, parce qu’elle est de nature à assurer l’harmonie des Alliés devant le monde, précieuse garantie de nos mutuelles relations dans l’avenir. Nous espérons également que le Gouvernement Royal d’Italie voudra accepter ce mode de règlement d’autant plus qu’il représente la continuation de ses propres traditions politiques.

215 1 Vedi Allegato.

216

IL COMANDANTE IN ALBANIA, S. PIACENTINI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1373 bis/3501 OP. Valona, 17 aprile 1919, ore 7,40 (perv. ore 1,15 del 18).

Trasmettesi seguente telegramma indirizzato a codesto Ministero da colonnello Lodi E.: «Mustafà Kruja giunto qui ieri 14 corrente. Ha esposto innanzi tutti membri Governo provvisorio riuniti consiglio situazione questione albanese e ragioni dissidio esistente fra delegati albanesi Conferenza della pace. Narrazione produsse profonda impressione. Dopo lunga discussione circa convenienza aderire offerta serbo-greca di entrare confederazione balcanica con esclusione ogni ingerenza d’Italia tutti insorsero d’accordo per quest’ultima deliberazione. Consiglio decise pure inviare Parigi Mufid bey e Mecorbdi con incarico persuadere Tourtolis e Konitza alla concordia e in caso contrario prendere decisione insieme agli altri delegati Parigi di ritirare loro mandato e obbligarli dare dimissioni. Mufid bey e Mecorbdi giungeranno Roma con sottoscritto sabato prossimo. Pregasi far trovare pronti loro passaporti intendendo essi partire subito per Parigi».

217

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 17 aprile 1919, ore 15,25.

Grazie del suo telegramma1.

Ripeto che ben comprendo le difficoltà colle quali Ella è alle prese. Sono convinto che il paese nostro è diventato sempre più esigente specialmente dopo la grande campagna condotta pubblicamente in favore della Dalmazia italiana. Qui hanno prodotto grande impressione le notizie dei vantaggi assicurati alla Francia sul terreno della sicurezza militare, come su quello militare coloniale. Penso che, se paese dovesse ritenersi deluso pace, ne potrebbero derivare serie conseguenze anche per le istituzioni dato pure il malcontento che, specialmente per cause economiche, serpeggia ovunque. Questo Le dico perché conosca interamente il mio pensiero.

218

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 17 aprile 1919, ore 20,40.

La giornata di oggi continua ad essere giornata di sosta. Non vi furono le solite riunioni dei Quattro né nell’antimeriggio né nel pomeriggio. Si hanno indizi che Wilson conversa coi jugoslavi per vedere sino a qual punto li può condurre. Altre conversazioni in via indiretta abbiamo avuto con gli elementi francesi, ma senza risultati notevoli. Intanto questa sera io ho mandato una lettera a Wilson1 con la quale gli ricordo il suo affidamento di risolvere la nostra questione dentro la settimana; rilevo che la settimana rivolge verso la fine e che la nostra situazione è inalterata; lo prego finalmente di consentirmi di fissare la seduta dei Quattro di sabato per le «risoluzioni definitive». Qualsiasi previsione è in questo momento impossibile. Ricevo ora telegramma odierno di Vostra Maestà2, di cui La ringrazio. Mi conforta molto la perfetta identità del mio pensiero con quello espresso dalla Maestà Vostra. Deploro anche io la eccessiva esaltazione data al sentimento nazionale per quanto riguarda le nostre rivendicazioni, in tanto più in quanto non escludo che alcuni organi dello Stato vi abbiano pure partecipato malgrado me, se non contro me: argomenti di cui ho avuto l’onore di conferire con Vostra Maestà. Per altro, le offerte sinora ricevute sono tali

2 Vedi D. 217.

da rivoltare ogni italiano senza distinzione di tendenze. Non si pone quindi neanche il problema della scelta, almeno sinora. Ritengo anch’io che il problema che si agita a Parigi sia soprattutto un problema di politica interna e convengo con Vostra Maestà nel ritenere estremamente temibili le ripercussioni di una delusione patriottica. Questa stessa considerazione mi fa ritenere che sia un minor male la rottura, poiché può darsi che essa fonda in una reazione il sentimento nazionale, mentre assai più pericoloso sarebbe se questo sentimento si rivolgesse contro il Governo in forma di dissensione interna. Si intenda che ciò vale in via di comparazione tra due mali, dappoiché non mi nascondo certamente tutti i gravissimi pericoli della rottura ed è certo che non mi servirò leggermente di questo mezzo estremo.

217 1 Vedi D. 207.

218 1 Vedi D. 225.

219

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 423 RIS. Parigi, 17 aprile 1919.

Per informazione e norma della S.V. comunico quanto segue: È probabile che truppe italiane siano destinate a sostituire quelle britanniche che presentemente si trovano nella regione del Transcaucaso1. Conseguentemente una nostra missione militare comandata dal colonnello Gabba partirà a giorni dall’Italia2 per recarsi sui luoghi onde procedere agli studi necessari e preparatori. Sarebbe intenzione del R. Governo di profittare dell’occupazione militare per assicurarsi dei vantaggi di indole economica e perciò faranno parte della missione in parola degli esperti in questioni agricole, minerarie, commerciali, che raccoglieranno tutti gli elementi necessari di giudizio onde il R. Governo possa prendere una decisione definitiva. La missione toccherà probabilmente Costantinopoli da dove continuerà poi suo viaggio per Batum3.

9 aprile. 2 La missione partì in effetti da Taranto il 27 aprile e giunse a Batum il 9 maggio. 3 Vedi poi qui D. 232.

219 1 Una decisione in questo senso era stata presa dal Supremo consiglio di guerra a Versailles il

220

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. 1803. Parigi, 17 aprile 1919.

A telegramma posta n. 81911.

Approvo consegna promemoria. Nelle conclusioni converrà marcare nostro ininterrotto interessamento accennando a successione diritti Sua Maestà e Regio Governo a quelli Regno di Napoli in forza anche trattato 1861 con Turchia2. Converrà pure far presente che si tratta del riconoscimento di una usurpazione e per conseguenza di una pura e semplice restituzione ai legittimi proprietari. Ciò per armonizzare promemoria con altro analogo già consegnato da Imperiali a Balfour3.

221

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1048/160. Parigi, 17 aprile 1919 (perv. il 19).

Ho chiesto stamane un colloquio al signor Pichon per parlargli della questione dello sgombero delle truppe serbe dal territorio albanese circa la quale avevamo scambiato finora una corrispondenza che non aveva dato alcun frutto. Gli dissi che, poiché egli nelle sue risposte contestava che le intelligenze scambiate nell’ottobre scorso1 avessero la portata di escludere dal territorio albanese qualsiasi truppa che non fosse italiana, io pur mantenendo interamente il nostro punto di vista circa quella interpretazione, mi collocavo provvisoriamente sopra un altro terreno sul quale non poteva sorgere contestazione di sorta, sulla necessità cioè di evitare un probabile conflitto fra le nostre e le truppe serbe. Questa possibilità preoccupava anche il generale Franchet d’Esperey e feci uso delle notizie datemi con il telegramma dell’E.V.

n. 11922 nonché delle altre relative alla evacuazione della Macedonia serba, di cui il telegramma n. 012143. Se il generale Franchet d’Esperey, osservai, trova utile di allontanare le nostre truppe dalle serbe in Macedonia, perché non deve egli fare

2 Si tratta del trattato di commercio e di navigazione del 10 luglio 1861 tra l’Italia e l’Imperoottomano, che confermava esplicitamente a favore del Regno d’Italia tutti i privilegi e le immunità fissatidalle capitolazioni e dai trattati anteriormente stipulati fra la Turchia e gli Stati italiani preunitari.

3 Non rinvenuto.

2 Del 12 aprile, non pubblicato.

3 Del 13 aprile, non pubblicato.

altrettanto allontanando le serbe dalle nostre in Albania? Senza precisare poi da chi venisse l’informazione, accennai ai propositi bellicosi del Governo serbo di cui trovasi del resto traccia anche nei discorsi parlamentari a Belgrado e a Lubiana ed insistetti vivamente perché il comando dell’Esercito d’Oriente facesse ritirare le truppe serbe al di là del confine albanese del 1913.

Mentre nella sua corrispondenza, di cui ho dato regolare conoscenza all’E.V., il signor Pichon aveva sempre risposto a quella mia domanda con una «fin de non recevoir» più o meno larvata, si mostrò stamani altrettanto pieno di buone intenzioni quanto poco informato dell’argomento. Ciò mi confermò nell’opinione che da molto tempo ho che gli uffici del Quai d’Orsay ci sono assai meno benevoli che non lo sia personalmente il ministro. Egli mi promise di riesaminare l’argomento e di rispondermi in seguito a questo nuovo esame.

Ho approfittato di questa occasione per accennargli, a proposito delle poco amichevoli intenzioni del Governo serbo a nostro riguardo, all’opportunità che un Governo nostro alleato come il francese non abbondasse, come sembra fare, d’approvvigionamenti militari a favore del nuovo esercito jugoslavo sopratutto essendo questo costituito in buona parte da unità ex austriache. Mi sono valso a tale uopo, e nel modo indicatomi, delle notizie contenute nel telegramma di V.E. n. 012204. Il signor Pichon prese nota delle mie osservazioni e mi assicurò che ne avrebbe subito interessato l’autorità militare francese5.

220 1 Vedi D. 181.

221 1 Vedi. D. 201.

222

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1049/161. Parigi, 17 aprile 1919 (perv. il 19).

Ho veduto stasera in conformità delle intelligenze prese con l’E.V. il signor Tardieu. Presi occasione della dichiarazione da lui fattami nel nostro precedente incontro, che cioè la Francia ci avrebbe appoggiato anche nella nostra contesa per Fiume, e gli dimostrai con gli stessi argomenti da me svolti stamane nella mia conversazione con il signor Pichon (mio telegramma n. 159)1 come fosse interesse del Governo della Repubblica di favorire la nostra azione. Il signor Tardieu mi ripeté che il signor Clemenceau, con il quale egli si trova in continuo contatto, era persuaso di ciò e mi riferì d’averlo udito recentemente dire a delegati americani: «Voi mi promettete la

5 Nel corso del colloquio si discusse anche di Fiume e della questione adriatica e Boninsottolineò i rischi di una grave delusione dell’opinione pubblica per una soluzione non soddisfacentee la necessità di rafforzare l’amicizia italo-francese (T. Gab. 1039/159 dello stesso giorno, di Bonin aSonnino).

Società delle Nazioni e sta bene, ma io non devo dimenticare che ho l’Italia sulle Alpi e quindi come prima condizione della sicurezza della Francia devo considerare che essa esca soddisfatta da queste trattative». Tardieu osservò che sarebbe stato assai più facile alla Francia di aiutarci efficacemente se avesse avuta causa pienamente vinta nella questione della Saar. Ma in quella, benché appoggiata dall’Inghilterra e dall’Italia, la Francia dovette transigere di fronte alla irreducibile resistenza americana e così, egli crede, dovremo fare anche noi. Egli aveva udito, quanto a Fiume, ventilare negli ambienti americani tre soluzioni transazionali, cioè: 1) Fiume città libera; 2) Fiume annessa all’Italia con porto e comunicazioni sottoposte a un regime internazionale speciale; 3) Fiume in piena sovranità dell’Italia che in cambio assumerebbe la spesa della costruzione di un altro porto jugoslavo nella Dalmazia settentrionale. Tutte queste soluzioni americane supponevano però l’esclusione della Dalmazia, ed io gli feci osservare in via preliminare che la delusione in Italia sarebbe altrettanto grave ed altrettanto pericolosa, sia che la futura pace ci negasse Fiume sia che dandoci Fiume ci negasse la Dalmazia. Egli allora mi chiese se avremmo accettato un plebiscito per Fiume; gli risposi che non avevamo dubbio circa l’esito di esso se fosse fatto sinceramente e limitato alla città di Fiume, ma per tutti i plebisciti tutto dipende in primo luogo dai limiti che vengono posti alla regione consultata (e gli detti per esempio quello che avverrebbe per il bacino della Saar secondo che fosse consultato da solo o insieme con tutto il Palatinato) e, in secondo luogo, dalla sincerità del plebiscito e gli diedi per esempio il sedicente plebiscito dei jugoslavi in Dalmazia dove si fecero firmare fogli clandestini con un numero infinito di croci d’analfabeti e vi si apposero firme false come quelle del vescovo di Zara.

Osservai inoltre come fosse in massima pericoloso accettare per un dato punto il principio del plebiscito, che avrebbe così potuto essere invocato poi anche per altri territori. Egli mi disse che data l’ostinazione degli americani e la loro simpatia per le soluzioni complicate, noi avremmo dovuto cercare qualche compromesso fondato sopra un regime provvisorio e il plebiscito ritardato, ad esempio appunto di quanto si era fatto per la Saar. Per quanto riguarda poi la nostra sicurezza navale nell’Adriatico non avremmo noi potuto appagarci della naturalizzazione [sic] della costa dalmata? Gli opposi che se quella poteva garantirci in pace contro la creazione di potenti basi navali, non ci garantirebbe nemmeno per cinque minuti una volta scoppiata la guerra contro i nidi di sottomarini che si creerebbero immantinenti nelle isole e nelle anfrattuosità della sponda orientale. Il signor Tardieu conchiuse confermandomi le buone disposizioni del Governo francese di appoggiarci e abbondando nel senso che fosse interesse della Francia di lasciarci soddisfatti allo scopo di potere contare sopra di noi per sostituire, dopo sciolte le alleanze di guerra, il perduto appoggio russo, ma insistendo altresì sulla necessità di qualche nostra concessione in Dalmazia se volevamo assicurarci Fiume. Essendomi io accuratamente astenuto dall’accennare alla possibilità di una transazione superiore a quella già proposta al signor Clemenceau, egli dal canto suo non precisò, ma ho avuto l’impressione che egli pensasse ad una transazione che ci lasciasse in Dalmazia soltanto uno stretto lembo di costa con Zara e Sebenico e, benché egli non ne facesse espressa menzione, le isole del Patto di Londra. Nell’accomiatarsi da me egli si mise del resto a tutta mia disposizione per il caso in cui un suo intervento presso il signor Clemenceau ci paresse ad un dato momento opportuno.

221 4 Non rinvenuto.

222 1 Del 17 aprile, non pubblicato.

223

IL COMANDANTE DELLE FORZE ITALIANE NELL’EGEO, ELIA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1381/644. Rodi, 17 aprile 1919 (perv. il 18).

Metropolita Apostolos di Rodi ha inviato Governo ellenico, presumibilmente mezzo posta francese, petizione diretta Congresso di Parigi, firmata varie centinaia ortodossi per chiedere annessione isola Rodi alla Grecia. Importa porre evidenza che documento è privo qualsiasi valore morale e costituisce mistificazione perché maggioranza firme sono apocrife, altre vennero carpite con inganno contadini facendo loro credere annessione Grecia di tutte le isole già decisa, e solo incerta quella di Rodi per la quale attendevasi questa petizione.

Come già ebbi documentare, popolazione città Rodi è composta più che due terzi di turchi e israeliti chiedenti annessione Italia. Minoranza ortodossi città e quelli interno isola, cui numero è di poco superiore popolazione città Rodi, mostransi indifferenti eccetto alcuni fanatici aizzati metropolita Apostolos. Questi dal protrarsi decisione Congresso pace trae profitto per minacciare pene canoniche e rappresaglie agli indifferenti, prospettando imminente occupazione Governo ellenico.

Riferimento telegramma codesto Ministero 19 marzo n. 52951, debbo rappresentare che metropolita Apostolos, incoraggiato nostra liberale linea di condotta, spiega aperta propaganda ellenofila. Anche popolazione comincia ormai crederlo intangibile.

Ministero degli affari esteri, Legazione di Grecia informati.

224

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 567 RIS. Berna, 17 aprile 1919 (perv. il 21).

L’appoggio dato dal nostro Governo, per bocca del presidente del Consiglio, alla scelta di Ginevra a sede della Società delle Nazioni1, ha fatto qui ottima impressione. Ho saputo, in via riservatissima, che a Palazzo federale ciò è stato tanto più apprezzato e favorevolmente commentato in quanto che il nostro contegno è stato assai diverso da quello della Francia che, dopo di aver dato alla Svizzera affidamento di votare per Ginevra, si decise invece per Bruxelles.

223 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

224 1 La scelta di Ginevra come sede della Società delle Nazioni fu poi approvata all’unanimità,insieme allo statuto, dall’assemblea plenaria della Conferenza della pace il 28 aprile successivo.

225

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON

L. Parigi, 17 aprile 1919.

As I shall not have the pleasure of seeing you to-day, I venture to write to you on the subject of our conversation on Monday last1.

On that occasion you were good enough to recognize that it is extremely urgent that the Italian questions should be settled within this week, and kindly gave me the assurance that this would be done. Now, the week is drawing to an end, and so far the matter has remained at the same point it was when we had our last conversation. I must, therefore, ask you to consider the absolute necessity to propose that the meeting on Saturday morning be set aside for the final decisions to be taken on this subject, and that, as it has already been understood, my Colleague for Foreign Affairs, baron Sonnino, be present at the meeting.

226

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 18 aprile 1919, ore 15,20 (perv. ore 16).

Grazie suo telegramma1.

Si immaginerà facilmente con quanto interesse seguo la lotta diplomatica che Ella combatte e ricevo le notizie che Ella mi manda. Non riesco a comprendere come Wilson e gli altri alleati non abbiano a rendersi conto della situazione che potrebbe determinarsi nel nostro paese, anche in Europa, qualora l’Italia non abbia dalla pace quanto le hanno meritato i grandi sacrifici e la grande vittoria.

225 1 Vedi D. 195. 226 1 Vedi D. 218.

227

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 18 aprile 1919, ore 18.

Stamane ebbe luogo la riunione antimeridiana dei Quattro con l’intervento di Lloyd George, e si trattarono alcune questioni minori, tra cui il far gravare sugli Stati successori dell’Impero austro-ungarico anche l’obbligo delle riparazioni. Fu affermata la massima e dato incarico alla commissione finanziaria di esaminare i particolari. Alla fine della seduta si convenne di non tenere la solita riunione pomeridiana, deliberando che la riunione antimeridiana di domani dovesse dedicarsi all’esame collegiale delle nostre questioni. Ho dichiarato che farò intervenire Sonnino. Questa è la storia esterna: vi è tutto un movimento sotterraneo tendente alla ricerca di un accordo con noi. Non potrei tuttavia fare alcun prognostico non potendo determinare sino a qual punto le nuove proposte che indubbiamente si preparano potranno avvicinarsi al minimum delle nostre rivendicazioni, e ciò anche perché non vi è un completo accordo nella nostra Delegazione circa la maniera di considerare tale minimum. Avremo più tardi una riunione diretta appunto ad esaminare tale questione, la quale tuttavia conserva una importanza molto relativa sino al momento in cui tale ricerca potrà farsi in confronto di una proposta concreta da accettare o respingere. Ringrazio Vostra Maestà del telegramma relativo ai decreti che conferiscono i poteri1.

228

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 18 aprile 1919, ore 18,50.

In via riservatissima comunico a Vostra Maestà che, secondo la situazione del-l’ultima ora, Fiume ci sarebbe assicurata. Naturalmente dobbiamo circondarci di ogni riserva, non soltanto perché questo genere di situazioni sono soggette a mutamenti, ma anche perché mi è impossibile per ora di dire quali sacrifici ci siano richiesti in corrispettivo e se noi saremmo nel caso di sopportarli.

227 1 Si tratta di un telegramma del 17 aprile (ore 18,40) che si riferisce all’invio di due testi alternativi del decreto di pieni poteri, entrambi già firmati dal sovrano, in modo di lasciare a Orlando la scelta.

229

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 8655. Roma, 18 aprile 1919, ore 23.

Mio telegramma posta 7408 del 2 corrente1. Il Regio Ministero delle colonie, interpellato sui punti del telegramma di Vostra Eccellenza 3412 riguardanti l’opportunità: a) di dare comunicazioni ai Governi inglese e francese delle conversazioni intervenute con Sidi Ahmed Sherif; b) di inserire una speciale clausola di garanzia nel trattato di pace con la Turchia, circa l’azione dello stesso Sidi Ahmed; risponde col telegramma posta qui allegato in copia n. 21733.

In complesso:

1) nella questione del mantenimento di contatti da parte nostra con Sidi Ahmed tanto il Regio Ministero delle colonie quanto quello degli esteri sarebbero d’accordo, purché si agisca col dovuto tatto e prudenza e l’ufficio scrivente propone la seguente redazione di telegramma al conte Sforza:

«Vostra Signoria potrà mantenere precedente contatto indiretto con Sidi Ahmed usando la maggiore prudenza e cautela per avere su di lui e codesti suoi adepti costanti informazioni».

2) Circa la comunicazione a Francia e Inghilterra delle conversazioni con Sidi Ahmed, il Regio Ministero delle colonie risponde negativamente. L’ufficio scrivente, il quale non ha elementi per esprimere un parere, non conoscendo i testi degli accordi intervenuti, prega Vostra Eccellenza di fargli conoscere se concorda nell’opinione del Regio Ministero delle colonie.

3) Circa le garanzie per premunirci contro l’azione di Sidi Ahmed, l’ufficio scrivente ritiene accettabile la formula ultima del Regio Ministero delle colonie «che nel trattato di pace sia inserito che egli non possa tornare in Libia» e l’ufficio stesso propone che il conte Sforza riceva fin d’ora istruzioni di esprimersi con la Sublime Porta nel senso che Sidi Ahmed non sia lasciato partire dalla Turchia se non col consenso del Regio Governo e prega Vostra Eccellenza voler dire se approva4.

229 1 Non pubblicato.2 Il T. 341 di Sonnino è del 28 marzo (non pubblicato). 3 Il T. posta 2173, a firma di Colosimo, è del 1° aprile. Non si pubblica. 4 Vedi poi D. 569.

230

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI, CONTARINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1059/1372. Roma, 18 aprile 1919 (perv. il 19).

S.E. Colosimo fa presente che Senussi esaltato da avvenimenti Hegiaz comincia sollevare in una forma preoccupante aspirazioni alla sovranità1 oltre a potere religioso che siamo disposti a riconoscergli. Giudica quindi per la nostra attuale situazione e particolarmente in Cirenaica nei riguardi Senussi assolutamente opportuno dare minimo risalto alla presenza del Faisal a Roma e riterrebbe perciò conveniente che non avesse luogo l’invito a colazione da parte Sua Maestà.

Poiché ritengo che Vostra Eccellenza indicasse sul trattamento da farsi all’emiro colazione intima di Sua Maestà, per marcare che trattasi di un principe Stato indipendente, prego telegrafarmi istruzioni.

231

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1399/86. Belgrado, 18 aprile 1919, (perv. il 20).

Tre signori ungheresi fra cui due (...) giunti da qualche giorno Arad muniti lasciapassare francese sono entrati subito in rapporti con questo comando francese e con comandante in capo esercito serbo, dichiarandosi inviati da un gruppo di patrioti ungheresi che intenderebbe, coll’aiuto delle potenze dell’Intesa, di formare un Governo provvisorio antibolscevico che si stabilirebbe nella regione di Arad o di Zeghedin1. Non ho potuto accertare se siano comunque in contatto con arciduca Giuseppe, di cui mio telegramma n. 812, che si troverebbe in questa ultima città.

Essi hanno esposto come una riduzione delle pretese czecoslovacche rumene e jugoslave toglierebbe forza al Governo di Budapest che si trova attualmente sostenuto anche da elementi nazionalisti.

231 Trasmesso in data 20 e pervenuto a Roma lo stesso giorno.

1 In effetti un vero e proprio Governo antibolscevico si costituì in maggio ad Arad sotto laguida di Gyula Károlyi (cugino dell’ex presidente della Repubblica Mihaly), per spostarsi poi a Szeged(Zeghedin) e ivi ricostituirsi, sempre con G. Károlyi alla presidenza e con Pál Teleki agli esteri e l’ammiraglio Horthy alla difesa.

2 Non rinvenuto.

Opponendosi formazione di un esercito antibolscevico, chiederebbero all’Intesa una determinata quantità di armi e munizioni, la cessione dei prigionieri di guerra di nazionalità ungherese detenuti dall’Italia che sarebbero invitati ad arruolarsi come volontari, l’autorizzazione di arruolare volontari ungheresi anche nelle regioni contestate del Banato. Mi consta che questo comando francese dimostra un certo interesse alla cosa mentre sembra essa lasci piuttosto indifferenti i serbi i quali in ogni caso non consentirebbero arruolamenti di volontari nei territori da essi rivendicati.

230 1 Con T. 1057 del 19 aprile da Bengasi al Ministero delle colonie, il generale Moccagatta precisava che il titolo desiderato per Idris dai suoi sostenitori era quello di «emiro dell’interno della Libia»,con estensione delle aspirazioni alla Tripolitania.

232

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1068/57. Costantinopoli, 18 aprile 1919 (perv. il 20).

Telegramma di V.E. 4231.

Da impressioni direttamente raccolte nell’elemento militare inglese posso assicurare V.E. che esso pur tanto più preparato del nostro per quella zona considera come troppo arduo il compito assicurare pace nel Transcaucaso. Georgiani, tartari dell’Azerbaigian, armeni e russi odiandosi pubblicamente fra loro, sono concordi nel-l’avversione verso potenza che colà si atteggia a colonizzatrice. A ciò aggiungasi pericolo bolscevico almeno in Georgia con eventualità di repressione che potrebbe avere grave eco Italia. Quanto precede ha solo scopo accentuare quesito se veramente sostituiremo truppe nostre (e dovranno essere molte) alle britanniche che dovremmo fare valere come un ingrato servizio che rendiamo. Possono essere citate corrispondenze comparse in due numeri del «Times» verso metà marzo. Dato quanto precede e per meglio perseguire vantaggi economici è mio avviso che la missione dovrebbe apparire come esclusivamente civile e che gli ufficiali che ne facessero parte nascondano l’essere loro. Momento favorevole per intrapresa economica nostra colà, perché abbiamo Mar Nero punti con (...) militari degli alleati.

232 1 Vedi D. 219.

233

IL COMANDANTE DEL CORPO D’OCCUPAZIONE A FIUME, GRAZIOLI, AL COMANDO SUPREMO

T. 9056. Fiume, 18 aprile 1919.

Prego comunicare urgenza Governo presenza ex deputato Zanella in Fiume continua esercitare nefasta influenza a danno unità blocco invocante annessione Italia. Nonostante sue affermazioni contrarie, egli agitando continuamente opinione pubblica con esagerate critiche contro Consiglio nazionale italiano e appoggiandosi su masse operaie internazionaliste, ha finito per rappresentare bandiera di tutti i partiti, finora scarsi di numero e di audacia, contrari annessione Italia e tendenti verso città libera. Naturalmente suo contegno irrita maggioranza annessionista, onde polemiche e incidenti di piazza che in questo momento costituiscono grave pericolo per la nostra causa. Invano ho ripetutamente invitato onorevole Zanella a lasciare Fiume per recarsi a Roma come era ferma intenzione nostro Governo. Egli vi si oppone asserendo necessità sua presenza in città per tutelare sua reputazione politica offesa secondo lui da attacchi partito giovani fiumani che egli dice mossi da risentimenti personali e ciò malgrado che io lo abbia garantito che saprò frenare tali attacchi e che Consiglio nazionale abbia dato prova di temperanza, rinunciando collaborazione due membri più accesi contro Zanella.

Tento ancora con ogni mezzo rimuovere Zanella da suo proposito, non senza esaminare eventualità dovere prendere, qualora falliscano tali tentativi, provvedimento eccezionale della espulsione. Naturalmente prenderei tale decisione solo in caso assoluta necessità, date le prevedibili ripercussioni cui tale misura sarebbero dovute1.

234

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 18 aprile 1919.

Quando entrai stamane dal presidente Wilson, Clemenceau era già presso di lui.

Wilson non mi fece cenno della lettera che gli avevo indirizzato ieri1.

Lloyd George venne tutto glorioso e trionfante dei successi di Londra «come succederà al signor Orlando in Italia», egli disse. Non raccolsi l’allusione ma mi chiusi in un assoluto mutismo. Lloyd George raccontò alcuni aneddoti.

233 Il telegramma fu ritrasmesso da Badoglio a Orlando ed a Sonnino, nonché alla DICP, Sezione militare, alla PCM e al MAE, con T. 18856 G.M. UFF. OP. dello stesso giorno.

1 Ulteriori informazioni sull’attività agitatoria dell’on. Zanella, continuata nonostante le reiterateesortazioni del presidente Grossich e dello stesso Grazioli, furono inviate da Grazioli al Comando Supremo il20 aprile (con T. 9238) e da questo ritrasmesse a Orlando ed a Sonnino con T. 18927 G.M. UFF. OP. del 21 aprile.

234 Riunione a.m. del 18 aprile del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 220 sgg., MANTOUX, vol. I, pp. 270 sgg. e RAC, nn. 264-271. 1 Vedi D. 225.

Si fece entrare dapprima il signor Tardieu. Egli disse che si trattava di coordinare e dare la forma definitiva a circa 1000 articoli da inserirsi nel trattato di pace e che il comitato di redazione non si sentiva in grado di compiere il suo lavoro pel 25. Si decise di autorizzare il comitato di redazione di aggregarsi altri membri con cui suddividere il lavoro.

Io continuai a rimanere muto. Si trattò poi delle questioni tra Polonia e Ucraina per Lemberg. Com’è noto, attualmente vi è tregua tra i due contendenti, ma occorre concludere un armistizio e questo si farà a Parigi.

Si parlò poi dello statuto di Danzica e Wilson presentò ulteriori sue proposte molto particolareggiate. (Accennerò che fra esse si indica che la opzione del marito determina quella della moglie). L’intonazione generale delle proposte è tutta favorevole ai polacchi lasciandosi alla Repubblica di Danzica una libertà meramente di nome. Infatti si lega Danzica ad una unione doganale con la Polonia; si danno ai polacchi particolari facoltà ferroviarie, portuali, ecc. La rappresentanza diplomatica infine della Repubblica di Danzica viene data alla Polonia.

Clemenceau comunicò che i serbi desiderano conoscere il testo del trattato con la Germania.

Fu risposto unanimemente che non ne hanno nessun diritto maggiore degli altri. Si trattò poi della questione di Kiao-Ciao.

Wilson disse che conveniva esortare i giapponesi alla moderazione poiché effettivamente essi avevano concluso con la Cina un patto troppo oneroso e non conveniva eccitare i cinesi all’estremo perché ciò avrebbe lasciato covare un fuoco pericoloso. Citò la similitudine del fuoco che cova per intere settimane in certe praterie transatlantiche. Si concluse che la questione non riguardava la pace con la Germania e poteva essere risolta all’infuori del trattato attuale.

Qui Lloyd George domandò a che punto si trovano le questioni delle riparazioni. C’è anche da risolvere la questione delle riparazioni da pagarsi dall’Austria-Ungheria. Occorre un esame dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico. Vi sono degli Stati come la Serbia che raddoppiano il proprio territorio e mentre non pagano riparazioni si liberano anche dal debito pubblico austriaco. In questo caso si trova anche la Romania.

Wilson interloquì nello stesso senso.

Clemenceau non intervenne nella discussione.

Lloyd George rivolgendosi a me che avevo taciuto sino allora mi domandò che cosa ne pensassi.

Risposi che effettivamente ciò toccava moltissimo gli interessi italiani. Poiché tutte le questioni italiane sono riservate non intendevo intervenire in questa discussione.

Lloyd George mi pregò tuttavia di esporre il mio pensiero.

Risposi che il problema doveva essere risolto positivamente; che i territori ex austro-ungarici debbono pagare, salvo a stabilire la potenzialità e la ripartizione comparativa dei varî territori; che occorreva affidare ai periti lo studio di tutte queste questioni perché delimitassero la media contributiva da applicarsi sia agli Stati che si formavano di nuovo, i quali nascevano con questo debito, mentre per quanto riguarda i territori aggregati a Stati antichi si stabiliva un conto di credito e debito.

Lloyd George e Wilson riconobbero che queste idee generali sembravano giuste e mi pregarono di comunicare a Crespi questa decisione del Consiglio dei quattro.

Risposi che l’avrei fatto.

Si parlò poi dei cavi sottomarini e si decise che sulla questione, per la quale Wilson dichiarò dover tenersi conto unicamente del principio dell’equità, dovessero decidere i ministri degli affari esteri.

I colleghi di poi si alzarono per uscire. Domandai se vi sarebbe stata riunione nel pomeriggio di oggi. Mi fu risposto di no. Cominciai a dire che avevo qualcosa da chiedere e Wilson, venendo incontro alla mia domanda, mi disse che stava bene quanto avevo chiesto nella mia lettera di ieri e che, se Lloyd George e Clemenceau consentivano, le questioni italiane si sarebbero trattate nell’antimeriggio di domani.

Acconsentirono. Allora confermai che sarebbe venuto con me Sonnino, il che fece impressione. Lloyd George mi domandò: «Quando dovete partire?» Risposi: «Dipende dalla decisione che prenderete domani».

Lloyd George mi disse: «Le questioni parlamentari non sono mai gravi. Voi ne uscirete bene come me».

Risposi: «La situazione è molto diversa perché in Italia la irritazione non è soltanto del Parlamento, ma del Parlamento e del paese e non contro di me, ma contro quello che si fa alla Conferenza».

Lloyd George domandò di nuovo: «E voi che cosa contereste di fare?».

Risposi: «Resterò col mio paese».

Stamane Lloyd George aveva aspetto sorridente ed accogliente, Wilson grave ed austero, nec ira nec studio; Clemenceau duro, silenzioso e scontroso alle domande.

235

L’ ESPERTO TECNICO, R. PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 18 aprile 1919.

Il 13 aprile ho fatto visita all’emiro Faisal.

Era presente alla conversazione il colonnello Lawrence. Fungeva da interprete un segretario siriano dell’emiro.

La conversazione è stata, per la maggior parte, generica: si è aggirata sull’azione coloniale italiana in Eritrea e in Somalia. L’emiro si è specialmente interessato dei nostri passati rapporti col mullah, compiacendosi per la politica seguita dal R. Governo nei riguardi dei due sultanati della Somalia settentrionale.

Data anche la presenza del colonnello inglese Lawrence, non ho potuto entrare in troppi dettagli circa le questioni che maggiormente possono interessarci, ad esempio la sistemazione dello Yemen e dell’Assir, la questione siriana ecc.

Le affermazioni più importanti che ho potuto rilevare durante la conversazione con Faisal sono state le seguenti:

235 Minuta autografa.

a) Faisal ritiene che l’Assir sia un paese abbastanza organicamente costituito per poter vivere di vita propria e indipendente. Esclude però che possa rimanervi a capo l’Idrisi, avventuriero estraneo al paese che non ha nessun seguito tra le tribù e che solo ha potuto mantenere il potere perché è riuscito astutamente ad accaparrarsi il favore delle potenze europee, tra cui l’Italia.

b) Lo Yemen offre minori garanzie di possibilità di vita indipendente (ricordare che era presente il colonnello Lawrence). Tuttavia l’emiro crede che anche in quella regione gli arabi potranno finire per accordarsi tra loro e costituire uno Stato vitale.

c) La commissione che la Conferenza della pace ha deciso di inviare in Levante è un atto di notevole importanza politica. Gli arabi, con la loro rivolta alla Turchia, con la guerra vittoriosa cui hanno preso parte, e con la loro partecipazione al Congresso di Parigi, hanno acquistato una nuova coscienza. Essi non potrebbero mai acconsentire ad essere trattati come pecore e divisi tra questo o quello Stato europeo senza il loro consenso. Ecco perché sarà utile che gli arabi per mezzo dei loro notabili possano esprimere liberamente ai commissari europei il vero stato delle loro aspirazioni nazionali.

L’emiro ha parlato con molta simpatia dell’Italia di cui apprezza i metodi e le idealità coloniali. Ha espresso il desiderio di passare da Roma — prima di tornare in Siria — per abboccarsi con S.E. il ministro delle colonie1.

Ho riferito questo desiderio a S.E. il marchese Salvago.

Da ultimo, a mia domanda, l’emiro ha avuto parole elogiatrici per la persona e l’opera del cavaliere Bernabei a Gedda.

236

IL COMANDANTE DEL CORPO D’OCCUPAZIONE A FIUME, GRAZIOLI, AL COMANDO DELLA 3ª ARMATA

NOTA 9129 RIS. PERS. Fiume, 18 aprile 1919.

Mi è recentemente pervenuto un singolare documento dell’autorità militare francese che invio in copia a codesto comando1. Da esso si rileva:

a) Che l’armata francese d’Ungheria ha un Ufficio commerciale regolarmente costituito con una rappresentanza in Fiume.

b) Che tale Ufficio si rivolge direttamente al Consiglio nazionale italiano riconoscendone così, in certa misura, l’esistenza e l’autorità.

Sulla prima di tali considerazioni mi permetto di richiamare l’attenzione vigile di codesto comando in quanto costituisce una riprova chiara, evidente di quanto ho ripetutamente segnalato, sia quando si costituì la base francese, sia durante il suo funzionamento.

230. Si veda poi anche l’incontro del 21 aprile con il segretario di Faisal in D. 268.236 La nota fu poi trasmessa, «per opportuna conoscenza», dal Comando Supremo a Orlando ed

a Sonnino, alla DICP Sezione militare e al MAE a Roma con F. 18964 G.M. (s.d.). 1 Non si pubblica.

La base francese di Fiume, più che organismo logistico militare, è una vera e propria agenzia di espansione commerciale francese per i paesi adriatici e balcanici; mascherata dalla sua qualità di stabilimento militare e fatta forte dai diritti e dalle agevolazioni che ad essi competono, essa apre agevolmente le vie al commercio ed alla speculazione dei capitali francesi, sfuggendo ad ogni legittimo controllo, eludendo ogni difficoltà. Di ciò, ripeto, io mi sono preoccupato sin dall’inizio, poiché vi ravviso una azione lesiva dei più alti ed impellenti interessi economici del nostro paese; ed ho segnalato ripetutamente la necessità di porre dei freni al libero svolgersi di tale programma e di contrapporre da parte nostra una analoga e parallela opera di accaparramento dei commerci e delle attività locali.

La base francese è specialmente favorita nella sua azione commerciale dal pieno ed esclusivo possesso della ferrovia Fiume-Zagabria che costituisce l’unica arteria per cui si incanala il traffico fra Fiume e l’interno.

Ciò spiega la persistente opposizione che da parte francese ed anche inglese vien fatta ad ammettere, almeno su tale linea, quel controllo internazionale che è stato stabilito nel trattato d’armistizio di Villa Giusti.

Perciò ritengo che l’attenzione del Governo e del Comando Supremo dovrebbe principalmente essere rivolta ad ottenere che su tale linea fosse esercitato un controllo da parte delle autorità militari alleate con larga e preponderante rappresentanza di quella italiana, per essere il nostro paese il più vicino ed il più vitalmente interessato ai problemi militari ed economici di quelle regioni. Con ciò si otterrebbe da un lato di tagliare i nervi dell’espansione commerciale della base francese e dall’altro di risolvere molti problemi di carattere politico sui quali ho già più volte riferito a codesto comando e che ho ampiamente trattato nel mio memoriale sulla ferrovia di Fiume già trasmesso con N. 7302 del 21 marzo u.s.2.

235 1 Sul comportamento da tenere con Faisal durante la sua prevista visita a Roma si veda il D.

237

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. RIS. Parigi, 18 aprile 1919.

Nel restituire alla E.V. secondo le istruzioni contenute nel di Lei dispaccio del 15 corrente n. 012431, i documenti annessi2, mi credo in dovere di chiamare a titolo riservatissimo l’attenzione dell’E.V. sulla intonazione della nota del Ministero delle colonie3 la quale denota un apprezzamento a mio giudizio soverchiamente pessimista della politica dei nostri alleati in Abissinia. Nulla dirò circa quanto si rimprovera al

237 La lettera fu trasmessa da De Martino al MAE a Roma, con n. 1447 del 3 maggio, con preghiera di darne comunicazione al Ministero delle colonie.

1 Non rinvenuto.

2 Non rinvenuti.

3 Si tratta del T. 2585 dell’11 aprile (qui D. 168).

console americano in Aden, uscendo ciò dalla mia competenza. Ma la protesta del Ministero delle colonie è sovrattutto rivolta alla Francia e afferma la necessità che «l’influenza della Francia sia eliminata in Etiopia se si vuole che l’Italia abbia pace nelle sue colonie». Viceversa i motivi sui quali il detto Ministero fonda la sua protesta e questa sua affermazione, motivi desunti dal telegramma del r. ministro in Addis-Abeba riprodotto nella nota dell’Ufficio politico della Consulta del 7 aprile, sono i due seguenti: 1) che la Legazione di Francia in Addis Abeba si adopera con ogni mezzo ad impedire la cessione di Gibuti all’Italia; 2) che quella Legazione va spiegando contro di noi una tale campagna che non fu fatta nemmeno dalla Germania durante la guerra.

Osservo che questa seconda gravissima affermazione, la quale implicherebbe nientemeno che l’incitamento all’Abissinia di aggredirci militarmente e che giustificherebbe, se esatta, da parte nostra i passi più risentiti presso questo Governo, non è accompagnata da nessuna indicazione di fatti e di circostanze che la suffraghino. Perciò, mentre non ho nessun dubbio che scarsa cordialità regni fra le due rappresentanze in Addis Abeba e che anzi la francese lavori quanto più può a scalzare la nostra influenza, credo sarà bene invitare quel r. ministro a indicare con maggiori precisioni su quali fatti egli fondi la sua grave accusa affinché si possa a nostra volta fondare sugli stessi un assennato reclamo al Governo francese. La circostanza che la Legazione di Francia lavori contro un’eventuale cessione di Gibuti non mi sembra in verità essere fondamento sufficiente ad un reclamo. Potremmo dolercene se la cessione di Gibuti fosse stata precisamente stipulata negli accordi di guerra vigenti tra i due Governi, ma ciò non è, e non dobbiamo farci l’illusione che il Governo francese si induca facilmente a quella cessione. Essa implicherebbe per esso numerosi svantaggi; 1) di rinunziare a qualsiasi azione ed influenza in Abissinia, solo Stato africano dove vi sia vita nazionale, e su tutta l’Africa orientale; 2) di perdere la sola base navale fra Tolone e l’Indocina; 3) di uccidere interamente quel commercio delle armi per tenere in vita il quale la Francia si è strenuamente battuta all’ultima conferenza di Bruxelles fino al punto di accettare, prima che cedere, l’isolamento completo, commercio che dà vita alle industrie della Loira e intorno al quale si imperniano larghissimi interessi parlamentari. Ci faremmo una pericolosa illusione se credessimo che il Governo francese si presterà di buona grazia a quella cessione e mentre il rimprovero che nei documenti comunicatimi si rivolge alla Legazione di Francia ad Addis Abeba prova che quella illusione viene da noi nutrita, dall’altra parte non esito ad ascrivere in parte le poco benevole disposizioni delle autorità di Gibuti e della Legazione di Francia ad Addis Abeba alla intenzione che ci si attribuisce, e che ha vivamente eccitato contro di noi i circoli coloniali francesi, di chiedere appunto la cessione di Gibuti.

Ho creduto necessario di chiamare riservatissimamente l’attenzione dell’Eccellenza Vostra su questa situazione attesoché gli interessi che abbiamo a dibattere con la Francia sono così vasti e complessi e le difficoltà che ne risultano così numerose, che credo ci convenga limitare i nostri richiami a questo Governo ai casi più gravi e nei quali concorrono elementi di fatto chiaramente specificati sui quali possiamo fondare i richiami stessi.

236 2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 915.

238

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 6777 OP. S.I. Abano, 19 aprile 1919, ore 4,40.

Per conoscenza si trasmette telegramma pervenuto dal generale Segre circa situazione Ungheria n. 6172 S.M. «Notabilità politiche ungheresi appartenenti partito ordine rappresentano situazione allarmante Ungheria e pericolo dilagarsi bolscevismo in casa affermantesi. Risulta regime terrore dominante, socializzazione completa beni privati, internamento personaggi notevoli, armamento proletariato. Governo austriaco e ungherese raggiungono ora perfetto accordo mai ottenuto cessata monarchia. Tale accordo fa temere comunità vedute e aspirazioni come già segnalato precedente rapporto. È notorio come armi munizioni partano giornalmente per Ungheria e come Vienna sia centro capo bolscevisti ungheresi con intensa propaganda. Governo ungherese ha emanato ordine mobilitazione generale uomini 20 ai 42 anni per costituire esercito rosso che risulterà superiore al contingente fissato da armistizio. In tali contingenze tutti sempre tutti danneggiamenti [sic] salvezza intervento immediato Intesa cui poche migliaia uomini basterebbero favorire controrivoluzione che avrebbe forza rovesciare attuale regime. In mancanza intervento chiederei almeno restituzione prigionieri ungheresi in Italia (come da relazione n. 8 inviata 2 marzo col 3125 S.M.)1. Stante necessità arrestare dilagarsi bolscevismo evitarne infiltrazione Italia avrebbero comunicarmi pensiero cotesto Comando per mia norma». Circa restituzione prigionieri ungheresi di cui è sopra cenno si fa presente che generale Segre nella relazione del 2 marzo ultimo scorso dava notizie esistenza in Ungheria associazione denominata «Move» avente scopo abbattere mediante colpi di mano Governo Károlyi e ripristinare monarchia. Facevano parte associazione ufficiali carriera simpatizzanti Italia. Si sperava per riuscita piano nell’intervento truppe Intesa e nell’organizzazione e restituzione prigionieri ungheresi in Italia quale truppa spedizione. Scelta nuovo monarca sarebbe caduta su duca degli Abruzzi. Generale Segre osservava che notizie dovevano essere completate ma non pervennero da allora a questo Comando altre informazioni che dessero affidamento reale esistenza schiera monarchica e possibile attuazione pratica progetto per cui questo Comando non ritiene che richiesta restituzione prigionieri debba essere presa in considerazione.

238 Trasmesso per conoscenza al Gabinetto della PCM e al Gabinetto del Ministero degli esteri con n. 4769 SP. dello stesso giorno.1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

239

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 19 aprile 1919, ore 19,45.

Oggi ha avuto luogo una lunghissima seduta di Consiglio dei quattro con intervento di Sonnino1. La riunione è durata sino alle due pomeridiane. Essa fu contrassegnata da una fiera opposizione di Wilson tanto contro l’assegnazione di Fiume quanto contro l’assegnazione della Dalmazia. Clemenceau e Lloyd George assistevano con una attitudine abbastanza impassibile. Avendo noi mantenuto con fermezza le nostre posizioni confermando la risoluzione nostra di rompere, Clemenceau e Lloyd George sono intervenuti infine dichiarando che essi avrebbero tenuto fede ai patti conclusi, ma che se l’Italia domandava anche Fiume, essi si sentivano sciolti dal contratto il quale non solo non comprendeva Fiume ma anzi l’attribuiva alla Croazia.

Io ho dichiarato che finora noi ci eravamo messi dal punto di vista di un trattato da eseguire; ma se la questione dovesse porsi in tali termini, io non avrei chiesto agli alleati più di quanto il loro trattato li obbligava. Aggiunsi però chiaramente che in tal caso si doveva intendere che non gli alleati ma la Conferenza della pace e quindi anche Wilson consentissero all’integrale esecuzione del Patto di Londra. Dichiarai che per l’esame di tale eventualità dovevo conferire coi colleghi della mia Delegazione, e così la riunione fu rinviata a domani alle dieci.

Questo sunto schematico non può dare alla Maestà Vostra neanche una lontana idea del tono violento e qualche volta drammatico che ebbe la conversazione. Tutti i colleghi della Delegazione da me consultati furono d’accordo nel ritenere che a noi non si presenta altra via di uscita che chiedere formalmente l’integrale adempimento del Patto di Londra, poiché è evidente che senza di ciò una nostra rottura, oltre le incalcolabili conseguenze che essa avrebbe, potrebbe anche farci apparire come dal lato del torto, liberando moralmente e giuridicamente i nostri alleati dall’impegno assunto. Resta ora a vedere quale sviluppo potrà avere questa nostra attitudine. Sembra impossibile che Wilson aderisca al Patto di Londra e in tal caso la difficoltà di trovare una via di uscita ricade sui nostri alleati. Vi è tuttavia da temere che la situazione eccezionalissima che verrebbe a crearsi per il dissenso tra Wilson e i nostri alleati si risolverà praticamente in una dilazione della questione, il che noi non potremmo accettare. I prognostici sono quindi assai difficili; ma la situazione nel suo complesso appare molto grave.

239 1 Vedi DD. 247 e 250.

240

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1394/459. Costantinopoli, 19 aprile 1919, ore 20,30 (perv. ore 14,30 del 20).

Majoni prega telegrafare quanto segue:

198. Telegramma di V.E. (...) e mio telegramma 1941. Potei avere notizie richieste da V.E. Concessione avuta dagli inglesi in Georgia non confermata in modo positivo: ad ogni modo si tratterebbe concessione per ricerche non esistendo in Georgia pozzi nafta già attivi attualmente (?). Lo stesso breve termine durata ne è prova. I tecnici mi dicono esservi scarsezza probabilità risultato soddisfacente sconsigliando quindi fare lo stesso in Georgia. Ad ogni modo sarebbe necessario agire in via privata senza fare risultare azione (?) R. Governo in considerazione spirito nazionalista popolazione già ostile Inghilterra che crea situazione pericolosa per le sue tendenze ultraestremiste. Invece potremmo ottenere concessioni Baku entrando far parte compagnia russa già esistente dipendente da (...) banca russa (?) disorganizzata per lo stato attuale delle cose in Russia e desiderosa perciò avere capitale straniero anche in massima parte o facendosi cedere concessioni da piccole compagnie locali esistenti. Anche Baku indispensabile agire via indiretta per non fomentare agitazione della quale approfitterebbero elementi bolscevichi locali. Popolazione vedrebbe volentieri nostra penetrazione pacifica commerciale. Un direttore generale e comproprietario di una grandissima società nafta verrà quanto prima in Italia. Segue rapporto.

241

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 1302. Parigi, 19 aprile 1919.

In risposta alla nota n. 3601 dell’8 c.m.1 prego di volermi far conoscere con maggiore precisione e maggiori dettagli quali concessioni di carattere politico economico potrebbero essere fatte ai croati allo scopo di attrarli verso di noi alimentando il loro dissidio con i serbi.

Circa la possibilità che, assegnata definitivamente Fiume all’Italia e stabiliti i nuovi confini, le truppe jugo-slave tentino qualche colpo di mano o contro Fiume stessa o contro qualunque altro punto della nostra linea, sarà da raccomandarsi ai comandi di porre la massima cura a che possa essere bene constatato e dimostrato

241 1 Vedi D. 152.

che la aggressione viene da parte degli jugo-slavi. Prima di tale momento è da evitarsi qualunque movimento e qualunque sia pure piccola azione di ricognizione che possa ad arte ed in mala fede essere interpretata come una nostra provocazione e sfruttata largamente ed ampiamente dalla propaganda jugo-slava2.

240 1 Non rinvenuto.

242

L’INCARICATO D’AFFARI A BUCAREST, AURITI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T.1639/176. Bucarest, 19 aprile 1919 (perv. il 7 maggio).

Richiamo attenzione di cotesto Ministero sull’articolo del giornale rumeno riassunto nel telegramma odierno 1751 nel quale tra l’altro si dice che qualora richieste dell’Italia di fronte jugoslavi non fossero soddisfatte ne deriverebbe per essa un «malcontento passeggero» che si crede potrebbe essere dimenticato anche in considerazione dell’interesse rumeno. Simili errori di apprezzamento, che possono essere non scevri da conseguenze, non sarebbero commessi qualora le cose d’Italia non fossero qui note, oltre che per rari nostri radiotelegrammi, per le esposizioni né veritiere né equanimi fattene dalla stampa estera e specialmente da quella di Parigi. Bucarest è piena da mesi di libri, riviste e giornali francesi che vi giungono celermente e regolarmente mentre mancano finora del tutto libri e riviste italiani. Quanto ai giornali vi sono soltanto quelli che in copia unica riceve R. Legazione con ritardo di tre, quattro

o più settimane. Una commissione di professori di questa Università, venuta a presentarmi un indirizzo d’ammirazione e riconoscenza per quella italiana, si è rammaricata che finora non si sia potuto ricominciare rapporti di cultura e che anche coloro che vogliono acquistare nostre pubblicazioni non ne trovino su questo mercato né sanno come farne venire dall’Italia. Anche vari librai mi hanno domandato in che modo potrebbero procurarsi pubblicazioni italiane di cui sono privi e ricevono richieste. Gli stessi giornalisti romeni più amici dell’Italia mi domandano periodici italiani importanti e recenti da cui poter trarre articoli da far pubblicare in questa stampa (mio telegramma n. 5046)2, e si meravigliano che il nostro paese, a differenza degli altri Stati e specialmente della Francia, trascuri opinione pubblica romena.

Occorre provvedere senz’altro indugio valendosi delle comunicazioni giornaliere ora stabilite coll’Italia mediante espresso Parigi-Bucarest che passa per Milano (mio telegramma n. 170)3. Bisogna che le nostre case editoriali riprendano qui le loro relazioni d’affari tenendo conto che il pubblico colto romeno ama leggere, è disposto spen

242 Il telegramma reca la data del 19 aprile ma fu effettivamente trasmesso il 2 maggio e pervenne a Roma il 7 maggio.

1 Non rinvenuto.

2 Non rinvenuto.

3 Non rinvenuto.

dere e conosce abbastanza l’italiano. Quanto alla riviste ed ai giornali, oltre agli altri da far qui pervenire a scopo commerciale, bisognerebbe che la R. Legazione ricevesse regolarmente anche un congruo numero di esemplari dei più importanti affine poterne fare per propaganda distribuzione gratuita ai giornalisti ed agli intellettuali romeni.

241 2 Con successiva nota 4720 SP. del 20 aprile Diaz assicurava di aver dato ai comandanti inzona di guerra le istruzioni desiderate; ma affermava che non rientravano nelle sue competenze eventualisuggerimenti sui provvedimenti di carattere politico ed economico da prendere.

243

L’INCARICATO D’AFFARI A BUCAREST, AURITI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1629/180. Bucarest, 19 aprile 1919 (perv. il 5 maggio).

Nell’articolo riferito col mio telegramma n. 1751, accennandosi alla sostituzione di truppe inglesi con le italiane in Dobrugia, si mostra preoccuparsi della possibile parzialità di queste verso i bulgari. Da parecchi si è rimproverato qui agli inglesi di cedere alle lusinghe di ristabilire relazioni (...) bulgari in Dobrugia e si richiede una confidente condotta dei nostri, tanto più in considerazione del passato e presente atteggiamento della Bulgaria verso l’Italia. Sarebbe opportuno, ove non sia già stato fatto, raccomandare al comando di quelle nostre truppe di vigilare acché sia mantenuto da esse un contegno che escluda ogni apparente parzialità verso gli uni o gli altri pure essendo naturalmente benevoli verso tutti. Qualunque opera anche (?) locale per rendere nei limiti delle presenti possibilità meno aspri rapporti fra due Stati in vista di una futura riconciliazione (...) può avere qualche possibilità riuscita soltanto se nei due paesi si forma la convinzione dell’imparzialità assoluta e dell’uguale simpatia dell’intermediario verso entrambi i contendenti.

244

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1074/153. Sofia, 19 aprile 1919 (perv. il 21).

Telegramma di V.E. 16 corrente n. 17301.

Subordinatamente al parere di V.E. mi sembra che mia posizione di fronte al generale Franchet e questo comando francese2 dovrebbe essere definita secondo concetto contenuto nel mio telegramma 5 del 26 dicembre scorso3. In mia questione con

243 Il telegramma reca la data del 19 aprile ma fu effettivamente trasmesso il 2 maggio e pervenne a Roma il 5 maggio.1 Non rinvenuto.

2 Sulla questione vedi D. 156.

3 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

cernente comando truppe potrebbe venir stabilito coi Governi britannico e francese che questione d’ordine politico e economico dovrebbe essere eventualmente trattata col Governo bulgaro non per solo mezzo generale Franchet e rappresentante suo generale Chrétien ma bensì d’accordo fra i medesimi e alto commissario italiano; lo stesso per questione d’ordine misto politico e militare come per esempio controllo passaporti e ferrovie, censura, smobilitazione truppe bulgare, sorveglianza alle frontiere ed altro che potesse avere influenza diretta od indiretta sull’assetto politico territoriale della Bulgaria. In altri termini, considerando che Francia e Gran Bretagna non hanno creduto nominare in Bulgaria i loro alti commissari come a Costantinopoli, con analoghi poteri si potrebbe considerare generale Franchet o chi per lui investito di analoghe competenze a parità dell’alto commissario italiano in Bulgaria. Così nel-l’eventualità di cooperazione militare della Bulgaria contro bolscevichi e in aiuto della Romania ogni trattativa per la sua indole prevalentemente politica dovrebbe aver luogo non per solo tramite di Franchet o del suo rappresentante generale Chrétien, bensì coll’intervento diretto ed a parità dell’alto commissario italiano. Ciò non sembra possa esserci negato da comando francese con palese diminuzione del nostro prestigio. Nel mio telegramma 105 del 19 marzo4 ho riferito a V.E. come generale Franchet pretende non riconoscermi altra qualità se non quella di agente informatore del R. Governo. Ecco, se non erro, questione che conviene chiarire. Ciò eviterebbe dannose incompatibilità soprattutto se io dovessi incontrarmi col generale Franchet e si eviterebbero tentativi tendenziosi come quello del comando francese di impossessarsi della ferrovia di Dede Agatch o di fare entrare truppe elleniche in Bulgaria sotto falso pretesto. Mi adopererò (...) con espedienti d’ogni genere colla massima circospezione per regolare sul posto numerose questioni, ma ciò sarebbe in certa ipotesi impossibile vista la ben nota improntitudine del generale Franchet. Ieri, per esempio, dovetti intervenire presso Governo bulgaro per ottenere venisse revocato un ordine francese per cui l’uso della lingua italiana era escluso nel servizio telegrafico locale mentre erano accolte lingue francese inglese e ciò a rischio di mettermi in conflitto coll’Alto comando francese che vorrebbe negarmi ogni competenza5.

5 Su richiesta di Sonnino (T. Posta 1374 del 25 aprile), Bonin intervenne presso Pichon perché ad Aliotti venisse riconosciuta dal comando militare francese la posizione indipendente di altocommissario italiano.

244 1 Non rinvenuto.

244 4 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

245

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1062/506. Vienna, 19 aprile 1919 (perv. il 20).

Capo missione militare inglese ha rinnovato a questo Governo dichiarazione che in caso agitazioni rivoluzionarie invio viveri sarebbe stato sospeso. Governo ha fatto pubblicare tale dichiarazione mediante affisso nelle strade. Missione militare italiana essendo stata avvertita che fucili e munizioni venivano esportati in Ungheria fece rimostranze in proposito al Governo il quale non fu in grado escludere il fatto asserendo però Governo essere ad esso estraneo e trattarsi di armi sparse nel paese. Pare però che vengano esportati anche cannoni ed in ogni caso Governo diede prova di tolleranza che non avrebbe dovuto verificarsi. Di fronte avvertimenti missione Governo promise avrebbe provveduto1.

246

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. POSTA 576 RIS. Berna, 19 aprile 1919 (perv. il 23).

Telegramma di V.E. n. 7420 del 2 aprile1.

Tutti i servizi d’informazione alleati sono d’accordo nel ritenere che il Governo tedesco stia facendo i più grandi sforzi, a mezzo anche dei suoi rappresentanti diplomatici nei paesi neutrali, per propagare la rivoluzione negli Stati dell’Intesa2. Può quindi essere considerata attendibile la notizia riferita nel telegramma-posta succitato, sebbene riesca difficile controllare da qui se effettivamente la grande industria tedesca si sia attribuito il compito di finanziare il movimento bolscevico in Italia.

L’attività degli organi di propaganda tedesca è seguita con la più grande attenzione dagli uffici dipendenti, e la R. Legazione non mancherebbe di segnalare prontamente al Governo federale, per gli opportuni provvedimenti, quei fatti che risultassero provati.

2 Vedi D. 62.

245 1 Con T. 1067/507 dello stesso giorno Macchioro dava poi notizia di un altro intervento pressoil Governo di Vienna in merito all’espulsione di profughi della borghesia e dell’aristocrazia ungherese,giudicata non conforme ai principi del diritto.

246 1 Non rinvenuto.

247

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 19 aprile 1919.

RIUNIONE WILSON, LLOYD GEORGE, CLEMENCEAU, ORLANDO, PRESENTE ANCHE IL BARONE SONNINO, DEL 19 APRILE 1919.

A richiesta del signor Lloyd George e del presidente Wilson intervengono anche, in funzione di segretari, il conte Aldrovandi e il colonnello Hankey.

Wilson — La discussione potrebbe essere aperta dal signor Orlando.

Orlando — Debbo fare una dichiarazione generale sulle questioni italiane?

Wilson — Sì.

Orlando — Considero la questione italiana sotto lo stesso punto di vista dei principi con cui sono state presentate le altre rivendicazioni. Poiché una delle potenze qui rappresentate, ossia gli Stati Uniti, non ha preso parte al Trattato di Londra, come la Francia e l’Inghilterra, considero, ora, le questioni italiane fuori di ogni obbligazione di trattato. Le tre rivendicazioni italiane sono ben precise e hanno analogia con quelle decisioni che sono state prese a riguardo di altre potenze. Mi propongo di fare una comparazione tra le rivendicazioni italiane secondo i principi suddetti e le applicazioni di essi:

1) L’Italia chiede in primo luogo l’annessione di tutti i territori che sono al di qua di tutta la frontiera che la natura ha dato all’Italia. L’Italia è un paese nettamente determinato dalla natura come pochi altri ve ne sono in Europa se non forse la Spagna e la Scandinavia. Il mare la circonda da due parti, al nord la dividono dal resto dell’Europale più alte montagne del nostro continente. È così che noi domandiamo questa linea di frontiera che è la nostra frontiera naturale. Domandiamo cioè il displuvio delle Alpi. Al di qua di questa linea vi sono delle popolazioni che non sono di nazionalità italiana. Non lo nego. Non farò questione del numero degli allogeni che rimangono nella parte italiana. Tutti quelli che ne hanno parlato alla Conferenza hanno dichiarato che le statistiche austriache sono false; a questo proposito forse la dichiarazione più violenta è stata fatta dagli jugoslavi. Potremmo provare, con documenti di cui l’incontestabilità è assoluta, che questi documenti austriaci sono stati falsati contro l’Italia. Ma non è cosa da discutersi ora. Non si tratta di constatare che vi sia qualche centinaio di migliaia di stranieri più o meno. Tutte le volte che ci siamo trovati nella necessità di creare uno Stato abbiamo riconosciuto che il fatto della coesistenza di più razze non era una ragione per costruire frontiere a zig-zag, per costituire Stati a forma di pelle di leopardo, per negare ad una nazione la sua frontiera naturale. Non si tratta ora che di fare questa applicazione all’Italia. Ora non faccio dimostrazioni analitiche, non trattandosi qui che di fare una dimostrazione sintetica. L’Istria non può essere divisa; essa forma un tutto omogeneo ed organico inseparabile; se fosse applicata all’Istria la divisione

247 Riunione a.m. del 19 aprile del Consiglio dei quattro. Il testo presenta numerose correzionimanoscritte. Cfr. ALDROVANDI, pp. 221 sgg.; FRUS, vol. V, pp. 80 sgg.; MANTOUX, vol. I, pp. 277 sgg.

che è stata proposta, se ne renderebbe impossibile la difesa. Trieste sarebbe sotto il tiro del cannone nemico. L’Istria costituisce una unità, come risulta al primo sguardo su una carta geografica. Anche applicandosi all’Istria e a tutte le nostre aspirazioni il principio suddetto della frontiera naturale che includa stranieri, l’Italia avrà una quantità di popoli di razza diversa della propria molto inferiore a quella che viene attribuita a tutti gli altri paesi. La Polonia che ha 25.000.000 di abitanti, incorporerà da

1.800.000 a 2.000.000 di tedeschi. L’Italia ricevendo tutto ciò che domanda avrà circa

600.000 stranieri di fronte a 40.000.000 di abitanti. La Romania avrà un grandissimo numero di ungheresi; della Serbia non occorre parlare. Gli czechi si annettono fra due e tre milioni di stranieri, di ungheresi e tedeschi su una popolazione di circa 10 milioni. L’Italia crede essere così nel suo diritto domandando la frontiera che Iddio le ha dato. Se fra il territorio della Francia ed il Reno vi fossero solo 400.000 o 500.000 tedeschi ciò non sarebbe stata una ragione che avrebbe dovuto arrestare la Conferenza per dare un grande fiume alla frontiera della Francia.

2) Il secondo punto è relativo a Fiume. Potremmo credere che la questione di Fiume è risolta da ciò che noi chiamiamo frontiera naturale. I romani chiamavano il monte Nevoso «Limes italicus» ed esso comprendeva Fiume. Per Fiume ci appelliamo al principio della auto-decisione dei popoli. Vi è il fatto storico che, indipendentemente da ogni azione dell’Italia, la questione di Fiume è sorta prima della conclusione dell’armistizio. Il deputato di Fiume, elettovi all’unanimità, faceva il 18 ottobre al Parlamento ungherese una dichiarazione per cui dichiarava che Fiume, città autonoma, data la latente dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, rivendicava la sua unione all’Italia. Per ciò che riguarda Fiume la questione non è stata sollevata dall’Italia ma è stata sollevata dalla città stessa di Fiume. L’Italia ha lo stretto dovere di suffragare e sostenere questa domanda che corrisponde al diritto dell’auto-decisione dei popoli. Si può presentare qui l’obiezione che il principio dell’auto-decisione non è possibile venga applicato a piccoli nuclei come è quello di Fiume. Ciò si potrebbe dire con ragione, se fosse considerata Fiume come unità a parte, isolata, all’infuori del confine naturale; ma se si considera che Fiume ha da molti secoli una storia ed una libertà che gli è propria, si deve affermare che Fiume costituisce una singolare e notevole eccezione, allo stesso modo che la tradizione popolare darebbe a S. Marino il diritto all’auto-decisione. Ma, a parte ciò, vi è la questione economica. Vi è il precedente di Danzica. Per Danzica non abbiamo ammesso la domanda dell’annessione di essa alla Polonia, e ciò per rispetto alla prevalenza della razza tedesca. Per Danzica non abbiamo fatto prevalere il principio economico al principio nazionale. Se per Fiume si stabilisse che si dovesse farne una città libera come Danzica, in Italia si potrebbe dire che per i tedeschi fu fatto un trattamento più amichevole che per gli italiani. Per Danzica si avevano circostanze ancora più gravi. La Polonia non aveva altro sbocco, mentre la Jugoslavia ne ha molti. Infatti il vero porto della Jugoslavia non è Fiume né può essere Fiume. La Jugoslavia ha certamente altri sei o sette porti e centinaia di chilometri sul mare. Vi era una ragione speciale per concedere alla Polonia Danzica mentre per la Jugoslavia questa ragione non v’è. Danzica non può servire che alla Polonia, mentre Fiume non serve alla Jugoslavia che in modo concorrente. Il movimento del porto di Fiume in relazione alla Croazia è del 7 per cento. Ho letto sui giornali che Trumbic ha affermato che esso invece è del 50 per cento. Benché io fossi certo della mia affermazione ho chiesto informazioni suppletive alla Camera di commercio di Fiume e di là mi hanno risposto che il movimento è del 7 per cento. Ma sia il 7 per cento od anche l’8 od anche il 15, il fatto principale si è che Fiume non serve precipuamente la Jugoslavia ma invece l’Ungheria, la Galizia e la Boemia. Se, nonostante questo principio, non si dà Fiume all’Italia si potrà dire, ripeto, in Italia, che il nemico è stato trattato meglio dell’amico. Desidero aggiungere una piccola prova di questa indipendenza storica di Fiume. Nello stemma araldico dell’Austria-Ungheria, dove vi sono delle sezioni rappresentanti i vari domini degli Asburgo, le armi di Fiume vi figuravano. Ciò che dimostra come, in uno Stato feudale come l’Austria che dava importanza a manifestazioni di questo genere, Fiume era assolutamente considerato come un ente a parte, come uno Stato nello Stato.

3) Il terzo punto si riferisce alla Dalmazia1.

Sonnino — E le isole.

Orlando — Quando parlo di questi territori parlo sempre delle isole, così quando parlo dell’Istria parlo delle isole di Cherso e di Lussin che hanno carattere largamente italiano. Per la Dalmazia vi è il primo argomento che è di ordine strategico. Non importa essere un marinaio per sapere che la costa italiana è alla mercé di ogni attacco che venga dall’altra sponda. La situazione è tale che se si consentisse alla potenza che detiene l’altra riva dei semplici mezzi di polizia ed anche se questi fossero ridotti al minimo, vi sarebbe sempre per parte sua possibilità di bombardare le città italiane e riguadagnare incolumi i loro sicuri ancoraggi. Una carta geografica può mostrarvi come ciò possa farsi con facilità e sicurezza. La guerra attuale l’ha provato. L’Intesa ha avuto un’assoluta signoria del mare, ma essa non ha avuto nessuna signoria dell’Adriatico. Nonostante la schiacciante superiorità che aveva la Marina italiana rinforzata con elementi francesi ed inglesi, noi abbiamo avuto le nostre città alla mercé dei bombardamenti nemici senza potervi opporre alcun riparo. La cosa è evidente di per sé. L’Italia non sarà mai sicura se non avrà una base difensiva nel mezzo dell’altra sponda. Ma per la Dalmazia, la ragione strategica non è la sola. Noi abbiamo una ragione nazionale e storica che non può non avere un’influenza decisiva nelle deliberazioni relative alla Dalmazia. Vi sono dei momenti in cui non ci si può ribellare alla ragione storica. Dalle origini della storia fino a Campoformio la Dalmazia è stata unita all’Italia, prima come parte dell’Impero romano, in seguito come parte di Venezia. E ciò deriva da un fatto naturale, perché le sue montagne la separano dal territorio ad oriente onde tutta la cultura dalmata gravitò fatalmente verso l’Italia. La Dalmazia è stata italiana fino agli ultimissimi tempi. Fino al 1881 la maggioranza della Dieta dalmata fu italiana. Non si dirà che noi risaliamo ai secoli scorsi per basare il nostro diritto storico. In un documento austriaco del 1887 trovato a Zara, di cui ho già dato copia al presidente Wilson, si trovano le seguenti statistiche circa la lingua ufficiale (Dienstsprache) di 84 comuni dalmati: 59 comuni usavano esclusivamente l’italiano, 25 usavano le due lingue. Da questa sorgente austriaca risulta così che in più che la metà delle comunità dalmate nel 1887 la lingua era italiana. Anche oggi a Zara, a Traù, a Spalato vi è forse maggioranza italiana. Si tratta insomma di una italianità fiorente. Sarebbe possibile, dopo tutti i sacrifici della guer

ra, che l’Italia vedesse questa italianità sottomessa alla distruzione? Ciò che l’Italia domandò, in via transazionale, era solo una piccola parte della Dalmazia, lasciando agli jugoslavi Cattaro, Spalato, Ragusa. Crediamo essere molto moderati se domandiamo di attenerci a quella transazione.

Wilson — Secondo ciò che era stato concordato con Orlando, io ho parlato delle cose italiane con lui e con i suoi colleghi separatamente ed ho detto a tutti le stesse cose. Sono ora obbligato ad insistere su quello stesso punto di vista. Io ho avuto il privilegio di parlare in nome degli associati quando si sono cominciate queste trattative di pace. In quel tempo furono fatte delle dichiarazioni specifiche riguardo ai principi sui quali si sarebbe basata la pace con la Germania. Ma come si possono avere principi diversi per la pace con la Germania da quelli della pace con l’Austria, con la Bulgaria e con la Turchia? Occorre agire ovunque nello stesso modo, dobbiamo cercare una stessa base. Tutta la questione si riduce a ciò: noi ora cerchiamo di impostare una base di pace quale non fu mai fatta nei secoli. Dobbiamo stabilire una base interamente nuova nelle relazioni internazionali. Non c’è mai stata né fu mai posta questione più grande di questa. Nessun uomo di Stato ha mai negoziato con maggiori preoccupazioni o intrapreso di fare degli accordi di questa specie. Esistono argomenti che debbono essere messi da parte: fra questi le considerazioni strategiche ed economiche. La natura ha fatto i confini naturali come il signor Orlando ha notato a proposito della Spagna e della Scandinavia. Le montagne non dividono solo le acque ma le nazioni. Non ho difficoltà per quanto riguarda la questione dei confini dell’Italia quali sono stati indicati nella prima parte del discorso del signor Orlando. Le cime sono facilmente riconoscibili. Ed il confine d’Italia risulta per esse determinato in una regione che comprende Trieste, Pola ed il più dell’Istria. Non ho difficoltà di accettare le vedute dei rappresentanti italiani. Ma quando vado più a sud m’incontro in un argomento opposto. Ci troviamo di fronte ad un’altra unità nazionale derivante da un altro spartiacque.

Ciò mi porta alla questione di Fiume. Le fortune di questa zona prima della guerra erano unite alle fortune dell’Austria-Ungheria. Essa era governata da uomini che avevano lo stesso spirito dei tedeschi e non erano che lo strumento effettivo in mano dei tedeschi. Se la guerra fosse stata conclusa in modo diverso le conseguenze sarebbero state diverse. Se l’Impero austro-ungarico non fosse andato in isfacelo non vi sarebbe stata questa difficoltà. Ma esso è scomparso. Ora è parte della scienza della situazione odierna che noi dobbiamo creare nuove relazioni tra i popoli che erano già sottomessi ad un ordine politico quale era quello predominante nell’Impero austro-ungarico. Noi dobbiamo eliminare i dissidi che erano coltivati invece prima d’ora. Quando cercavamo di staccare gli jugoslavi dall’Impero austro-ungarico li trattammo come amici. Non possiamo ora trattarli come nemici. Orlando ha parlato di Fiume come se fosse un interesse prettamente italiano e jugoslavo. Fiume è certo importante per gli jugoslavi; ma, qualunque sia la proporzione degli interessi jugoslavi in confronto al movimento globale del porto, esso era specialmente un porto internazionale che serviva alla Romania, Ungheria e Czeco-Slovacchia. Lo stesso Orlando ricordava che l’Ungheria aveva le sue principali relazioni con Fiume. L’Ungheria si serviva dell’elemento italiano in Fiume per fronteggiare la popolazione circostanteslava. È perciò che essa indulgeva alla autonomia di Fiume.

Sonnino — L’autonomia è cosa antica.

Wilson — Lo so, ma io ho detto che indulgeva. Ho alcune osservazioni da fare circa quanto ha detto l’onorevole Orlando per i principi che avremmo applicato a proposito della sovranità di Danzica. Ora, per quanto riguarda Danzica è stato deciso che essa venga separata dalla sovranità sotto cui si trovava, mentre qui si tratterebbe di estendere a Fiume una sovranità che esso non aveva.

Gli argomenti economici e strategici sono contrari alle decisioni che abbiamo preso. Gli uni e gli altri avrebbero condotto a riunire Danzica con la Polonia; invece, per mantenere l’integrità dei nostri principi, noi abbiamo precisamente rinunziato ad una frontiera strategica costituendo una linea interamente irregolare; così in altri luoghi abbiamo rifiutato di ignorare ragioni nazionali in relazione a considerazioni strategiche. Così non prevalsero le ragioni economiche per le domande fatte dai rappresentanti belgi e negammo loro una sezione che sarebbe stata loro utile per un raccordo ferroviario e ciò in relazione alla popolazione tedesca. Debbo dire francamente che mettere Fiume sotto il Governo italiano sarebbe una decisione assolutamente contraria al nuovo principio su cui noi vogliamo basare l’ordine internazionale. Che cosa dobbiamo fare? Il punto principale da tener presente è che Fiume serviva alcommercio della Czeco-Slovacchia, Ungheria, Romania come della Jugoslavia. Èquindi necessario di stabilirne il libero uso come porto internazionale. È incontestabile che la popolazione di Fiume non forma che un’isola, non essendo unita all’Italia da un’interposta popolazione italiana. Assegnare Fiume all’Italia sarebbe un atto arbitrario così contrario ai principi che seguiamo che io per primo non potrei concorrervi. Circa la Dalmazia devo osservare che le ragioni su cui il barone Sonnino basò le sue argomentazioni quando giunsi a Parigi sono le ragioni strategiche. Anche in questo caso accettiamo il nuovo principio o no? Nel nuovo ordine di umanità noi dobbiamo unire i nostri sforzi per assicurare la integrità territoriale e per la indipendente vita economica. Non posso immaginare una flotta jugoslava che sotto il regime della Lega delle Nazioni possa minacciare l’Italia.

L’unico rischio sarebbe un’alleanza stretta con qualche altra potenza allo scopo di attaccare l’Italia. Per questo riguardo osservo che la ingerenza ed il controllo delle grandi potenze deve scomparire nei Balcani. I Balcani hanno finora costituito una posta nel giuoco europeo. Costantinopoli era il centro notorio degli intrighi che vi ordivano le grandi potenze e che costituivano una grande perpetua minaccia. Nei Balcani stessi non vi era indipendenza. Le grandi potenze ed in specie Berlino decidevano quello che vi dovesse avvenire. Perciò io sono contrario a dare a qualsiasi potenza europea un piede nei Balcani. Se lo ammettessimo ciò sarebbe fatale. Noi dobbiamo togliere di là qualsiasi occasione di intervento alle grandi potenze. L’argomento strategico è ben pericoloso. Sono stati i militari che hanno fatto il trattato del 1815 e del 1871; e sono stati responsabili per l’Alsazia Lorena. Sono stati i militari che hanno condotto da un disastro all’altro. Sarebbe dannoso alla pace del mondo se l’Italia dovesse avere un possesso nella parte orientale dell’Adriatico. Noi stiamo organizzando una grande associazione internazionale di cui l’Italia è parte ed anzi una delle parti dirigenti. Se le occorre anche un privilegio strategico ciò è un altro conto. Vi sarebbero così due regimi, l’antico ed il nuovo. Nella mano destra essa terrebbe il nuovo principio nella sinistra [l’antico]. Non mi è possibile guidare questa pariglia. Il popolo americano non lo sopporterebbe. Sono disgustati di questo antico ordine di cose. Non solamente l’America ma tutto il mondo ne sono stanchi. Non sosterrebbero un Governo che lo appoggiasse. Talora noi parliamo in questa stanza come se fossimo i padroni dell’Europa, e noi siamo in ciò infantili. Se il nuovo ordine di idee non è correttamente interpretato ne deriverà al mondo un tragico disservizio. Io faccio vive raccomandazioni ai miei colleghi italiani su questo punto di vista. Io cerco di essere il loro amico, il loro intelligente amico. Non servirei l’Italia se aderissi ai loro desideri. Io lascio la storia giudicare se io l’abbia servita meglio o se la servano meglio essi appoggiando ed insistendo nelle loro rivendicazioni su Fiume e la Dalmazia. Io sono staccato dall’Europa. Io sono nato tremila miglia lontano da qui e vi ho vissuto il più della mia vita. Vi fu un tempo in cui io non mi curavo minimamente (a snap of the fingers) di ciò che avveniva in Europa. Ora però l’America ha avuto questo privilegio di assistere l’Europa nel creare un nuovo ordine. Io debbo condurre il compito fino in fondo. Per raggiungere questo scopo io posso condurre il popolo americano a dare ogni sua risorsa, altrimenti no. Ricorderò ai miei colleghi italiani che, se non vi arriverò, non vi è niente da aspettare dal popolo americano. La questione di Fiume è sorta negli ultimi tempi. Fiume è sola un’isola di popolazione italiana. Se si dovesse giudicare per Fiume in base alla autodecisione, ciò dovrebbe avvenire in molte altre parti del mondo. Alla Boemia ed alla Polonia abbiamo assegnato i confini storici. Fiume non sta nei confini storici dell’Italia.

Sento la solennità del momento e devo parlare con tutta la gravità che è necessaria. Ho abbordato questo soggetto nello spirito più amichevole. Le conclusioni cui sono giunto sono le conclusioni di uno che vuole servire gli interessi italiani e non di uno che vuole combatterli.

Sonnino — Mi riferisco al punto nel quale il presidente ha detto che io ho dato ragioni strategiche per l’assegnazione della Dalmazia all’Italia. Il presidente ha detto che egli non potrebbe ammettere queste ragioni strategiche per lo stabilimento del nuovo ordine. Debbo dire che noi non abbiamo chiesto mai condizioni di vantaggi strategici per qualsiasi eventuale offensiva, ma unicamente condizioni indispensabili di difesa. Non abbiamo aspirazioni aggressive verso nessuno, ma unicamente il desiderio di riparare al fatale destino riservato fin qui all’Italia, di essere aperta a tutte le aggressioni altrui. Anche con le garanzie teoriche di una Lega delle Nazioni una piccola flotta avversaria potrebbe annidarsi dietro le isole dell’altra costa dell’Adriatico, e di là sfidare qualsiasi Lega delle Nazioni. Ciò è stato provato anche durante l’attuale guerra. Se la flotta dell’Intesa avesse potuto incontrarsi con la flotta austriaca essa la avrebbe certamente distrutta, ma non lo poté, nonostante la sua grande superiorità unitaria. Se non si attribuisce all’Italia la costa che richiede, ciò significherebbe lasciare aperta una tentazione a chi voglia attaccarla, e sarebbe anche una tentazione all’Italia di fare la guerra per levarsi una volta per sempre definitivamente da una talesituazione di pericolo e di inferiorità. È certo che per quanto la Lega delle Nazioni possa creare una situazione analoga a quella dell’interno di uno Stato civile in cui soccorrono alla difesa del cittadino i tribunali e la polizia, voi dovete dare al cittadino il modo di chiudere la porta. Questa è la nostra situazione e non possiamo fare a meno di quanto chiediamo.

Circa i Balcani noi abbiamo tutto il proposito di tenerci fuori dalle loro questioni. La Dalmazia, specialmente la parte nordica che chiediamo, è assolutamente fuori dei Balcani. Tutte le sue relazioni economiche e di cultura gravitano verso la parte italiana dell’Adriatico. Ciò spiega perché l’elemento italiano si è difeso in condizioni di governo assolutamente a lui avverse; ciò spiega come abbia potuto mantenersi in vita a Zara, Sebenico, Spalato. Fino al 1859 e al 1866 gli elementi italiani in Austria erano abbastanza numerosi perché il loro rispetto potesse rappresentare anche un interesse parlamentare per il Governo centrale. Dopo la perdita della Lombardia e del Veneto essi furono perseguitati perché, ridotti di numero, contavano troppo poco di fronte alla pressione slava. Nonostante queste condizioni sfavorevoli, il nostro popolo trovò forza di resistere grazie alle imprescindibili relazioni di quelle contrade con la sponda italiana.

Dopo una guerra così piena di enormi sacrifici e dolori, dove l’Italia ha avuto

500.000 morti e 900.000 mutilati, non è concepibile dover ritornare ad una situazione peggiore di prima, perché la stessa Austria-Ungheria, per impedire l’entrata dell’Italia in guerra, ci consentiva alcune isole della costa dalmata. Voi non vorreste darci nemmeno questo. Ciò sarebbe cosa inspiegabile per il popolo italiano. L’Italia non comprenderebbe perché è entrata in guerra. Sarebbe un delitto contro il popolo italiano. Avrei il grande rimorso di avere, colla politica seguita verso gli alleati, danneggiato il mio paese, cui sono pronto a dare la mia vita e tutto.

Voi parlate di Lega delle Nazioni. Ma essa non può fare tutto né sistemare tutto. Vorrei vedere come la Lega delle Nazioni può servire ad accomodare le cose della Russia. Come possiamo avere fiducia in lei, finché non si sia dimostrata pienamente efficiente? Ciò richiede tempo. Né basta per ciò fare un decreto od un trattato; ma occorre cambiare tutto il modo di pensare e di sentire dei popoli. Accettare l’assetto da voi proposto alle cose nostre sarebbe un delitto. La responsabilità che assumeremmo sarebbe enorme. L’Italia fu richiesta di assumere grandi responsabilità per garantire la posizione degli altri, e non ricevette nulla per sé.

Wilson — Anche voi avete ricevuto queste garanzie.

Sonnino — Non siamo garantiti, come vi ho spiegato. Dall’altra parte dell’Adriatico noi confiniamo con popoli balcanici eccitabili ed intriganti, abili ed esperti nel falsare documenti eccetera. La Lega delle Nazioni non ha, inoltre, alcuna forza sotto il suo diretto controllo.

Wilson — Voi parlate di un tempo in cui i Balcani erano in altre condizioni e le grandi potenze se ne servivano per i loro disegni.

Sonnino — Voi non sapete che cosa saranno i Balcani fra 5 o 10 anni. Ho creduto di fare unicamente ed interamente il mio dovere. Mi vorreste dimostrare che ho fatto invece il danno del mio paese.

Lloyd George domanda se si deve proseguire la discussione, poiché tanto egli che Clemenceau devono esporre il punto di vista di chi è legato da un trattato.

Clemenceau — Credo preferibile continuare, se voi sarete breve, come conto di esserlo io. Il discorso che doveva essere fatto da parte del signor Lloyd George e da me è stato fatto dal presidente Wilson. Noi stiamo compiendo una impresa azzardosa ma nobile. Stiamo cercando di distaccare l’Europa ed il mondo dall’antico ordine che ha condotto agli antichi conflitti e finalmente alla guerra attuale, che è stata la più grande ed orribile di tutte. Ma non è possibile cambiare tutta la politica del mondo di colpo. Ciò si applica tanto alla Francia che all’Italia. Si deve ricordare che quando l’Italia era in un’altra orbita io rimasi sempre amico dell’Italia. Sarei pronto a fare concessioni ai nostri alleati. Sono un popolo che ha meritato bene dell’umanità e della civiltà, ed io debbo ricordarlo in quest’ora tragica per essi, per le conseguenze che può avere. Wilson ha dato argomenti molto potenti. Francia ed Inghilterra hanno le mani legate. Abbiamo un trattato che ci lega. Un accordo è stato concluso a Londra. Io non partecipavo al Governo che lo concluse, ma esso porta la firma della Francia. Quel trattato dà la Dalmazia all’Italia, e questo è un fatto che non può dimenticarsi. Tuttavia nello stesso trattato Fiume è assegnata alla Croazia. In quel momento l’Italia non aveva pretese su Fiume. Essa lo dava ai croati. Il signor Barzilai mi ha esposto l’argomento che da allora l’Austria è scomparsa, ciò che modifica la situazione. Ciò è vero ma tuttavia l’Italia ha firmato un documento che assegna Fiume alla Croazia. Sono stupefatto che l’Italia reclami con la Dalmazia, che le abbiamo dato, anche Fiume che essa ha concesso ai croati. In queste condizioni nonvi è più trattato. Le firme non contano più. È impossibile che l’Italia reclami una clausola del trattato e ne cancelli un’altra. Sarebbe deplorevole che gli italiani cercassero questo pretesto per romperla con gli alleati. Credo che i nostri amici italiani facciano un atto sbagliato, non credo che servano bene la loro causa e la causa della civiltà. Noi francesi abbiamo avuto, come più volte ho detto, a dolerci del trattamento fattoci dagli italiani in Adriatico. Ma quei momenti sono passati. Ora occorreva traversare un altro periodo critico. Dovremo subirne tutte le conseguenze. Non posso parlare senza un senso di grande emozione al pensiero che questi popoli che hanno combattuto per anni insieme debbano separare la loro causa. Soffriremo molto se saremo abbandonati. Ma l’Italia ne soffrirà di più.

Orlando — Senza dubbio.

Clemenceau — Se i plenipotenziari italiani partiranno, auguro che vi sia una forza di ragionamento che li riconduca verso di noi. Spero che faranno un ulteriore sforzo per giungere ad un accordo. Il mio cuore fu sempre con l’Italia, con la sua grande e nobile storia e riconosco gli immensi servigi da lei resi alla civiltà. Ma c’è un dovere che parla più alto. Non possiamo abbandonare i principi che sono quelli della civiltà. L’Italia ha la nostra parola. Ma se io mantengo la mia parola esigo che quelli con cui io cammino la tengano essi pure. La Francia non può aderire ad una clausola di un trattato e rifiutarne un’altra.

Orlando — Debbo fare una dichiarazione a proposito delle domande dell’Italia. Io avevo dichiarato al principio della seduta di oggi che intendevo discutere sulla base dei principi del presidente Wilson, nell’ipotesi che non si dovesse considerare il Trattato diLondra. Dicevo in ipotesi. È evidente che il giorno, che il momento che io dovessi domandare la pura esecuzione del Trattato di Londra non potrei domandare Fiume in base ad esso. Circa il resto, nell’angoscia profonda che è nel mio cuore, trovo la forza di protestare contro l’ipotesi che nel nostro atteggiamento possa avere qualsiasi influenza un supposto desiderio di popolarità od entusiasmo. L’entusiasmo che sorgerà in Italia avrà altri moventi. [Io comprendo] intieramente la tragica solennità dell’ora. Per l’Italia vi sono due metodi di morte: o limitare le sue domande al Trattato o separarsi dai suoi amici e restare isolati nel mondo. Se io dovessi scegliere preferirei la morte con onore. Quando Enrico III ebbe fatto assassinare il duca di Guisa, veduto il cadavere esclamò «Non credevo egli fosse sì grande». L’Italia come cadavere sarebbe ancora così grande che io auguro la sua dissoluzione non avveleni gli amici ed il mondo.

Lloyd George — Dirò poche parole. Non ho nessun argomento nuovo da presentare; ma la situazione è così grave che desidero esprimere il punto di vista dell’Inghilterra che è, essa pure, firmataria del Trattato di Londra. Il punto di vista inglese è conforme a quello francese. Firmammo il Trattato, sono nella stessa situazione del signor Clemenceau. Riconosco la forza degli argomenti del presidente Wilson ma osservo che, se avessimo avuto scrupoli circa le richieste italiane, essi dovevano essere espressi prima che l’Italia avesse perduto mezzo milione di vite eroiche. Nonho ragione di esprimere dubbi ora, dopo che l’Italia ha partecipato alla guerra. È perciò che io dico all’Italia che l’Inghilterra sta al Trattato che essa ha firmato; ma sta a tutto il Trattato. E nel Trattato Fiume è assegnato alla Croazia. Ciò è noto alla Serbia. Come possiamo rompere una parte del Trattato e tener fermo per l’altra?

Per quanto riguarda il principio dell’autodecisione occorre osservare che o non si applica per niente o occorre applicarlo a tutto il territorio da Trieste a Spalato. Non è questo che si propone. Per quanto riguarda l’autodecisione di Fiume anche essa è dubbia, perché se è indubbia la maggioranza italiana della popolazione della destra del fiume non è più così se si conta con lei la popolazione dell’altra riva2.

Sonnino, interrompendo — La maggioranza sarebbe anche in questo caso italiana.

Lloyd George — Il signor Orlando ha accennato alla necessità di non avere l’Istria dimezzata per poter difendere Trieste; ma come si porrà il problema della difesa di Fiume se vi arrestate alla riva destra e si assegna il resto alla Jugoslavia? Non so su quali principi si possa dare Fiume all’Italia. Ciò contravverrebbe ai principi che abbiamo applicati alla Polonia e alla Francia. L’Italia ha perduto centinaia di migliaia di valorosi cittadini, ma la Francia ne ha perduti ancora di più. E ciò è avvenuto perché il nemico per invaderla era in possesso del Reno e non doveva attraversarlo. Nonpertanto noi non abbiamo dato il Reno alla Francia. Anche le nostre città sono state bombardate, ma riconoscerete che traversare il mare è cosa ben differente che invadere un territorio contiguo. Se questo principio dovesse essere esteso non si sa dove si dovrebbe arrivare. Fiume ha, è vero, una popolazione di 25.000 italiani. Ma è dubbio sia in maggioranza italiana se si includono i sobborghi. Né Fiume è necessaria ad alcuna difesa strategica ed è solamente per Fiume che l’Italia deve guastarsi con tutti i suoi alleati. Non oso dirlo. Non so cosa faranno gli italiani. Non so quale sarà la nostra posizione. Certamente nel rompere questa alleanza la responsabilità non è nostra.

Orlando — Avevo dichiarato che nella discussione di oggi non avrei fatto questione del Trattato di Londra. Se ciò che Lloyd George ha detto significa che la Conferenza ci dà ragione sulla questione del Trattato di Londra e che la Conferenza avrà libertà di risolvere la questione di Fiume, considererò la cosa con i miei colleghi e gli darò la risposta.

Wilson — Questo pone un peso su di me. Ma io non ho libertà di chiedere se una decisione riguardi o non riguardi il Patto di Londra. Io ho solo facoltà di domandarmi se essa sia conforme ai principi della pace presente e perciò discutere queste questioni sulla base di corrispondenza tra il Patto di Londra ed i principi da noi posti. Discutere sulla base del Trattato di Londra sarebbe adottare come base un trattato segreto. Lloyd George osserva che i principi furono posti come base delle trattative con la Germania ma non furono posti come base delle trattative di armistizio con

l’Austria Ungheria. D’altronde io ricordo al signor Orlando che quindici giorni or sono gli ho detto che il Gabinetto di guerra britannico ha deciso che il Governo inglese deve mantenere il Patto di Londra.

Wilson — Dovrò forse dire al mondo le ragioni delle mie direzioni; non posso far accettare agli Stati Uniti dei principi contrari a quelli con cui sono entrati in guerra.

Sonnino — Wilson ha ammesso il principio della sicurezza dell’Italia nella sua dichiarazione del 21 maggio 1918.

Wilson — Non ho ammesso che la Dalmazia è essenziale alla sicurezza dell’Italia. È inconcepibile che l’Italia abbandoni i suoi amici, e prego i delegati italiani di riesaminare la questione e di considerare la gravità di tale loro decisione.

Lloyd George — Se gli italiani non sono presenti venerdì prossimo quando arriveranno i delegati tedeschi, gli alleati non avranno diritto di presentare domande di compensi per conto dell’Italia.

Si discute della prossima riunione. Il signor Clemenceau dice che vi sono urgenti questioni da trattare per quanto riguarda il trattato con la Germania, per sapere se vi sono cambiamenti da fare per quanto riguarda un eventuale ritiro dell’Italia. Il signor Lloyd George parla di eventuali modifiche per quanto riguarda la questione delle riparazioni. Si decide che la prossima riunione avrà luogo domani, domenica, alle ore 10.

247 1 Vedi carta n. 1.

247 2 A partire da questo punto le correzioni manoscritte sovrapposte diventano confuse ed incomprensibili. Si è riprodotto quindi il testo base, che risulta assai più sintetico rispetto a quello poi edito inALDROVANDI (pp. 235 sgg.).

248

L’ ESPERTO TECNICO, PATERNÒ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 19 aprile 1919.

SITUAZIONE IN MONTENEGRO. PRECEDENTI DIPLOMATICI.

Da recenti informazioni pervenute al Governo italiano risulta che Cettigne e quasi tutti gli altri centri importanti del Montenegro sono attualmente occupati da truppe e gendarmerie jugoslave.

La questione della occupazione e della susseguente proposta di evacuazione delle truppe alleate trovantisi in Montenegro ha attraversato diverse fasi:

— Nel gennaio di quest’anno era stata fatta la proposta di occupare il Montenegro con truppe anglo-americane. Proposta alla quale l’Italia si affrettò ad associarsi e così pure il Governo francese. Lo stesso incaricato d’affari d’America, cui il Governo francese aveva dato comunicazione della proposta stessa (lettera del signor Pichon al r. ambasciatore di Parigi in data 29 gennaio)1 rispondeva che nell’interesse di una giusta soluzione della questione «tutte le truppe di occupazione avrebbero dovuto essere ritirate dal Montenegro per lasciare alle popolazioni la cura di decidere del proprio avvenire»2.

Il Governo italiano, pur accedendo a tale punto di vista, faceva presente che le truppe serbe avrebbero dovuto essere le prime a lasciare il Montenegro e che nessun ostacolo si sarebbe dovuto frapporre ad un eventuale ritorno del re Nicola nella sua capitale3. Di ciò il r. ambasciatore a Parigi dava comunicazione al Governo francese con nota 3 febbraio4.

Il Ministero degli affari esteri francese, con nota del 6 febbraio5, informava:

1) che secondo sua informazione il Governo britannico non era disposto a considerare come opportuna la totale evacuazione del Montenegro;

2) che il Governo della Repubblica era contrario al ritorno del re Nicola a Cettigne, per la considerazione che egli avrebbe impedito con la sua presenza la libera manifestazione della volontà popolare.

Con successiva lettera del 10 febbraio lo stesso Ministero francese informava poi di avere insistito presso il Governo britannico per indurlo a dare il più rapidamente possibile la sua adesione alla proposta americana di completa evacuazione, per poter senza indugio impartire istruzioni in tal senso al generale Franchet d’Esperey.

Sotto la stessa data il Comando Supremo italiano, avuto notizia di tale sgombro da parte delle truppe italiane, chiedeva quali regioni avrebbero dovuto essere sgombrate, facendo presente che, evacuando anche quelle costiere, tutte le istituzioni italiane sarebbero rimaste senza tutela e sfornite di controllo da parte delle autorità italiane.

Con telegramma 12 febbraio6 il r. ambasciatore a Londra informava che il Governo inglese insisteva nelle obbiezioni già fatte per il totale sgombro del Montenegro, mostrando invece desiderio che restasse nel paese un contingente americano a miglior tutela di quelle popolazioni. Il r. ambasciatore aggiungeva che il Governo britannico faceva fare passi in tal senso presso la Delegazione americana a Parigi. Da parte nostra il conte Cellere intratteneva sull’argomento il signor Lansing, cui indirizzava contemporaneamente una lettera esplicativa, nella quale, spiegando come l’occupazione serba avesse permesso al signor Radoviƒ di organizzare un corpo di polizia composto principalmente da jugoslavi che aveva ormai l’effettivo controllo del paese, sosteneva che il ritiro di tutte le truppe di occupazione sarebbe stato lo stesso che metterlo in mano di chi era interessato a privarlo di qualsiasi libertà ed a sopprimere ogni garanzia che avrebbe potuto permettere al popolo di esprimere liberamente la propria volontà in base ai principi wilsoniani. Il conte di Cellere aggiungeva nella menzionata sua lettera che al corpo di occupazione americano avrebbe potuto essere aggregata una commissione internazionale composta di gente pratica del paese, con l’incarico di coadiuvare il comando militare americano nell’amministrazione del paese e nel servizio dei rifornimenti.

Con lettera del 18 marzo7 il r. ambasciatore comunicava una nota del Ministero degli affari esteri francese, che informava avere il Governo americano mantenu

4 Si tratta in realtà di una nota del 2 febbraio, allegata in copia, per conoscenza, al T. 153/50 diBonin a Sonnino, del 3 febbraio, sopra citato.

5 Vedi T. 614/98 di Sonnino al MAE del 9 febbraio (in serie sesta, vol. II, D. 289).

6 Vedi serie sesta, vol. II, D. 320.

7 Non pubblicata in serie sesta, vol. II.

to il proprio punto di vista della evacuazione totale delle truppe, e che pertanto, persistendo la riluttanza inglese a mantenere contingenti di una certa entità sul posto, era stato dato ordine al generale comandante in capo dell’Esercito d’Oriente di far ritirare dal Montenegro tutte le truppe alleate di qualsiasi nazionalità che ancora vi si trovavano.

Con relazione in data 22 marzo8 l’Ufficio ha fatto notare che il ritiro delle truppe alleate avrebbe lasciato in realtà il Montenegro in mano della gendarmeria del signor Radoviƒ, comandata, come è noto, da ufficiali serbi e jugoslavi, e che pertanto si imponeva la necessità di ritornare al concetto di una occupazione mista anglo-americana, cercando di vincere in ogni modo le difficoltà da parte americana. Aggiungeva l’Ufficio che la circostanza della organizzazione della gendarmeria del Radoviƒ costituiva un fatto nuovo non previsto al tempo dello scambio di vedute avvenuto nel gennaio scorso, e che pertanto si poteva, in base a tale fatto, riprendere in esame tutta la questione senza incorrere in contraddizioni.

Fino ad oggi nessuna decisione è stata presa in merito.

CONSEGUENZE DELLA MANCATA SOLUZIONE DEL PROBLEMA MONTENEGRINO

1) I serbi hanno proceduto con forza ad una vera e propria mobilitazione nel Montenegro, resa più facile dal riconoscimento del Governo provvisorio del signor Radoviƒ da parte del generale Venel.

2) Propaganda in favore della Serbia, fatta da ufficiali serbi i quali hanno inaugurato un regime di favore [?] perseguendo in ogni modo, anche con la morte, tutti coloro che sono contrari all’annessione alla Serbia.

3) Le personalità fedeli al Governo ed alla persona del re Nicola, e fra gli altri, gli stessi suoi parenti, sono state imprigionate mentre i popolani vengono senz’altro impiccati.

4) I beni della famiglia reale confiscati.

5) L’amministrazione del paese è passata in mano ai funzionari serbi.

6) Le vettovaglie distribuite soltanto a chi aderisce alla dinastia dei Karageorgeviƒ.

7) Nelle regioni di frontiera e nel Montenegro meridionale le truppe serbe e jugoslave si sono date ai massacri in massa, tanto vero che molte migliaia di fuggiaschi si sono riparati entro le zone di occupazione italiana, e lo stesso generale Franchet d’Esperey ha dovuto pregare il nostro comando di proteggerli.

8) Le autorità serbe mettono in circolazione la voce dello sbarco del re per avere modo di conoscere le persone che gli sono fedeli ed imprigionarle e maltrattarle.

9) Una forte propaganda contro gli italiani è stata inaugurata dal Radoviƒ.

10) Per impedire che tra la popolazione si faccia strada la verità e possa organizzarsi una reazione, si impedisce il ritorno al Montenegro di tutte le persone fedeli all’antico regime.

11) Per rendere meno facile un controllo da parte degli alleati si è recentemente tentata la formazione di un comitato bolscevico a Cettigne.

Per ciò che concerne gli interessi italiani, è d’uopo far presente quanto segue:

1) Il monopolio dei tabacchi di Pogdoritza, appartenente ad una società italiana, è rimasto in balia dei serbi, i quali inibiscono ai proprietari di ritornare a Pogdoritza e prendere possesso della loro azienda. Ne è conseguito un reclamo indirizzato a

V.E. dal menzionato monopolio, il quale, nell’invocare l’appoggio da parte del R. Governo, ha avuto anche cura di porre in rilievo l’entità economica dei propri impianti. Ciò allo scopo evidente di porre le basi di una futura eventuale azione di danni.

2) Circa la Compagnia di Antivari9, V.E. sa già quali danni essa ha avuto e quali maggiori potrà averne ove fosse abbandonata a sé stessa.

3) Anche le bonifiche di Dulcigno corrono serio pericolo, tanto più ove si pensi che gli ingenti macchinari che essi possiedono richiedono una costante manutenzione.

4) La situazione infine creata, col consenso del comando francese a Cettigne, ha fatto sì che il palazzo della R. Legazione sia rimasto senza custodia, e, quel che è peggio, senza la possibilità di una verifica della non indifferente quantità di mobilio ed effetti personali ivi lasciati, non solamente dal R. Governo ma dai vari funzionari che negli ultimi anni si succedettero in quella sede.

248 1 Vedi T. Gab. n. 153/50 di Bonin a Sonnino del 3 febbraio (in serie sesta, vol. II, D. 210). 2 Vedi T. Gab. n. 427/54 di Sonnino a MAE del 27 gennaio (in serie sesta, vol. II, D. 127).

248 3 Vedi T. 518/72 di Sonnino a Biancheri del 2 febbraio (in serie sesta, vol. II, D. 203).

248 8 Non pubblicata in serie sesta, vol. II.

249

IL DELEGATO PRESSO IL RE NICOLA I DEL MONTENEGRO A PARIGI, MONTAGLIARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA CONFID. Parigi, 19 aprile 1919.

Sir George Graham1 mi ha stamani intrattenuto della gravità della situazione in Egitto e della pessima impressione prodotta sull’opinione pubblica inglese dall’attitudine al riguardo dei ribelli di una parte della stampa francese nonché di alcuni uomini politici. Sir George Graham, il quale ha sempre lavorato a rendere più cordiali le nostre relazioni colla Inghilterra, che per opera di certe personalità si sono alquanto raffreddate in questi ultimi tempi, e il quale ha sempre, anche nei suoi rapporti ufficiali, deplorato che l’Inghilterra si fosse messa eccessivamente a rimorchio della Francia nella questione dell’Adriatico, ha insistito presso di me sull’ottimo effetto che produrrebbe sull’opinione pubblica inglese qualche dimostrazione di simpatia

249 Manoscritto autografo.1 Così nel manoscritto. Ma si tratta quasi certamente di sir George Dixon Grahame, ministroplenipotenziario britannico a Parigi.

dell’Italia in questo grave momento. Non una dichiarazione ufficiale al Governo inglese o ai signori Lloyd George e Balfour che rimarrebbe nel segreto delle cancellerie e ignorata dal pubblico, ma qualche cosa di pubblico, il più in vista che fosse possibile, e che colpirebbe favorevolmente l’opinione pubblica e tutto il popolo inglese. Avendo io chiesto quale genere di dimostrazione potrebbe avere siffatto effetto mi rispose che non sapeva bene precisarlo. Nella conversazione però accennò che sarebbe utile che la stampa italiana non si pronunciasse favorevolmente alla rivoluzione e in senso ostile all’Inghilterra. Disse anche che forse si potrebbe offrire una nave da guerra. Ma non mi fu possibile fargli precisare niente dicendo egli che ciò lo dovrebbe decidere il R. Governo.

Sir George Graham ha molto insistito perché questo passo, che egli faceva di propria e personale iniziativa e spinto dal suo costante desiderio di migliorare le relazioni tradizionali di amicizia dell’Italia e dell’Inghilterra, rimanga del tutto confidenziale in vista del posto che occupa e del carattere assolutamente personale della sua azione.

ALLEGATO

APPUNTO DELL’AMBASCIATORE IMPERIALI

22 aprile 1919.

N.B.: Comincino prima la stampa inglese e le autorità responsabili a dimostrare maggior calore, maggiore e veramente cordiale premura nel sostenere e propugnare la santità e ragionevolezza delle rivendicazioni italiane. Quando la nostra opinione pubblica avrà constatato in modo tangibile queste disposizioni si potrà parlare di nostre manifestazioni simpatiche alla causa britannica in Egitto, e si potrà utilmente lavorare a rinsaldare i vincoli di amicizia fra i due paesi. Per il momento riterrei, nel nostro interesse, consigliabile un contegno di massima riserva, astenendoci da qualsiasi manifestazione in un senso o nell’altro.

248 9 Vedi poi D. 788, All. II. La «Compagnia di Antivari» — promossa dal gruppo Volpi confinanziamento della Banca Commerciale — era stata costituita nel 1905 per l’impianto e l’esercizio delporto (eretto poi in porto franco), di una annessa zona industriale, di una ferrovia da Antivari al lago diSenton e del servizio di navigazione sul lago. A proposito di Antivari, in calce ad un telegramma di Borsarelli a Sonnino del 23 aprile (T. 1105/8943), De Martino annotava, in data 26 aprile: «Paternò. Non hopresente tutte le intese. Ma mi parrebbe una enormità se a Antivari, che è praticamente un porto italianogià al tempo della Triplice alleanza, dovessero rimanere solo reparti inglesi e francesi. Alla peggiodovrebbe essere: o tutti o nessuno, e il reparto italiano dovrebbe esser ultimo a partire [...]».

250

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 20 aprile 1919.

Grazie suo telegramma1.

Confido sempre nell’opera sua e dei suoi colleghi perché il nostro paese non abbia a riportare una assai dolorosa impressione da una pace ingiusta che farebbe rimanere delusa l’Italia nelle sue più legittime aspirazioni. Qui si seguita a parlare molto della grande posizione che la Francia avrebbe assicurata nel Mediterraneo.

250 1 Vedi D. 239.

251

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. SU. PREC. Parigi, 20 aprile 1919, ore 18,30.

Grazie del suo telegramma1.

Decisione presa ieri sera2 aveva scopi puramente tattici, cioè di creare nei nostri alleati un interesse più attivo a sostenerci: del resto Vostra Maestà può credere che non è stata né è intenzione mia di abbandonare Fiume. Seduta odierna fu se è possibile ancora più drammatica di quella di ieri. Io cominciai col dire che, pur mantenendo integralmente tutte le ragioni enunciate per attribuire Fiume all’Italia, dato appello fattoci dalle due nazioni alleate che ci contestava il nostro diritto di rompere l’alleanza di fronte alla prontezza degli alleati di eseguire il Trattato, dichiaravo che riconoscevo ciò e che quindi non avrei compiuto un atto di rottura di alleanza nel caso in cui gli alleati ci avessero assicurato tutto ciò che il Patto di Londra ci attribuiva. Questa mia dichiarazione produsse un effetto di grande imbarazzo nell’uditorio. Wilson pronunziò un lungo discorso tra amichevole e minaccioso, in cui dominava il concetto che egli non avrebbe mai accettato il Patto di Londra e lasciava comprendere che ciò avrebbe provocato una rottura fra lui e gli alleati. Io replicai con un discorso non meno lungo e che Sonnino, presente, qualificò come straordinariamente efficace. Lloyd George intervenne riconoscendo la questione come «la più grave tra quante la Conferenza avesse affrontato», e manifestando il desiderio di una soluzione di cui però «non vedeva il principio». Aggiunse che la Gran Bretagna avrebbe fatto onore alla sua firma in ogni caso, alludendo espressamente alla minaccia di rottura con l’America, e ciò in una forma molto nobile e simpatica verso l’Italia. Concluse proponendo per domani una riunione fra le tre potenze firmatarie del Trattato di Londra, per conferire come sopra una possibile via di conciliazione. Wilson dichiarò di approvare ciò e lasciò sfuggire la seguente proposta: «attribuire sin da ora all’Italia la linea delle Alpi e deferire ad una commissione delle cinque potenze la soluzione delle questioni di Fiume e Dalmazia». Si convenne di tenere domani la suddetta riunione3. In complesso la situazione appare lievemente migliorata e l’esperienza dimostra che noi abbiamo agito bene trincerandoci dietro il Patto di Londra come estremo baluardo. Si dovrebbe a questo punto entrare in una via di conciliazione che potrebbe consistere nel richiedere Fiume e consentire per la Dalmazia una combinazione a base di Società delle Nazioni, capace di rinviare la questione e di coprire la nostra ritirata con un ripiego. Temo tuttavia che questa soluzione sia resa impossibile da certa attitudine ostinata che Vostra Maestà ben conosce.

251 1 Vedi D. 250. 2 Si tratta della decisione di chiedere formalmente l’integrale applicazione del Patto di Londra,vedi D. 239. 3 Vedi poi D. 260.

252

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

T. 1325. Parigi, 20 aprile 1919.

Come è già noto a V.E. il generale Franchet d’Esperey ha dato ordine alle truppe interalleate di evacuare il Montenegro. Quest’ordine comporterebbe anche il ritiro delle nostre forze. Prego V.E. far presente al signor Pichon1 che la situazione presente in Montenegro non consente lo sgombero proposto e discusso fra gli alleati tre mesior sono. È infatti noto come nel frattempo il signor Radoviƒ sia riuscito ad organizzare nel paese una gendarmeria jugoslava la quale, una volta partite le truppe interalleate, dominerebbe completamente la situazione, togliendo alla popolazione quella libertà d’azione che tutti gli alleati desiderano procurarle per porla in condizioni di decidere della propria sorte.

Per opportuna conoscenza di V.E. Le comunico che il nostro Comando Supremo, in attesa di direttive del R. Governo, ha informato2 di aver ordinato al generale Piacentini di non consentire il ritiro delle truppe italiane dal Montenegro3.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

T. 1328. Parigi, 20 aprile 1919.

Rispondo a telegrammi di V.E. nn. 1521 e 1572.

Le pratiche che hanno formato materia di comunicazioni a V.E. circa questioni albanesi da rappresentare al signor Pichon sono due ed hanno oggetto diverso.

Una riguarda il regime speciale della città di Scutari d’Albania. L’altra riguarda l’evacuazione delle truppe serbe dai territori albanesi compresi nelle frontiere del 1913.

Per la prima il punto di vista del Regio Governo è che il nostro consenso ad occupazione militare mista della città non implica riconoscimento al ritorno al regime inter

2 Il riferimento è al T. 4733 sp. del 19 aprile di Diaz e al T. 6782 del 18 aprile del ComandoSupremo, ad esso accluso. Ma istruzioni in tal senso furono impartite al generale Piacentini sin dalla finedi marzo, come risulta dal T. 5199 del 27 marzo del Comando Supremo alla DICP Sezione militare. Siveda anche la Relazione di Paternò sulla situazione in Montenegro, in data 19 aprile (qui D. 248).

3 Annotazione manoscritta in calce: «Il col. Pariani avverte che il Comando Supremo, a menodi contrarie istruzioni, darà ordine che le truppe rimangano sul posto. Lo stesso farà la R. Marina. Bertelé

- 20.4.19 ore 11 ant.».

253 Il telegramma fu contestualmente inviato per conoscenza all’Ambasciata a Londra.1 Non rinvenuto. 2 Vedi qui D. 201.

nazionale esistente prima dello scoppio della guerra. Le ragioni e circostanze speciali che condussero allora a quel regime vennero portate a conoscenza di V.E. in precedenticomunicazioni. Esse non hanno oggi nessuna ragione di essere. È stato anche ammesso in rilievo che tuttavia quel passato regime non acconsentiva gli arbitrî che oggi vengono commessi dal comandante francese il quale ha avocato a sé ogni potere. La questione viene quindi da noi considerata a parte e senza richiamarci ad accordi od altro in proposito. Anzi, richiediamo che gli accordi intervengano appunto per sistemare una situazione che oltre ad essere irregolare per se stessa è anche dannosa per i continui malintesi e conflitti che causa. Il signor Pichon aveva tempo addietro scritto a V.E. che, ormai essendo prossime le decisioni della Conferenza per la pace, riteneva si potesse soprassedere ad ogni misura al riguardo. I nuovi incidenti verificatisi da allora dimostrano invece che la necessità di tali accordi continua a sussistere come era stato da me rilevato.

La questione relativa all’evacuazione delle truppe serbe va invece presa in considerazione da altro punto di vista. Anche a voler accettare il senso restrittivo che il signor Pichon desidera dare al testo del telegramma di ottobre contenente gli ordini per il comando degli eserciti d’oriente, rimane quanto egli stesso ha dichiarato a V.E. ed è riferito nel telegramma 578 del 25 ottobre3 circa la nessuna difficoltà per il resto dell’Albania (escluso Scutari) ad accettare l’interpretazione nostra di una occupazione di forze italiane sole. Avendo noi acconsentito alla occupazione militare mista di Scutari, salvo sistemazione del regime amministrativo, a maggior ragione valgono le dichiarazioni che il signor Pichon ha fatto alla E.V. Ma oltre tutto questo, gli incidenti gravi, gli eccessi e le persecuzioni che i serbi hanno fatto subire agli albanesi, i recenti conflitti avvenuti da parte di irregolari e di regolari serbi con distaccamenti dell’esercito italiano fanno ritenere necessaria l’adozione di provvedimenti dei quali non si può disconoscere il fondamento e la urgenza.

Il signor Pichon nella sua nota del 10 aprile dichiara di non sapere quali bande essadiste possano esistere in Albania. Nondimeno sta il fatto che combattimenti hanno avuto luogo e che soldati italiani così sorpresi stanno ora per essere restituiti per tramite delle autorità serbe.

Più oltre il signor Pichon dice che non gli pare siavi luogo a intervento da parte del generale Franchet d’Esperey in questioni di carattere locale e politico.

Il mio punto di vista è che tali questioni siano di carattere militare e che gli spostamenti di truppe debbano essere ordinati dal generale Franchet d’Esperey. In quanto alle ragioni varie sulle quali la richiesta viene appoggiata esse non potrebbero essere meglio giustificate che dai recenti avvenimenti segnalati a tempo a V.E.

Prego pertanto di voler ritornare su entrambe le questioni tenendole distinte e rappresentando al signor Pichon la necessità nella quale mi trovo di dover insistere per chiarire tutti gli elementi della situazione4.

4 Bonin rispose in forma interlocutoria con T. Gab. 167 del 21 aprile, confermando l’opinione,già espressa nel ricordato T. 157 del 15 aprile (qui D. 201), che non convenisse fondarsi sugli accordiintervenuti tra gli alleati nell’ottobre 1918. Con successivo T. Gab. 164 del 20 aprile Bonin trasmettevapoi copia di una lettera di Pichon del 18 aprile, con la assicurazione (fornita dal voivoda Miciƒ al generale Franchet d’Esperey) che le truppe serbe avevano ricevuto ordini formali di non varcare la frontieraorientale dell’Albania e che tali ordini erano stati ovunque rispettati.

252 1 Bonin ne diede comunicazione a Pichon con nota del 22 aprile, come da T. 1107/169 GAB. di quello stesso giorno a Sonnino.

253 3 Pubblicato in serie quinta, vol. XI, D. 751.

254

IL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1088/7 RR. Budapest, 20 aprile 1919 (perv. il 22).

In seguito delinearsi nuova situazione conversazioni che ho avuto ieri con membri attuale Governo, questo mi ha pregato comunicare a V.E. seguenti quattro punti:

1) Questo Governo è pronto servirci intermediario fra (...) e Governo russo.

2) Dichiara non avere sotto armi che le sei divisioni contemplate nella convenzione armistizio Belgrado ed è disposto accettare commissari militari Intesa per verifica e controllo.

3) È pronto dare esecuzione completa clausole convenzione armistizio Belgrado.

4) Accetta linea demarcazione proposta nota 19 marzo 1919 ed anche zona neutra fra linea ungherese e rumena.

Prego telegrafarmi in proposito risposta anche per altre eventuali condizioni accennate mio telegramma ieri.

255

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1078/461. Costantinopoli, 20 aprile 1919 (perv. il 21).

Col mio telegramma n. 4011 esprimevo avviso non parermi opportuno invio Smirne di un nostro qualsiasi contingente a meno che situazione politica per Smirne non si modificasse. Ignorando se niente sia mutato debbo tuttavia constatare che colà accentuasi, forse per il notevole apparato militare e navale inglese, impressione che una formula britannica potrebbe riconciliare sotto di sé turchi e greci.

Constato anche che mentre sono colà truppe inglesi e francesi e, da una settimana, la maggiore corazzata greca, nostra assenza viene spiegata in dichiarata minoranza come un divieto a noi imposto con conseguente diminuzione di nostro prestigio. Se uno sbarco greco abbia da essere imminente la nostra assenza continua ad essere preferibile anche dal punto di vista dell’opinione turca. Ma se ciò non è, dobbiamo riconoscere che lo stesso invio di nostre truppe a Konya solleverà impressione meno spiacevole se affermeremo nostra presenza altrove Smirne compresa. Ciò potrebbe

farsi subito e senza gli eventuali inconvenienti dell’invio di truppe mandando una nostra grossa nave oltre «Liguria».

Per le ragioni di cui sopra avevo mandato a Smirne un maggiore dei carabinieri ma solo con un paio di militari. Prego V.E. telegrafarmi se stima che si possa ora mandare un forte nucleo di carabinieri.

A parte la questione della sorte di Smirne abbiamo colà interessi materiali tali da giustificare presenza a terra di nostre forze in paragone dei contingenti sbarcati da francesi e sopratutto inglesi col pretesto della ferrovia.

255 1 Dell’11 aprile. Non pubblicato.

256

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 20 aprile 1919.

RIUNIONE PRESSO IL PRESIDENTE WILSON (ESSENDO PRESENTI I SIGNORI LLOYD GEORGE, ORLANDO, SONNINO, I SEGRETARI ALDROVANDI, HANKEY E L’INTERPRETE MANTOUX).

Wilson — Sarei lieto di sapere le proposte che vorreste fare.

Orlando — Legge la dichiarazione seguente:

«Je dois maintenir toutes les déclarations que j’ai faites pour ce qui concerne la question de Fiume. En la réduisant à ses termes “minimum” je fais observer au président Wilson que du point de vue de sa noble intention de maintenir la paix dans le monde, il est un homme politique trop éminent pour ne pas saisir qu’une donnée essentielle pour arriver à ce but est celle d’éviter entre les peuples le sentiment de réaction contre les injustices, qui formera sans doute le germe le plus fatal des guerres futures. Or, j’affirme ici que si Fiume ne sera pas accordé à l’Italie, il y aura dans le peuple italien une réaction de protestation et de haine, tellement violentes, qu’elle donnera lieu à l’explosion de violents contrastes dans une époque plus ou moins rapprochée.

Je crois donc que le fait que Fiume ne soit pas donné à l’Italie serait extrêmement fatal aussi bien aux interêts de l’Italie qu’à la paix du monde.

Toutefois, puisque les alliés anglais et français ont déclaré hier qu’ils ne reconnaissaient pas à l’Italie le droit de rompre l’alliance que dans le cas qu’il ne fût accordé à l’Italie que ce que le traité d’alliance lui a garanti, je suis trop convaincu de ma responsabilité vers la paix du monde dans le cas d’une rupture de l’alliance pour ne pas retenir nécessaire de me mettre à l’abri de toute possible accusation à cet égard. Je déclare par conséquant formellement que dans le cas où la Conférence de la paix garantirait à l’Italie tous les droits que le Traité de Londres lui a assurés,

256 Riunione del Consiglio dei quattro del 20 aprile, domenica di Pasqua. Cfr. ALDROVANDI, pp. 239 sgg.; FRUS, vol. V, pp. 95 sgg.; MANTOUX, pp. 292 sgg.; e RAC, n. 272.

je ne serais plus obligé de rompre l’alliance et je m’abstiendrais de tout acte ou fait pouvant avoir cette signification».

Wilson — È incredibile per me che i rappresentanti d’Italia prendano questa posizione. Al centro della guerra stavano tre grandi potenze: Francia, Gran Bretagna, Italia. Sono esse che hanno sopportato principalmente il peso della guerra. Tutto il mondo si rende conto che furono esse che lo salvarono dalle intraprese delle potenze centrali, ma la guerra non fu vinta soltanto da esse. Entrarono in campo altre potenze che non erano intervenute nel Trattato di Londra. Mi sia permesso di dire che senza l’aiuto finanziario e materiale degli Stati Uniti non si sarebbe potuto condurre a termine la guerra in questo modo o almeno in questo tempo. (Clemenceau e Lloyd George interrompono per esprimere il loro consenso). Ora, nell’occasione in cui gli Stati Uniti entrarono in guerra, essi dichiararono quali erano i loro principi, questi comportavano talune espressioni di simpatia verso le piccole nazioni e vennero acclamate anche dalle popolazioni delle grandi potenze. Quando furono pubblicate quelle dichiarazioni fatte da me, io non pensai neppure per un momento che esse fossero dichiarazioni mie, bensì esse erano le dichiarazioni del popolo nord-americano. Esse non avrebbero avuto l’effetto se non fossero state quelle del popolo americano, esse non rappresentano alcuna iniziativa mia individuale. Ma il fatto che i principi di diritto e di giustizia che prima Lloyd George e poi io abbiamo enunciato sono stati considerati come una profonda interpretazione della guerra, indussero altri popoli ad entrare in guerra. Ora, voglio ricordarvi quali sono questi principi; il loro oggetto era di non escludere nessuna legittima aspirazione nazionale. Ecco due dei così detti quattordici punti:

II) La Romania, la Serbia ed il Montenegro dovranno essere sgombrati ed i territori occupati dovranno essere restituiti. Alla Serbia dovrà accordarsi un libero e sicuro accesso al mare. Le relazioni tra i vari Stati balcanici dovranno essere fissate amichevolmente secondo i consigli delle potenze ed in base a linee di nazionalità stabilite storicamente. Saranno fornite a questi Stati balcanici garanzie di indipendenza politica ed economica e per l’integrità dei loro territori.

IX) La sistemazione delle frontiere dell’Italia dovrà essere effettuata secondo le linee di nazionalità chiaramente riconoscibili.

Noi abbiamo cercato di fare queste due cose. Se noi non ci conduciamo in conformità ad esse saremo noi che stabiliremo antagonismi le cui fiamme non potranno mai estinguersi finché non avremo ristabilito le cose su altre basi. Se l’Italia insiste per l’esecuzione del Trattato essa verrebbe a ritardare la conclusione della pace. La mia attitudine sarebbe stata interamente diversa se l’Austria-Ungheria avesse sussistito e se l’Italia avesse ancora contro di sé un grande impero ostile, perché allora avrei detto che l’Italia avrebbe dovuto aver tutto, ma le circostanze non sono tali. Ora se i firmatari non hanno facoltà di ritirarsi, gli altri la hanno. Voglio domandare ai miei amici italiani se vogliono fare questo: siete determinati di ridurre le probabilità di concludere la pace con la Germania, di rinnovare la possibilità di una guerra generale in Europa, di alienare dall’Italia i popoli che le furono amici fino all’entusiasmo, siete pronti di dire che non volete entrare nel nuovo ordine delle cose perché vi è impossibile di rinnovare l’antico? Credo che quello che l’Italia ottiene è una grande e gloriosa cosa. Senza il Patto di Londra essa ottiene il compimento delle sue frontiere naturali, la redenzione delle sue popolazioni italiane. Era una ipotesi che al principio della guerra cinque anni or sono non poteva sperare, e ciò è avvenuto per il valore dei soldati italiani.

Troverei incredibile che la separazione si producesse.

Sarebbe la suprema tragedia della guerra se volgeste le spalle ai vostri amici per prendere una attitudine di isolamento. Lo deploro. Il mio cuore ne sarebbe straziato. Ma io sono il rappresentante degli Stati Uniti e non posso violare i principi che i miei concittadini mi hanno imposto di seguire.

Orlando — Devo dichiarare al presidente Wilson che mi sono servito del Trattato di Londra solo all’ultimo momento e mio malgrado. Si è per rispondere alla esortazione fatta da Lloyd George e da Clemenceau i quali si appellarono all’alleanza e mi dissero che avrei avuto una troppo grande responsabilità se rompessi l’alleanza verso alleati che sono pronti ad adempiere le loro obbligazioni. Il presidente Wilson mi deve rendere questa giustizia. Ho fatto quanto potevo per dimostrargli che le rivendicazioni italiane rientravano pienamente nel campo della giustizia. Se ho dovuto appellarmi al testo di un trattato invece che alla giustizia ciò è stato con dolore. D’altronde l’Italia non è intransigente. Quale conciliazione mi è stata offerta? Nessuna. Quale è la situazione dell’Italia? Wilson ha accennato agli impegni suoi. Ma ieri ha riconosciuto che i punti delle sue dichiarazioni relative alla Austria-Ungheria sono caduti per il fatto che l’Austria-Ungheria non esiste più.

Wilson — Sono d’accordo.

Orlando — Esaminiamo il punto relativo alla Serbia che egli ha citato stamane. Ma che forse per esso la Serbia avrebbe diritto a Fiume? Tutte le aspirazioni di accesso al mare che la Serbia aveva dichiarato in passato si riferivano al massimo ad Alessio ed a S. Giovanni di Medua. Sarebbe stata cosa oltre le sue speranze ottenere Ragusa. Ora essi ottengono molto di più. Prego il presidente Wilson di ricordare due cose:

1) Se di tutti i principi che si dichiarano inapplicabili all’Austria-Ungheria, dopo che essa è scomparsa, sono applicabili soltanto quelli riguardanti l’Italia?

2) Per quanto riguarda il punto che la concerne, l’Italia ha fatto riserve ben chiare e le ha fatte in presenza del colonnello House che non vi ha obiettato. Io non sono quindi legato ad alcuno impegno contrario alle mie domande e nemmeno il presidente Wilson lo è. Wilson dice con grande emozione che si è fatta la guerra per la giustizia e il diritto. Io credo di essere con le mie domande su questo stesso terreno. Non pretendo di monopolizzare la verità assoluta. L’idea della giustizia è una idea soggettiva. Gesù ha detto: quid est veritas? Rispetto le opinioni di Wilson ma credo sul mio cuore e con piena coscienza di essere nella maggiore buona fede quando dico che io sono dalla parte del diritto e della giustizia. Ho fatto anch’io la guerra per il diritto e per la giustizia, non posso fare la pace contro il diritto e la giustizia. Wilson ha conchiuso dicendo che ha il cuore angosciato quando pensa alla possibilità di separarsi dall’Italia. Lo ringrazio, ma gli osservo che il mio cuore è ancor più angosciato. Io provo gli stessi sentimenti che egli prova, sentimenti di amicizia leale ed affezionata fra i due popoli ed anche, oso dirlo, tra i due loro rappresentanti.

Wilson — Certamente.

Orlando — Ma io provo pure dei sentimenti di estrema angoscia che egli non prova. Io ho innanzi a me delle terribili difficoltà e l’orrore di ciò che avverrà per il mio paese. Ma è perché sono convinto che ciò che chiede è conforme al diritto ed alla giustizia che devo sfidare tutte, anche le più gravi conseguenze ed anche, se ciò sia necessario, la morte, se io ed il mio paese dobbiamo morire per la causa del diritto e della giustizia.

Wilson — Il signor Orlando può essere sicuro che io non mi nascondo il valore dei motivi esposti. Non vi è fra noi che una fondamentale differenza politica. I rappresentanti italiani non sono legati dai quattordici punti. L’ho riconosciuto, ma solo insisto nel dire che per quanto mi concerne non posso fare la pace con la Germania con certi principi e con l’Austria in base ad altri principi. Dobbiamo applicare per tutti il principio di discriminazione delle nazionalità che abbiamo cercato di applicare in altre parti del mondo.

Lloyd George — Siamo nella più difficile posizione da quando è incominciata la Conferenza. Abbiamo avuto delle difficoltà e le abbiamo potute superare ma ogni volta avevamo una mezza dozzina almeno di soluzioni da scegliere. Qui non vedo la via di uscita. Siamo nella possibilità di sentire che l’Italia non si può accordare con gli alleati per fare la pace con l’Austria-Ungheria o con la Germania, a causa della questione dell’Adriatico e del Trentino. Vi è l’altra difficoltà che gli Stati Uniti non possano aderirvi a causa dei principi per i quali sono entrati in guerra. Dai due lati la questione è grave. Personalmente non sono libero di discuterne il merito perché rispetto gli impegni assunti dal mio paese, impegni onorati dall’Italia con sangue, denaro,sacrifici. Nessuno meglio di me si rende conto dei concetti di Wilson. È una cosa seria per l’Italia il fare la pace avendo i tedeschi nel Tirolo e gli slavi in Dalmazia, ma non ho il diritto di intervenire. Ho manifestato a Wilson il punto di vista che gli uomini politici italiani non possono tornare indietro. Sono stato impressionato da quello che ha detto l’on. Orlando. Simpatizzo specialmente col barone Sonnino. Egli non può tornare in Italia senza avere ottenuto quello che poteva ottenere da Bülow. Ora l’Italia ha perduto mezzo milione di uomini ed ha avuto un milione e mezzo di feriti e mutilati. Non so come potrebbe tornare indietro. Non so che cosa potremmo fare.

I firmatari del Trattato di Londra considereranno la grave dichiarazione di Wilson. Se non vedono la via di uscita, l’Inghilterra manterrà i suoi obblighi. Non ho suggerimenti da dare in merito ma forse ne troveremo nella riunione dei firmatari del Patto di Londra. Non posso dire altro per ora.

Wilson — È un dovere di vedere se è possibile di trovare un modo di conciliazione. Se fosse concesso che si disponga di Fiume come nel Patto di Londra e si stabilisse che la Dalmazia (contemplata nel Patto di Londra) restasse provvisoriamente affidata alla cinque potenze, salvo a disporne in futuro, potrebbero i rappresentanti dell’Italia accettarlo? Ricordo che vi è un punto strategico che avrei concesso all’Italia, Lissa. Non sarei franco però se non dicessi agli italiani essere molto improbabile il prospetto che gli Stati Uniti concedano in futuro questo territorio all’Italia.

Lloyd George — Vorrei pensarci. I firmatari del Trattato di Londra potrebbero ritrovarsi domani.

Orlando — Non ho difficoltà.

Sonnino — È nostro dovere.

Lloyd George — Avverto però sin da ora che non pretendo avere dei suggerimenti da fare.

Sonnino — Ringrazio Lloyd George per il modo con cui ha esposto la cosa, anche per riguardo a me. Dobbiamo fare tutto il possibile per trovare un accomodamento. Si è detto che in questo è la mia morte: non intendo dire la morte fisica ma la morte morale. Ma ciò non conta nulla. Ho rovinato il mio paese. Ho cercato di fare il mio dovere e mi sono sbagliato. Ma non occupatevi di me.

Lloyd George — No, questo è essenziale. L’Italia poteva non fare la guerra accettando le offerte che le venivano fatte ed invece la fece. Questo si deve riconoscere in modo principale.

Wilson — Sonnino, nei primi tempi che lo vidi mi disse che l’Italia non ha mire imperialistiche. Lo credo, non ne ho mai dubitato un momento. Gli uomini che conducono l’Italia non hanno certamente idee di offesa: per gli jugoslavi non so. Apprezzo come Lloyd George la situazione tragica in cui voi siete, barone Sonnino. Voi avete corrisposto interamente alla fama di dirittura che mi era giunta di voi. Ve lo devo dire, sia per ragioni generali, che per ragioni personali.

Sonnino — Ringrazio per l’intenzione. Per quanto riguarda la questione imperialistica osservo che non vi è nulla nelle nostre domande che abbia tale carattere. Non vi è che il desiderio di garantire la sicurezza di casa. Tutto ciò che chiediamo non è imperialistico. Abbiamo già dato prova nei riguardi della Grecia che siamo pronti a venire ad una soluzione conciliativa. Ma queste domande mirano a toglierci dai pericoli. Prendete la questione balcanica. Tutto ciò che cerchiamo è di stare fuori dalle difficoltà. Cerchiamo di avere basi che ci tengano fuori dalle loro questioni: se non otteniamo quei territori saremo invece sempre obbligati ad immischiarcene. La Serbia ci minaccia: dovremmo quindi allearci con la Bulgaria. Tutta la politica contenuta nel Patto di Londra aveva per scopo di tenerci fuori dal pericolo di essere attaccati e di tenerci lontano dalla tentazione di attaccare.

Lloyd George — (scherzando) L’Italia ha attaccato anche la Gran Bretagna!

Sonnino — Sì, ma vi ha lasciato anche della civiltà.

Lloyd George — Spero che ve ne sia rimasta almeno una parte!

Sonnino — Ma queste sono cose antiche. L’Italia è stata nei secoli attaccata da stranieri, spagnuoli, tedeschi, ecc. Questa era una occasione per liberarci da ogni pericolo.

Wilson — Se credessi che ciò che domandate possa chiudere le porte di casa ve lo accorderei.

Sonnino — Domandatelo ai vostri esperti. Non direte poi che Fiume costituisce una possibilità di offesa.

Lloyd George — Fiume è nel Patto assegnato ai croati.

Sonnino — Ma Fiume è venuto fuori per la iperestesia della dottrina delle nazionalità. Esso ha deciso per conto suo. Provatemi che una delle nostre domande è un pericolo per il vicino e vi dirò che avete ragione. Guardate il Patto di Londra. Spalato lo abbiamo ceduto insieme ad una delle grosse isole, Brazza. Così abbiamo ceduto Veglia ed Arbe che sono italiane e il porto di Segna. Così abbiamo fatto per la penisola che si trova innanzi a Metkoviƒ. Non vedo che cosa potremmo fare di più. Sarebbe facile governare il mondo con solo tre principi, ma vi sono enormi difficoltà nel fatto della loro applicazione secondo le varie circostanze.

Rimane stabilito che si terrà domani alle 10 una seduta dei capi dei Governi alleati presso il signor Lloyd George con l’intervento dei rispettivi ministri degli affari esteri.

257

L’ ESPERTO TECNICO, CASTOLDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA. Parigi, 20 aprile 1919.

NOTE CIRCA REDUZIONE DELLE FORZE ITALIANE IN BULGARIA

La proposta di ritirare truppe dalla Bulgaria risponde alle seguenti ragioni:

— -impiego di tali forze per la formazione di corpo destinato altrove; — -timore di doverle impiegare contro la popolazione nel caso di disordini.

Occorre prendere in considerazione le ragioni che consigliano invece di non dare effetto a tale misura:

—- I contingenti italiani nei Balcani (esclusion fatta per l’Albania) non sono rilevanti. Ridurli ancora mentre sono prevedibili avvenimenti importanti ci metterebbe nel caso di dovere provvedere a rinforzarli a breve scadenza ed in condizioni difficili (chiusura degli stretti — sottomarini ora che le truppe rosse hanno raggiunto il Mar Nero — opposizioni sulla costa dell’Egeo etc.). — -Qualora il corpo destinato altrove non potesse formarsi interamente con truppe residenti in Italia è preferibile togliere unità dall’Albania. L’invio di nuovi contingenti in Albania, se necessario, è più facile che ovunque altrove. In caso di guerra nei Balcani è da prevedere che le forze italiane in Albania debbano imporsi atteggiamento di attesa in punti della costa ed appoggiate al campo trincerato di Valona. — -Invece in Bulgaria le truppe italiane sarebbero chiamate immediatamente ad azione di sostegno delle autorità associate al piano d’azione italiano, azione di sostegno che avrebbe campo vasto e vario, sebbene non direttamente guerresco. — -Il timore di impiego contro la popolazione va esaminato a seconda degli avvenimenti che si possono prevedere: moti bolsceviki-moti nazionali. Solo una esatta valutazione delle due possibilità può condurre a giusta decisione. Le informazioni concordano nel far ritenere che probabili moti avrebbero fisionomia di reazione nazionale. In tal caso le truppe italiane non dovrebbero essere impiegate contro la popolazione. Non sarebbe quindi consigliabile ora il loro ritiro. — -Allontanare le truppe italiane dalla Bulgaria può invece agevolare l’opera (segnalata in precedenti note) di chi vuol suscitare in Bulgaria moti a parvenza bolscevika per intervenire ed impedire quelli di reazione nazionale. — -Elementi vari consigliano di prendere in considerazione la possibilità di conflitto nei Balcani. L’iniziativa bulgara per un’intesa (forse alleanza) colla Romania è un altro indizio che consiglia di concorrere a tempo nell’imprimere direzione alle determinazioni che nella vicina penisola stanno preparando nuove situazioni.

Per le suesposte ragioni si ritiene che non convenga ritirare truppe italiane dalla Bulgaria. Sarà opportuno però studiare fin d’ora in qual modo rappresentare a chi di competenza la necessità di una maggiore indipendenza dal generale Franchet d’Esperey, almeno quanta pare ne abbiano i serbi che non evacuano dall’Albania1.

258

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 1406/570. Londra, 21 aprile 1919, ore 3,22 (perv. ore 21,50).

Telegramma di V.E. 60781.

Il Foreign Office non ha ancora ricevuto notizia della concessione ferroviaria chiesta dall’ing. Bayart. Tuttavia, alle mie osservazioni che il progetto in questione non potrebbe avere esecuzione senza preventivo accordo con i Governi di Roma e di Londra, Foreign Office mi fa osservare che articolo 9 dell’accordo di Londra si riferisce a linea ferroviaria che potrebbe essere in concorrenza con quella costruita sotto gli auspici di una delle tre potenze firmatarie dell’accordo. In tale stato di cose, e stante che nessuna ferrovia è stata finora eseguita o progettata da una delle tre potenze nella zona per la quale concessione è stata richiesta, Foreign Office non vede come articolo 9 possa essere leso dalla eventuale concessione Bayart2. Ad ogni buon fine informo V.E. che questa R. Ambasciata non possiede testo accordo 1906.

T. posta 1549 del 15 maggio alla Sezione militare della DICP).

2 In una lunga nota, trasmessa poi da Borsarelli a Preziosi con foglio 15694/236 del 21 maggio, il Ministero delle colonie osservava tra l’altro su questo punto: «Se è vero che un tale tronco non verrebbe a trovarsi in diretta concorrenza con altra ferrovia esistente e andrebbe a svolgersi, almeno inizialmente, non in una parte dell’Etiopia compresa nella nostra sfera di influenza diretta o nel nostro hinterland coloniale, ma in una zona neutra rispetto al giuoco degli interessi contemplati nell’accordo a tre diLondra, nondimeno è da sapere fin da ora quale direttiva avrà praticamente e fin dove potrà in futurospingersi detta ferrovia, tenuto conto dei nostri interessi gravitanti dalla via di Dessiè verso Assab».

257 1 Parere favorevole ad un sollecito ritiro delle nostre truppe dalla Bulgaria, almeno parzialmente, per contribuire alle necessità della prevista spedizione in Transcaucasia, fu invece espresso ripetutamente da Diaz (già in un ampio promemoria n. 4541 del 16 aprile e poi nei telegrammi a Sonnino n.4728 SP. del 21 aprile e n. 4862 SP. del 23 aprile) e dallo stesso Sonnino (con telegramma del 26 aprile e

258 1 Con T. posta 6078 del 24 marzo Borsarelli aveva informato le Ambasciate a Londra ed aParigi delle richieste di concessioni ferroviarie avanzate dal Bayart al Governo etiopico, sottolineando la necessità di una preventiva intesa con Italia e Inghilterra in base all’accordo di Londra del 13dicembre 1906.

259

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 21 aprile 1919, ore 11,10 (perv. ore 11,45).

Grazie suo telegramma1.

Sono stato lieto delle notizie alquanto migliori che Ella mi ha mandato. Qui tutti seguono la lotta diplomatica con crescente interesse. Ieri si sparse la voce che Fiume ci era assicurata2 e che anche Dalmazia ci sarebbe stata data in amministrazione, salvo procedere ad un plebiscito fra quindici anni. A quanto mi è dato capire nostra opinione pubblica si mostra sempre più decisa nel desiderare una pace soddisfacente.

260

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 21 aprile 1919, ore 15,20.

Colloquio odierno tra le tre potenze alleate che sottoscrissero il Patto di Londra non ha prodotto alcun mutamento nella situazione. Nostri alleati mantennero dichiarazione di dovere assolutamente restar fedeli al Patto, manifestando tuttavia i gravissimi pericoli per il fatto che l’America non avrebbe firmato tale conclusione. Replicai che noi non desideravamo di meglio che una conciliazione, pagando con sacrifici l’annessione di Fiume. Questa mia allusione non fu accolta con favore. Dopo una lunga discussione che si aggirò sempre sui soliti punti, io dichiarai di non trovare l’utilità di tali conversazioni che non facevano procedere la questione e mettevano tutti in uno stato di doloroso imbarazzo. Pregai anzi di esonerarmi dall’intervento ulteriore nella riunione dei Quattro, dappoiché costituiva una evidente ipocrisia la mia collaborazione quando un così profondo dissenso si era già manifestato. Si convenne che nel pomeriggio Clemenceau e Lloyd George vedrebbero Wilson e che ci avrebbero fatto comunicazioni telefoniche ove la nostra presenza fosse ritenuta necessaria. Le mie previsioni sono nettamente pessimistiche e preparo sin da oggi la formula di notificazione da fare domani, riservando la partenza a posdomani. Come linee generali, la nostra dichiarazione dovrà mantenere ferma l’alleanza con la Francia e con l’Inghilterra in relazione all’osservanza integrale del Patto di Londra.

259 1 Sembra si riferisca al telegramma delle ore 18,30 del 20 aprile (qui D. 251).2 La notizia della possibile assegnazione di Fiume all’Italia era stata comunicata al re dallostesso Orlando con telegramma delle ore 18,50 del 18 aprile (qui D. 228).

261

L’ AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 1405/229. Parigi, 21 aprile 1919, ore 20,15 (perv. ore 2,30 del 22).

Telegramma di V.E. n. 87821.

Nel corso delle conversazione che ho avuto con questo direttore degli affari d’Africa per le nostre questioni coloniali a Tunisi, mi ha detto che denuncia accordo del 18962 non era stato atto isolato, ma dipendeva da misura generale colla quale la Francia ha denunciato tutte le sue convenzioni contenenti clausola nazione più favorita al solo scopo avere maggiore libertà al momento in cui si negozieranno nuovi accordi nelle nuove condizioni che saranno create dal trattato di pace. Così del resto abbiamo fatto noi stessi. Lo stesso funzionario mi disse quella misura ci era stata notificata da cotesta Ambasciata di Francia nell’autunno scorso. Da quanto invece mi scriveva V.E. nel dispaccio 889 dell’8 ottobre3, denuncia sarebbe stata specialmente agli accordi tunisini. Pertanto prego V.E. volermi favorire con possibile urgenza copia della nota Barrère nel dispaccio 889 nonché ogni altra notificazione che fosse stata recentemente fatta da cotesta Ambasciata di Francia della denuncia di accordi economici con l’Italia.

262

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 18904 GM UFF. OP. Abano, 21 aprile 1919.

Rispondo n. 4776 di ieri1.

Venne disposto per invio in Dalmazia comando I corpo d’armata comando 66ª divisione brigata Bari, riparti speciali e servizi di divisione e corpo d’armata. Imbarco potrà avvenire a Venezia a datare dal 3 corrente. Circa mezzi di aviazione è già

2 Si tratta delle tre convenzioni firmate a Parigi il 28 settembre 1896 (di commercio e immigrazione, consolare e di stabilimento, di estradizione). Il 9 settembre 1918 il Governo francese avevadenunciato le prime due convenzioni e nel febbraio 1919 aveva emanato due decreti, uno per limitare l’apertura di scuole private italiane in Tunisia, l’altro impositivo di pesanti tasse sulla vendita di beni immobili agli stranieri.

3 Non pubblicato in serie quinta, vol. XI.262 Il telegramma fu ritrasmesso alla PCM Gabinetto e al MAE Gabinetto con n. 4839 SP. dello stesso giorno.1 Non rinvenuto.

stato interessato ufficio capo di Stato Maggiore della r. marina disporre per sollecito invio al campo di Zamonico di squadra da bombardamento. Ivi esistono già elementi aviazione per ricognizione della marina. Convengo con pensiero V.E. che in caso minaccia nemica azione Dalmazia, questa possa più facilmente partire da fronte sud-est e che in tal caso debbasi reagire vigorosamente in direzione Sinj-Spalato-Traù occupando dette località sino a Cetine, onde attuabile (?) protezione popolazione italiana. Tale azione nostra dovrà essere bensì sollecita, ma determinata da palese provocazione nemica o da necessità evidente protezione connazionali. In tale senso do direttive a S.E. generale Montanari.

261 1 Non rinvenuto.

263

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1085/65. Vienna, 21 aprile 1919 (perv. il 22).

Avendo conosciuta mia presenza Budapest commissario approvvigionamento Erdelyi che, occupando alta carica medesimo dicastero sotto Governo Károlyi, fu meco in contatto per questioni analoghe, chiese vedermi per sottopormi seguente piano: Ungheria è all’estremo sue risorse, chiede che Italia le fornisca olio, riso, grassi, tessuti, offre in pagamento oro fino a concorrenza cento a duecento milioni corone da depositare anticipatamente banca Innsbruck. Se Italia non possa da sola prendere decisioni chiede assuma trattare con Intesa e centralizzare lavoro. Kun Bela, intervenuto trattative, ad analoghe mie obiezioni dichiarò non avere difficoltà che Commissione controllo sorvegli che distribuzione sia fatta popolazione e non vada esercito. Trasmetto debito ufficio richiesta alquanto pregando sollecita risposta preliminare. Progetto presenterebbe interesse smungere duecento milioni oro riserva Governo ungherese diminuendo di altrettanto potenzialità ai fini speciale propaganda. Data presenza Commissione controllo concessione sembrerebbe fatta popolazione non Governo. Non si corre fortunatamente rischio perché qualunque Governo possa succedere all’attuale non potrà declinare impegni. Italia potrebbe conservare senza compromissioni ufficiali contatto con Ungheria tanto importante per suo avvenire economico. D’altra parte concessione contraddirebbe minaccia fatta Vienna in caso avvento Governo bolscevista. Al riguardo osservo obiettivamente che minaccia interruzioni rifornimenti è inadeguata colpendo chi si vuole soccorrere e non raggiungendo chi si vorrebbe colpire. In Ungheria poi continua anche attualmente invio grasso americano già concesso Governo Károlyi.

264

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1086/66. Vienna, 21 aprile 1919 (perv. il 22).

Ho avuto con Bela Kun, che venne vedermi per questione viveri di cui mio telegramma n. 651, colloquio che riferisco: mi dichiarò che preparativi militari ungheresi non oltrepassano limiti armistizio Belgrado e che chiamata ufficiali riferiscesi solamente ufficiali in servizio attivo antico esercito. Obbiettai che decreto chiamata armi contempla tutti i già appartenenti antico esercito senza distinzione e che conformemente vengono chiamati, con precetto personale, alle armi militari in numero imprecisabile. Rispose ripetendo tali chiamate restano stretti limiti imposti ed offerse farmi vedere cifre. Mi schermii obbiettando assoluta mia incompetenza, al che dichiarò essere pronto sottoporre situazione esame di un tecnico. Ne presi atto. Affermò preparativi ungheresi avere natura difensiva per resistere attacchi czeco-rumeni e serbi che istigati da Francia intendono ristabilire in Ungheria trono Asburgo. Vedutomi scettico al riguardo Kun assicurommi di aver prove di pratiche correnti fra membri famiglia Parma e Clemenceau del quale (?) questo sarebbe politicamente personal-mente ignoto Intesa. Replicai miglior modo allontanare supposto pericolo essere riforma suo Governo in senso veramente nazionale. Egli rispose condotta suo Governo rispecchia volontà paese. Esprimendo io dubbio al riguardo egli citò come prova ordine perfetto regnante Ungheria ed avendo io risposto esser ciò frutto metodo repressivo applicato da chi può disporre forze, citò esempio Governo Károlyi che disponendo forze non seppe mantenere ordine.

Abbandonai argomento e chiesi Kun se dichiarazioni pubblicate giornali circa disinteresse Governo ungherese questione territoriale rendessero effettivamente il suo pensiero. Rispose affermativamente dicendo che scopo suo Governo è di assicurare operai ungheresi pane e lavoro, comunque ne abbia il mezzo, sia sul proprio territorio, sia ricevendoli di fuori per via di scambi. Chiesi se in tale caso vedrebbe difficoltà che linea armistizio divenisse frontiera definitiva; rispose sì, purché nel trattato pace venga riconosciuta libertà commercio per Ungheria nei territori finitimi e transito per permettere Ungheria comunicare con Italia e non a titolo preferenziale ma come principio generale. Dissi che ne prendevo atto. Per Italia espresse vivissima simpatia e desiderio suoi rapporti con Ungheria divenissero intimi.

264 1 Vedi D. 263.

265

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON

L. Parigi, 21 aprile 1919.

I had learnt from indirect sources that the American Delegation had been badly impressed by reports received from American officials sent to Dalmatia who had given an unfavorable account of the line of conduct followed by our military authorities. As a result of this information I addressed a letter to Colonel House, of which I enclose copy1.

Colonel House, with the fine sense of justice which distinguished him, allowed one of my secretaries to make enquiries into the grounds of the accusations made against our administration, while in no way violating the secrecy which rightly protects the report of an official.

Among the points noted by my Secretary, the statement which most struck me was that the military administration in Dalmatia had, up to now, deported seven hundred persons, a figure which could not but impress me. I at once telegraphed to Admiral Millo, Governor of Dalmatia, making of him formal enquiry as to the number of persons in regard to whom the Italian authorities had taken police measures: Admiral Millo in reply has sent me the telegram of which I have the honor to hand you a copy enclosed2.

As it is out of question to doubt the statement made by an Italian officer, this reply shows the grave error contained in the information supplied to you, as the real number of persons interned or expelled is very far from considerable when we take into consideration the fact that the territories occupied have a population of some 300,000 inhabitants, and that the occupation has lasted now nearly six months.

It would be easy to show that the measures taken by the Italian authorities in respect of Italian citizens in territories under martial law have been no less numerous than those taken in Dalmatia. In both cases such action is the inevitable result of the exceptional conditions prevailing under military occupation.

Far be it from me, Mr. President, to cast any doubt on the good faith of the officials from whom you have received these reports. It is easy to make a mistake in entire good faith, and this is what has happened in the case before us. Nevertheless, the point is important for it shows how difficult it is even for the most fair-minded and honest people to judge equitably of men and affairs in environments agitated by such deep passions.

I cannot and will not here take up in detail the other matters referred to in the reports under consideration; yet I cannot refrain from commenting on one other point which seems to me very characteristic. It is stated that in the Commercial treaty with

Austria-Hungary, Italy favoured the importation of her citrus fruits and wines into Austria-Hungary to the detriment of the interests of the Dalmatian farmers. This is true, but what of it? Dalmatia was part of another State, and of course Italy could not subordinate the protection of her commercial interests to those of a section of a foreign country, however dear to the hearts of Italians. The same situation existed in the case of the Trentino, which is a great wine producing centre, but nobody has used this as an argument against the annexation of the Trentino to Italy. If the intention was to point out that the agricultural products of Dalmatia will be in competition with similar products from Italy, this indeed is true; but it has no bearing on the case in point, as such forms of internal competition occur in all countries. The wine-growers of Sicily compete with those of Tuscany and of Piedmont; the cereals of the South are in keen competition with those of the Po district, and so on and so forth. No one however has ever argued that on this account the union of Sicily with Italy was undesirable.

I feel sure, Mr. President, that your deep sense of fairness will lead you to admit that these arguments and others of alike kind can have no serious influence on the extremely grave questions now under discussion3.

265 1 Non si pubblica.2 Non si pubblica. Si tratta del T. 14785 di Millo con il quale si precisava essere 90 gli interna-ti, oltre ad un confinato a Lagosta ed a quattro espulsi.

266

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 21 aprile 1919.

RIUNIONE PRESSO IL SIGNOR LLOYD GEORGE

Essendo presenti il sig. Balfour, il sig. Clemenceau ed il sig. Pichon; il sig. Orlando e l’on. Sonnino.

Clemenceau — Ho parlato con Pichon questa mattina e sono rimasto fermo sulla conclusione che la Francia ha firmato un trattato che manterrà.

Fra alleati staremo dunque insieme.

Lloyd George — Non vi è dubbio su ciò, ma è inutile negare che sarebbe grave cosa se l’America non firmerà la pace con l’Austria-Ungheria. Nei territori rivendica-ti dall’Italia si trovano due razze allogene: i tedeschi nel Trentino e gli slavi nella Dalmazia. Se gli Stati Uniti staranno fuori dalla pace essi daranno l’impressione di simpatizzare con queste due razze e, ogni volta che vi saranno difficoltà fra queste e l’Italia, esse saranno decuplicate da questo fattore. Non so come l’Europa d’altronde potrà essere restaurata se gli Stati Uniti non staranno con noi e non aiuteranno nel dare olio alla macchina. Dopo che saremo arrivati alla conclusione del trattato io mi

266 Riunione dei rappresentanti dei paesi firmatari del Patto di Londra. Cfr. ALDROVANDI, pp. 247 sgg., MANTOUX, pp. 300 sgg.

propongo di fare una proposta per una lega economica generale per l’Europa. Se a ciò non si arrivasse noi giungeremmo ad una stagnazione completa. Citerò l’esempio del Sud Africa. Dopo vinta quella guerra il paese conquistatore dovette sborsare trenta milioni di sterline per restaurare il paese conquistato. Tali denari non furono mai restituiti. Ma se essi non fossero stati dati il Sud Africa sarebbe rimasto un paese devastato. In Europa si presenta un caso analogo. Perciò è importante procedere con gli americani sino alla fine ed essere molto leali con loro. Per quanto riguarda le riparazioni gli americani fecero molti passi più innanzi di quello che avevano fatto in principio. Così per la Sarre. Se si possono fare loro intravvedere concessioni è possibile che li teniamo anche per quanto riguarda le cose italiane. Se gli italiani non troveranno altra via noi staremo al Trattato.

Clemenceau — Questo è pure il mio caso. Ho già parlato di questa situazione con Lloyd George ed accetto tutto quanto egli ha detto. Mi figuravo che si poteva giungere ad un accomodamento; ma per quanto concerne Fiume ho perduto ogni illusione. Il presidente Wilson ha fatto una piccola indicazione circa la Dalmazia ma essa non è stata accolta. Ho riveduto il presidente nel pomeriggio di ieri per le altre cose e parlando con lui alla fine della conversazione sulle cose italiane ne ho avuto l’impressione di un uomo che ha preso una situazione molto netta. Soluzioni si potrebbero avere se l’Italia non insistesse nell’idea di avere Fiume o si potesse giungere a qualche accomodamento per la Dalmazia.

È stato parlato ieri delle offerte fatte dall’Austria-Ungheria all’Italia prima che entrasse in guerra. Le ho esaminate stamane nel Libro verde1. Speravo trovare l’argomento contro Wilson ma mi sono accorto che non possiamo servircene perché l’Austria-Ungheria non dava niente. Non dava né l’Istria né Trieste.

Balfour — Né Pola.

Clemenceau — Ciò che ottiene ora l’Italia è un passo molto più grande.

Sonnino — Il Libro verde termina al quattro di maggio; dopo e fino al 24 l’Austria offerse altre cose.

Clemenceau — Sì, ma non offerse già Trieste. Non possiamo trovare in ciò argomenti per convincere Wilson. Ora, noi siamo amici e diamo consigli ad amici. Non ritenete che ottenendo non tutta la Dalmazia ma qualche punto di essa voi otterreste lo stesso una posizione abbastanza forte? Fate un paragone con le cose francesi. Io ho dovuto rinunziare alla riva sinistra del Reno che mi era chiesta da tutti i senatori e da tutti i deputati. Ho abbandonato l’idea di tenere Colonia, Coblenza e Maienza2. È vero che non sono sicuro di non dovere lasciare la pelle in seguito a queste rinunzie, ma mi offro come esempio. Se l’Italia coopererà con noi in questi negoziati sino alla fine vi guadagnerà dei vantaggi. Territorialmente essa ottiene concessioni più grandi di quelle che non sperassero gli italiani al principio della guerra. Non posso dare dei consigli ma è mio dovere di dire che se entriamo in questa via vi può essere una soluzione, se no giungeremo a deplorevoli conseguenze. Se l’Italia si isola l’opera dell’Intesa non sarà completa; i grandi problemi non saranno

2 Recte Magonza.

risolti; vi saranno in Europa nuove discordie che vorrei evitare a tutti i costi. Concludo: noi restiamo gli amici dell’Italia e la soluzione sta nelle loro mani.

Sonnino — Non è così. Wilson ha detto che non dà Fiume e che non dà nemmeno la Dalmazia. Voi vi siete obbligati con noi ad un trattato relativo alla nostra entrata in guerra che ci è costata settanta miliardi ed un milione e mezzo fra morti e mutilati. Perché Wilson non parlò chiaro prima? Quando nell’armistizio si accettò come linea di occupazione il Patto di Londra, ciò dette in Italia l’impressione che esso ci sarebbe stato riconosciuto anche dall’America. L’America infatti non protestò né si oppose. Ciò fu inteso come se essa approvasse.

Lloyd George a Balfour — Demmo copia a Wilson del Patto di Londra?

Balfour — Sì. Quando io stesso mi trovavo in America ne ho discusso con lui3.

Sonnino — Che cosa è accaduto di poi? E prima che cosa aveva fatto l’America per il nostro paese? Essa ci dette denaro, è vero, ma ci dette un solo reggimento ed ha avuto in Italia un solo morto.

Clemenceau — Ciò non è un argomento.

Sonnino — Sì, ora viene una terza parte e dice: Voi dovete rinunciare a tuttoquesto e ciò in base a nuovi principi in cui egli crede ed io no. È mai possibile cambiare il mondo da una camera e per mezzo di un documento preparato da sei diplomatici? Dite che vadano nei Balcani a sperimentare i quattordici punti. La nostra gente rimarrebbe delusa. Quando ritornai a Roma vi rientrai di nascosto e, quando vennero ad applaudirmi dinanzi a casa mia, io ne fuggii perché vedevo le difficoltà cui andava incontro l’Italia. Ora il presidente Wilson, dopo aver violato più volte i suoi quattordici punti rispetto alla Francia ed all’Inghilterra, vuol rifare loro una verginità applicando a spese dell’Italia quelli che si riferiscono all’Italia. Quale sarà l’impressione del nostro paese dopo tutto ciò che aveva avuto ragione di sperare durante cinque mesi? Una parte dei territori sperati sparisce perché c’è una Lega delle Nazioni che non si sa che cosa sia. Che avverrà nel paese? Non avremo, dopo, il bolscevismo russo, ma l’anarchia. Non so che cosa possiamo fare. Non vedo soluzione. Durante cinque anni non ho avuto un pensiero, non ho espresso una parola a chi si sia, fosse anche l’imperatore Carlo d’Asburgo, che si staccasse dalla linea diretta che l’Italia aveva scelto, ed ho condotto l’Italia a queste conseguenze!

Lloyd George — Ho letto la memoria che voi avete presentato circa le ragioni per cui la Dalmazia è necessaria alla vostra difesa nell’Adriatico. Non vi ha dubbio che gli argomenti ivi contenuti hanno molta forza. Ma il pericolo principale è costituito dalle isole che sono sull’altra sponda. D’altra parte possedendo la terra ferma voi non vi starete mai in pace.

Sonnino — Nei Balcani hanno tanti motivi di contrasto tra loro che noi saremo lasciati in pace.

Lloyd George — Ma nei Balcani vi è sempre troppa gente che si vogliono tagliare la gola tra loro. Voi andrete avanti con difficoltà per molte generazioni. Sarete obbligati a tenere in Dalmazia una potentissima guarnigione. Non potreste tenere solo le isole offrendo, agli abitanti di esse che se ne volessero andare, di trasportarli in terraferma? Gli jugoslavi mancano di popolazione. Tanta gente è stata uccisa nel

loro paese. Io vi consiglierei di tenere le isole e di non toccare la terraferma. Non dico che nelle isole non vi possa essere qualche agitazione se gli jugoslavi la fomenteranno. Probabilmente la popolazione non se ne andrebbe ma dopo due anni voi potreste insistere perché prenda la nazionalità italiana.

Sonnino — Ciò potrebbe naturalmente avvenire se si trattasse di fare uno scambio di territori. Io non affermo che non ci saranno dissensi fra italiani e jugoslavi, ma credo che le cose si accomoderebbero ed entro un paio d’anni non vi sarebbero più difficoltà.

Lloyd George — Nelle vostre statistiche trovo che in Dalmazia vi sono 600 mila croati di fronte a 40 mila italiani.

Sonnino — In tutta la Dalmazia, non in quella che noi rivendichiamo.

Orlando — Desidero fare qualche dichiarazione: in primo luogo voglio spiegare la ragione della nostra resistenza che entro certi limiti deve essere una resistenza assoluta a qualunque costo. Vi è una ragione di utilità pratica nell’interesse di tutto il mondo. Se ritorno in Italia con una pace mutilata che determinasse la ribellione di tutti, ciò renderebbe un pessimo servigio a tutti. Se ritorno con la pace di Wilson vi sarà in Italia la rivoluzione. Nelle ultime dimostrazioni si sono trovate a contrasto due parti: la parte bolscevica contro la parte nazionalista. Fra i bolscevichi vi sono stati due morti e cinque feriti ed è stata bruciata la redazione dell’«Avanti»4. Ma ora avverrebbe che tutte queste folle spingerebbero alla rivoluzione essendo uniti i nazionalisti ai bolscevichi perché questi ultimi presterebbero loro man forte in quanto hanno per iscopo di provocare disordini e rivoluzione quali si siano i loro moventi per profittarne delle conseguenze. Su ciò potete contare assolutamente. Invece se l’Italia fosse contentata nelle sue rivendicazioni nazionali essa starebbe certamente ferma. Me ne faccio mallevadore. Se in Italia vi è la rivoluzione, visto lo stato generale del mondo, ciò costituirà un pericolo per tutti. Se invece ritorno in Italia lasciando gli alleati dietro di me e dico al popolo italiano come ho detto dopo Caporetto: state forti, forse potrò evitare la rivoluzione dando all’Italia la sensazione di essere nel suo diritto e sola incontro al mondo. Il mio atteggiamento è così più utile, vi assicuro, anche per voi.

In secondo luogo non potrei accettare la proposta fattami dal presidente Wilson nemmeno come base. Credo aggiungere una cosa. La linea che Wilson dà ora all’Italia è quella stessa che è stata proposta nell’ottobre del 1917 dalla «New Europe» che, come sapete, è l’organo degli jugoslavi. Ora, gli jugoslavi per gli italiani sono quello che per voi sono i boches. Accettare la proposta Wilson significa accettare quello che per voi sarebbe una soluzione della guerra proposta dai boches. In gennaio io ebbi una conversazione col presidente Wilson. Facendomi vedere una carta geografica egli mi disse: «Che cosa pensate di questa possibilità?». La linea era sempre la stessa. Gli risposi: «Vi prego di considerare che di fronte a questa offerta, all’Italia non sarebbe restato che ritirarsi dalla Conferenza». Wilson arrestò allora l’interprete e domandò: «Vi chiedo scusa; il signor Orlando vuol dire che in questo caso egli si ritirerebbe dalla Conferenza?» Risposi: «Perfettamente». Questo accadde nel gennaio scorso. Sono restato per tre mesi in una situazione falsa. Ho collabo

rato con tutta la migliore buona volontà in tutti i negoziati che si sono svolti via, via, mentre tra Wilson e me restava un equivoco sostanziale che muoveva da quella conversazione. Lloyd George dice: cerchiamo la conciliazione. Sì, la cerco volentieri, ma non la vedo in nulla. Ammiro Lloyd George sotto molti riguardi, ma anche per la fertilità del suo ingegno per trovare delle combinazioni. Se riesce a concordare con Wilson una combinazione decente che io possa fare accettare al mio paese, sono pronto. Le conversazioni collegiali non hanno più oramai utilità. Noi siamo sempre allo stesso punto quando ci raduniamo in quattro e non mutiamo dal principio alla fine. Se Lloyd George e Clemenceau d’accordo con Wilson mi presentano una proposta di conciliazione che dovrebbe comprendere necessariamente l’annessione di Fiume all’Italia, io sono qui, se no, è meglio per tutti far cessare una situazione imbarazzante e spinosa.

Clemenceau — Il sig. Orlando accetterebbe un progetto di conciliazione in cui non fosse compreso Fiume?

Orlando — No, non è possibile. In questo caso dovremmo dire che domandiamo senz’altro il Patto di Londra che gli alleati hanno preso impegno di fare eseguire e finché non eseguito noi resteremo soli e da parte.

Pichon — Non avete considerato nessun progetto preciso di conciliazione?

Orlando — È con voi che si tratta di precisare che cosa bisogna dare per ottenere Fiume. Dobbiamo avere Fiume.

Lloyd George — Non è il caso di pretendere Fiume. Per Fiume è impossibile. I serbi sanno che è stato assegnato a loro.

Clemenceau — State dunque o non state al Patto? Non vi può essere via di mezzo. Io ho dato Fiume ai croati e non posso ritirarlo.

Sonnino — Spiego ciò che vuol dire il presidente. Egli dice: se voi volete porre tutto sulla bilancia per farne una base di conciliazione con voi, allora non si attiene unicamente al Trattato. Se no egli si attiene al Trattato. Ricorderò che quando si negoziava con la Bulgaria per il suo ingresso in guerra accanto all’Intesa si fecero delle proposte alla Serbia perché essa consentisse certi territori alla Bulgaria nel qual caso le sarebbero stati assegnati i territori della Croazia. Allora non si giunse ad una conclusione. Quindi in quel tempo non vi consideravate impegnati con la Serbia dal Trattato di Londra. D’altronde il Trattato di Londra dà Fiume alla Croazia e non alla Serbia.

Clemenceau — È lo stesso.

Lloyd George — Mi giunge ora una comunicazione dello Stato Maggiore britannico a Fiume in cui si dice che se Fiume è tolta ai croati e data agli italiani, i croati combatteranno senza fine. Egli non dice niente della Dalmazia. Non so se vi sia interesse di continuare in questa conversazione tra noi. Forse sarebbe meglio che Clemenceau ed io arrivassimo a vedere Wilson per chiedergli se e fino dove egli possa variare dalla posizione in cui si è posto. Per esempio se consentisse alla cessione delle isole.

Sonnino e Orlando — E Fiume?

Lloyd George — Fiume no.

Orlando — Allora è impossibile.

Sonnino — Dobbiamo dunque dare la Dalmazia per niente? Per quanto riguarda la Dalmazia osservo di nuovo che essa rappresenta per noi una questione di sicurezza nell’Adriatico, ma che riguardo alla Dalmazia vi è anche una questione etnica. È vero che la popolazione rurale è in prevalenza slava ma le città sono italiane. Tutto ciò che vi è di civiltà è italiano.

Lloyd George — Sono d’accordo.

Sonnino — Non possiamo gettare via tutti questi nostri connazionali per far dono dei nostri diritti storici. Wilson ha detto che le ragioni nazionali prevalevano su qualsiasi ragione anche d’interesse ferroviario, quando negava al Belgio l’annessione di 4000 tedeschi. Le stesse ragioni noi dobbiamo presentare per i nostri connazionali in Dalmazia e di Fiume.

Lloyd George — Ma nella questione a cui si riferiva Wilson i tedeschi si trovavano a contatto con la Germania, ciò che non avviene per i piccoli nuclei degli italiani in Dalmazia.

Balfour — Se voi considerate le difficoltà che incontra Wilson nel risolvere le questioni italiane, dovete pensare a quelle relative ai tedeschi nel Tirolo.

Sonnino — Ce li ha già dati.

Balfour — Non lo sapevo, ne sono ben lieto.

Lloyd George — Ripeto che non mi pare sia oramai più il caso di discutere tra di noi, tuttavia considero la questione così grave che mi sembra occorra che ne riparliamo tra me e Clemenceau con Wilson.

Balfour — Non mi pare che sia stata considerata una circostanza molto seria. Orlando dice che se rientra in Italia senza i territori rivendicati vi sarà rivoluzione, ma occorre considerare che se l’Italia si aliena l’America la vita economica dell’Italia si arresterà e dalla depressione economica nascerà la rivoluzione.

Orlando — Riconosco perfettamente la verità di quello che Balfour ha detto. I due pericoli sono altrettanto gravi, ma l’Italia è sobria. Conosciamo l’arte di morire di fame. Ma se i due pericoli sono egualmente gravi ed anzi conducono l’uno e l’altro alla morte, preferisco la morte che ci lascia dalla parte dell’onore.

265 3 Wilson rispose il giorno successivo con un cortese biglietto in cui affermava, tra l’altro:«Potete essere sicuro che la mia opinione sulle questioni generali che discutiamo non è stata influenzatadalla informazione cui alludete [...]».

266 1 Vedi Atti parlamentari, legisl. XXIV, sess. 1913-15, n. XXXII (Docc.), Documenti diplomatici presentati al Parlamento italiano dal ministro degli affari esteri (Sonnino)-Austria Ungheria, seduta del 20 maggio 1915.

266 3 Il riferimento è alla missione guidata da Balfour negli Stati Uniti nella primavera del 1917.

266 4 L’incendio della redazione dell’«Avanti» a Milano era avvenuto il 15 aprile, ad opera difascisti ed arditi, durante le manifestazioni per lo sciopero generale.

267

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 21 aprile 1919, ore 17,15.

Il colonnello Hankey è venuto dal presidente del Consiglio Orlando ed in presenza del barone Sonnino gli ha detto quanto segue:

«Vengo in qualità di messaggero del presidente Wilson, del signor Lloyd George e del sig. Clemenceau i quali in seguito alla riunione che hanno testé tenuto tra di loro mi hanno incaricato di domandarvi se credete valga la pena di recarvi presso di loro per discutere sulla possibilità di cessione all’Italia di talune isole della costa dalmata».

267 Cfr. ALDROVANDI, pp. 255 sgg.

Il presidente Orlando risponde che data la base della discussione non ritiene sia il caso si rechi presso gli altri tre capi dei Governi. Osserva che questa mattina si era parlato delle isole, mentre adesso si parla di talune isole. Ma ciò non ha importanza.

Hankey risponde che crede siano state considerate le isole che hanno valore strategico, escludendo quelle più vicine alla costa come, ad esempio, l’isola di Pago.

Hankey osserva che si è cercato così di risolvere il problema della sicurezza dell’Italia nell’Adriatico.

Sonnino risponde che la questione della sicurezza non sarebbe risolta che imperfettamente poiché le isole hanno un valore strategico in quanto chi le possiede possieda anche la costa. Orlando osserva d’altronde che il problema della Dalmazia non è solo un problema di sicurezza ma è anche un problema di nazionalità per Zara, Sebenico, Spalato, eccetera. Osserva altresì che nelle recenti discussioni dei Quattro si era accennato a risolvere la questione della nazionalità per Fiume col darle l’autonomia o farne una città libera, essendo stato riconosciuto che la città aveva carattere internazionale e non jugoslavo.

Hankey risponde che questa proposta era caduta e torna a chiedere se la Delegazione italiana reputa valga la pena di intervenire alla riunione che si sta ora proseguendo.

Il presidente del Consiglio risponde che non lo crede, ma che desidera Hankey faccia notare che il non aderirvi non significa alcun atto di poco riguardo.

Hankey risponde che ciò gli dispiace e che egli ritiene si tratti di una proposta definitiva.

268

L’ESPERTO TECNICO, R. PIACENTINI, AL DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, SALVAGO RAGGI

RELAZIONE. Parigi, 21 aprile 1919.

EMIRO FAISAL.

Per incarico di S.E. il marchese Salvago Raggi mi sono recato oggi dall’emiro Faisal a porgergli i saluti della delegazione italiana prima della sua partenza da Parigi.

In attesa di essere ricevuto dall’emiro, ho parlato col suo segretario e suo medico particolare, Hamed Kadry.

I punti salienti della conversazione sono stati i seguenti:

1) Gli arabi guardano alla Siria come al centro della loro vita intellettuale e politica. Essi vogliono l’indipendenza della Siria dove intendono fondare scuole, università, istituti arabi, da cui la cultura e la coscienza nazionale si irradieranno in tutti i paesi abitati da arabi.

Il mondo arabo guarda con estrema diffidenza alla Francia, la cui politica coloniale (Algeria, Tunisia ecc.) non dà alcun affidamento per il futuro progresso e per il bene degli arabi. Tutt’al più la Francia potrà vedere riconosciuti in Siria speciali diritti di ordine economico, ma gli arabi desiderano che il loro paese sia aperto a tutte le

energie e a tutte le attività europee per poter più rapidamente risorgere e prosperare.

In Siria vi sono 26.000 soldati regolari arabi comandati da provetti ufficiali.

Contro una politica annessionista francese gli arabi sono decisi ad adoperare anche la forza delle armi.

Essi sperano - però - che non vi sarà bisogno di ricorrere a tali estremi e fidano dell’opera imparziale della commissione che dovrà recarsi in Levante.

2) L’emiro desidera molto intrattenersi col Governo italiano circa le questioni del Mar Rosso. Con l’Assir è già intervenuto un accordo per cui questo paese riconosce la sovranità del re dell’Hegiaz. Per lo Yemen pendono trattative. Il Regno del-l’Hegiaz desidera intrattenere relazioni commerciali ed economiche molto estese con l’Italia e vorrebbe affidare all’Italia i lavori pubblici e specialmente ferroviari.

3) La notizia dei diritti recentemente concessi dall’Italia agli abitanti della Tripolitania1 è stata accolta dall’emiro e dal suo entourage con lieta sorpresa e grande compiacimento. L’emiro vede nell’atto del Governo italiano una abilissima forma di politica coloniale che faciliterà moltissimo lo stabilimento delle buone relazioni con i sudditi coloniali italiani ed avrà larga ripercussione nel mondo arabo a pro dell’Italia.

4) Gli arabi vorrebbero che anche la Palestina fosse indipendente ed unita alla Siria. Se però la questione sionista non dovesse essere eliminata dalla Conferenza, gli arabi, pur non di aver a che fare con gli ebrei, preferirebbero che la Palestina fosse posta sotto il protettorato di una nazione europea.

Faisal si propone di visitare a Roma il papa, per intrattenerlo sull’argomento delle necessità dell’unione tra cristiani e mussulmani per impedire le eccessive pretese ebree in Palestina.

5) Gli inglesi — di fronte alla gravità della rivolta egiziana — sarebbero venuti nella decisione di proclamare l’Egitto indipendente, unito all’Inghilterra come gli altri Dominions; oppure l’Inghilterra si farebbe dare dalla Lega delle Nazioni il mandato per l’Egitto.

Sopraggiunto l’emiro Faisal, gli ho esposto lo scopo della mia visita; egli mi ha incaricato dei suoi ossequi per S.E. l’on. Orlando e S.E. il marchese Salvago Raggi. Mi ha confermato il suo compiacimento per le notizie della «Costituzione» in Tripolitania e ha ribadito le lagnanze già esposte dal suo segretario contro le aspirazioni francesi in Siria, e ha espresso nuovamente il voto di uno stabile e sincero accordo fra l’Italia e gli arabi specie nel Mar Rosso2.

268 1 Lo schema di statuto per la Tripolitania fu firmato a Khallet ez-Zeitun proprio il 21 aprile1919. Il decreto formale di promulgazione è però del 1° giugno successivo.2 Si veda anche la relazione del colloquio con Faisal del 13 aprile in D. 235.

269

L’AGENTE DIPLOMATICO AL CAIRO, NEGROTTO CAMBIASO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 1280.171 SEGRETA. Il Cairo, 21 aprile 1919.

Mi riferisco al telegramma posta di V.E. n. 5079 del 15 marzo scorso Div. 3/41.

Le notizie riportate dal r. console in Aden confermano sostanzialmente quelle raccolte qui.

Qualche giorno fa si è presentato ad Elui bey un yemenista, qualificatosi servo di bordo su di una nave inglese che stazionò per un certo tempo nelle acque dell’Arabia, il quale gli consegnò in gran segreto un documento con istruzione di trattenerlo fino all’arrivo del cadì Abdelrahman el Harazi.

Questo documento, di cui ho preso visione, porta la firma degli sceriffi e notabili dell’Yemen, ed è una procura al nome del sovramenzionato cadì a rappresentarli presso «la gloriosa nazione italiana».

La missione dell’Harazi, attesa fra breve al Cairo, avrebbe per iscopo di raggiungere un accordo politico-commerciale col R. Governo. Non si chiederebbe il protettorato vero e proprio sull’Yemen ma la cooperazione dell’Italia per lo sviluppo del paese, attribuendole una posizione privilegiata.

Non credo che l’Inghilterra vedrebbe di buon occhio il nostro intervento nello Yemen, tanto più da dopo che i suoi sforzi per riconciliare Idris dell’Assir con iman Yahia a mezzo del suo inviato di fiducia sayed Mustafà e per far vedere colà la sua influenza sono riusciti infruttuosi.

Non mancherò di riferire a Vostra Eccellenza gli ultimi particolari che venissero a mia conoscenza sulla missione del cadì in parola.

270

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, [22 aprile 1919], ore 0,30.

Come avevo telegrafato a V.M.1, nel pomeriggio di oggi2 si riunirono Wilson, Clemenceau e Lloyd George. Sul tardi Lloyd George inviò il suo segretario particolare con messaggio orale dei tre, nei sensi seguenti: «se i delegati italiani credevano di

270 Il telegramma, preparato nella serata del 21 e spedito alle 0,30 della notte, reca per erroreancora la data del 21.

1 Vedi D. 260.

2 Si riferisce evidentemente al giorno 21.

accettare come base di discussione la concessione di alcune isole dell’Adriatico capaci di costituire basi navali difensive». Risposi che non mi pareva che tale modificazione bastasse per creare una base di possibile discussione e, poiché il mio intervento era condizionato all’ipotesi che fosse utile discutere, risposi che con mio grande rincrescimento non potevo aderire a questa ipotesi. Il modo con cui il passo fu fatto si presta alla interpretazione che avesse il carattere di un ultimatum. Questa sera mi è poi stato comunicato l’invito alla riunione dei Quattro di domani alle 11 su vari temi che non riguardano l’Italia. Coerente alla linea di condotta già stabilita, mi asterrò dall’intervenire e manderò una lettera con cui spiego la ragione del mio ritiro. La redazione di tale dichiarazione riesce alquanto difficile, poiché si tratta di non rompere l’alleanza, liberando così gli alleati dagli obblighi del Patto di Londra, e dall’altro lato di non fare una formale rinunzia a Fiume, come avverrebbe se ci appellassimo esclusivamente al Trattato. Spero di trovare una formula che eviti ambedue le difficoltà. Inviata la lettera domani, farò in modo di prepararmi per la partenza posdomani, mercoledì. Vedrò se non sia il caso di anticipare la riunione del Parlamento.

269 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

271

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 3112 OP. Abano, 22 aprile 1919, ore 0,45 (perv. ore 11,15).

Generale Segre comunica: «Secondo quanto risulta finora scopo missione militare francese Vienna sarebbe anche quello evitare unione Austria Tedesca con Germania1. Frequenti contatti avvengono fra missione e locale Ministero affari esteri, presente cancelliere Renner. Francia sarebbe disposta dare concessione e favorire una confederazione degli antichi Stati Austria. Pendono trattative per provocare ravvicinamento commerciale fra Austria Ungheria e Yu[goslavia] e polacchi. Tutto sarebbe regolato da norme provenienti Parigi»2.

271 Il telegramma fu inviato per conoscenza alla PCM, al MAE e al Ministero della guerra,Div. S.M.

1 Sulla questione si veda anche il D. 53.

2 Pressoché contemporaneamente la missione militare italiana a Berlino dava notizie di manovre britanniche — in accordo con centri monarchici austriaci — per la costituzione di una confederazionedanubiano-balcanica sotto la presidenza puramente formale dell’ex imperatore Carlo (cfr. T. Posta 1489 RIS. di Sonnino all’Ambasciata a Londra in data 9 maggio). In questo contesto va anche letta la propostaavanzata da Lord Cecil il 10 maggio, in comitato ristretto del Supremo consiglio economico, per una legadoganale fra l’Austria e gli Stati vicini (cfr. CRESPI, pp. 546 sg.).

272

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. PREC. S. PREC. Parigi, 22 aprile 1919, ore 18.

Ho avuto ora un colloquio con Lloyd George, a cui ho detto che per atto di personale riguardo in vista dell’amicizia dimostrata io gli devo notizia diretta della lettera che ho preparato1. Lloyd George era estremamente nervoso. Mi ha detto che la questione nostra minaccia di rompere anche i rapporti tra Wilson, lui e Clemenceau, dappoiché Wilson rimprovera agli altri due di sostenere l’Italia sul terreno del Patto di Londra. Ha lasciato insomma capire che la nostra questione minaccia di sfasciare tutta la Conferenza della pace, ciò che basterebbe a determinare il grandissimo zelo che egli pone nel cercare di accomodare le cose; ma sinora ogni tentativo in tal senso si è infranto verso l’ostinazione assoluta di Wilson. Io gli ho detto che non ero mai stato alieno dalle vie conciliative, ma che finora nessuna seria base di discussione mi era stata offerta. Ho ripetuto che le rivendicazioni italiane concernono tre puntiessenziali: linea delle Alpi, Fiume, Dalmazia e isole. È quindi impossibile accettare una soluzione che elimini completamente uno di questi tre punti. In conclusione Lloyd George mi ha pregato di sospendere sino a questa sera l’invio della lettera, in attesa di un estremo tentativo che egli farà presso Wilson e di cui mi darà notizia più tardi. Ho consentito naturalmente alla sospensione.

Assicuro Vostra Maestà che il problema di Fiume è in cima ai miei pensieri, ma la situazione mi obbliga a servirmi del Patto di Londra per costringere gli alleati a restare solidali con me, mentre è certo che saremmo da loro abbandonati se offrissimo anche un semplice pretesto di sconfinare dal Patto di Londra. Poiché poi è certo che Wilson non consentirà mai all’integrale esecuzione del Patto di Londra, resta aperta per tal via quella ricerca di una conciliazione che può salvare Fiume. In altri termini ancora, Fiume si può soltanto salvare attraverso il Patto di Londra.

273

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 441. Parigi, 22 aprile 1919.

A telegrammi posta nn. 75811 e 79042.

Conviene effettivamente che Levi Bianchini continui sua attività moderatrice in Palestina. Siccome però essa riesce soprattutto utile interessi inglesi è bene che egli

2 Vedi D. 148.

nei modi dovuti faccia intendere che R. Governo è consapevole del giovamento che egli reca a finalità politiche inglesi e nel consentire che egli rimanga Palestina si attende concreto e sicuro analogo atteggiamento verso nostri interessi non soltanto in Palestina ma in genere nell’Asia turca. Conviene che Soragna e Negrotto tengano eguale norma di linguaggio.

272 1 Vedi D. 277, nota 1.

273 1 Non rinvenuto.

274

IL MINISTRO DELL’INDUSTRIA, COMMERCIO E LAVORO, CIUFFELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1072. Roma, 22 aprile 1919.

Ho esaminato il progetto comunicatomi dalla E.V. col telespresso 6882, del 15 corrente1, circa la costituzione a Sofia di un consorzio italo-bulgaro avente lo scopo di riattivare e sviluppare le relazioni commerciali fra l’Italia e la Bulgaria.

Al riguardo, non ho obiezioni da fare: anzi non posso che desiderare l’attuazione di un piano che faciliti la realizzazione dell’ora detto scopo.

Intanto ho interessato in proposito il Ministero del tesoro, ed ora sono in attesa delle comunicazioni del Ministero medesimo2.

275

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1097/171. Parigi, 22 aprile 1919 (perv. il 23).

Ho riveduto stasera il signor Tardieu al quale ho manifestato il mio rammarico di vedere le cose procedere in modo così ingrato e la mia sorpresa dello scarso appoggio che trovavamo presso i nostri alleati. Ad ogni buon fine ho sempre dimostrato di non essere interamente al corrente dei particolari delle conversazioni di ieri e d’oggi e di parlare, più che su informazioni dirette e precise, sopra impressioni raccolte. Egli mi disse che la proposta presentata ieri1 da Lloyd George e Clemenceau a

S.E. Orlando, quella cioè che ci attribuirebbe l’Istria fino all’Arsa e le isole, non era una proposta transazionale messa avanti da loro, ma una nuova proposta di Wilson

2 In relazione alla prevista costituzione del consorzio italo-bulgaro, con N. 19 dello stesso 22aprile, la Direzione generale delle Scuole italiane all’estero comunicava di aver disposto per l’invio, alcommissario a Sofia, di numerosi esemplari di grammatiche italiane per le scuole elementari e medie dafarsi adottare in qualche istituto d’insegnamento della Bulgaria.

alla quale questi era stato indotto dai presidenti alleati e che segnava un passo innanzi fatto dal presidente degli Stati Uniti.

I due presidenti alleati, egli mi disse, vedevano la situazione come segue: se l’Italia si mantiene sul terreno del Patto di Londra esclusivamente, i due alleati faranno sempre onore alla loro firma e non lasceranno d’appoggiarla interamente. Lloyd George però considera, e a questo modo di vedere si era accostato Clemenceau, che il Patto di Londra obbliga anche i nostri alleati ad attribuire Fiume alla Croazia. Se invece l’Italia reclama Fiume essi sono disposti ad appoggiare quella formula transazionale, basata sopra concessioni in Dalmazia, che noi formuleremmo come minimo assoluto delle nostre domande. Essi credono di non potere formulare essi stessi progetti transazionali su quella base perché noi potremmo allora supporre che essi tendono a sottrarsi al Patto di Londra al quale essi sono invece sempre pronti a dare esecuzione.

Tardieu, parlando naturalmente a titolo personale (non si deve però dimenticare che egli non direbbe nulla che non fosse nelle vedute di Clemenceau), ci consigliava di formulare quel minimo delle nostre aspirazioni in Dalmazia di cui ci appagheremmo per avere Fiume e di presentarlo ai nostri due alleati con la riserva che, se esso non fosse accettato da Wilson, noi reclameremmo l’esecuzione integrale del Patto di Londra, che la nostra profferta transazionale non dovrebbe in quel caso avere infirmato in alcun modo. I due nostri alleati farebbero certamente tutto quanto stesse in loro potere per fare accettare quella proposta a Wilson. Egli continuando mi disse che non dovevamo troppo impensierirci della rigida opposizione di Wilson, che fece altrettanto per la Sarre per la quale finì poi a piegarsi a un compromesso. Aggiunse che Clemenceau era molto impensierito della situazione e non si dissimulava la gravità che presenterebbe una nostra secessione nonché gli effetti inevitabili che avrebbe sopra l’opinione pubblica italiana la quale non renderebbe responsabile solo l’America della disillusione a noi inflitta, ma ne farebbe risalire la colpa anche agli alleati. Mi guardai bene dal togliere il mio interlocutore da questa persuasione.

274 1 In realtà del 13 aprile, non pubblicato.

275 1 Vedi D. 266.

276

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1099/70 RR. Vienna, 22 aprile 1919 (perv. il 23).

In vista avvenimenti Ungheria sono caldamente interessato da persona competente ungherese qui residente e che potrà essere domani capo nuovo Governo ottenere Italia fornisca armi e munizioni per equipaggiamento volontari comitato occidentale confinante Austria sollevantisi contro Governo bolscevico. Constami che Francia favorisce consimile movimento comitato (...). È nostro interesse assoluto non lasciarle intero merito cambiamento situazione per non perdere irrimediabilmente simpatia ungherese a suo solo profitto. Tale rifornimento è possibile circondare mistero inviando fucili, mitragliatrici, munizioni marca austriaca che dovrebbero essere abbandonate notte tempo da nostro treno viveri linea ferroviaria Süd Bahn in aperta campagna in luogo da stabilirsi. Prego farmi conoscere decisioni che spero favorevoli.

277

RELAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

Parigi, 22 aprile 1919.

Mi sono recato oggi alle due ed un quarto presso il sig. Lloyd George. Ho cominciato col dirgli che avevo molto apprezzato il modo amichevole con cui egli personalmente si era condotto verso di noi nelle conversazioni di questi ultimi giorni, e che perciò desideravo, prima di spedire al presidente Wilson ed agli alleati una lettera che già avevo preparata1, spiegargliene il contenuto perché si rendesse esattamente conto delle intenzioni che avevano guidato me e la Delegazione italiana nella decisione presa. E gli dissi il contenuto della lettera. Il signor Lloyd George che aveva l’aspetto pallido ed abbattuto, mi domandò: «Questo che cosa significa? Che voi non verrete a Versailles insieme a noi quando verranno i tedeschi?» Risposi: «Certamente no». «Ma, disse Lloyd George, quali ne saranno le conseguenze? Vuol dire che voi non farete la pace con la Germania?» Risposi: «No, noi interverremo al momento della pace generale».

Lloyd George — Ma intanto?

Orlando — Intanto, finché non saranno regolate le cose nostre, no.

Lloyd George — Ma questo ci impedirà di trattare anche a noi perché vi sono delle clausole che non sono state approvate da voi e che abbisognano della vostra approvazione, e noi non possiamo sottoscriverle per voi.

Orlando — Vi prego di mettervi nella mia posizione e di dirmi che cosa voi fareste. La nostra situazione è gravissima.

Lloyd George — Lo riconosco, ma bisogna che guardiate alle conseguenze disastrose cui condurreste i vostri alleati, e d’altronde non è ammissibile che questi non possano firmare anche da soli e senza di voi queste convenzioni con la Germania, attendendo che siano regolate anche le questioni concernenti la Bulgaria e la Turchia.

Orlando — La dichiarazione di Londra stabilisce che vi debba essere un’unica pace generale.

Lloyd George — Sì, non essendo possibile farla anche per lo sfacelo dell’Austria-Ungheria non potrete impedirci di firmarne intanto una con la Germania.

Orlando — Io domando: e se la firmassi, come resterebbero le cose mie? La difficoltà che ci si presenta ora non sarebbe certamente diversa tra un mese ed io non vedo perché, se si debba risolverla allora, non si possa invece risolverla oggi.

277 Cfr. ALDROVANDI, pp. 257 sgg.1 La lettera preparata per gli alleati non fu poi spedita e venne sostituita da un’altra in data 23aprile, vedi D. 285.

Lloyd George — Vi faccio osservare che la situazione è molto grave; non solamente l’Italia ma tutta l’Europa ha bisogno dell’America. Senza l’America l’Europa non può vivere. Ora, in via confidenziale, vi dirò che il presidente Wilson che era ieri sera molto irritato ed ostinato, è in uno stato di spirito assolutamente ostile ed irremovibile. Per fargli accettare la proposta delle isole dovemmo, il sig. Clemenceau ed io, interessare il colonnello House, che vi riuscì a grande fatica. Abbiamo poi avuto notizia di un documento2 che il presidente Wilson voleva dirigere al signor Clemenceau ed a me e che sarebbe stato dato alla stampa ieri sera stessa e pubblicato questa mattina se noi non avessimo chiesto al presidente di sospenderlo per 48 ore per vedere se non era possibile trovare qualche via di conciliazione a proposito dei problemi italiani. Voi immaginate quale scandalo nascerebbe da una tale pubblicazione e come i popoli dei vari paesi prenderebbero il partito dei loro rappresentanti, gli uni contro gli altri, e ciò con danno comune. La cosa sarebbe irreparabile.

Orlando — Non vedo che cosa di contrario a noi si potrebbe trovare in questa dichiarazione di Wilson.

Lloyd George — Lo so, ma in ogni modo, l’incendio che essa provocherebbe non si potrebbe più domare.

Orlando — Voi avete parlato di possibilità di soluzioni, ma ditemi francamente se ce ne è mai stata proposta una che fosse anche lontanamente accettabile. Il signor Wilson fece bensì talune proposte per Fiume (corrispondente a quella per Danzica) e per la Dalmazia (corrispondente a quella per la Sarre), ma poi furono ritirate. Noi abbiamo tre questioni da risolvere: Fiume, le isole, la terraferma dalmata.

Lloyd George — Riconosco che le proposte furono fatte separatamente l’una dall’altra, ma voi considerereste che potrebbero diventare base di discussione se fossero presentate di nuovo ed insieme?

Orlando — Si potrebbe vedere di discutere.

Lloyd George — Riparlerò con Wilson della cosa e cercherò di fare il mio meglio per indurlo ad una combinazione soddisfacente sulle basi sopra indicate, e che importerebbero la linea delle Alpi come nel Trattato di Londra all’Italia fino a Volosca, Fiume con un trattamento analogo a quello di Danzica con rappresentanza diplomatica e unione doganale con l’Italia, le isole, almeno le più importanti strategicamente, all’Italia, Zara, Sebenico, Traù e Spalato città libere, salvo plebiscito con un regime analogo a quello della Sarre. Ne parlerò al presidente Wilson prima delle tre e vi farò sapere qualche cosa verso le sei e mezzo.

***

Alle sei e mezzo il signor Lloyd George ha comunicato al presidente Orlando che, dopo molti sforzi, era riuscito a fare accedere il presidente Wilson ad una soluzione che importasse, a parte la frontiera alpina, già risolta favorevolmente per l’Italia, e la linea esterna delle isole sotto la sovranità dell’Italia, Fiume città libera sotto la Lega delle Nazioni e Zara e Sebenico città libere sotto la Lega delle Nazioni.

Egli disse che per quanto riguardava Spalato il signor Clemenceau disse che non si poteva parlarne perché era fuori del Patto di Londra. Il signor Lloyd George dichiarò che per quanto riguardava Fiume egli e Clemenceau, se non si fosse giunti ad un accordo, si sarebbero messi dal punto di vista del presidente Wilson, come invece per quanto riguarda il Trattato di Londra la Francia e l’Inghilterra sarebbero sempre state dalla parte dell’Italia.

***

È stato deciso di inviare al signor Lloyd George perché la ripresenti al presidente Wilson la seguente controproposta italiana3:

1) The line of the Alps (Brenner) to the sea, East of Volosca.

2) Fiume under the Sovereignty of Italy. Italy will establish in the port of Fiume free zones in accordance with the terms of articles 8, 9 and 10 of the Peace clauses drawn up by the Commission of Ports, Waterways, and Railways and will extend to Fiume these facilitations which may be arranged for later on in a general convention with reference to free ports.

3) Italy will have the islands mentioned in the Pact of London except Pago.

4) Zara and Sebenico will be placed under the League of Nations with Italy as mandatory Power.

277 2 Si tratta del c.d. Manifesto Wilson, vedi D. 280, All.

278

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

L. Sofia, 22 aprile 1919.

Tu avrai capito bene dai miei telegrammi che non ho inteso fare lo scocciatore per nulla, segnalando alcuni fra i principali guai che ci sta combinando Franchet d’Esperey1. Su questo andiamo qui tutti d’accordo e cerco di dare una mano a Mombelli, ai nostri ufficiali e agli stessi francesi ragionevoli, come Chrétien, che si sono messi dalla parte nostra. Potremo eliminare la pietra dello scandalo?

È un miracolo se quel pazzo di comandante in capo francese non ha scatenato la burrasca coi suoi amici i greci e Venizelos. Egli, pare, me ne vuole personalmente, ciò che mi lusinga come la prova del successo per la nostra politica.

Tu non hai un’idea quanto, almeno per ora, la nostra posizione se ne sia rafforzata qui fra gli elementi migliori, fra quelli su cui si potrebbe contare un giorno nei limiti naturalmente concessi dagli usi e costumi balcanici.

Il giovane re, fra gli altri, merita encomio ed appoggio; è un giovane modesto, serio, sincero che ha saputo acquistare la popolarità nell’esercito e la simpatia della maggioranza del popolo. Molti, e fra essi i serbi e greci, lo vorrebbero sopprimere, ma cerchiamo di salvarlo. Non appena sarà passata la presente crisi, il nostro compito sarà assicurato.

Attenti ai greci! Su questo capitolo potrei, dopo l’esperienza dei sette ultimi anni, scrivere volumi.

Rendere innocuo Venizelos non è cosa facile, ma egli ha molti punti deboli e tenta troppe «impasses», troppe finezze come al bridge, rischia abilmente il bluff; ma per chi conosce i suoi metodi, non è impossibile dargli scacco matto.

In quanto ai serbi basta avere resistenza, pazienza, frenare certe mosse inconsulte di alcuni nostri agenti inesperti ed aspettare. Faranno sempre la bestialità di voler affrontare un gioco troppo forte e farsi pescare in un contre. I loro protettori per di più non li conoscono bene e non armonizzeranno i loro intrighi in modo pericoloso per noi. Non ti pare?

Ecco l’unico bridge che giuoco qui. E per ora non credo che nella mia modesta parte abbiamo perduto.

Dell’Asia Minore non ti dico molto. Dobbiamo prepararci bene perché se, da una parte, il premio è immenso, gli ostacoli non saranno meno insidiosi. Ho studiato il problema nelle mie ore di malinconia e lo vedo ora con maggior chiarezza. Anche qui i bulgari turchi ci potrebbero potentemente aiutare.

Speriamo dunque che Franchet avrà il bastone di maresciallo, premio dei suoi recenti scacchi e se ne andrà a comandare altrove.

Tutto quanto precede per tua norma personale. Se mai il ministro volesse chiarire dei dubbi, riferisci pure la sostanza, scegliendo però una forma più decorosa e meno bridgistica.

Firmati i preliminari spero mi potrai dare notizie. Qui vivo troppo alla giornata. Ti confesso che rimango unicamente per spirito di dovere verso il paese e il ministro2.

277 3 Le controproposte italiane furono consegnate da Cellere a Wilson la sera stessa del 22aprile e da Aldrovandi al segretario di Lloyd George, Kerr alle ore 9 del mattino successivo, comerisulta da annotazione manoscritta dello stesso Aldrovandi. Ed. in FRUS, vol. V, p. 154 e, nel testo italiano, in ALDROVANDI, p. 260.

278 1 Si vedano qui i DD. 156 e 244.

278 2 Aggiunta manoscritta in calce: «Ho regolato e sto regolando sul posto molte questioni d’ognigenere sulle quali non riferisco neppure, per mancanza di tempo e per non seccare. Dio me la mandi sempre bene come lo fece sinora. Non domando istruzioni ricordandomi il «tip» che mi hai dato quando partivo. Ma so bene quel che vuole il ministro e lo servo a suo talento».

279

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 23 aprile 1919, (mattina).

Alle ore 19 di ieri Lloyd George mi fece nuovamente chiamare1 e mi disse che dopo grandi stenti aveva ottenuto da Wilson le seguenti proposte da fare all’Italia: linea delle Alpi; cessione all’Italia di tutta la fascia esteriore delle isole della costa orientale; Fiume, Zara e Sebenico dichiarate città libere sotto la garanzia della Società delle Nazioni. Gli risposi subito che credevo queste condizioni inaccettabili poiché, di fronte ad un sacrificio quasi assoluto della Dalmazia, non si aveva il compenso di una piena soddisfazione quanto a Fiume. Dichiarai tuttavia che per riguardo agli autori della proposta e per mostrare il mio spirito conciliativo ne avrei parlato ai colleghi della Delegazione. Lloyd George aggiunse che riteneva queste proposte costituire un limite estremo. Riunita la Delegazione italiana, fu riconosciuta la inaccettabilità di quelle proposte e si stabilì di fare le seguenti controproposte, con la dichiarazione di assoluta irriducibilità: primo, linea delle Alpi; secondo, isole del Patto di Londra, meno Pago; terzo, Fiume annessa all’Italia con tutte le garanzie di libero commercio; quarto, Zara e Sebenico dichiarate città libere con la garanzia della Lega delle Nazioni, la quale però affiderebbe all’Italia il mandato specifico della protezione. Questa controproposta viene nell’antimeriggio comunicata tanto a Lloyd George quanto a Clemenceau2. Per quanto riguarda gli americani, le conversazioni sono state riprese in via indiretta. Mi riesce assai difficile di fare prognostici, ma credo che alla soluzione da noi proposta si potrà pervenire, ma occorrerà dimostrare ancora quella irremovibile decisione di sfidare ogni conseguenza, che abbiamo sinora dimostrata e che corrisponde effettivamente ai nostri sentimenti. Non escludo quindi che io abbia da passare attraverso la fase della mia partenza da Parigi, che potrebbe avvenire anche questa sera; al più tardi entro domani.

2 Sulla data esatta di consegna delle controproposte italiane si veda D. 277 cit., nota 3.

279 1 Vedi D. 277.

280

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. Parigi, 23 aprile 1919, ore 20,45.

Dopo mandata nostra proposta di cui nel telegramma di questa mattina1, alle 15 era venuto un segretario di Lloyd George a portare la seguente risposta: tutte le condizioni poste dall’Italia accettate salvo il punto relativo sovranità italiana Fiume. Siccome tale risposta non chiariva situazione in cui Fiume sarebbe rimasta, alle ore 16 e mezza mandammo ambasciatore Imperiali da Lloyd George per avere chiarimenti. Lloyd George ci fece sapere che Fiume sarebbe rimasta città libera al di fuori di qualsiasi controllo o mandato.

La Delegazione era riunita per discutere quando venni a conoscere, ed i primi giornali pomeriggio di Parigi pubblicarono poi, un messaggio di Wilson2, col quale, rivolgendosi popolo americano, egli tenta dimostrare che quanto è da noi chiesto oltre la linea delle Alpi è imperialismo contrario principî pei quali America entrò inguerra e in base ai quali il popolo italiano egli spera voglia chiedere pace. È inutile che vi lumeggi tutta immensa gravità questo fatto, complicato da una formale mancanza all’accordo. Noi abbiamo redatto una lettera ai due presidenti delle potenze alleate, con cui protestiamo dignitosamente contro tale incredibile procedimento il quale rende impossibile l’ulteriore nostra presenza ai lavori della Conferenza. Da molti indizi indiretti ma eloquenti abbiamo tratta convinzione che gli alleati cercherebbero ogni pretesto per liberarsi dai loro obblighi e dovremo alla nostra volta cercare di rendere vano tale sforzo.

È evidente che la ripercussione in Italia su tali avvenimenti sarà immensa ed io lascio a voi di prendere tutte le precauzioni necessarie per quanto riguarda l’ordine pubblico. Occorre soprattutto che siano efficacemente tutelati la Ambasciata, i Consolati nonché i cittadini e i militari americani, prendendo all’uopo ed a seconda le varie condizioni di ambiente pronti, opportuni accordi con le stesse persone dei rappresentanti e degli ufficiali americani inducendo questi ultimi ad evitare possibilmente che i dipendenti ed essi stessi si aggirino in divisa. Tutte altre misure preventive dovranno essere prese dall’autorità politica e di pubblica sicurezza in pieno accordo con quella militare, in modo avere truppe pronte e sottomano da coordinare vari organi ed integrarne l’azione. Bisogna che in tali sensi gli ordini siano precisi e rigorosi.

280 Il telegramma fu inviato tramite Petrozziello con la seguente avvertenza: «Pregola comunicare S.E. Colosimo ed a S.E. Cittadini per S.M. il re, apportando in quest’ultima comunicazione opportunemodificazioni di forma circa le disposizioni ordine pubblico, la cui parte Sua Maestà deve conoscere pernotizia di quanto telegrafo a voi».

1 Vedi D. 279.

2 Vedi Allegato. La traduzione italiana è in CRESPI, pp. 447 sgg.

Io non faccio in tempo a partire questa sera: ma conto di prendere il treno domani, giovedì, alle ore 14 per essere a Roma venerdì sera alle 21. Ho disposto perché da qui non partano notizie prima di domattina, in modo che voi abbiate il tempo necessario impartire ordini e prendere tutte precauzioni occorrenti: se però fosse necessaria una ulteriore sospensione, che certamente non potrebbe essere molto lunga giacché domani giornali e viaggiatori dalla Francia saranno in Italia, prego telegrafarmene subito. Gradirò sollecite notizie.

ALLEGATO

MESSAGGIO DI WILSON

STATEMENT IN RE ADRIATIC April 23.

In view of the capital importance of the questions affected, and in order to throw all possible light upon what is involved in their settlement, I hope that the following statement will contribute to the final formation of opinion and to a satisfactory solution.

When Italy entered the war she entered upon the basis of a definite, but private, understanding with Great Britain and France, now known as the Pact of London. Since that time the whole face of circumstance has been altered. Many other powers, great and small, have entered the struggle, with no knowledge of that private understanding. The Austro-Hungarian Empire, then the enemy of Europe, and at whose expense the Pact of London was to be kept in the event of victory, has gone to pieces and no longer exists. Not only that. The several parts of that Empire, it is now agreed by Italy and all her associates, are to be erected into independent states and associated in a League of Nations, not with those who were recently our enemies, but with Italy herself and the powers that stood with Italy in the great war for liberty. We are to establish their liberty as well as our own. They are to be among the smaller states whose interests are henceforth to be as scrupulously safeguarded as the interests of the most powerful states.

The war was ended, moreover, by proposing to Germany an armistice and peace which should be founded on certain clearly defined principles which should set up a new order of right and justice. Upon those principles the peace with Germany has been conceived, not only, but formulated. Upon those principles it will be executed. We cannot ask the great body of powers to propose and effect peace with Austria and establish a new basis of independence and right in the states which originally constituted the Austro-Hungarian Empire and in the states of the Balkan group on principles of another kind. We must apply the same principles to the settlement of Europe in those quarters that we have applied in the peace with Germany. It was upon the explicit avowal of those principles that the initiative for peace was taken. It is upon them that the whole structure of peace must rest.

If those principles are to be adhered to, Fiume must serve as the outlet and inlet of the commerce, not of Italy, but of the lands to the north and northeast of that port: Hungary, Bohemia, Roumania, and the states of the new Jugo-Slavic group. To assign Fiume to Italy would be to create the feeling that we had deliberately put the port upon which all these countries chiefly depend for their access to the Mediterranean in the hands of a power of which it did not form an integral part and whose sovereignty, if set up there, must inevitably seem foreign, not domestic or identified with the commercial and industrial life of the regions which the port must serve. It is for that reason, no doubt, that Fiume was not included in the Pact of London but there definitively assigned to the Croatians.

And the reason why the line of the Pact of London swept about many of the islands of the eastern coast of the Adriatic and around the portion of the Dalmatian coast which lies most open to that sea was not only that here and there on those islands and here and there on that coast there are bodies of people of Italian blood and connection but also, and no doubt chiefly, because it was felt that it was necessary for Italy to have a foothold amidst the channels of the eastern Adriatic in order that she might make her own coasts safe against the naval aggression of Austria-Hungary. But Austria-Hungary no longer exists. It is proposed that the fortifications which the Austrian government constructed there shall be razed and permanently destroyed. It is part, also, of the new plan of European order which centres in the League of Nations that the new states erected there shall accept a limitation of armaments which puts aggression out of the question. There can be no fear of the unfair treatment of groups of Italian people there because adequate guarantees will be given, under international sanction, of equal and equitable treatment of all racial or national minorities.

In brief, every question associated with this settlement wears a new aspect, a new aspect given it by the very victory for right for which Italy has made the supreme sacrifice of blood and treasure. Italy, along with the four other great powers, has become one of the chief trustees of the new order which she has played so honourable a part in establishing.

And on the north and northeast her natural frontiers are completely restored, along the whole sweep of the Alps from northwest to southeast to the very end of the Istrian peninsula, including all the great watershed within which Trieste and Pola lie and all the fair regions whose face nature has turned towards the great peninsula upon which the historic life of the Latin people has been worked out through centuries of famous story ever since Rome was first set upon her seven hills. Her ancient unity is restored. Her lines are extended to the great walls which are her natural defence. It is within her choice to be surrounded by friends; to exhibit to the newly liberated peoples across the Adriatic that noblest quality of greatness, magnanimity, friendly generosity, the preference of justice over interest.

The nations associated with her, the nations that know nothing of the Pact of London or of any other special understanding that lies at the beginning of this great struggle, and who have made their supreme sacrifice also in the interest, not of national advantage or defence, but of the settled peace of the world, now unite with her older associates in urging her to assume a leadership which cannot be mistaken in the new order of Europe. America is Italy’s friend. Her people are drawn, millions strong, from Italy’s own fair countrysides. She is linked in blood as well as in affection with the Italian people. Such ties can never be broken. And America was privileged, by the generous commission of her associates in the war, to initiate the peace we are about to consummate, to initiate it upon terms she had herself formulated, and in which I was her spokesman. The compulsion is upon her to square every decision she takes a part in with those principles. She can do nothing else. She trusts Italy, and in her trust believes that Italy will ask nothing of her that cannot be made unmistakably consistent with these sacred obligations. Interest is not now in question, but the rights of peoples, of states new and old, of liberated peoples and peoples whose rulers have never accounted them worthy of right; above all, the right of the world to peace and to such settlements of interest as shall make peace secure.

These, and these only, are the principles for which America has fought. These, and these only, are the principles upon which she can consent to make peace. Only upon these principles, she hopes and believes, will the people of Italy ask her to make peace.

281

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ITALIANE ALL’ESTERO

T. 1897. Parigi, 23 aprile 1919, ore 22.

In seguito alla pubblicazione sui giornali di oggi di un messaggio del presidente Wilson1, avvenuta mentre proseguivano tra Alleati e Associati le conversazioni per giungere ad un accordo sul regolamento delle questioni territoriali italiane, la Delegazione italiana si è trovata nell’impossibilità di continuare a prender parte ai lavori della Conferenza e lascia Parigi.

282

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 1362. Parigi, 23 aprile 1919.

Gruppi albanesi dissidenti hanno presentato al Congresso loro protesta contro azione politica italiana. Si tratta di vero libello contenente accuse basate su fatti completamente infondati o interpretati con malevolenza. Iniziatori e sostenitori simile condotta inqualificabile sono dottore Tourtolis e Mehmed Konitza. Anche gruppo Solea e Midhat Frashëri dalla Svizzera spedisce telegrammi inspirati analoga condotta. Il più recente comprendeva frasi come seguenti: «Bloqués dès dernière heure contre tout droit et toute justice par gouvernement italien abusant de sa puissance ils furent (les albanais) littéralement décimés par la faim et les privations. Ils payèrent encore lourd tribut aux épidémies. Maintenant oubliés isolés toujours et livrés à leurs pires ennemis ils meurent encore par dizaines d’inanition». E più oltre ancora: «Presse irresponsable italienne voulant servir à tout prix impérialisme italien tâche accréditer un prétendu mouvement insurrectionnel albanais». Infondatezza tali apprezzamenti è evidente ma tuttavia recano danno sopratutto alla causa albanese prestando armi alle propagande avversarie interessate svalutare opera italiana per ridurre Albania in loro balia. Conseguenze sono evidenti e dovrebbero preoccupare Governo provvisorio e suoi organi stimolandoli a fare ogni possibile per far cessare simile stato di cose e inqualificabile condotta. Opera subdola di preparazione avversaria mira compromettere causa albanese per momento nel quale verrà in discussione davanti Congresso e gli intrighi di Tourtolis, di Konitza e del gruppo di Svizzera agevolano tali mene. Venne da noi più

281 Il telegramma fu inviato alle Ambasciate a Washington, Londra, Madrid e Tokio e all’altocommissario a Costantinopoli, alle Legazioni ad Atene, Berna, Belgrado, Bucarest, L’Aia, Lisbona,Praga, Pechino, Teheran, Addis Abeba, alle Agenzie diplomatiche al Cairo e Tangeri, nonché ai commissari a Vienna, a Sofia e a Budapest.

1 Vedi D. 280, All.

volte fatto presente a delegazione albanese necessità di mandare persona fidata in Svizzera e tenere colà rappresentante che distolga dal compiere opera antipatriottica del gruppo contrario ma finora nulla venne fatto. D’altra parte urge che Governo provvisorio consideri quanto conviene di fare perché delegazione albanese a Parigi sia liberata dalla molestia dei due membri dissidenti e possa far fronte alla scossa situazione odierna che va tutta a vantaggio di Essad e degli avversari dell’Albania.

Quanto sopra prego voler comunicare al colonnello Lodi perché possa opportunamente consigliare il Governo di Durazzo.

Converrà pure che il giornale «Kuvendi» pubblichi informazioni su benessere prodotto in Albania da nostra occupazione e contrasti malevole campagna di persone che mancano da quelle regioni da anni e scrivono per partito preso.

283

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 173. Parigi, 23 aprile 1919.

Mi sono recato stasera dal signor Pichon e a titolo del tutto personale gli espressi l’impressione che avevo desunto dai recentissimi avvenimenti, che cioè il signor Clemenceau non ci desse nella questione di Fiume che un appoggio assai più tepido di quanto le dichiarazioni da lui fattemi in passato e confermatemi anche dallo stesso signor Pichon mi avrebbero fatto sperare. Il signor Pichon, che era sotto l’impressione recentissima del comunicato di Wilson che egli appena finiva di leggere e che lo aveva letteralmente costernato, non mi negò interamente che il signor Clemenceau avesse alquanto modificato il suo modo di vedere quanto a Fiume e lo attribuiva all’influenza di Lloyd George che aveva, secondo lui, ripetutamente espresso l’intenzione di non riconoscere il possesso di Fiume all’Italia. Posto in presenza del rifiuto inglese che si aggiungeva a quello americano e che rendeva improbabile un favorevole risultato, il signor Clemenceau si era tenuto in una maggiore riserva e perciò si era limitato a dire stamani all’on. Barzilai che per suo conto non farebbe alcuna difficoltà a che ci si attribuisse secondo la nostra ultima formula la sovranità su Fiume. Pichon mi espresse poi, pur nei termini velati e reticenti che egli impiega sempre nelle situazioni imbarazzanti, la sua penosissima sorpresa per il comunicato Wilson che produceva evidentemente sopra di lui l’effetto più disastroso. Non mancai di dirgli che questo era il momento per i nostri alleati di dimostrarci la loro amicizia e che un gesto di solidarietà della Francia avrebbe oggi sulla nostra opinione pubblica un effetto incalcolabile. Il signor Pichon mi disse che se ne rendeva conto e che si recava immediatamente dal signor Clemenceau per intrattenerlo della cosa.

Uscendo dal Gabinetto del signor Pichon incontrai i due fratelli Cambon che entrambi, di loro iniziativa, mi manifestarono la loro indignazione per la pubblicazio

283 Il telegramma fu ritrasmesso a Orlando a Roma con T. Posta 1386 di Sonnino, del 25 aprile.

ne di Wilson, che Jules Cambon con la sua solita energia di linguaggio qualificava di bolscevico. Ma ciò che più mi impressionò è quanto mi disse Paul Cambon e che corrispondeva a quanto poco prima mi aveva detto Pichon, che cioè Lloyd George avrebbe sempre fatto a nostro riguardo un gioco doppio.

284

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DELLA GUERRA CECOSLOVACCO, STEFÁNIK

NOTA 4978 SP. Parigi, 23 aprile 1919.

In relazione ai colloqui avuti con V.S. durante la vostra permanenza a Parigi, ho l’onore di confermarvi quanto segue:

1) L’invio della missione militare italiana nella Repubblica czeco-slovacca, invio che il Governo italiano ha creduto di accordare per aderire alla richiesta del Governo czeco-slovacco, aveva per scopo essenziale di dare un pronto aiuto ed appoggio al vostro giovane Stato per la costituzione del nuovo esercito czeco-slovacco.

2) In relazione a tale scopo il generale Piccione, capo della missione militare, ha, per invito del vostro Governo, ricondotto in patria le vostre truppe organizzate in Italia, costituenti il primo saldo nucleo organizzato del nuovo esercito czeco-slovacco. Giunto sul territorio della Repubblica, il generale Piccione, conservando l’effettivo comando di queste truppe, ha ricevuto anche dal vostro Governo l’incarico di preparare e condurre le eventuali operazioni di guerra in tutto il territorio della Repubblica a est della Morava e di mantenere l’ordine nella Slovacchia.

3) Ma la necessità dell’aiuto della missione militare italiana, aiuto che il mio Governo ha accordato e conservato fino a questo momento assai di buon grado, è venuta ormai a cessare, dacché il vostro Governo ha provveduto a costituire gli organi che devono presiedere alla formazione del nuovo esercito su tipo unico e alla condotta delle operazioni.

Perciò, come Voi stesso avete riconosciuto, il compito della missione militare italiana può ormai ritenersi ultimato. E poiché il generale Piccione deve avere prossimamente altro incarico e si deve fare assegnamento anche sugli altri ufficiali, Vi prego di voler disporre perché la missione rientri in Italia nel termine che abbiamo verbalmente convenuto1.

Analoga comunicazione faccio al generale Piccione.

284 La nota, sottoposta alla preventiva approvazione di Sonnino, fu inviata al generale Piccione,con n. 5014 dello stesso giorno, con preghiera di consegnarla al generale Stefánik. Scomparso però Stefánik il 4 maggio in un incidente aereo, Cavallero, sentito il ministro degli esteri, dispose (T. 6100 SP. del 10 maggio) che la nota venisse consegnata al ministro della difesa cecoslovacco, Klofác.

1 Con N. 4639 SP. del 18 aprile, a Orlando e a Sonnino, Diaz aveva comunicato: «Il rimpatrioavrebbe luogo subito dopo il 24 maggio, anniversario della costituzione del nuovo esercito cecoslovacco». In effetti la missione italiana lasciò Praga la sera del 6 giugno (vedi poi D. 726).

285

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU

L. Parigi, 23 aprile 1919.

Ainsi qu’il est à Votre connaissance, la discussion au sujet du règlement des revendications territoriales italiennes était entrée dans une phase où l’on cherchait un moyen de conciliation parmi les différentes tendances et possibilités qui avaient été envisagées.

Au cours des conversations, aujourd’hui à trois heures de l’après-midi, Monsieur Kerr, Secrétaire de l’Hon. M. Lloyd George, avait fait à la Délégation Italienne une communication de la part des trois Puissances Alliées et Associées, touchant une solution sous examen.

A quatre heures et demie de l’après-midi le Marquis Imperiali avait demandé au nom de la Délégation Italienne à M. Lloyd George, et avait obtenu de lui, un éclaircissement sur un point de la communication susdite.

Pendant que la Délégation Italienne était en train de délibérer sur la réponse qu’on lui avait demandée, les journaux du soir publiaient le message du Président Wilson, dont Vous avez surement déjà connaissance.

Je m’abstiens de toute appreciation sur ce fait, mais je ne peux à moins, Monsieur le Président, de faire appel au Traité d’Alliance qui nous lie, ainsi qu’aux dévoirs et aux droits qui en découlent. Vous avez renouvelé tout récemment les déclarations les plus formelles sur Votre ferme intention, dont du reste je n’ai jamais douté, d’assurer à l’Italie tous les droits qui découlent du Traité. C’est en invoquant ce lien d’alliance que je viens Vous prier de vouloir bien considérer l’impossibilité dans laquelle la Délégation Italienne se trouve de prendre une part ultérieure aux travaux de la Conférence, à la suite du grave incident qui vient de se produire.

Les conditions de paix avec l’Allemagne pouvant désormais être considérées comme arrêtées dans leurs éléments essentiels, je déclare que je serai à même de les signer avec les Alliés de l’Italie dès que les conditions de paix concernant les frontières italiennes auront en même temps été également réglées.

En effet, il découle clairement de l’Accord aussi bien que de la Déclaration signés à Londres le 26 Avril 1915 que les Puissances signataires des Actes susdits doivent arriver ensemble à la conclusion d’une paix générale.

J’envois en même temps un lettre identique à celle-ci à Monsieur Lloyd George, et j’en informe le Marquis Saionji.

285 Edita in CRESPI, pp. 451 sgg. Una lettera identica fu inviata a Lloyd George e ne furono informati Wilson e il delegato giapponese Saionji. In Allegato si pubblica anche la prima versione della lettera,datata 22 aprile, di cui Orlando aveva parlato a Lloyd George (vedi D. 272), e che non fu spedita perchéimplicava di fatto la rinuncia a Fiume (cfr. ALDROVANDI, pp. 262 sgg.). In essa le parole poste tra parentesiquadre appaiono cancellate nella minuta originale. Esse proverebbero che l’intenzione di abbandonare laConferenza era preesistente al messaggio di Wilson, che ne avrebbe poi costituito la causa ufficiale.

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU

L. Parigi, 22 aprile 1919.

Les discussions de ces derniers jours ont mis en évidence un dissentiment profond au sein du Conseil des quatre Grandes Puissances Alliées et Associées pour ce qui a trait à la satisfaction de l’ensemble des revendications italiennes. Ce dissentiment a été la cause de l’insuccès de tout effort pour arriver à une conciliation, que moi-même j’ai montré désirer vivement.

Je constate aussi que des déclarations ont été renouvelées de la part des deux Puissances Alliées signataires de l’Accord de Londres, au sujet de l’engagement de la Grande Bretagne et de la France, d’assurer à l’Italie tous les droits stipulés par le dit Accord. Je prends acte également de ces déclarations bien que je n’en aie jamais douté.

Etant donnée cette situation, je me trouve dans la nécessité de demander [purement et simplement] aux Puissances Alliées d’assurer effectivement à l’Italie la réalisation des droits qui lui sont reconnus par ce Traité. [D’autre part, l’état de choses qui vient de se produire m’engage à considérer que ma présence ultérieure aux discussions de la Conférence n’est pas opportune]. Les conditions de paix avec l’Allemagne peuvent être considérées comme arrêtées dans leurs éléments essentiels et je déclare que je serai à même de les signer avec les Alliés de l’Italie dès que les conditions de paix concernant les frontières italiennes auront en même temps été également réglées.

En effet, il découle clairement de l’Accord aussi bien que de la Déclaration signés à Londres le 26 avril 1915 que les Puissances signataires des Actes susdits doivent arriver ensemble à la conclusion d’une paix générale.

J’envois en même temps une lettre identique à celle ci à M. Lloyd George et j’en informe le marquis Saionji.

286

RELAZIONE DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 23 aprile 1919, ore 15,10.

Il signor Kerr, segretario del signor Lloyd George è venuto a dirmi, in risposta alla comunicazione che gli avevo fatta stamane della contro-proposta italiana1, che non vi era stata difficoltà ad accettare i punti della proposta stessa ad eccezione di quello

286 Edito in ALDROVANDI, pp. 261 sgg. 1 Vedi D. 277.

che concerneva la sovranità di Fiume. Gli domandai in quali condizioni sarebbe rimasto Fiume se non fosse stato posto sotto la sovranità dell’Italia. Mi disse: «free city», poi corresse: «free state», sul tipo di quello di Danzica. Gli domandai se la rappresentanza diplomatica ne sarebbe stata assegnata all’Italia come quella di Danzica era stata assegnata alla Polonia, ed egli mi disse di no. Domandai a chi sarebbe stata assegnata, ed egli mi rispose «allo Stato stesso». Il signor Kerr soggiunse che occorreva che la Delegazione desse una risposta al più presto perché il presidente Wilson avrebbe pubblicato il suo manifesto domattina, anzi egli accennò a dichiarazioni delle tre potenze, Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Gli dissi che non vedevo che cosa avrebbero avuto a dichiarare la Francia e l’Inghilterra. Gli domandai se sapeva chi avesse fatto precisamente opposizione alla questione della sovranità su Fiume poiché, da informazioni avute da qualcuno che aveva parlato con il presidente Wilson questa mattina a proposito dei punti da noi presentati, sembrava che il presidente non sarebbe stato alieno dal-l’accettarli tutti. Mi rispose che era derivata dal presidente Wilson, «ma», soggiunse con qualche imbarazzo, «io del resto non ero presente». Gli dissi allora che avevo sperato una diversa e migliore soluzione, poiché il signor Clemenceau aveva detto ripetutamente che ci avrebbe aiutato per farci avere Fiume se avessimo fatto delle rinunzie in Dalmazia. Ora, noi cedevamo tutta la terraferma dalmata del Patto di Londra restando città libere solo Zara e Sebenico. Aggiunsi che il signor Lloyd George aveva detto al presidente Orlando che per Fiume egli si rimetteva a quanto avessimo concordato con il presidente Wilson. Dissi al signor Kerr che avrei fatto la comunicazione di quanto egli ci aveva detto al presidente Orlando e che gli avrei fatto sapere una risposta. Il signor Kerr mi disse che il signor Lloyd George restava a nostra disposizione.

287

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU, E IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, LLOYD GEORGE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

MEMORANDUM. Parigi, 23 aprile 1919.

FIUME AND THE PEACE SETTLEMENT

We learn with a regret which it is difficult to measure that, at the very moment when Peace seems almost attained, Italy threatens to sever herself from the company of the Allied nations, through whose common efforts victory has been achieved. We

287 La nota originale, datata 23 aprile, fu consegnata da Hankey ad Aldrovandi la sera del 24dopo la riunione dei Quattro con Sonnino, con i segretari Aldrovandi, Hankey, Close e con Mantoux.Tanto risulta dalla relazione della detta riunione (qui D. 300) nonché da un appunto manoscritto di Sonni-no su un suo biglietto da visita. Il documento era stato redatto in realtà da Balfour (vedi ALDROVANDI p.282 e CRESPI, p. 485) ed è edito nel testo inglese in FRUS, V, pp. 223 sgg. e, nella traduzione italiana, in CRESPI, D. 4 e in ORLANDO, pp. 530 sgg. La traduzione italiana del documento fu spedita da Sonnino adOrlando a Roma la sera del 25 aprile, come risulta dal T. 449 delle ore 16,15 di quel giorno (edito in SONNINO, Carteggio, D. 440) nel quale si dà un breve riassunto del documento stesso.

do not presume to offer any opinion as to the effects which so momentous a step would have upon the future of Italy herself. Of these it is for the Italian people and its leaders to judge, and for them alone. But we, who have been Italy’s Allies through four anxious years, and would gladly be her Allies still, are bound to express our fears as to the disastrous effects it will surely have upon us, and upon the policy for which we have striven.

When in 1915 Italy threw in her lot with France, Russia and the British Empire in their struggle against the Central Powers, Turkey and Bulgaria, she did so on conditions. She required her Allies to promise that in case of victory they would help her to obtain in Europe the frontier of the Alps, the great ports of Trieste and Pola, and a large portion of the Dalmatian coast with many of its adjacent islands. Such accessions of territory would enormously strengthen Italy’s power of defense, both on land and sea, against her hereditary enemy, and would incidentally result in the transfer of over 200,000 German-speaking Tyrolese and over 750,000 Southern Slavs from Austrian to Italian rule. Under this arrangement Fiume was retained by Great Britain, France and Italy herself for Croatia.

Such was the situation in April, 1915. In November, 1918, it had profoundly changed. Germany was beaten; the Dual Monarchy had ceased to exist: and side by side with this military revolution, the ideals of the Western Powers had grown and strengthened. In 1915 the immediate needs of self-defense, the task of creating and equipping vast armies, the contrivance of new methods for meeting new perils, strained to the utmost the energies of the Allies. But by 1918 we had reached the double conviction that if the repetition of such calamities was to be avoided, the Nations must organize themselves to maintain peace, as Germany, Austria, Bulgaria and Turkey had organized themselves to make war; and that little could be expected, even from the best contrived organization, unless the boundaries of the States to be created by the Conference were framed, on the whole, in accordance with the wishes and lasting interests of the populations concerned.

This task of re-drawing European frontiers has fallen upon the Great Powers; and admittedly its difficulty is immense. Not always, nor indeed often, do race, religion, language, history, economic interests, geographical contiguity and convenience, the influence of national prejudices and the needs of national defense, conspire to indicate without doubt or ambiguity the best frontier for any State: be it new or old. And unless they do, some element in a perfect settlement must be neglected, compromise becomes inevitable, and there may often be honest doubts as to the form the compromise should take.

Now as regards most of the new frontier1 between Italy and what was once the Austrian Empire, we have nothing to say. We are bound by the Pact of London, and any demand for a change in that Pact which is adverse to Italy must come from Italy herself. But this same Pact gives Fiume to Croatia, and we would very earnestly and respectfully ask whether any valid reason exists for adding, in the teeth of the Treaty, this little city on the Croatian coast to the Kingdom of Italy. It is said indeed, and with truth, that its Italian population desire the change. But the population which clusters around the port is not predominantly Italian. It is true that the urban area whe

rein they dwell is not called Fiume; for it is divided by a narrow canal, as Paris is divided by the Seine, or London by the tidal estuary of the Thames, and locally the name, Fiume, is applied in strictness only to the streets on one side of it. But surely we are concerned with things, not names; and however you name it, the town which serves the port, and lives by it, is physically one town, not two: and taken as a whole is Slav, not Italian.

But if the argument drawn from the wishes of the present population does not really point to an Italian solution, what remains? Not the argument from history; for up to quite recent times the inhabitants of Fiume, in its narrowest meaning, were predominantly Slav. Not the arguments from contiguity; for the country population, up to the very gates of the city, are not merely predominantly Slav, but Slav without perceptible admixture. Not the economic argument; for the territories which obtain through Fiume their easiest access to the sea, whatever else they be, at least are not Italian. Most of them are Slav; and if it be said that Fiume is also necessary to Hungarian and Transylvanian commerce, this is a valid argument for making it a free port, but surely not for putting it under Italian sovereignty.

There is one other line of argument on this subject about which we would ask leave to say a word. It is urged by some, and thought by many, that the task of the Great Powers is not merely to sit down and coldly rearrange the pieces on the European board in strict, even pedantic, conformity with certain admirable but very abstract principles. They must consider these great matters in more human fashion. After all (so runs the argument), the problems to be dealt with arise out of a Great war. The conquerors in that war were not the aggressors: their sacrifices have been enormous; the burdens they have to bear seem well-nigh intolerable. Are they to get nothing out of victory, except the consciousness that State frontiers in Europe will be arranged in a better pattern after 1918 than they were before; and that nations who fought on the wrong side, or who did not fight at all, will have gained their freedom through other people’s losses? Surely the victors, if they want it, are entitled to some more solid reward than theoretical map-makers, working in the void, may on abstract principles feel disposed to give them.

There is something in this way of thinking which at first sight appeals to us all; and where no interests are concerned but those of the criminal aggressors, it deserves respectful consideration. But in most cases of territorial redistribution it is at least as important to enquire what effects the transfer will have on the nations to whom the territory is given, as upon those from whom it is taken: and when, as in the case of Jugo-Slavia, the nation from whom it is taken happens to be a friendly State, the difficulty of the problem is doubled.

We do not presume to speak with authority on the value of the strategical gains which Italy anticipates from the acquisition of the islands and coastline of Dalmatia. They seem to us to be small; though, small as they are, they must greatly exceed the economic advantages, which will accrue to Italian trade from new opportunities, or to the Italian Treasury from new sources of revenue. We cannot believe that the owners of Trieste have anything to fear from Fiume as a commercial rival, or the owners of Pola from Fiume as a Naval base.

But if Italy has little to gain from the proposed acquisition, has she not much to lose? The War found her protected from an hereditary enemy of nearly twice her size by a frontier which previous Treaties had deliberately left insecure. Her Eastern seaboard was almost bare of harbours, while Austria-Hungary possessed on the opposite side of the Adriatic some of the finest harbours in the world. This was her condition in 1914. In 1919 her Northern and Eastern frontiers are as secure as mountains and rivers can make them. She is adding two great ports to her Adriatic possessions; and her hereditary oppressor has ceased to exist. To us it seems that, as a State thus situated has nothing to fear from its neighbours’ enmity, so its only interest must be to gain their friendship. And though memories belonging to an evil past make friendship difficult between Italians and Slavs, yet the bitterest memories soften with time, unless fresh irritants are frequently applied; and among such irritants none are more powerful than the constant contemplation of a disputed and ill-drawn frontier.

It is for Italy, and not for the other signatories of the Pact of London, to say whether she will gain more in power, wealth and honour by strictly adhering to that part of the Pact of London which is in her favour, than by accepting modifications in it which would bring it into closer harmony with the principles which are governing the territorial decisions of the Allies in other parts of Europe. But so far as Fiume is concerned, the position is different. Here, as we have already pointed out, the Pact of 1915 is against the Italian contention; and so also, it seems to us, are justice and policy. After the most prolonged and anxious reflection, we cannot bring ourselves to believe that it is either in the interests of Jugo-Slavia, in the interests of Italy herself, or in the interests of future peace — which is the concern of all the world — that this port should be severed from the territories to which, economically, geographically and ethnologically it naturally belongs.

Can it be that Italy on this account is prepared to separate herself from her Allies? The hope that sustained us through the perilous years of War was that victory, when it came, would bring with it, not merely the defeat of Germany, but the final discredit of the ideals in which Germany had placed her trust. On the other hand, Germany, even when she began to entertain misgivings about the issues of the campaign, felt sure that the union of her enemies would never survive their triumphs. She based her schemes no longer on the conquest of Europe, but on its political, and perhaps also on its social, disintegration. The Armistice might doubtless produce a brief cessation of hostilities; but it would bring no repose to a perturbed and overwrought world. Militant nationalism would lead to a struggle between peoples; militant internationalism to a struggle between classes. In either event, or in both, the Conference summoned to give us peace would leave us at war, and Germany alone would be the gainer.

This or something like this is the present calculation of a certain section of German politicians. Could anything more effectually contribute to its success than that Italy should quarrel with her Allies, and that the cause of quarrel should be the manner in which our common victory may best be used? We are calling into being a League of Nations; we are daily adding to the responsibilities which, under the approaching Treaty, it will be called upon to assume; yet before the scheme has had time to clothe itself in practical form, we hasten to destroy its credit. To the world we supply dramatic proof that the association of the Great Powers, which won the war, cannot survive peace; and all the world will ask how, if this be so, the maintenance of peace can safely be left in their hands.

For these reasons, if for no other, we beg our Italian colleagues to reconsider their policy. That it has been inspired by a high sense of patriotism we do not doubt. But we cannot believe either that it is in Italy’s true interests, or that it is worthy of the great part which Italy is called upon to play in the Councils of the Nations2.

287 1 La traduzione italiana reca: «su quanto riguarda specialmente la frontiera».

288

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 105/9. Berna, 24 aprile 1919, ore 1,35.

Il professor Herron mi fa sapere di avere ricevuto stamane visita di due notabili serbi che hanno criticato attitudine dell’attuale loro delegazione a Parigi alla cui intransigenza essi attribuiscono nostra partenza che compromette pace intera. Questi due personaggi volevano sapere dall’Herron se costituzione di una nuova delegazione pronta a negoziare con noi sarebbe ben vista da R. Governo e se potrebbe avere qualche probabilità di poter riparare ancora in tempo agli errori dell’altra. Ho detto all’Herron che avrei telegrafato a V.E. tale proposta, ma che per parte mia credevo che giungesse troppo tardi.

289

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. UU. PREC. ASS. Roma, 24 aprile 1919, ore 21,16.

Ho telegrafato ai r.r. consoli in Monaco, Nizza quanto segue:

«Viene riferito che S.A.R. principe Pietro del Montenegro attualmente a CapMartin presso principe Danilo si propone venire in Italia. È necessario ciò sia evitato.

Prego non vistare suo passaporto e adoperarsi in ogni modo nel senso voluto telegrafandomi esito suoi passi. Ho diretto eguale telegramma ai r.r. consoli in Nizza e Monaco».

289 Il telegramma fu inviato alla Delegazione a Parigi con la seguente avvertenza: «Pregocomunicare quanto precede S E. Sonnino, avvertendolo che il telegramma è stato inviato per desideriosuperiore».

287 2 Nel suo discorso alla Camera del 29 aprile Orlando si limitò a riassumere il pensiero deglialleati sulla questione, provocando le rimostranze di Malcolm a Imperiali, per la mancata pubblicazionedell’intero documento. Con T. 1346 P. del 30 aprile a Battioni Orlando precisava: «Debbo ricordare cheio fui lasciato libero se pubblicarlo o no. Compresi subito che pubblicazione non avrebbe certo giovatoalle simpatie dell’Italia coll’Inghilterra e Francia ...».

290

IL CAPO DI GABINETTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BATTIONI, AL CAPO DI GABINETTO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, PETROZZIELLO

T. Parigi, 24 aprile 1919, ore 23,40.

S.E.- partito ora fatto segno calorosa imponente dimostrazione da parte colonia italiana intervenuta alla stazione numerosa anche con bandiere, assieme molti cittadini francesi. Clemenceau, Foch, il Municipio si sono fatti rappresentare: Tardieu rappresentava Conferenza. Egli assieme agli altri intervenuti espresse augurio vedere presto S.E. Orlando tornare a Parigi. - S.E.- Salandra partiranno sabato1; S.E. Crespi rimane per varie questioni compresa quella approvvigionamenti. Poiché S.E. presidente non ha avuto tempo telegrafare nei pochi minuti tra il termine conversazione da Lloyd George e partenza, mi ha incaricato di pregarla dare comunicazioni verbali a S.E. Colosimo ed a S.E. Cittadini per Sua Maestà il re, mentre egli si riserva fare loro comunicazioni in viaggio, appena possibile. Alle notizie già telegrafatele circa riunione casa Lloyd George e dichiarazione S.E. Orlando, va aggiunto che il nostro presidente sostenne che sua partenza per mettersi contatto paese e sua rappresentanza, dopo quanto Wilson ha affermato nel suo messaggio, non deve intendersi rottura bensì sospensione rapporti ma confermò altresì che alleati non possono firmare pace senza intervento Italia.

Stampa stasera pubblica messaggio Orlando2 ed ha rilievi favorevoli Italia augurando che si trovi una soluzione alla cui ricerca ricorda debbono dedicarsi specialmente Francia Inghilterra.

290 1 Orlando e gli altri erano partiti alle ore 20,40; Sonnino partirà il successivo sabato 26 alle ore14 (cfr. CRESPI, pp. 466 sg. e 475).2 Vedi D. 298.

291

IL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1121/13 C.H. RR. Budapest, 24 aprile 1919 (perv. il 25).

(...) reazione, di cui mio telegramma B.51, avanzata rumeni. Situazione generale peggiorata e nessuna notizia intenzioni Intesa hanno prodotto ultimi giorni risveglio sintomi estremi conseguenti molteplici arresti ed altri abusi. Ho persistito sempre nondimeno essere necessario cambiamento Governo con esclusione estremisti e seria garanzia se volevasi ottenere Intesa prendesse in considerazione sorte Ungheria. Oggi questo Governo mi ha informato in moderazione ha (...) e mi ha pregato ottenere Intesa accetti proposta invio Svizzera o Parigi quattro o cinque membri Governo responsabile per esporre situazione conoscere intenzione Intesa. Uno dei membri deve essere Kun Bela e ritengo sarebbe opportuno accettarlo sia per dare soddisfazione maggiore rappresentante estremisti sia per allontanarlo temporaneamente da qui; ed altri membri sarebbero socialisti moderati. Mi risulta Kun Bela sarebbe disposto allontanarsi da Governo se sua esclusione rappresentasse conditio sine qua non formazione Gabinetto benvisto Intesa.

Intanto sono stati dati ordini relativi ritiro truppe rosse al di qua del limite zona neutra con fiducia rumeni non spingano oltre loro offensiva. Anche rappresentanti americani vettovagliamento risultami disposti fornire sostanzialmente aiuti qualora avvenga decisivo mutamento Governo. Prego telegrafarmi per radiotelegrafia decisioni.

292

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 117/591 UU. Londra, 24 aprile 1919 (perv. il 25).

Avendo agenzia «Exchange» in questo momento pubblicato telegramma da Parigi nei seguenti termini: «Corrispondente della “United Press” di America afferma che dichiarazione del presidente relativa all’Italia fu letta ed approvata da Lloyd George e Clemenceau martedì. Si dice che Clemenceau dopo averla letta disse: “Ammirevole,

non cambierei una parola”». Ho creduto opportuno immediatamente inviare (...) al Foreign Office per attirare semplicemente attenzione su pericoli inerenti diffusione detta notizia1. Circa ulteriori eventuali passi attendo istruzioni di V.E.

291 1 Nel suo telegramma B.5 del 13 aprile, Borghese, dopo aver riferito del grave malessere diffuso in Ungheria, per le misure «assurde e dannose» adottate nei confronti della borghesia e della proprietà privata, aggiungeva: «Mentre parlasi anche eventuale rimaneggiamento Governo, esiste movimento reazionario che, se non scoperto, sarebbe di prossima attuazione».

293

L’AMBASCIATORE, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, MACCHI DI CELLERE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Parigi, 24 aprile 1919.

Corrispondendo all’invito fattomene dal presidente Wilson (cui avevo chiesto ieri di essere ricevuto per il noto chiarimento sulla questione di Fiume) mi sono recato da lui oggi alle 18.30. Ho atteso sin verso le 19 quando Wilson, tornato dalla riunione coi tre capi di Governo1, mi è venuto subito incontro scusandosi del ritardo ed entrando subito, non interpellato, in argomento. Mi ha detto che usciva appunto dalla riunione e che aveva inteso che il presidente Orlando non si ritirava dalla Conferenza, ma andava soltanto in Italia per esporre al Parlamento la situazione e per illuminare l’opinione pubblica. Mostrando le meraviglie che il suo proclama fosse stato interpretato come un appello al nostro popolo al di sopra o contro del Governo, mi ha detto che non era stata questa la sua intenzione, sibbene quella di rendere noto chiaramente ed apertamente il punto di vista ch’egli, Wilson, sosteneva. Gli ho replicato che, stando così le cose, pareva tanto più disgraziato che quel proclama fosse apparso dacché non era possibile non vedervi l’appello diretto al popolo italiano e che, d’altra parte, il punto di vista del signor Wilson era già noto alla nostra Delegazione. Ho aggiunto di temere che quell’appello al popolo, pendenti le ultime trattative di conciliazione, avrebbe complicato la questione perché prevedevo che la nazione italiana manifesterebbe unanimemente propositi più radicali di quelli enunciati dalla sua rappresentanza a Parigi. Wilson, a questo punto, ha insistito sulla necessità che vi era, però, di chiarire esattamente al popolo d’Italia la situazione e di dargli consigli di moderazione. Gli ho risposto che, quanto a chiarire la situazione, vi aveva provveduto ormai lui stesso, e che quanto a consigli non era facile fornirli ad una nazione invitata a pronunciare il proprio verdetto. Allora Wilson si è addentrato nuovamente nella questione della Dalmazia ripetendo tutti i suoi già noti argomenti: pace stabile, Lega delle Nazioni, protezione dei deboli, smantellamento delle fortezze, mancanza di flotta nei jugoslavi, vigilanza della Lega su possibili armamenti e su possibili alleanze offensive, necessità per noi di vivere in armonia coi vicini ecc. ecc. Dopo averlo lasciato parlare, mi sono limitato a dirgli che l’apprezzamento di questi argomenti era

293 Edito in CRESPI, D. 1.

1 Vedi D. 300.

ormai nelle mani del popolo, ma che da parte mia dubitavo che essi avrebbero potuto convincere la nazione, vittoriosa e gelosa della sua tranquillità futura, a rinunce del-l’ultima ora. Ho osservato tutto al più che la Lega delle Nazioni, se chiamata a funzionare, dovrebbe garantire ugualmente i jugoslavi contro ogni pretesa minaccia del-l’Italia e che perciò l’argomento non calzava per togliere all’Italia quel che riteneva suo diritto di reclamare. Ho voluto fare poi io stesso una punta sulla questione di Fiume ripetendo tutto quanto milita a favore della sua annessione all’Italia. Wilson si è dilungato ad opporre i suoi troppo noti ragionamenti. Ma poiché in un certo punto ha affermato che la italianizzazione degli abitanti di Fiume era stata fomentata artificialmente dall’Ungheria per abbattere l’elemento slavo, gli ho detto che non era esatto e che la lunga e dolorosa storia di Fiume dimostrava il contrario. Ho toccato del-l’autodecisione della città di voler essere incorporata all’Italia ed ho tentato un ultimo appello in favore del riconoscimento di una volontà così fermamente manifestata. Naturalmente non ho sortito nessun effetto. Ché anzi a questo punto Wilson, scusandosi di avere un altro impegno, si è congedato.

Durante il colloquio egli appariva calmo, sereno, tranquillo, sicurissimo di sé. È stato cortesissimo. Di fatto, ho rilevato nella sua fisionomia una minore tranquillità. Debbo aggiungere, per meglio precisare le sue prime parole, che egli mi ha detto avere inteso che il presidente Orlando spiegherebbe alla nazione che Fiume ci era rifiutata da tutti e che, quanto alla Dalmazia, mentre gli alleati si attenevano al Patto di Londra, egli, Wilson, avrebbe esaminato fin dove avesse potuto accettarne le stipulazioni. Wilson, sempre al principio del colloquio, ha fatto anche un accenno a quanto Lloyd George e Clemenceau avrebbero detto al presidente Orlando circa le possibilità derivanti dal distacco dell’Italia dalla Conferenza.

Il colloquio ha durato 35 minuti.

292 1 Vedi poi D. 309.

294

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1119/73. Vienna, 24 aprile 1919 (perv. il 25).

Budapest esiste rilevante frazione partito comunista italiano reclutato fra disertori R. Esercito. Essa tiene riunioni e pubblica manifesti facendo adesione attuale Governo. Da altra parte ho sicure informazioni presenza Italia agenti propaganda ungheresi ed italiani inviati da Governo comunista che (...) onorevole Modigliani.

295

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 2796 RIS. Roma, 24 aprile 1919.

BLOCCO SULLA COSTA ARABA

Ringrazio l’E.V. di avere col telegramma-posta n. 6838 in data 12 aprile corr.1 chiesto di conoscere il mio pensiero sulle informazioni del r. console in Gedda circa il nuovo carattere del blocco inglese sulla costa araba.

Con la lettera del 26 marzo u.s. n. 20092, manifestavo all’E.V. la mia sorpresa nell’apprendere come le condizioni del blocco medesimo fossero state peggiorate, anziché migliorate, mentre più alcun motivo giustificabile vi poteva essere per man-tenerlo. Ora dal r. console in Gedda apprendiamo che, pur non offrendo la situazione dell’Arabia motivi di indole speciale che possano sconsigliare la cessazione del blocco, questo viene mantenuto dal Governo di Aden al solo scopo di impedire il traffico delle armi tra i paesi arabi e quelli africani, e che, data la quantità dei sambuchi esistenti nel Mar Rosso e la loro facilità di eludere il blocco, l’alto commissario d’Egitto ritiene pericolosissimo in questo momento quel traffico nei riguardi dell’Egitto. Oggi, quindi, lo scopo del blocco non sarebbe più quello di sorvegliare l’entrata dei materiali da guerra in Arabia, ma quello di sorvegliare l’uscita di armi e munizioni dall’Arabia con destinazione ultima in Egitto.

Il r. console in Gedda non dice la fonte ufficiale da cui la notizia gli può essere derivata; sta in ogni modo il fatto che né il Governo britannico, né le autorità inglesi di Cairo e di Aden hanno su ciò fatto alcuna comunicazione.

Ora, è evidente che se le autorità inglesi vogliono guarentirsi dal contrabbando di guerra in Egitto, il solo mezzo legale è quello di disporre una stretta vigilanza sulla costa egiziana e al confine di terra sudanese, ma non può essere mai quello di impedire i normali traffici alle altre potenze, altrimenti il modo di procedere delle autorità britanniche potrebbe portare all’assurda conseguenza che, per guarentire l’Egitto dal contrabbando di armi, si renderebbe lecito sopprimere anche del tutto il traffico dei sambuchi nel Mar Rosso, considerato che le armi possono provenire dall’Arabia, dalle coste africane e da oltre lo stretto di Perim. Invece si verifica che le autorità britanniche non comprendono nel blocco della costa araba l’Higiaz e Aden, dove si svolgono i loro interessi diretti, e lo mantengono intanto nell’Asir e nello Yemen e nell’Hadramaut fino a Mukalla, con gravissimo danno dei traffici dell’Eritrea, dalla quale nulla hanno a temere specie nei riguardi del contrabbando delle armi e munizioni, sulle quali la sorveglianza nostra è rigorosissima.

2 Vedi D. 38.

Tutto ciò fa pensare che le autorità britanniche, non potendo più giustificare verso noi il mantenimento del blocco sulla costa araba nei riguardi della Turchia e delle truppe turche che hanno deposto le armi nella regione, vogliono prendere a pretesto l’anormale stato interno dell’Egitto per impedire che ogni nostra influenza si svolga nell’Asir e nello Yemen, a mezzo del commercio, almeno finché la carta d’Africa e d’Asia non abbia avuto un definitivo assetto politico secondo ogni convenienza britannica. Tutto ciò — è superfluo che io lo manifesti all’E.V. — è profondamente penoso, e desta in noi un vivo senso di ripulsa, e ci induce a protestare nel modo più energico contro un procedimento che è violazione patente del diritto delle genti. Che se poi il Governo britannico, o le autorità britanniche di Aden e Cairo, preoccupate dei casi d’Egitto, credessero sinceramente prendere delle misure precauzionali, non avrebbero che a dircelo lealmente, per stabilire con noi, e pur anco con le autorità francesi di Gibuti, un accordo che, come quello del 13 dicembre 19063 per la vigilanza sulle armi nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano, limitatamente alla zona prevista dall’Atto Generale di Bruxelles del 2 luglio 1890, valga a stabilire una reciproca cooperazione per un controllo provvisorio sul traffico delle armi su tutto il Mar Rosso. Un accordo speciale con noi potrebbe avere anche luogo per un nostro concorso nella sorveglianza delle armi al confine sudanese.

Soltanto agendo così, si potrà dire che si voglia trattare con spirito di lealtà e di rispetto dei reciproci interessi, col pratico risultato di far cessare il blocco sulla costa araba, esoso per l’Eritrea, e di avere l’unione di più forze per la repressione del contrabbando di guerra.

Non dubito che l’E.V. condivida un tale ordine di idee, e pertanto di quanto vorrà trattare in tal senso a Londra, a mezzo del r. ambasciatore, e di ogni ulteriore accertamento che crederà far fare in Aden, a mezzo del r. console, e al Cairo, a mezzo del r. agente, sarò particolarmente grato se vorrà tenermene cortesemente informato.

295 1 Non rinvenuto.

296

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 3002 RIS. URG. Roma, 24 aprile 1919.

Senussia. Nell’accordo segreto del 31 luglio 1916 (lettera B) per la Senussia, Italia e Inghilterra hanno convenuto nel riconoscere la Confraternita dei senussi e i poteri religiosi e le funzioni del capo di essa nella persona di Saied Idris el Senussi.

Siamo stati ora informati dal Governo della Tripolitania di una eventuale proclamazione di Idris a capo della Senussia. Noi ci proponiamo, in virtù del detto accordo, di riconoscerlo come Sceich el Tarica riservandoci di regolare in seguito tutto il resto nei riguardi della sistemazione della Confraternita e della famiglia senussita partendo dai modus vivendi conchiusi con Idris1.

Ove V.E. non abbia nulla in contrario, la prego di fare al Governo inglese la comunicazione nei precisi termini innanzi riprodotti2, aggiungendo che non si crede necessario sia fatta alcuna comunicazione alla Francia poiché, nel caso concreto, si tratta dello svolgimento di quella parte dell’accordo del 31 luglio 1916 (lettera B) alla quale la Francia non ha aderito, e pregando di prendere atto della comunicazione.

295 3 L’accordo di Londra del 13 dicembre 1906 fra Italia, Inghilterra e Francia impegnava a mantenere lo statu quo in Abissinia e nel Mar Rosso ed a svolgere la massima vigilanza per reprimere il contrabbando di armi.

297

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO

NOTA 4951 SP. Parigi, 24 aprile 1919.

Allo scopo di precisare i compiti che sono affidati alle truppe destinate alla spedizione in Anatolia, sono stati fissati col Ministero degli esteri i seguenti capisaldi:

1) L’occupazione dell’Anatolia con truppe dovrà essere limitata, in primo tempo, a Scalanova ed effettuata in tale località senza altro ordine non appena si abbia notizia che truppe o marinai greci abbiano compiuto atti di occupazione a Smirne.

2) Il ministro esteri ritiene necessario che a Kuluk, Budrum, Marmaritza, e Makri, che si trovano a sud del parallelo 37°, 30’ della convenzione 1914, la R. Marina mantenga navi in permanenza, in modo da potervi sbarcare riparti di marinai qualora i greci si presentassero per compiere operazioni di sbarco. Rimane inteso che lo sbarco di marinai in detta località avrà luogo senz’altro nel caso che i greci compissero a Smirne atti di occupazione di cui al capo 1) e che ai marinai seguiranno subito le truppe.

3) Effettuato lo sbarco a Scalanova, l’autorità militare dovrà procedere all’occupazione d’Ajassoluk: fino a nuovo ordine il distaccamento di Ajassoluk dovrà solo occuparsi di misure d’ordine pubblico senza ingerirsi della gestione della ferrovia inglese Smirne-Aidin.

2 Su richiesta di Borsarelli (N. 13474/199 del 2 maggio), Preziosi in data 7 maggio ne fececomunicazione a Curzon. Curzon rispose il 9 giugno, prendendone atto, ma suggerendo di darne comunque notizia al Governo francese, come forma di cortesia.

297 Il documento fu inviato, per conoscenza, alla PCM Gabinetto, al MAE Gabinetto, alla DICPSez. marina e al capo di SM della Marina, Revel. Un «Promemoria per una spedizione in Asia Minore»era stato predisposto in data 21 aprile. Le istruzioni del Ministero degli esteri erano state comunicate alcolonnello Pariani in data 22. Per l’Anatolia vedi carta n. 2.

4) Si dovrà soprassedere per ora all’occupazione di altri punti intermedi lungo la ferrovia Smirne-Aidin-Egherdir.

In relazione alle sopra esposte direttive e tenuto conto che, secondo notizie qui pervenute, i greci avrebbero già a Smirne numerosi elementi militari (dicesi 3000 uomini) in abito borghese, pronti a spingersi all’interno al primo cenno, è necessario inviare subito a Scalanova e nelle altre località dell’Asia Minore che ci interessano (ad es. Aidin-Ajassoluk) buoni informatori civili, i quali, evitando di destare sospetti, tengano informati Governo e autorità militari di quanto avviene nelle località medesime.

296 1 Un anno più tardi il R.D. 25.X.1920 n. 1755, conferirà a Idris, quale capo della confraternitasenussita, la «itala dignità di Emiro senusso, con la qualità di capo dell’amministrazione autonoma delleoasi di Augila, Gialo, el Giagbub e Cufra».

298

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON

NOTA. Parigi, 24 aprile 1919.

Ecco la risposta al messaggio di Wilson1.

Mentre la Delegazione italiana si trovava riunita per discutere una controproposta fatta pervenire dal primo ministro inglese allo scopo di cercare un modo di possibile conciliazione fra le varie tendenze che si erano manifestate intorno alla aspirazioni territoriali italiane, i giornali di Parigi pubblicavano un messaggio del presidente degli Stati Uniti signor Wilson nel quale era espresso il pensiero di lui intorno alle più importanti fra quelle questioni sottoposte al giudizio della Conferenza.

L’uso di rivolgersi direttamente ai popoli costituisce certamente una novità nei rapporti internazionali di cui non intendo dolermi ma di cui anzi con questo atto seguo l’esempio, poiché questo nuovo sistema giova senza dubbio a quella più larga partecipazione dei popoli alle questioni internazionali, che anche io ho voluto fosse un carattere dei tempi nuovi. Bensì, se questi appelli ai popoli debbono considerarsi come fatti al di fuori, se non contro, i Governi che li rappresentano, io avrei ragione di grande rammarico ricordando che questo procedimento, [che] era stato sinora applicato ai Governi nemici, venga ora applicato per la prima volta ad un Governo che è stato e vuol essere lealmente amico della grande America, cioè al Governo italiano. E potrei altresì dolermi come tale messaggio diretto al popolo, sia avvenuto nel momento stesso in cui le potenze alleate ed associate trattavano col Governo italiano, con quello stesso Governo il cui concorso ed appoggio era stato ricercato e gradito in molte e gravi questioni sinora trattate con perfetta solidarietà.

Ma soprattutto io avrei ragione di dolermi se le dichiarazioni fatte nel messaggio presidenziale avessero il significato di contrapporre il Governo al popolo italiano,

298 Il testo qui pubblicato corrisponde al comunicato Stefani n. 24 delle ore 13,30, conservatonelle carte Orlando (ACS), ed all’edizione data da CRESPI pp. 453 sgg. Nell’archivio della D.G. affari politici esiste un testo leggermente diverso che presenta anche un periodo mancante nel testo Stefani.

1 Vedi D. 280, Allegato.

dappoiché in tal caso si verrebbe a disconoscere ed a negare l’alto grado di civiltà che il popolo italiano ha raggiunto con forme di reggimento democratico e libero, per cui esso non è secondo a nessun altro popolo del mondo. Contrapponendo, infatti, il Governo al popolo italiano, si ammetterebbe che questo grande popolo libero e civile possa subire l’imposizione di una volontà ad esso estranea: ed io dovrei vivamente protestare contro questa ipotesi che sarebbe ingiustamente offensiva per il mio paese.

Venendo poi al contenuto del messaggio presidenziale, esso è tutto diretto a dimostrare che le rivendicazioni italiane, al di là di quei limiti che il messaggio indica, offendono quei principi su cui deve fondarsi il nuovo ordinamento di libertà e di giustizia fra i popoli. Io non ho mai negato quei principi; e il signor presidente Wilson nella sua lealtà ha già riconosciuto che, nei lunghi colloqui da me avuti con lui, io non mi sono mai appellato all’autorità formale di un trattato che ben sapevo non lo obbligasse.

Io, in quei colloqui, mi son valso soltanto della forza della ragione e della giustizia sulle quali credevo e credo che si fondino le aspirazioni italiane. Non ho avuto la fortuna di convincerlo e me ne duole; ma lo stesso presidente Wilson ha avuto la bontà di riconoscere nel corso di quei colloqui che la verità e la giustizia non sono privilegio di alcun uomo e che l’errore per tutti è sempre possibile, e io aggiungo che ciò è in tanto più possibile quanto più complessi sono i problemi con cui i principi si applicano.

L’umanità è troppo immensa cosa ed i problemi che la vita dei popoli solleva sono così indefinitamente complessi che nessuno può credere di trovare in un certo numero di proposizioni un mezzo così semplice e sicuro per risolverli, come con varie unità di misura si può determinare l’estensione, il volume, e il peso delle varie cose materiali. Se io constato che più volte la Conferenza nell’applicare i principi suddetti ha dovuto mutare radicalmente il suo giudizio, non credo con ciò di mancare di deferenza verso quell’alto consesso: al contrario ciò può avvenire ed avviene in ogni umano giudizio. Voglio dire soltanto che l’esperienza diretta ha dimostrato tutte le difficoltà che s’incontrano nell’applicare un principio, per sua natura astratto, a casi concreti di infinita complessità e varietà. Così io, con ogni deferenza, ma con grande fermezza non ritengo giusta l’applicazione che il messaggio presidenziale fa dei suo principi alle cose italiane.

Io non posso, in un documento di questo genere, ripetere le dimostrazioni analitiche che già furono date con grande larghezza, dirò soltanto che non tutti potranno accettare senza riserva la affermazione che lo sfacelo dello Impero austro-ungarico importi una riduzione delle aspirazioni italiane. Sarà lecito invece di creder il contrario; e cioè che, proprio nel momento in cui tutti i vari popoli, di cui quell’Impero constava, cercano di coordinarsi secondo le loro affinità etniche e naturali, il problema sostanziale che le rivendicazioni italiane pongono, potesse e dovesse completamente risolversi. Questo è il problema adriatico in cui si riassume tutto il diritto del-l’Italia, l’antico ed il nuovo; tutto il suo martirio nei secoli, tutto il bene che essa è destinata a recare nella grande convivenza internazionale.

Il messaggio presidenziale sente la necessità di affermare che, con le concessioni che esso contiene, l’Italia abbia raggiunto la muraglia delle Alpi che sono la suadifesa. È questo un riconoscimento di una grande importanza, quando, tuttavia, di questa muraglia non si lasci aperto il lato orientale e si comprenda nel diritto dell’Italia quella linea del Monte Nevoso che separa le acque che corrono verso il Mar Nero, da quelle che scendono verso il Mediterraneo; di quel monte che fin da quando la prima nozione d’Italia passò dalla geografia nel sentimento e nella coscienza dei popoli, fu dai latini stessi appellato il «Limes italicus». Senza di ciò si lascerebbe in quella mirabile barriera naturale delle Alpi una breccia pericolosa e si infrangerebbe quella indiscutibile unità politica, storica ed economica che è la penisola dell’Istria. Ed io penso ancora che proprio colui il quale può vantare come sua legittima ragione di fierezza di avere proclamato al mondo il diritto di autodeterminazione dei popoli, questo diritto abbia a riconoscere a Fiume, antico comune italico, che proclamò la sua italianità prima ancora che le navi italiane approdassero a Fiume, esempio mirabile di coscienza nazionale nei secoli. Se questo diritto si nega soltanto perché si tratta di una piccola collettività isolata, sarà lecito osservare che il criterio di giustizia verso i popoli non muta in proporzione della loro entità territoriale. E se lo si vuole negare per riguardo al carattere internazionale di quel porto, non sono forse Anversa, Genova, Rotterdam porti internazionali che servono popoli e regioni diverse senza che questo privilegio sia duramente pagato con la coercizione della loro coscienza nazionale?2.

E può dirsi eccessiva la aspirazione italiana verso la costa dalmata che fu nei secoli baluardo d’Italia, fatta nobile e grande dal genio romano e dall’attività veneziana e di cui l’italianità, resistendo alle implacabili persecuzioni durate circa un secolo, ha ora fremiti di passione che è passione di tutto il popolo italiano? Si proclamò, a proposito della Polonia, il principio che la snazionalizzazione dovuta alla violenza ed all’arbitrio non può creare diritti: perché questo medesimo principio non si applica alla Dalmazia?

Che se poi a questa rapida sintesi del nostro buon diritto nazionale si vuol dare un riscontro della fredda constatazione statistica, io credo di poter affermare che delle varie ricomposizioni nazionali che la Conferenza della pace ha già determinato o si avvia a determinare, nessuno dei popoli ricostituiti conterebbe entro le sue nuove frontiere un numero relativo di gente di altra razza, inferiore a quello che all’Italia sarebbe attribuito. Perché dunque proprio le aspirazioni italiane debbono essere sospettate di imperialistica cupidigia?

Ebbene, malgrado tutto ciò la storia di queste trattative dimostrerà che una doverosa fermezza da parte della delegazione italiana non fu disgiunta da grande spirito conciliativo nel ricercare quel generale accordo che essa vivamente ha desiderato.

Il messaggio presidenziale conclude con una calda dichiarazione di amicizia dell’America per l’Italia. Io rispondo in nome del popolo italiano, rivendicando fieramente questo diritto e questo onore che spettano a me come colui che nell’ora più tragica di questa guerra gittò al popolo italiano il grido della resistenza ad ogni costo, e questo grido fu raccolto con un coraggio ed una abnegazione che hanno pochi riscontri nella storia del mondo; e l’Italia coi più eroici sacrifici e col più puro sangue dei suoi figli, poté sollevarsi dall’abisso della sventura alla fulgida cima della più clamorosa vittoria.

È dunque in nome dell’Italia che io esprimo a mia volta il sentimento di ammirazione e di profonda simpatia che il popolo italiano professa verso il popolo americano3.

298 2 Il testo conservato negli archivi della DGAP reca inoltre a questo punto: «Quale maggioregaranzia potrebbe un altro qualsiasi ordinamento dare a tutti i diversi popoli, il cui sbocco tende versoFiume, che l’appartenenza di essa all’Italia, grande nazione che ha una tradizionale larghezza cosmopolita di rapporti marinareschi e commerciali?».

299

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 24 aprile 1919.

Alle ore 10, e mezzo il signor Lloyd George è venuto all’Edoardo VII a vedere il signor Orlando.

Orlando — Vi ringrazio molto dell’atto amichevole che mi avete fatto per la vostra lettera di ieri sera1 e venendo oggi.

Lloyd George — Vi assicuro che è stata per me una grande meraviglia vedere la pubblicazione fatta ieri stesso dal presidente Wilson mentre io avevo inteso che essa non sarebbe stata fatta che questa mattina. Era perciò che io vi avevo mandato alle 3 quella comunicazione per mezzo del signor Kerr.

Orlando — Ho preparato una risposta al messaggio del presidente Wilson2.

Lloyd George — In questa risposta voi parlate di Fiume.

Orlando — Sì.

Lloyd George — Guardate che questo vi mette in una posizione molto delicata anche verso di noi. Come sapete, nel Trattato di Londra Fiume era assegnato ai croati e Francia ed Inghilterra non possono darlo a voi sottraendolo a loro. Ora voi dovete considerare che sarebbe un’umiliazione per l’Italia insistere sopra la necessità di ottenere quel territorio ed essere poi obbligati a sgombrarlo a richiesta degli alleati. D’altronde, se non lo faceste voi rompereste il Trattato con noi con tutte le conseguenze.

Orlando — No, io parlo della questione di Fiume perché Wilson ne parla nel suo messaggio ed io ribatto con le mie le sue ragioni.

Orlando (continuando) — Ma io intendo di tenermi fedele agli alleati e mentre io mi allontano da Parigi per le ragioni che sapete non intendo per niente rompere l’alleanza.

Lloyd George — La vostra partenza però è un fatto molto grave poiché essa coincide con l’arrivo dei nostri nemici che vengono per firmare la pace. Considero l’atto vostro molto pregiudizievole e vorrei che si facesse tutto il possibile per evitarlo.

299 Cfr. ALDROVANDI, pp. 264 sgg.

1 Nella serata del 23 Lloyd George aveva inviato a Orlando una lettera personale nella quale,dopo essersi dichiarato amareggiato della prospettiva di rottura tra l’America e l’Italia, ed aver professatoammirazione ed amicizia per il nostro paese, chiedeva ad Orlando un colloquio per la mattina del giornosuccessivo.

2 Vedi D. 298.

Orlando — Non vedo che cosa si possa fare.

Lloyd George — Non credereste che si potrebbe fare un ultimo tentativo e cercare di raggiungere una soluzione entro oggi stesso?

Orlando — Mi pare difficile ci si possa arrivare in poche ore.

Lloyd George — Io mi preoccupo anche della grave situazione che può crearsi con una rottura tra voi e l’America. L’Italia e l’Europa hanno bisogno assolutamente dell’America ed una rottura con voi può portare alle più gravi conseguenze. Io temo che l’effetto che potrà fare la conoscenza del messaggio di Wilson in Italia condurrà a manifestazioni e a scoppi di passione molto dannosi nelle presenti circostanze. Se contemporaneamente, o poco dopo la pubblicazione del messaggio, si potesse annunziare che sono state riprese le trattative e, meglio ancora, che si è raggiunto un accordo, la situazione potrebbe essere salvata.

Orlando — Capisco la gravità del vostro consiglio e potrei indurmi a rimanere qualche giorno. Ma occorrerebbe che si facesse un comunicato dal quale risultasse che voi ed il signor Clemenceau mi avete chiesto di rimanere.

Lloyd George — Non vedo difficoltà a farlo. Si potrebbe fare in questo modo: a richiesta del signor Clemenceau e del signor Lloyd George il signor Orlando ha aderito a ritardare la sua partenza da Parigi in vista di riprendere i negoziati che conducano alla soluzione della questione della Dalmazia e di Fiume.

Orlando — Sta bene. Vedete se nel comunicato potete metterci anche a richiesta del presidente Wilson.

***

A mezzogiorno il signor Kerr porta il testo del comunicato con la indicazione che la richiesta è fatta anche a nome del presidente Wilson3.

La Delegazione italiana delibera che sia meglio non dare più corso al comunicato, ma invia il conte Aldrovandi al signor Lloyd George con questo messaggio:

«La Delegazione italiana aderisce alla richiesta ricevuta ma crede che sia nel-l’interesse delle cose che questo ulteriore tentativo di trovare una conciliazione si faccia entro il pomeriggio. La Delegazione è a disposizione degli Alleati ed Associati per quelle comunicazioni che possano aver luogo nel pomeriggio».

Si fissa un appuntamento per il pomeriggio alle quattro presso il presidente Wilson, ma poi viene richiesto e si stabilisce che esso avvenga invece presso il signor Lloyd George.

298 3 Il testo DGAP reca invece: «In nome dell’Italia, dunque, io esprimo i miei ringraziamenti perla dichiarazione amichevole fatta in nome della grande Repubblica americana e, in questa ora per me cosìamara, riaffermo alla mia volta i sentimenti di amicizia, di ammirazione e di gratitudine che il popolo italiano professa verso il popolo americano».

299 3 La bozza di comunicato diceva: «At the request of President Wilson, Monsieur Clemenceau andMr. Lloyd George, Signor Orlando has agreed to defer his departure to Italy with a view of seeing whether itis not still possible to accomodate the difficulties which have arisen about Fiume and the Dalmatian Coast».

300

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 24 aprile 1919.

Resoconto di una riunione tenuta presso il signor Lloyd George alle ore 18 del 24 aprile 1919 essendo presenti il presidente Wilson e il signor Clemenceau, il signor Orlando, il barone Sonnino, i segretari Close, Hankey, il conte Aldrovandi e il signor Mantoux.

Lloyd George domanda al signor Orlando se crede avere qualche cosa da suggerire.

Orlando — Devo dichiarare che io ho esaminato con la massima cura la situazione che indubbiamente è molto grave. Ho già avuto due conversazioni con Roma e devo dichiarare che la situazione è molto penosa. Infatti esiste una questione pregiudiziale anche prima delle questioni territoriali e cioè l’effetto prodotto dal messaggio del presidente Wilson1. Devo dichiarare che la mia stima e la mia ammirazione e la mia amicizia personale per il presidente Wilson, di cui ho cercato dargli tutte le testimonianze che ho potuto, mi inducono a credere, anche prima delle dichiarazioni che egli farà, che le sue intenzioni nel dirigermi il messaggio non potevano essere che amichevoli. Ma in politica vi è l’impressione pubblica che spesso sorpassa la sostanza effettiva delle cose. Ora, l’impressione di questo documento che non ha nulla che sia scortese dà tuttavia l’impressione al pubblico che questo appello fatto al popolo italiano o anche ai popoli interessati abbia per effetto di mettere in dubbio anche la mia autorità come rappresentante del popolo italiano, anche se egli non vuole avere questa intenzione. Questa è l’impressione di tutti in Italia e a Roma; questo mi mette in una posizione delicata onde mi è necessario tornare alle fonti della mia autorità. Se ho deciso di partire ciò non ha rapporto alle questioni di accordi territoriali, non ha alcuna idea di rottura. Ma io ho l’obbligo di ritornare al mio popolo per stabilire quale è l’autorità con cui io posso ritornare alla Conferenza. Le questioni territoriali sono in secondo piano. Voi potreste consentire ciò che ho domandato ieri, non potrei dire lo stesso, dovrei dire che ho l’obbligo di andare a Roma. Devo accertare come va il mio potere. Non sono sicuro se ho diritto di accettare o rifiutare qualunque cosa.

Wilson — Il signor Orlando ha fatto una dichiarazione ammirevole circa la sua posizione e posso assicurarlo che i sentimenti che ha espresso verso di me sono reciproci. Non ho che rispetto per quello che mi dice. Nulla può avere influenza con le nostre relazioni mai e io trovo molto grazioso il modo con cui si è espresso e lo ringrazio di averlo fatto. Vi è un aspetto delle cose che non è mai stato nelle mie intenzioni, cioè di dirigermi al suo popolo contro di lui. Ciò non mi passò mai per la mente. Io colgo questa occasione per esprimere i motivi per cui ho fatto quella pub

300 Riunione p.m. del 24 aprile del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 267 sgg., FRUS, vol. V, pp. 210 sgg., MANTOUX, vol. I. pp. 355 sgg.1 Vedi D. 280, Allegato.

blicazione.Io debbo ricordare al signor Orlando che la mia attitudine a questo proposito è stata sempre la stessa fin dal primo momento. Durante tutto questo tempo vi sono stati dei dubbi sulla discussione da parte del pubblico che non vi prendeva parte. Sono state dette cose nella stampa di Francia, d’Italia e d’America sotto falsa luce ed era necessario che facessi questa dichiarazione per far vedere al mio popolo quali sono i principî su cui si basa la mia attitudine. Dovevano essere considerate altresì quali impressioni ne derivavano agli altri Stati i quali erano impressionati da queste interpretazioni arbitrarie. Sono molto lieto di quanto egli ha detto sia per il significato del suo viaggio a Roma senza intenzione di rompere con noi che siamo alleati ed associati. Sarebbe una cosa fatale se il grande Regno d’Italia si ritirasse dalla Conferenza al momento della firma della pace con la Germania e sono lieto di sapere quale è lo scopo del viaggio di Orlando andando a Roma. Colà egli farà note le sue vedute. Mi ha detto quelle che sono le sue impressioni e riconosco il desiderio che egli ritorni a sapere quello che desidera il suo popolo. Spero ed aspetto che sia reso pubblico quale è la necessità per cui ritorna a Roma, cioè il suo desiderio di chiarire la situazione e non quello di ritirarsi dalla Conferenza della pace in questo momento critico.

Orlando — Ringrazio il presidente Wilson della sua nobile dichiarazione. È stata bontà e benevolenza sua di avermi voluto dare queste spiegazioni perché io avevo già dichiarato che avevo escluso qualsiasi intenzione non amichevole verso di lui. E per avere così bene apprezzato le ragioni della mia partenza. Aggiungo, nel parlare con tutta franchezza, che se anche questa situazione non si fosse creata sarebbe stato forse bene per parte mia andare a cercare il contatto col mio popolo. Mi ricordo che c’è stato un momento in cui il presidente Wilson mi aveva consigliato egli stesso di andare a Roma e di esporre la situazione al mio paese. Ciò è stata una necessità. La pubblicazione del messaggio ha fatto che questa necessità che era implicita sia divenuta pubblica. Noi abbiamo dei contrasti sopra cose che l’esperienza ha dimostrato non essere inconciliabili2. Ho il desiderio di avvertirne il mio popolo ed ho interesse a rinviare la soluzione. Esporrò la situazione sia in riguardo agli accordi che si potrebbero concludere con l’assentimento del presidente Wilson sia con l’attenersi al Patto di Londra. Parlo da amico ad amico, se vi è colpa debbo prenderla sopra di me. L’Italia ha fatto di Fiume una questione nazionale. L’America e gli alleati mi hanno dichiarato che non potrebbero consentire. Bisognerà così che decida il popolo italiano. Vedrà se è possibile rassegnarsi a questo sacrificio. La situazione è molto grave, ma quando la situazione si sarà chiarita si avrà almeno questo vantaggio.

Wilson — Vorrei domandare al signor Orlando di essere così gentile di far sì che nella sua esposizione al Parlamento esponga anche la situazione degli Stati Uniti i quali considerano che non sia nell’interesse delle relazioni che debbono correre fra l’Italia e i jugoslavi e nell’interesse della pace del mondo il mantenimento del Patto di Londra. In quanto abbia desiderio di arrivare ad un accordo io debbo essere franco e debbo fare questa riserva.

Orlando — Nel fare la mie dichiarazioni alla Camera italiana le ricorderò non solo i termini del messaggio del presidente Wilson ma anche quello che ho desunto

nelle conversazioni private con lui nonché nel memorandum che egli mi ha consegnato in una recente occasione3, autorizzandomi a valermene nel Parlamento italiano.

Clemenceau — Chiedo di poter esporre il mio punto di vista che è anche quello del signor Lloyd George circa Fiume. Il Trattato di Londra ci ha legato all’Italia per certi territori, ma anche verso gli slavi cui dà Fiume. Se io non sono pronto di negare la mia parola verso l’Italia non sono nemmeno pronto di negarla verso gli slavi.

Lloyd George — Sono d’accordo, ma dopo la firma dell’Atto di Londra vi è un elemento nuovo, l’avvento degli Stati Uniti di America assolutamente liberi da ogni legame e accordo col resto del mondo. Ciò non modifica le nostre vedute sul Patto di Londra ma ciò rende necessario introdurre talune modificazioni anche per Fiume. Date le circostanze sopravvenute, mi sento libero di prendere la responsabilità di cambiare il Patto di Londra circa Fiume. Il Trattato di Londra lo dette alla Croazia. Se vi è una modificazione da parte dell’Italia circa la Dalmazia così noi potremmo fare circa Fiume. Questa modificazione consisterebbe nel farne un porto libero controllato dalla sua popolazione italiana, ungherese e slava con libero uguale accesso a tutti i retroterra serviti dal porto. Entro questi limiti io mi sento libero di fare una modificazione al Patto di Londra se gli alleati sono d’accordo. Io non posso dire che il signor Orlando non vada a Roma, io stesso dovetti recentemente andare a Londra. Ma vorrei sapere quale sarà nel frattempo la posizione dell’Italia. Se fosse una settimana ordinaria non vi sarebbe niente di male nell’assenza del signor Orlando ma martedì prossimo i tedeschi saranno qui. Il nostro maggior nemico, l’unico nemico tuttora in piedi sarà qui. Se Orlando non vi sarà, vi sarà Sonnino? Il signor Orlando quando potrà sentire il Parlamento?

Orlando — Potrei convocarlo per il 28.

Lloyd George — I delegati saranno qui martedì4. Fra ora ed allora l’Italia sarà consultata o no. Vi è la questione dell’indennità. Ieri i periti inglesi e italiani avevano preso delle decisioni in comune ma i delegati italiani non erano rappresentati alla riunione suprema in cui si doveva fare una decisione definitiva. Esistono ancora le questioni economiche importantissime. Oggi vi deve essere una decisione. Si può concludere senza che l’Italia vi sia rappresentata? Credo di no. Io penso che i popoli nel loro insieme sono più interessati in questioni economiche che in questioni territoriali le quali interessano specialmente i giornali e speciali persone che si occupano di politica estera. Poi c’è la questione del carbone, dove la Francia ha Loucheur. Avremo per l’Italia il signor Crespi? L’Italia deve essere lasciata fuori? Ci sono grandi questioni che riguardano l’esportazione del carbone tedesco. Hanno gli alleati diritto di presentare delle domande per conto dell’Italia senza che essa sia rappresentata? O l’Italia vuole che regoliamo le questioni per lei? Consentirà essa in ciò che noi accettassimo per lei o dirà che noi non avevamo nessun diritto di accettare? Sarà l’Italia presente quando le questioni che toccano la sua vita economica verranno prese in considerazione? C’è anche la questione di un credito comune per ricostruire la vita dell’Europa. L’Italia parteciperà o no a questo progetto? Chi lo discuterà per parte sua? Dovremmo noi presentare le domande dell’Italia? O dovremo noi andare avanti

4 Si tratta di martedì 29 aprile.

per conto nostro e poi aggiungere le domande dell’Italia? Queste erano questioni di carattere pratico sulle quali io desidererei avere una risposta.

Clemenceau — Dopo gli avvenimenti di questi ultimi giorni i tedeschi potrebbero scorgere una scissione nell’alleanza e ciò renderebbe la pace più difficile?

Wilson — Ho la speranza che l’Italia prenda parte.

Lloyd George — Lo spero.

Orlando — Prendo atto delle dichiarazioni del signor Clemenceau e Lloyd George circa il Patto di Londra, ma questo non è il momento per entrare nel merito. Per ciò che concerne le osservazioni del signor Lloyd George ne riconosco la verità su terreno pratico. Vi sono due questioni. La prima concerne la questione del tempo fino al trattato con la Germania. Durante le ultime settimane il trattato di pace è stato discusso e le questioni sono state regolate in via principale. Restano ancora da regolare molte questioni fra cui alcune di vitale importanza. Tuttavia io ho fiducia negli alleati e quando si troveranno in presenza di un interesse italiano lo considereranno con maggiore benevolenza che se l’Italia avesse un avvocato. Egli ha fiducia in loro come in un giudice che sta in guardia per essere giusto in un processo in cui una parte è senza avvocato. Ma tuttavia io potrei parlare coi miei colleghi della Delegazione per trovare un rimedio. Potrei lasciare Crespi che potrebbe avere contatti coi suoi colleghi. Vi è poi la questione della nostra presenza quando i tedeschi verranno. Ho letto nei giornali che essi hanno chiesto un rinvio al primo maggio.

Clemenceau — Quello che ho letto è che essi partirebbero il 28 di aprile.

Orlando — Spero che al più presto io possa consultare il Parlamento. Mentre accetto le osservazioni dei signori Lloyd George e Clemenceau che noi non dobbiamo dare ai tedeschi l’impressione che gli Alleati sono meno uniti di prima, le questioni fondamentali in giuoco sono così vitali per l’Italia che io considero preferibile sfidare la difficoltà che ha menzionato il signor Lloyd George piuttosto che star-ne lontano.

Clemenceau — Vorrei sapere se l’Italia sarà rappresentata o no nelle riunioni coi tedeschi.

Orlando — Ciò dipenderà delle decisioni che saranno prese in Italia. Domando una dilazione.

Wilson — Le questioni della frontiera italiana non toccano la Germania e non vedo nessuna inconsistenza nel prendere parte alla pace con la Germania facendo tutte le riserve per il trattato con l’Austria.

Lloyd George — Io ritengo tuttora che se i rappresentanti italiani non saranno presenti, per quanto essi possano aver fiducia dei loro alleati, non si possano presentare le loro domande. Se essi non saranno presenti alle riunioni del 1° di maggio, se il signor Orlando non avrà ottenuto il consenso del suo Parlamento per parteciparvi, come potranno le loro domande essere accettate?

Clemenceau — Ritengo che noi potremmo difficilmente incontrarci coi tedeschi perché ciò richiederebbe un cambiamento in tutta la redazione del trattato.

Lloyd George — I tedeschi domanderanno chi sono i rappresentanti dell’Italia. Noi non possiamo presentare domande per parte dell’Italia a meno che gli italiani non fossero presenti o che il signor Orlando scrivesse per domandare agli alleati di avanzare delle domande per parte dell’Italia.

Orlando — Se l’obiezione del signor Lloyd George deve considerarsi per sé stessa non c’è che una risposta: egli ha ragione. Riconosco che è impossibile il presentare delle proposte per parte di una potenza che non è rappresentata. Tale questione deve venire esaminata accuratamente ed una decisione deve venire presa secondo le circostanze. Sono solo d’accordo col signor Lloyd George che se l’Italia non sarà presente essa non avrà diritto di fare alcuna domanda alla Germania. Non sono d’accordo col signor Clemenceau che la redazione degli articoli verrebbe molto alterata perché l’Italia è interessata solo in poche questioni nel trattato con la Germania, specialmente nei riguardi delle riparazioni. Ma l’obiezione del signor Lloyd George la considero in relazione alla domanda del presidente Wilson che l’Italia non potrà partecipare alla pace con la Germania se le sue questioni con l’Austria-Ungheria non fossero state regolate. A questo ho due risposte. La prima è che l’interpretazione generale del Patto di Londra del 1915 e l’adesione alla dichiarazione del Trattato di Londra del settembre 19145 implicano che la pace deve essere generale. La pace nonsarebbe generale se le potenze fossero in pace e l’Italia no. È vero che il presidente Wilson non è legato da questi patti, ma io debbo fargli presente che la questione deve essere considerata dal punto di vista dell’equità generale non solo fra gli alleati ma anche colle potenze associate, che la pace deve essere generale. D’altro canto devo osservare al presidente Wilson che nel firmare il trattato di pace con la Germania si firma anche lo Statuto della Lega delle Nazioni. Una delle clausole del patto per la Lega delle Nazioni stabilisce reciproche garanzie per i territori delle potenze firmatarie. Ne risulterebbe che l’Italia si impegnerebbe a garantire i territori di altri paesi senza essere essa stessa garantita. Un’altra difficoltà nascerebbe dal fatto che il patto per la Lega delle Nazioni comprende una disposizione intesa ad evitare guerre future ed a risolvere in modo pacifico i contrasti fra le nazioni. Se l’Italia aderisse alla Lega delle Nazioni ciò significherebbe che la questione delle sue frontiere verso gli jugoslavi potrebbe essere considerata come questione da risolversi dalla Lega delle Nazioni invece di una questione risultante da una guerra vittoriosa. Ciò mi impedirebbe di firmare le pace colla Germania se le questioni territoriali con l’Austria Ungheria non fossero prima risolte.

Lloyd George — Se Orlando se ne va è importante quello che bisogna comunicare alla stampa.

Sonnino — Non è facile che Orlando faccia dichiarazioni esatte alla Camera se non si hanno le proposte delle altre parti. Avevo creduto che oggi si sarebbero fatti dei suggerimenti sulle decisioni che voi avreste preso nell’insieme, ma il presidente Wilson ha esposto lo stesso punto che egli aveva esposto tre o quattro giorni fa prima che venissero fatte certe proposte addizionali. Il signor Lloyd George nella questione di Fiume dice che accetterebbe l’idea di cambiare in certo senso le clausole del Trattato di Londra se l’Italia volesse fare delle concessioni. Clemenceau non pare dello stesso avviso, ha detto che Fiume è stato promesso alla Croazia.

Lloyd George — L’idea di fare di Fiume città libera togliendola ai croati è una modificazione del Patto di Londra ed è una modificazione su cui siamo d’accordo.

Sonnino domanda se Clemenceau è pure d’accordo.

Clemenceau — Ciò è il mio punto di vista.

Wilson — Nel memorandum che io ho dato giorni scorsi all’on. Orlando io aderisco all’idea di fare di Fiume una città libera come era indicato nella carta geografica che gli ho dato.

Sonnino — Nel memorandum del presidente Wilson si indicano altre frontiere, per esempio in Istria, che non corrispondono al Trattato di Londra. Il presidente Wilson consente di lasciare queste frontiere come sono fissate nel Trattato? Faccio questa domanda solo per ben chiarire la situazione.

Wilson — Nel mio memorandum io ho dichiarato ciò che deve essere la posizione degli Stati Uniti dalla quale non desidero cambiare. Io spero che in qualunque dichiarazione al Parlamento italiano il signor Orlando vorrà attenersi al mio memorandum.

Orlando — Vorrei riassumere l’idea di Sonnino: per spiegare chiaramente la situazione al Parlamento bisogna fargli conoscere le dichiarazioni di Wilson secondo il suo memorandum nonché le dichiarazioni dei Governi che hanno aderito al Trattato di Londra. Ora, il barone Sonnino si domanda: si può fare al Parlamento una comunicazione media in cui tre siano d’accordo? Potrei dichiarare che vi è una dichiarazione in cui tre si possono trovare d’accordo? Se voi non potete rispondermi questa sera forse potrete farlo domani: posso dire per ora che i miei alleati si attengono al Trattato di Londra.

Clemenceau — Posso rispondere stasera e Lloyd George anche.

Orlando — Ma circa la dichiarazione relativa al Trattato di Londra mi domanderanno: avete la firma del presidente Wilson?

Wilson — Devo rispondere; non ho libertà di suggerire dei cambiamenti ai principî che formano la base delle mie dichiarazioni, ma posso considerare delle proposte; non ho veduto finora alcuna via di mezzo.

Lloyd George — Questa non è la mia impressione. Clemenceau ed io cercammo di proporre una via di mezzo per soddisfare l’alleato e mantenere la pace e ritenemmo che il presidente Wilson era pronto ad accettare se i colleghi italiani avessero pure accettato. Io personalmente mi sono presa la libertà di dire agli italiani che questa era la posizione. Se ho sbagliato, ne sono dolente. Io ho detto ai rappresentanti italiani che, se essi sono pronti ad abbandonare i loro diritti sulla costa dalmata eccetto Zara e Sebenico e si contentassero delle isole, escluse quelle che formano praticamente parte della terraferma, io pensavo che il presidente Wilson avrebbe consentito a giungere ad un accordo su questa linea.

Wilson — Io non mi sono mai impegnato a tale accordo, non feci altro che domandare al signor Lloyd George di assicurarsi se gli italiani sarebbero disposti a discutere su queste basi e la risposta ricevuta fu che essi non lo erano. In ogni caso io mi sono riservato il mio giudizio. Sono dolente se io non sono riuscito a spiegarmi bene.

Lloyd George — La colpa fu interamente mia. Io avevo l’impressione che se gli italiani avessero accettato tale accordo, non vi sarebbe stato un ostacolo insuperabile da parte del presidente Wilson.

Wilson — Io non voglio che i miei amici italiani pensino che io non voglio esaminare ogni aspetto della questione. Io sono disposto a farlo cento volte se è necessario.

Lloyd George — Io avevo l’impressione, dal modo in cui il presidente Wilson insisteva perché Spalato e le isole interne fossero lasciate fuori, che sarebbe stato disposto ad accettare.

Sonnino — Ciò è accaduto avant’ieri e avant’ieri noi rispondemmo che non potevamo trattare. Ieri esaminammo di nuovo la questione e trovammo che potevamo fare una minima ultima proposta6 la quale consisteva in questi punti: 1) la linea delle Alpi fino al mare ad est di Volosca; 2) la sovranità di Fiume all’Italia, salvo grandi facilitazioni e libertà nel suo porto; 3) le isole del Patto di Londra meno Pago; 4) Zara e Sebenico città libere sotto il mandato dell’Italia. Avemmo in risposta che il punto sulla sovranità di Fiume non era accolto ma che il resto era accettabile.

Wilson — Avete creduto che si trattasse di un accordo comune?

Lloyd George — Io ritenevo proprio che tale fosse il caso dopo la riunione del mattino eccetto per quanto riguarda la questione dei mandati, che io dimenticai. Ritenni tuttavia che il resto era pienamente accolto.

Sonnino — Ci fu risposto che la domanda della sovranità di Fiume non era accettabile, che il resto lo era. Desiderammo allora chiarire che cosa sarebbe stato sostituito, per Fiume, alla sovranità dell’Italia. Mandammo a questo scopo il marchese Imperiali per avere dei chiarimenti. Il signor Lloyd George gli rispose che Fiume sarebbe stata una città libera sotto la Lega delle Nazioni.

Wilson — Il signor Lloyd George ritornò nella stanza dove noi stavamo discutendo con i nostri consulenti la questione delle riparazioni e ci informò del tenore della comunicazione. Non mi ha però consultato sulla risposta da darsi.

Sonnino — L’impressione che io ebbi fu che Fiume doveva essere città libera con una larga zona circostante.

Lloyd George — Questa è la proposta contenuta nel documento del presidente Wilson.

Wilson — Il barone Sonnino ha detto che una comunicazione è stata inviata a noi nel corso del pomeriggio mentre stavamo discutendo con i nostri consulenti sulle riparazioni. Tutto ciò che mi ricordo è che il signor Lloyd George lasciò la stanza per vedere il marchese Imperiali e quando tornò egli raccontò solamente al signor Clemenceau ed a me ciò che il marchese Imperiali gli aveva detto. Il barone Sonnino però ha detto che egli ha ricevuto un messaggio.

Clemenceau — Io non ho mai mandato alcun messaggio nel pomeriggio.

Lloyd George — Noi abbiamo discusso a lungo la questione nella mattinata. Io non ho detto nulla che non fosse conforme a ciò che era stato concordato. Il solo punto di differenza era quello che riguardava i mandati e su ciò c’era un equivoco. È stata colpa mia, mi sono dimenticato di menzionare i mandati in relazione a Zara e Sebenico. Ogni altra cosa a me detta risultava dalla conversazione del mattino. Quanto al marchese Imperiali, egli domandò quale sarebbe stata la situazione di Fiume se la sovranità non ne fosse stata assegnata all’Italia. Io risposi sarebbe rimasta sotto la Lega delle Nazioni. L’altra questione sollevata dal marchese Imperiali concerneva la rappresentanza diplomatica per Fiume ed io risposi che i fiumani vi avrebbero dovuto provvedere per conto proprio.

Sonnino — La risposta fu che Fiume sarebbe stata città libera sotto la Lega delle Nazioni. Noi cominciavamo a discutere quando ci portarono i giornali contenenti il messaggio del presidente Wilson. Dicemmo: ciò cambia tutto; e non mandammo più la nostra risposta e mandammo per iscritto una comunicazione agli alleati. Stamane venne il signor Lloyd George a parlare sulla possibilità di giungere oggi stesso ad un accordo. Supponevo che venendo qui avremmo trovato una proposta dei tre. Perché allora avremmo potuto portare al nostro Parlamento qualche cosa che fosse più chiaro.

Lloyd George — Io mi trovo nella mia solita spiacevole situazione di voler cercare una soluzione fra due parti difficilmente conciliabili. Tuttavia io spero ancora di fare qualche suggerimento. Mi pare però di aver capito che qualunque cosa sia suggerita i miei colleghi italiani non hanno possibilità di accettarla.

Sonnino — Siamo in una posizione molto difficile ma bramerei conoscere esattamente la distanza che ci separa.

Lloyd George — Comprendo la difficoltà in cui si trova il presidente Wilson nel dire che egli ha accettato quando non può conciliare tale accettazione con i suoi principî. I rappresentanti italiani possono ritornare in Italia con una proposta concordata dai loro tre colleghi, ma essi possono trovarsi allora in una atmosfera completamente diversa in cui si capisce un solo punto di vista. Io perciò comprendo pienamente la difficoltà del presidente Wilson nel dire a priori ai rappresentanti italiani ciò cui egli potrebbe acconsentire. Io stesso ho una grande esperienza nelle contese tra industriali ed operai. Io ho sempre detto: «Volete voi, operai, prendervi la responsabilità di accettare questa proposta se l’altra parte fa lo stesso?». Ora io dico lo stesso ai rappresentanti italiani: prendete voi la responsabilità di raccomandare ciò che fosse stabilito provvisoriamente qui?

Sonnino — Sì, se fosse accettabile.

Orlando — Non crederei di avere il potere di accettare qualsiasi proposta; il farlo sarebbe contrario alla mia dichiarazione fatta al principio dell’attuale seduta. Io devo esporre al Parlamento la mia posizione. Io ho chiesto a tre potenze, due delle quali alleate ed una associata, se avevano un progetto su cui erano d’accordo. Mi hanno risposto di no. Nella loro ultima proposta, come io l’ho intesa, esse hanno parlato di fare di Zara e Sebenico città libere, di assegnare le isole all’Italia e di fareFiume città libera; ma hanno dimenticato un punto, cioè l’Istria. È essenziale per l’Italia che le frontiere scendano giù fino a Volosca.

Sonnino — La proposta comprendeva, secondo intendemmo fosse stato accettato, tutta l’Istria fino alla linea ad est di Volosca. Lloyd George ha chiesto se gli italiani sarebbero pronti ad accettare una proposta ove le tre potenze fossero d’accordo. Egli ci chiese se noi saremmo in grado di raccomandarne l’accettazione. Ho risposto che se le proposte fossero accettabili le raccomanderemmo. Lloyd George ha spiegato le difficoltà in cui si trova il presidente Wilson di fare una proposta precisa. Le speranze di successo però non sono grandi se si deve presentare al Parlamento tutta la questione senza ricevere prima una base dettagliata.

Lloyd George — Se i ministri italiani non sono pronti a prendersi la responsabilità di raccomandare la proposta al Parlamento è superfluo discutere la questione ulteriormente perché non ci verremmo a trovare coi colleghi italiani sulla stessa base di uguaglianza.

Sonnino — Se possiamo avere un piano che ci sembri accettabile potremmo dire che accettiamo di raccomandarlo con tutte le nostre forze.

Orlando — Finora però non abbiamo ricevuto alcuna offerta di tal genere.

Wilson — Orlando dovrà spiegare la difficile situazione in cui si trovano le varie nazioni. La Gran Bretagna e la Francia sono legate da un trattato e gli Stati Uniti da certi principî. Egli dovrà spiegare tale situazione in Parlamento e dire: «Ho io il potere di tornare a Parigi e regolare tutto per il meglio?». Io non credo che sarebbe giusto di fare una proposta che il signor Orlando potrebbe presentare al Parlamento.

Sonnino — Il pericolo è questo. Supponiamo che il Parlamento ci riconfermi la fiducia e che noi ritorniamo qui con il mandato di trovare una soluzione e che non riusciamo a trovarla. La situazione sarà molto peggiore. Invece se oggi vi fosse una proposta e noi la trovassimo accettabile, potremmo sapere su che cosa basarci nelle nostre comunicazioni e raccomandazioni al Parlamento. Altrimenti ritorneremo qui con un mandato senza nessuna probabilità di trovare una soluzione.

Orlando — Sono d’accordo con il presidente Wilson. Gli avvenimenti di questi giorni hanno chiarito la situazione. Perché dovremmo fare una pressione sul presidente Wilson? La situazione deve rimanere come è stata posta. Che cosa farà il Parlamento? Non dirò: «Decidete quello che vi piace». Il Gabinetto deve avere la sua opinione e la dirò. O il Parlamento mi confermerà la sua fiducia o verranno altri. Ma io spero che come ho fatto un appello al popolo italiano dopo Caporetto al quale il popolo italiano rispose unanimemente, così anche ora il popolo italiano dimostrerà la sua unanime volontà. Il presidente Wilson avrà dei motivi di decisione più chiaramente confessabili.

Wilson — Penso che questa è una ammirevole posizione da prendere. Supponendo che il signor Orlando dovesse dire che il presidente Wilson, avendo pubblicato una dichiarazione, è ora pronto ad abbandonarla, che cosa penserebbe l’Italia?

Sonnino — Voi ammetterete che con la Jugoslavia abbiamo fatto delle transazioni. Fare quanto dice il presidente Wilson costituisce un pericolo poiché non possiamo dire alla Camera: «dateci la fiducia per qualunque cosa accada». Conoscendo invece una soluzione che ci lega potremmo molto più facilmente comparire davanti al nostro Parlamento che non oggi non essendo d’accordo.

Orlando — Sarà molto più difficile fare un compromesso dopo di essere andati davanti al Parlamento.

Lloyd George — Sfortunatamente qui c’è un conflitto di principî. Vi sono i principî del presidente Wilson che io trovo giusti e che ho anche difeso; poi vi è il principio di fare onore alla firma di trattati internazionali e ciò ci riconduce al principio stesso che ha formato una delle principali ragioni di questa guerra. Non vedo che pericolo ci sia nell’addivenire ad un compromesso; in casi come questo la miglior cosa da fare è di addivenire al migliore accordo ed al migliore compromesso. La proposta da me fatta non violava alcun principio né dell’Italia né di Wilson. Non so qua-l’è il miglior modo di far approvare qualche cosa dal Parlamento italiano; ma per quanto riguarda il Parlamento britannico, del quale faccio parte da trent’anni, io vorrei sapere dove sto e sapere per che cosa lavorare.

Clemenceau — Sono d’accordo.

Sonnino — È appunto questo che io dico.

Wilson — Eppure non avete fatto così col Parlamento inglese in materia di riparazioni.

Lloyd George — No, non è così; io ho potuto rassicurare il Parlamento inglese perché sapevo esattamente la soluzione vicino a cui mi trovavo. Altrimenti il Parlamento inglese non m’avrebbe data la sua fiducia dubitando che io medesimo non l’avessi.

Wilson — I rappresentanti italiani potrebbero andare al Parlamento e dire che né le potenze alleate né quella associata possono consentire a dar Fiume all’Italia. Gli inglesi ed i francesi si sentono obbligati a mantenere il loro accordo come alleati. Per quanto riguarda l’accordo i delegati italiani possono dire che io comprendo le loro difficoltà e sono pronto di accettare qualunque cosa sia conforme ai miei principî, sebbene non abbia alcuna proposta da fare.

Lloyd George — Mi pare che la situazione del presidente Wilson sia la seguente: egli non vuole fare delle proposte ma insiste che sia chiaro che Fiume non deve andare all’Italia.

Wilson — Devo ricordare ai miei colleghi che il Parlamento italiano non ha mai conosciuto la posizione del Governo degli Stati Uniti che è stata indicata nel memorandum. Le mie proposte contenute in quel memorandum non sono solamente negative ma anche positive. Esse includono delle misure necessarie per garantire la sicurezza delle coste orientali dell’Adriatico. Richiamano l’attenzione sulla necessità di provvedere a ciò e comprendevano la limitazione degli armamenti, la distruzione delle fortificazioni ecc., così da fronteggiare queste difficoltà. Perciò le mie proposte erano positive quanto negative. Vorrei che il Parlamento italiano conoscesse ciò che io ho detto a questo riguardo7.

A questo punto il signor Orlando dice che è tempo per lui di andarsene in vista della sua partenza.

Prima di partire il signor Hankey consegnò da parte del signor Lloyd George e del signor Clemenceau il qui unito documento8.

300 2 Recte «conciliabili» (cfr. ALDROVANDI, p. 269).

300 3 Vedi D. 194. All. II.

300 5 Con la convenzione del 6 settembre 1914, Russia, Gran Bretagna e Francia si impegnavano anon concludere pace separata né tregua con gli Imperi centrali.

300 6 Si tratta in realtà delle controproposte formulate già il 22 aprile, vedi D. 277.

301

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Modane, 25 aprile 1919, ore 14,30 (perv. ore 15,40).

Per assoluta mancanza di tempo non si concordò abbastanza iersera organizzazione da mantenere costà in questo periodo che formalmente è periodo di sospensione. Quanto ai contatti finanziari ed economici si è detto che potrà restare Crespi. Più

8 Si tratta del promemoria «Fiume and the Peace settlement», vedi D. 287.

301 Il telegramma fu inviato a Battioni con preghiera di comunicazione a Sonnino.

difficile è questione dei contatti diplomatici e politici. Io credo che tu potresti ritardare tua partenza sino domani sera1, molto più che Salvago è anche partito. Ciò darebbe vantaggio che prima della tua partenza io potrei telegrafare le mie impressioni da Roma, anche in relazione alla adunanza del Parlamento che dovrà certamente avvenire, ma che è probabile non possa essere così sollecita né così rapida da poter dare una conclusione utile prima della apertura della Conferenza coi plenipotenziari tedeschi. Poiché bisogna allora risolvere diplomaticamente la grave questione se dobbiamo o pur no essere presenti e in caso affermativo con quali riserve e garanzie, io penso che all’uopo potrebbe giovare che tu fossi costà almeno sino a tutto domani. Se non credi opportuno ciò io credo che allora convenga trattenere costà i due ambasciatori Imperiali e Cellere che insieme con Bonin possono costituire il mezzo di una immediata comunicazione con le tre potenze e formare come una delegazione sui generis. Ti prego darmi tue impressioni con la massima sollecitudine.

300 7 Dopo la fine della riunione Lloyd George provvide a dare alla stampa inglese il seguentecomunicato: «Prima della partenza per Roma i signori Orlando e Sonnino hanno avuto un colloquio conil presidente Wilson, Lloyd George e Clemenceau. Durante il colloquio tutti i presenti hanno manifestatoil più forte desiderio di trovare una soluzione del problema in discussione. I capi dei Governi inglese,americano e francese hanno espresso al signor Orlando la speranza che il Parlamento italiano lo aiutinella ricerca di tale soluzione. Questo colloquio ebbe luogo in casa di Lloyd George».

302

IL CAPO DI GABINETTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BATTIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 25 aprile 1919, ore 23,15.

Ho comunicato telegramma di V.E. da Modane1 a S.E. Sonnino il quale ha disposto secondo desiderio V.E. che ambasciatori Cellere, Imperiali, Bonin mantengano contatti diplomatici politici con i rispettivi Governi e delegazioni. Parte Ufficio esteri resta alla dipendenza commendator De Martino ma S.E. Sonnino, che vedrà ore 11 domani Pichon, partirà domani ore 14 treno lusso. Con lui partono Salandra ed Aldrovandi. S.E. Crespi resta qui per i contatti finanziari ed economici.

303

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO BIANCHERI

T. 451. Parigi, 25 aprile 1919.

Suo telegramma n. 14301.

In relazione a quello di Sforza Gabinetto 572. Missione italiana che si reca nel Transcaucaso esaminerà anche situazione politica e fornirà al R. Governo i dati

2 Vedi D. 232.

necessari perché si possa poi prendere decisione definitiva. Signor Tcheidze presidente della Dieta georgiana e delegato alla Conferenza della pace afferma che presenza truppe estere è non solo gradita ma ritenuta necessaria. Nostra missione comprende anche elementi tecnici per lo studio di questioni economiche. Stando così le cose non sembra opportuno portare alcuna modificazione a quanto fino ad ora è stato stabilito.

301 1 Sonnino partì poi in effetti il 26 aprile, alle ore 14 (cfr. CRESPI, p. 475).

302 1 Vedi D. 301.

303 1 Non rinvenuto.

304

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE A BERLINO, BENCIVENGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 92 M. Berlino, 25 aprile 1919.

Telegrafo prime sommarie impressioni. Primi commenti stampa non rilevano speciali direttive Governo, hanno carattere spontaneità e riflettono colore e tendenze giornali. Di massima stampa riconosce ragioni Italia, attacca Francia e Inghilterra e indica con sarcasmo l’oscillante condotta di Wilson energico solo verso il più debole degli alleati. Opinione ha risvegliato simpatia e mostra solidarietà verso Italia. Circoli politici non sono ancora orientati sul da fare. Taluni vedono nel distacco atout favorevole giuoco germanico, altri temono che, quale che sia esito nostra competizione, Italia perde influenza nel Consiglio della pace e Germania non abbia in detto Consiglio amico favorevole. Circoli politici austro-tedeschi e lo stesso Hartmann hanno preso occasione per riattivare campagna stampa contro cessione Brennero ma finora senza conseguenze rimarchevoli. Sarebbe utile stampa italiana pubblicasse articoli intesi identificare questione adriatica e specialmente Fiume con questioni analoghe interessanti Germania, specialmente Danzica. Naturalmente è opportuno che non venga dall’Italia in questo momento alcun spunto che possa acuire sensibilità tedesca per questione Brennero. Direttori principali giornali tedeschi non hanno ancora scritto. Ho fatto prendere contatto con tutti i principali allo scopo di avere la migliore stampa possibile. Il momento potrebbe diventare decisivo per le future relazioni fra Italia e Germania.

304 Il telegramma fu trasmesso attraverso la sezione militare della Delegazione a Parigi.

305

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 4245 SP. Parigi, 25 aprile 1919.

Dai rapporti inviati a questa sezione dalla missione militare italiana di Berlino risulta che francesi ed inglesi hanno approfittato dell’occupazione militare della riva sinistra del Reno per riannodare relazioni di affari con la Germania. Enti speciali (Comité des dérogations di Strasburgo, Comité économique interallié di Lussemburgo) facilitano tale ripresa di relazioni.

Le ditte tedesche devono forzatamente acquistare le merci loro occorrenti da fornitori francesi e inglesi, mentre assai volentieri si rivolgerebbero, ove ciò fosse possibile, a fornitori italiani.

Il capo della nostra missione militare a Berlino, osservando che il nostro paese sta forse perdendo il momento migliore per riacquistare le vecchie clientele e per assicurarsi nuovi mercati, propone che si approfitti della nostra posizione ad Innsbruck per lanciare in Germania, senza transitare per la Svizzera, i prodotti che l’industria italiana è ora in grado di fornire.

Si fa presente quanto sopra, per il caso che codesto Ministero creda opportuno di interessare al riguardo il Ministero dell’industria, commercio e lavoro1.

306

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 454. Parigi, 26 aprile 1919.

In seguito decisione competenti comitati interalleati, a partire dalla mezzanotte 28 corrente vengono ritirate tutte le liste nere1. Governi alleati ed associati si riservano diritto rimettere in vigore tutte od alcune tali liste se necessario.

Prego informare competenti autorità, rr. rappresentanze diplomatiche, consolati, e diramare giorno 28 comunicato stampa.

305 1 Annotazioni manoscritte a margine: Comunicarne copia a S.E. Crespi; copia al Ministero delcommercio, osservando il grave danno di tale inazione ed assenza dell’Italia. 27 IV. G. De Martino.

306 1 Si tratta degli elenchi delle ditte e imprese sospettate di possibili traffici con la Germania e lealtre potenze nemiche in base al Trading with the Enemy Act del 5 agosto 1914. Sulle liste nere si vedaanche serie sesta, vol. II, DD. 280, 802 e 892.

307

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE PER L’ARMISTIZIO A VIENNA, SEGRE

T. 1938. Parigi, 26 aprile 1919.

Riguardo pagamento coupons da parte Governo austriaco non è interesse dell’Italia di prendere iniziative che possano essere interpretate come implicanti intenzione Italia addossare alla Austria intero carico pagamento interessi del debito pubblico della ex-Monarchia, tesi sostenuta dal Governo italiano essendo quella che tale carico debba essere distribuito tra i vari Stati eredi della ex-Monarchia sia per quanto riguarda debito ante-guerra che per quanto riguarda debito di guerra. Sarà quindi opportuno astenersi da qualunque iniziativa nostra e osservare cosa viene fatto dalle altre potenze unendosi ad esse se loro passi concorderanno colle direttive suspecificate.

Prego dare opportune istruzioni alla Commissione controllo1.

308

IL GOVERNATORE DELL’ERITREA, DE MARTINO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 400 RIS. PERS. Cheren, 26 aprile 1919.

Situazione nostra in Etiopia.

Le nostre aspirazioni per una sistemazione territoriale accortamente sfruttate a nostro danno dalla Francia (e basta a convincersene riesaminare sulle varie questioni i telegrammi del conte Colli di Felizzano) hanno creato una situazione gravissima che si può riassumere nei seguenti termini: contro noi l’Etiopia prevenuta ed avversa elimina sistematicamente ogni nostra richiesta accogliendo con favore quelle francesi. A chiusura di conti la Francia ci avrà realmente sostituiti. E così:

1) Alla domanda da parte nostra di un monopolio degli alcool nella zona di nostra influenza risponde dilazionando mentre ora di fatto tratta nuovamente con società francesi e pare prossima conclusione.

2) Dopo vaghe promesse simulando formule che non trova ora, ha di fatto rotto ogni negoziato pel riconoscimento diretto della società esercente le miniere di Dallol; e ciò costituisce una reale minaccia per la società stessa che potrebbe inopinatamente condurre ad un divieto o a peggiorare complicazioni.

3) Sulla pressione esercitata da noi a Parigi circa la sostituzione di una società francese nella concessione ad Uossenié per un monopolio generale di tutte le miniere in Etiopia nega formalmente di autorizzare il monopolio ma di fatto la società francese potente di capitali si è stabilita ad Addis Abeba e tratta caso per caso il singolo esercizio di questa o quella miniera; mentre parte nostra regna il più completo assenteismo.

4) Cede a francesi monopolio del tabacco.

Questa sintesi della situazione mi è confermata dal commendatore Ostini venuto ora da Addis Abeba. Ora se il conseguimento aspirazioni si dovesse realizzare è evidente che la nostra posizione preponderante in Etiopia, sostituendo quella francese, eliminerebbe molti di questi fatti e ristabilirebbe l’equilibrio a nostro vantaggio. Ma, mi chiedo, è prudente davanti ad una eventualità dubbia abbandonare l’azione politica che si fonda su sanzioni effettive di carattere commerciale ed economico? Successivamente noi vediamo il terreno occupato più che mai, reclamiamo sulla parte formale dei trattati, di fatti tutta l’azione francese è la violazione più evidente dello spirito di quei trattati che volevano essere la manifestazione di un accordo a tresostanzialmente. È competizione d’interessi ed influenza, non accordo. Ma diciamolo pure, nessun programma capitalistico effettivo si compie da noi in Etiopia. Io già ebbi a richiamare su ciò la più seria attenzione del R. Governo quando mostrai l’urgenza e la convenienza che una forte società si opponesse con eguali azioni ed eguali domande all’accaparramento da parte dei francesi di miniere che rappresentano forse maggior ricchezza della Abissinia. Giova certo assicurare la lettera dei trattati, ma è lo spirito che li anima che occorre rivendicare a tutela della sostanza. Che cosa fanno ora Francia ed Inghilterra? Chiamano i loro rappresentanti a consiglio nel campo reale dove si decidano le questioni onde avere informazioni esatte, havvi ausilio ed i rappresentanti partano per l’Europa con le missioni stesse etiopiche.

Può a tutto ciò rimanere estranea l’Eritrea, constatando semplicemente il successo diplomatico della Francia in Etiopia, dove ha unito agenti abilissimi? A me nasce nell’animo profondo sconforto perché sento in questo momento come la colonia che governo non abbia più parte alcuna alla soluzione dei suoi destini. E V.E. consentirà che io senta tale responsabilità e la esprima lealmente.

307 1 Il telegramma venne ripetuto a Macchioro, in testo lievemente diverso, con T. 465 del 30aprile, a firma De Martino.

309

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 1457/619. Londra, 26 aprile 1919 (perv. il 27).

Mio telegramma n. 5911.

«Westminster Gazette» reca in posto di rilievo seguente notizia che interpreto in dipendenza diretta passo da me fatto Foreign Office: «Noi apprendiamo dalle miglio

ri autorità che qualsiasi dichiarazione relativa approvazione di Clemenceau e Lloyd George alla nota del presidente prima della sua pubblicazione è inesatta».

309 1 Vedi D. 292.

310

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1134/207. Praga, 26 aprile 1919 (perv. il 28).

Miei telegrammi 198 e 1991.

Presidente Masaryk mi comunica documento comprendente 15 punti2 sui quali dovrebbe farsi accordo tra Italia e Czeco-Slovacchia per garantire relazioni commerciali. Egli stesso ignora se discussione sia già avvenuta in proposito. Faccio notare impossibilità trattare, se non sono al corrente precedenti. Urge risposta3.

ALLEGATO

PROMEMORIA.

Pour garantir les rélations commerciales entre les deux Etats (Tchéco-Slovaquie et Italie) une entente devrait s’établir sur les bases suivantes:

1) Etablissement de communications directes entre les deux Pays.

2) Améliorations de ces communications, à savoir construction de tout réseau et jonctions utiles au but ci-dessus énoncé.

3) Accord pour l’exploitation des lignes intéressant le trafic entre l’Italie et la Tchéco-Slovaquie.

4) Formulation d’une clause à imposer aux ennemis pour ce qui concerne les lignes se trouvant sur leur territoire.

5) Tarif à imposer aux ennemis.

6) Régime des ports de Trieste et Fiume en vue des besoins du commerce tchéco-slovaque (régime le plus favorable accordé par tout autre port).

7) Régime douanier apte à assurer le transit.

8) Appui italien aux Tchéco-Slovaques dans la question de l’enregistrement de leur navires à Prague.

9) Ports d’attache.

10) Constitution d’une Société de navigation italo-tchèque.

11) Zone franche dans les ports de Trieste et Fiume. Outillages et services des ports dans la même mésure et sous les mêmes conditions accordées aux navires italiens.

12) Facilitations au trafic tchéco-slovaque: notamment l’institution d’un bureau tchèque pour les opérations douanières.

13) Magasins Généraux: au moins les mêmes conditions d’espace d’avant guerre.

14) Frais portuaires en proportion de concurrence.

15) Subvention cumulative aux lignes régulières de navigation desservies par des navires italo-tchèco-slovaques en proportion des intérêts respectifs.

310 1 Non pubblicati.2 Si tratta della nota di sintesi di un «Aide-mémoire, concernant l’établissement de relations commerciales entre Trieste et la Tchéco-Slovaquie». Vedi Allegato.3 Vedi D. 348.

311

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1449/160. Sofia, 26 aprile 1919 (perv. il 27).

La notizia della partenza della Delegazione italiana da Parigi giunta ieri, non è stata pubblicata da Governo che desidera evitare nuove cause agitazione animi al momento in cui si teme una crisi ministeriale dovuta a controversie coi gruppi socialisti e agrari. Ambiente del presidente del Consiglio sembra preoccupato dell’effetto che l’incidente in seno alla Conferenza di Parigi potrebbe avere su parte dell’opinione pubblica bulgara che spera nell’applicazione dei 14 punti del presidente Wilson. Si prevedono gravi ripercussioni in Germania e in Russia. Del resto Theodoroff conferma impressione che popolo bulgaro ne riceverebbe incentivo curare riavvicinamento coll’Italia a causa del sentimento ostile alle pretese serbe. Più volte egli mi ha manifestato sua opinione del tutto favorevole alle nostre rivendicazioni territoriali da lui ritenute giuste moderate. Per la seconda volta mi ha pregato ieri (...) a V.E. vivi ringraziamenti per benevolenza verso interessi bulgari durante trattative Parigi.

312

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. POSTA 1396. Parigi, 26 aprile 1919.

La sezione militare di questa delegazione per la pace mi ha comunicato il seguente telegramma di S.E. il generale Badoglio: «6981 Op. Uff. Oper. Riferimento telegramma questo Comando 6063 OP. del 6 aprile1 diretto codesta sezione militare e telegramma risposta S.E. Sonnino 409 del

311 Il testo risulta compilato il 25 aprile, ma fu trasmesso il 26.312 1 Vedi D. 131.

12 aprile2 riflettente direttive politiche per occupazione Anatolia. Qualora si possa tenere fermo che spedizione in Anatolia è fatta con consenso nostri alleati Francia e Gran Bretagna pregasi chiarire quale dovrà essere contegno nostre truppe di fronte elementi greci della Turchia asiatica nella eventualità si mostrassero ostili alla nostra occupazione militare e in generale quale dovrà essere contegno delle autorità militari italiane con autorità greche con le quali venissero a contatto. In siffatta eventualità sarebbe certamente opportuno che autorità italiane potessero liberamente dichiarare che Italia agisce in pieno diritto per mandato conferito da potenze alleate».

Ho risposto come segue:

«Direttive politiche per occupazione Anatolia sono le seguenti:

Non è il caso di affermare che la spedizione italiana in Anatolia è fatta col consenso della Francia e dell’Inghilterra e che l’Italia agisce nell’Anatolia per il mandato degli alleati.

Il contegno delle autorità italiane di fronte alle autorità greche con le quali potessero eventualmente venire a contatto deve essere fermo e cortese. Occorre tener presente il concetto che gli sbarchi sono fatti pel mantenimento dell’ordine pubblico. Attenendoci noi strettamente a questo concetto, le provocazioni e gli eventuali disordini non potranno venire che dai greci».

313

RELAZIONE DEI DELEGATI E CONSIGLIERI TECNICI, CRESPI E DELLA TORRE, DEL CONSIGLIERE TECNICO, QUARTIERI E DEL MAGGIORE BENSA

Parigi, 26 aprile 1919.

TRATTATIVE ITALO-JUGOSLAVE

Il maggiore Bensa approfittando di relazioni stabilite in commissioni tecniche con alcuni elementi jugoslavi e incoraggiato dal senatore Della Torre e dall’ing. Quartieri faceva un primo invito a pranzo cui intervennero un signore jugoslavo e il comandante Genta per discutere di questioni di secondaria importanza.

Dall’altro campo venne naturalmente uguale invito e ad esso fu risposto aderendo, dopo però averne avuta autorizzazione e incoraggiamenti da S.E. il presidente del Consiglio. Il primo pranzo avvenne all’Hotel Mirabeau il giorno 29 marzo ed il secondo, cui intervennero tre jugoslavi e il maggiore Bensa, il comandante Genta e l’ing. Quartieri, fu offerto all’Hotel Castiglione il 2 aprile.

3 Si tratta del T. 1395 dello stesso 26 aprile (Sonnino alla Sezione militare).

Vista l’ottima tendenza dalle due parti e l’incoraggiamento avutone da S.E. il presidente si deliberò di studiare insieme un accordo per le navi adriatiche affidandone per la parte italiana la direzione suprema a S.E. il ministro Crespi.

Dopo varie sedute, cui dalla parte italiana intervennero il maggiore Bensa, il comandante Genta, il comm. Dragoni e l’ing. Quartieri, improntate ad una cordialità sempre crescente, l’accordo fu raggiunto il giorno 8 aprile. A quel punto, visto che la questione non poteva restare nel campo puramente economico, ma che doveva trasformarsi in politica, si convenne di fare incontrare i ministri delle due parti che avevano, senza esporsi in alcun modo, seguito e diretto le trattative. Inutile dire che doveva servire questo colloquio a mettere le basi di un accordo completo fra le due nazioni, specialmente per le questioni territoriali.

Purtroppo però, nel colloquio lunghissimo che avvenne il giorno 11 aprile, il terreno d’intesa non fu trovato, e i due ministri si separarono piuttosto freddamente per l’impossibilità di venire in quel momento ad un accordo sulla sovranità di Fiume lasciando all’Italia una grossa parte dei territori attribuiti dal Patto di Londra.

Nonostante questo gli amichevoli rapporti non furono interrotti ed anzi, vista la necessità di eliminare gli uomini politici fino all’ultimo momento, le trattative furono allargate e intensificate per i consigli e gli incoraggiamenti sempre crescenti di S.E. il presidente del Consiglio, di S.E. Crespi, e del senatore Della Torre.

La sera del 14 aprile verso mezzanotte si convenne dal maggiore Bensa e dal-l’ing. Quartieri, insieme a persone autorevoli dell’altra parte, di cominciare trattative di carattere ufficioso, dopo averne avuto approvazione dei rispettivi Governi su queste basi:

1) Sovranità italiana su Fiume unita all’Italia senza discontinuità di territorio. Diritti commerciali e di traffico larghissimi ai jugoslavi.

2) Assegnazione all’Italia del distretto di Zara e delle isole di fronte a Zara e alla costa fino a Fiume (Lussin e Cherso compresi).

3) Discussione su Lissa.

4) Lingua italiana in tutte le scuole della costa adriatica e forse di tutta la Jugoslavia con reciprocità ristretta. S.E. il presidente a varie riprese si mostrò esitante per le forti rinunzie che si dovevano fare e che il maggiore Bensa e l’ing. Quartieri si sforzarono invano a ridurre in vari colloqui.

Finalmente nella sera del 23 aprile l’ing. Quartieri chiamato nella camera di

S.E. il presidente ebbe l’incitamento a concludere sulle basi suesposte, incitamento confermato alla presenza del maggiore Bensa sul mattino del 24.

Alle ore 13 per ragioni di alta politica però le trattative furono per ordine esplicito di S.E. il presidente nuovamente interrotte, e alle 17 il proclama Wilson veniva a ostacolare ogni cosa.

Da questo momento gli eventi precipitano. S.E. parte per l’Italia e al momento di partire insieme a parole cortesi dice all’ing. Quartieri di continuare attivamente a trattare tenendosi per questo a disposizione di S.E. il ministro Crespi.

Le trattative continuano ma alle ore 15 del giorno 25, di fronte alla domanda esplicita dell’ing. Quartieri e del maggiore Bensa di avere il mandato di trattare sulle basi suesposte, e approvate da S.E. il presidente, S.E. Crespi preoccupato grandemente della responsabilità di fronte al paese per le gravi rinunzie territoriali, data la nuova posizione morale e politica creata al Governo italiano dal Messaggio Wilson, prega l’ing. Quartieri e il maggiore Bensa di rompere le trattative o quanto meno di sospenderle per qualche giorno1.

312 2 Vedi D. 179.

314

LA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

PROMEMORIA. Parigi, 26 aprile 1919.

PROMEMORIA SINTETICO SULLE FRONTIERE DELLA GRECIA

1) RIVENDICAZIONI

La Grecia chiede l’annessione:

a) dell’Epiro settentrionale e Albania meridionale; b) della Tracia occidentale (bulgara) limitata al corso dell’Arda e della Maritza; c) della Tracia orientale dalla Maritza al Mar Nero; d) dell’Asia Minore (Vilayet di Balikrari, Manisa, Smirne, Aidin, Mughla); e) di tutte le isole dell’Egeo compreso il Dodecanneso e Cipro.

2) RAGIONI DELLE RIVENDICAZIONI

Il memoriale di Venizelos (La Grèce devant le Congrès de la Paix) appoggia le rivendicazioni greche su ragioni di carattere etnico storico e commerciale. In linea generale afferma che 8.256.000 di persone costituiscono la nazione ellenica, e che soltanto il 55% di tale popolazione fa attualmente parte del Regno di Grecia; degli altri circa 1.000.000 è sparso in Africa, in America e in Russia, e 3.000.000 risiedono nelle regioni rivendicate nelle proporzioni seguenti:

Epiro e Albania 151.000 Tracia e Bulgaria 862.000 Asia Minore 1.694.000 Dodecanneso 102.000 Cipro 235.000

3.044.000

314 Si tratta di un promemoria sui lavori della Commissione per gli affari greci e albanesi, con lasintesi delle rivendicazioni territoriali greche e delle riserve italiane. Fu inviato per conoscenza al MAEGab. «per uso» di Sonnino con n. 5277 SP. del 9 maggio. Sul foglio di trasmissione, annotazione manoscritta: «Non ha nessun valore pratico. Atti». Al promemoria erano uniti due schizzi e quattro allegati — che nonsi pubblicano — datati 1° marzo 1919, con il testo delle riserve presentate dalla delegazione italiana.

ESAME DELLE RIVENDICAZIONI

Per un esame particolareggiato dei confini indicati dalle rivendicazioni greche si considerano separatamente:

a) frontiera greco-albanese (Epiro settentrionale); b) frontiera della Tracia occidentale; c) frontiera della Tracia Orientale; d) Asia Minore; e) Dodecanneso, Cipro ed altre isole dell’Egeo.

–A– FRONTIERA GRECO ALBANESE (EPIRO SETTENTRIONALE)

La Grecia rivendica la regione epirota limitata a nord da una linea che, partendo dal lago di Presba con direzione generale sud-ovest, passa per il M. Kamme e raggiunge tortuosamente il mare 10 Km. ad ovest di Dukat (sud di Valona).

RAGIONI ADDOTTE IN FAVORE DELLE RIVENDICAZIONI

Etniche: Venizelos afferma che l’Albania non saprebbe vivere come Stato indipendente senza tutela esterna, e che quindi l’Epiro, abitato da una popolazione commista di 120.000 greci1 e 80.000 albanesi, deve essere annesso alla Grecia, già avente una politica propria indipendente. A suffragio della sua tesi invoca:

— -l’antichità della stirpe greca già esistente in quelle regioni prima della costituzione del Regno greco; — -l’origine albanese di molti personaggi ed uomini politici della Grecia, oltreché quella di quasi tutto l’equipaggio della flotta ellenica; — -l’esistenza di numerose scuole greche contro pochissime albanesi. Storiche: Durante la guerra d’indipendenza ellenica l’Epiro fornì alla Grecia molti capi militari; Venizelos cita eroici episodi di rivolta contro Ali pascià di Janina.

Al principio della guerra europea, quando il Governo greco ebbe l’incarico di occupare l’Epiro in preda all’anarchia, Venizelos afferma essere tacitamente inteso che, se l’Italia avesse definitivamente occupata Valona (come avvenne in seguito al Trattato di Londra), la Grecia avrebbe conservato l’Epiro.

Economiche: Lo sbocco di Santi Quaranta è necessario per il commercio delle provincie settentrionali della Grecia. Il commercio di Koritza si svolge esclusivamente con l’Epiro e la Macedonia greca.

Militari: La sola via di comunicazione attraverso l’impervia catena dei M. Gramos, tra l’Epiro e la Macedonia greca, passa per Koritza e, se quest’ultima località fosse assegnata all’Albania, risulterebbe paralizzata, dal punto di vista strategico, la difesa delle frontiere settentrionali della Grecia.

RAGIONI CONTRARIE

Etniche: La regione, tenuto conto anche di tutti gli emigrati, è abitata da una maggioranza di razza e di lingua albanese. Il criterio religioso non ha grande valore data la coesistenza di tre religioni in popolazioni di una unica stirpe. L’esistenza di numerose scuole greche non rappresenta un dato efficace, perché l’apertura di scuole albanesi era vietata dal Governo ottomano e perché il patriarcato greco che reggeva l’amministrazione religiosa dell’Epiro ne ostacolava l’istituzione. Le rivolte contro passate cessioni di territori alla Grecia mostrano il carattere albanese della regione.

Storiche: Nel 1880 alla Conferenza di Berlino il Governo greco designava come limite etnico una linea corrispondente in gran parte alla frontiera che anche nel 1913 fu riconosciuta come la più equa nei riguardi etnici ed economici.

Economiche: La proprietà fondiaria è in gran parte in mani albanesi. Lo stato primitivo della vita economica del paese sarebbe turbato profondamente se venissero tolte all’Albania le regioni meridionali, i cui commerci convergono esclusivamente verso Valona ed il centro dell’Albania e che non hanno alcuna relazione con la Grecia.

Militari: La Grecia con il possesso di Corfù e della costa adiacente può stabilire all’entrata dell’Adriatico una base navale che costituisce una grave minaccia per l’Italia.

La Commissione incaricata della delimitazione dei confini della Grecia non ha ancora formulato alcuna conclusione, per i diversi criteri delle varie delegazioni.

La delegazione italiana ha formulato riserve scritte e proposto la conservazione della frontiera attuale; la delegazione americana propone che sia assegnata alla Grecia la sola regione di Argirocastro conservando all’Albania le regioni di Koritza, Premeti, Tepeleni; le delegazioni francese ed inglese propongono che siano accolte le aspirazioni greche, portando la frontiera sul corso della Voiussa e sulla catena dell’Ostrovitze Dagh.

–B – FRONTIERA DELLA TRACIA OCCIDENTALE

La Grecia richiede l’annessione della Tracia bulgara estendendo il proprio confine sino al corso dell’Arda a nord ed a quello della Maritza ad est.

RAGIONI ADDOTTE

Etniche: Venizelos afferma che la popolazione della regione è in gran maggioranza greca e non bulgara e che la popolazione mussulmana preferirebbe la dominazione greca a quella bulgara.

Militari: La Grecia, a causa della conformazione del suo territorio e delle numerosissime isole, ha il massimo interesse ad ottenere l’egemonia navale dell’Egeo, e a togliere alla Bulgaria ogni possibilità di costituire basi navali sulla costa della Tracia.

RAGIONI CONTRARIE

Etniche: La maggioranza greca è soltanto nella regione costiera e non nell’interno che è o bulgaro o turco. La maggioranza assoluta è in favore dei mussulmani, i greci sono raggruppati nei centri marittimi, mentre i cristiani della campagna sono tutti bulgari.

Economiche: Accogliendo le rivendicazioni greche, la Bulgaria sarebbe privata di ogni sbocco sull’Egeo ed ogni concessione da parte greca di sbocchi a Salonicco, Cavala o Dede Agach avrebbe carattere precario e sarebbe soggetta al controllo greco.

Militari: La Grecia conferma nelle sue aspirazioni un sogno di predominio sulla Bulgaria.

La Commissione incaricata non ha ancora formulato alcuna conclusione essendo i criteri assai diversi anche per questa questione.

La delegazione italiana, accogliendo in parte le rivendicazioni greche, propone di portare la frontiera greca sul Kartal Dagh e sul Tokatjik Dagh lasciando alla Bulgaria il porto di Dede Agatch.

Le delegazioni americana, francese e britannica accolgono le rivendicazioni greche spostando la frontiera richiesta nella parte occidentale circa 10 Km. a sud del-l’Arda e nella parte orientale circa 10 Km. a nord.

–C – FRONTIERA DELLA TRACIA ORIENTALE

La Grecia rivendica la Tracia orientale con Costantinopoli, dal Mar di Marmara e dal Mar Nero sino all’attuale frontiera bulgaro-turca. Lascia alla Bulgaria il saliente nord-ovest di Adrianopoli (Sakar Planina) ed una striscia di territorio della larghezza di circa 10 Km. a nord-est della catena dell’Istrania Balkan da Kajbiliare al Capo Jniada sul Jniada [?] sul Mar Nero.

Nel caso fosse decisa la costituzione di uno Stato internazionale di Costantinopoli, la Grecia rivendica la rimanente parte della Tracia.

RAGIONI ADDOTTE

Etniche: Venizelos afferma che complessivamente nella Tracia rivendicata, compreso Costantinopoli, vi sono 730.822 greci, contro 69.000 bulgari. La maggioranza greca della Tracia non sarebbe assoluta in confronto alla popolazione turca, ma Venizelos appoggia le proprie rivendicazioni sul 12° punto delle dichiarazioni di Wilson, favorevole all’allontanamento del Governo turco dall’Europa.

Economiche: Non esistono vere e proprie ragioni economiche. La rivendicazione di questa regione è essenzialmente basata su motivi di indole etnica.

RAGIONI CONTRARIE

Etniche: La popolazione greca risiede essenzialmente nelle regioni costiere, quindi se lo Stato di Costantinopoli comprenderà la penisola di Ciatalja e la regione a sud della linea Enos-Midia, il resto della Tracia orientale risulterà etnicamente bulgara e turca. Turchi, bulgari, ed ebrei, che sarebbero compresi entro la nuova frontiera greca, sono contrari al Governo ellenico, ed i mussulmani di quelle regioni hanno fatto petizioni perché il paese non venga occupato da truppe greche di cui temono le persecuzioni e le rappresaglie.

La Commissione incaricata non ha ancora formulato alcuna conclusione. La delegazione italiana, avendo proposto che la Bulgaria conservi lo sbocco di Dede Agach, crede opportuno, per conseguenza, che il territorio della Tracia sia o tutto assegnato allo Stato di Costantinopoli o vengano prese decisioni speciali per la regione di Adrianopoli. Le delegazioni francese, americana ed inglese accolgono in linea di principio le rivendicazioni greche, salvo limitarle a sud sino alla frontiera del nuovo Stato di Costantinopoli ed escludere la Grecia, se la Conferenza lo crederà necessario, dal litorale del Mar Nero.

–D – ASIA MINORE

La Grecia rivendica i vilayet di Balykrari, Manisa, Smirne, Aidin, Mughla comprendenti tutta la costa dell’Asia Minore verso l’Egeo e parte di quella verso il Mar di Marmara.

RAGIONI ADDOTTE

Etniche: La sovranità turca deve essere limitata all’interno del paese dove i turchi sono in maggioranza; la zona costiera, dove abitano da secoli più di un milione di greci, poco inferiori in numero alla popolazione turca che è però molto più incivile, deve essere annessa alla Grecia.

RAGIONI CONTRARIE

Etniche: Le statistiche portate da Venizelos non sembrano esatte; i greci risultano in grande minoranza in tutti i vilayets, tranne in quello di Smirne.

Economiche: L’Impero turco, rimanendo limitato all’altopiano dell’Asia Minore, sarebbe privato dei più importanti sbocchi sul mare.

Storiche: I trattati di Londra del 1913 e 19172 hanno già attribuito all’Italia parte della regione rivendicata dalla Grecia.

La Commissione incaricata non ha ancora formulato commissioni3. La delegazione italiana rifiuta di discutere le rivendicazioni greche essendo ancora in vigore trattati internazionali riguardanti quelle regioni, e perché il problema non può essere separato da quello dell’assetto definitivo dell’Asia Minore. La delegazione americana è pure contraria alle rivendicazioni greche per ragioni etniche.

Le delegazioni inglese e francese accolgono in parte le richieste greche limitando la regione da attribuire alla Grecia alla zona di Smirne e di Aidin con un retroterra della profondità di circa un centinaio di Km.

3 Recte: conclusioni.

– E – DODECANNESO CIPRO ED ALTRE ISOLE DELL’EGEO

La Grecia rivendica tutte le isole dell’Egeo etnicamente greche da diecine di secoli, e spera che l’Italia rinunci in suo favore al Dodecanneso.

La Commissione ha concluso che le isole all’infuori del Dodecanneso siano attribuite alla Grecia. Per il Dodecanneso, le delegazioni francese, italiana e britannica non hanno formulato conclusioni, essendo vincolate dal Trattato di Londra; la delegazione americana appoggia le rivendicazioni greche.

Per l’isola di Castellorizzo è stato deciso che sarà posta sotto la sovranità della potenza che avrà la costa contigua; se l’Anatolia resterà turca verrà attribuita alla Grecia.

Riguardo all’isola di Cipro, la Grecia non ha esposto alcuna rivendicazione per il fatto che nel 1915 le fu offerta dall’Inghilterra in compenso della sua entrata in guerra a fianco degli alleati e perciò, pur non essendo avvenuto tale intervento, la Grecia considera l’atto dell’Inghilterra come un riconoscimento implicito dei suoi diritti sull’isola.

Né la Commissione, né le varie delegazioni hanno però toccato la questione.

313 1 Riprese il 5 maggio, nonostante il mutato parere di Orlando (T. 1337 P. a Battioni per Crespi,del 30 aprile), queste trattative a carattere privato sarebbero poi state interrotte definitivamente il 23 maggio.

314 1 Nota del promemoria: Venizelos considera come greci gli abitanti che parlano greco anche sela loro lingua materna è l’albanese, e sostituisce al criterio di razza quello religioso e di «coscienza nazionale» affermato, quest’ultimo, su semplici presunzioni.

314 2 Il riferimento è al trattato del 30 maggio 1913 che mise fine alla prima guerra balcanica eall’accordo dell’agosto 1917, tra Italia, Francia e Gran Bretagna, con il quale si completavano gli accordidi S. Giovanni di Moriana del 19-20 aprile precedenti sulla spartizione dell’Asia Minore. Tali accordifurono denunciati da Londra nell’ottobre 1918, con l’argomento della mancanza del consenso russo aseguito della rivoluzione bolscevica.

315

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 1471/27 SEGRETO UU. Londra, 27 aprile 1919, ore 9,30 (perv. ore 17,30 del 28).

Per quel che possa valere comunico quanto segue: 1) che fiero atteggiamento italiano contro atto arbitrario e prepotente di Wilson abbia compiaciuto intimamente popolo e dirigenti inglesi stanchi rimostranze e gelosi di lui preponderanza; 2) che esplosione siffatta reazione verisimilmente sarà di non lunga durata poiché voce interessi predominerà su quella del sentimento; 3) che pertanto Governo (compreso Lloyd George) è a mio credere disposto soddisfare aspirazioni Fiume compiacendo contemporaneamente Wilson con relative concessioni in Dalmazia italiana; 4) che parimenti soluzione primo ministro sarà consigliata anche da atteggiamenti giornali radico-socialisti (miei telegrammi 621 e 628)1 che hanno su di lui gran presa; 5) che impulsività Lloyd George, sua impazienza concludere pace con Germania, e speciale momento psicologico consigliano da parte nostra la più celere decisione ed azione.

Non avrei mai osato sottoporre quanto precede a V.E. se voci, informazioni ed impressioni intraducibili non mi spingessero a temere: 1) che stampa Lord Northcliffe è tutta in armi per arrestare o comunque sminuire portata e senso appoggio stampa

francese nonché gravità ed estensione nostro atteggiamento; 2) che acuta ansia del Parlamento e del popolo inglese di concludere pace al più presto con Germania possono determinare campagna intesa sostenere caducità patto concernente simultaneità pace da parte tutti Alleati; 3) che Polonia e Giappone possono nuocere nostra attuale magnifica situazione con almeno intempestiva imitazione.

315 1 Il T. 621 del 27 aprile, non è pubblicato. Il T. 628 non è stato rinvenuto.

316

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL

T. GAB. 89 bis. Spezia, 27 aprile 1919, ore 17.

Se greci sbarcheranno Smirne e disordini minaccino seriamente sicurezza nostri connazionali ed uffici italiani autorizzo sbarchi nostri marinai Smirne limitando loro azione a tutela autorità italiane e connazionali.

Restano ferme disposizioni già date per sbarco a Scalanova appena sia avvenuto eventuale sbarco greci a Smirne.

317

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 1458/589. Vienna, 27 aprile 1919, ore 17,20 (perv. ore 5,30 del 28).

I giornali continuano commenti appassionati partenza delegati italiani da Parigi. Simpatia per Wilson è però considerevolmente raffreddata dal dubbio che egli non si dia interesse con uguale ardore favorire tedeschi Boemia ed Alto Adige. «Neue Freie Presse» scrive che ben poco resta ormai del programma Wilson. Nessuno dubita che egli sia un bravo uomo ma forse è stata una illusione il crederlo all’altezza della situazione. La sua parola ha avuto un’eco formidabile perché egli parlava nel colossale megafono americano, ma chi parlava era forse un predicatore quacchero. Stampa locale al solito male informata riteneva da principio messaggio Wilson avrebbe determinato dimissioni Gabinetto italiano. Sono riuscito abbastanza facilmente fare pubblicare notizie che escludono formalmente tale possibilità e comincia a insinuarsi persuasione che Italia sarà tutta unita intorno a suo Governo.

316 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 441. Il telegramma, inviato da Spezia a Biancheri, fu ritrasmesso a Revel con T. 1467 dello stesso giorno.

318

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE

T. Roma, 27 aprile 1919.

Istruzioni date nostra stampa principalmente dirette porre in rilievo che opinione pubblica italiana non associa popolo americano all’incidente creato dal suo presidente. È stato ugualmente suggerito evitare attacchi personali Wilson ma limitarsi rilevare come suoi principi non siano stati applicati finora ad alcun paese e come essi non riguardino questioni italiane, Austria avendo desistito lotta per essere stata battuta sui campi di battaglia e non in seguito accettazione 14 punti di Wilson. Sarà opportuno porre per altro in evidenza punto dell’intervista del presidente Orlando al «Matin» in cui ricorda riserve da lui fatte a Versailles nel novembre circa nono punto concernente nostre frontiere e di cui colonnello House prese atto e che questione speciale Fiume rientra nei principi di autodeterminazione voluti dal presidente. Sarebbe opportuno che qualche giornale amico ricordasse messaggio presidenziale dell’11 febbraio 1918 in cui Wilson dichiarò che «Stati Uniti non intendono ingerirsi negli affari europei o agire da arbitri in questioni territoriali». Sforzi V.E. siano poi diretti ad evitare in codesta stampa abbinamento nostre questioni con quelle giapponesi. Circa messaggio Orlando, essendo sorto il dubbio che il telegrafo americano possa sabotarlo nella trasmissione al Messico, prego spedirne per posta il testo a quella

R. Legazione1.

319

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 118/175. Parigi, 27 aprile 1919 (perv. il 28).

Mi sono recato stamane da Pichon e gli ho esposto come la situazione creata dal comunicato Wilson fosse difficile e spiacevole per tutti e come uno dei suoi [risultati] che più mi doleva era l’atteggiamento piuttosto freddo, passivo ed in certo modo poco benevolo a nostro riguardo che pareva avere assunto Clemenceau.

Il Governo inglese aveva avuto un cenno amichevole verso di noi con il noto comunicato Reuter, ma nulla di simile aveva fatto il Governo francese; accennai allo spiacevole articolo di ieri dopo due giorni di silenzio assoluto nell’«Uomo libero» e

sopratutto al comunicato pubblicato a Washington dal signor Lane1, che affermava che Clemenceau si era trovato d’accordo con Wilson nel giudicare che Fiume non poteva essere italiana. Questo era in aperta contraddizione con le dichiarazioni ripetutamente fatte dal Governo francese che Fiume doveva esserci attribuita contro corrispondente riduzione del Patto di Londra; credevo quindi che l’affermazione di Lane meritasse, se non una smentita diretta, almeno una rettifica.

Pichon, dopo avermi parlato della buona impressione che gli aveva fatto il colloquio avuto ieri con V.E. e reso omaggio al suo spirito conciliante, difese assai debolmente l’atteggiamento di Clemenceau. Disse che nell’accennato [comunicato] Clemenceau non aveva avuto certamente parte alcuna, al che replicai che per il pubblico «L’homme libre» era sempre ed in ogni occasione il portavoce del presidente del Consiglio dei ministri. Pichon riconobbe spontaneamente che il comunicato Lane era in contraddizione con quanto era stato sempre detto a noi, ma quando gli parlai di rettificare, si schermì dicendo che era stato smentito già indirettamente dal telegramma da Londra pubblicato dal «Matin» di oggi e da quello da Clemenceau a Luzzatti. Affermazione oggi inesatta a mio avviso, ma Pichon non osa né dispiacere a Wilson né affrontare il malumore di Clemenceau.

Alla mia osservazione che il compito che incombeva ai nostri alleati era appunto quello di farsi conciliatori attivi fra noi e l’America, egli rispose con molto calore che così pensava anche lui e che stasera rivedrebbe Clemenceau che passava la giornata di oggi con quel (...).

Uscendo incontrai Barrère irritatissimo. Comunicato Lane fatto, dice, per compromettere la Francia agli occhi della nostra opinione pubblica; egli si proponeva di farlo smentire e si credeva abbastanza forte per riuscirvi. Non mi nascose essere in questi momenti in relazioni tutt’altro che cordiali con Clemenceau.

Da buona fonte, che però non ho modo di controllare, mi risulta che Wilson avrebbe minacciato di ritirarsi personalmente dalla Conferenza se il Governo francese avesse aderito al nostro punto di vista. Ciò spiegherebbe il mutamento ed il presente atteggiamento di Clemenceau.

Mi risulta pure da più fonti, e me lo confermò stamane Pichon, che gli ambienti jugoslavi sono tutt’altro che soddisfatti di quanto è accaduto e temono che la presente situazione sia per loro meno favorevole di quella che esisteva prima del comunicato di Wilson.

318 1 Istruzioni analoghe furono inviate all’Ambasciata a Londra con T. 1952 del 28 aprile. 319 Edito in CRESPI, D. 2 da cui sono tratte le integrazioni qui tra parentesi.

319 1 Il segretario di Stato americano agli interni Lane, in un comunicato alla stampa, a nome delsuo Governo, aveva dichiarato che anche Clemenceau si opponeva all’attribuzione di Fiume all’Italia. Lanota di Lane fu comunicata da Battioni a Petrozziello con telegramma dello stesso 27 aprile, ore 20.

320

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 108/1951. Parigi, 27 aprile 1919 (perv. ore 1,45 del 28).

Telegramma collettivo Crespi, Imperiali, Bonin Longare, Cellere, De Martino.

Comunicato del ministro dell’interno americano Lane, circa il quale Bonin Longare ha telegrafato stamane1, viene dichiarato stasera dal Crillon ai giornali non avere carattere ufficiale. Seguendo testo dei giornali della sera detto comunicato attribuirebbe anche a Lloyd George opposizione attribuzione Fiume.

Nostro ufficio informazioni comunica quanto segue: «Tardieu ebbe a dire oggi: Wilson ha dichiarato che non cederà a nessun costo. Il suo punto di vista non è suscettibile a interpretazioni differenti. Il presidente ebbe a fare questa affermazione in risposta a domanda conciliativa di Tardieu. I diplomatici serbi residenti a Parigi, malgrado la chiara affermazione di Wilson, non si illudono di poter annettere Fiume alla Croazia. Venerdì 25 è stato spedito a Belgrado un telegramma urgente in cifra diretto al ministro degli affari esteri. In questo telegramma si davano ordini perché il Governo, il Parlamento, gli enti pubblici, la stampa comincino una campagna molto attiva per l’internazionalizzazione di Fiume che si vorrebbe fosse “città libera”, nella speranza di ottenere così una conciliazione con l’Italia.

Questa tendenza risulta pure da un telegramma nel quale era riassunto un articolo comparso nel «Times» (autore Seton-Watson) nel quale si accennava alla possibilità di vivere in cooperazione e in buona amicizia con l’Italia trovando una soluzione che concili gli interessi dei due Stati. Ora nel telegramma riassuntivo erano specialmente accentrati e sottolineati i punti relativi alla conciliazione.

Crespi ha avuto oggi lunga conversazione privata con Loucheur che mostra ancora2 trovare soluzione. Loucheur confidò sgradita sorpresa di Clemenceau e Lloyd George all’annunzio fatto loro personalmente da Wilson dell’avvenuta pubblicazione. Wilson aggiunse subito che nonostante divergenze politiche alleati devono continuare all’Italia aiuti finanziari e approvvigionamenti grano e carbone.

Circa dichiarazione di questa Confederazione generale del lavoro Battioni ha telegrafato al presidente del Consiglio».

320 Edito in CRESPI, D. 5. Il telegramma, firmato da De Martino, è anche a nome di Crespi,Imperiali, Bonin Longare e Cellere, il «Consiglio diplomatico» che sostituiva temporaneamente la Delegazione rientrata a Roma. Inizia con questo una serie di telegrammi collettivi inviati regolarmente aOrlando e Sonnino a Roma, per informarli della situazione alla Conferenza della pace, come da decisionepresa lo stesso 27 aprile dai diplomatici italiani rimasti a Parigi (cfr. CRESPI, pp. 481 sg.). Il telegrammaoriginario n. 1951 reca la data del 27 aprile. Fu poi ritrasmesso nella notte, con leggere varianti, con ilnumero 457 e la data del 28.

1 Vedi D. 319.

2 Nel T. 457 si legge: che mostrasi ansioso.

321

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1463/21. Praga, 27 aprile 1919 (perv. il 28).

Come era da prevedersi stampa tutti i partiti commentando messaggio Wilson parteggia apertamente per jugoslavi. Però grandiosa reazione opinione pubblica Italia impressiona soprattutto temendosi Germania profitti discordia alleati.

322

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE PER L’ARMISTIZIO A VIENNA, SEGRE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI SONNINO, A ROMA

T. 7024 RR. Vienna, 27 aprile 1919.

Commissario popolo Svan Kondor presentatosi ieri a me con noto conte Baselett a nome Bela Kun per provocare ravvicinamento tra Ungheria e Italia nel campo finanziario commerciale, ma con presupposto politico.

Ecco dichiarazioni fattemi per tali presupposti:

Governo ungherese è puramente pacifista.

Indisse mobilitazione solo difendersi aggressioni rumene.

Mobilitazione contenuta limiti clausole armistizio, cioè 6 divisioni.

Se Romania desisterà avanzata, Ungheria disporrà riduzione divisioni mobilitate.

Governo non intende fare propaganda bolscevica altri Stati e in particolare Italia, sia mezzo agenti, sia aiuti finanziari, tanto meno forza armata con alleanza esercito rosso russo.

Governo non annette importanza reintegrazione armi Ungheria; spera Intesa assegnerà limiti che garantiscangli possibilità vivere, cioè includere a suo territorio materie, derrate prima necessità (grano, petrolio, legname, sale, carbone).

Governo confida Intesa non aiuterà direttamente o indirettamente movimenti borghesi ristabilire trono Absburgo.

Governo attuale non è bolscevista (...) russo, ma socialista con minoranza comunista.

Epiteto sindacalista, essendovi sindacati operai, commercianti, tecnici, chimici ecc., insomma Repubblica Consigli (Rate Regierung).

Governo non sequestrò piccole proprietà da 50 a 100 jugeri demaniali, né comunizzò piccole industrie.

Grandi industrie socializzate però conservati in massima vecchi direttori.

Governo mira riprendere produzioni, se agevolato da rifornimento materie prime. Richiede che Intesa permetta a Italia concludere con esso urgenza convenzione economica che permettagli ricevere subito viveri di cui è pressante necessità. Non intende trattare con altri che con Italia essendo Ungheria retroterra coste orientali italiane Adriatico e avendo possibilità reciprocità commercio. Italia gode inoltre maggiori simpatie Ungheria.

In caso accettazione queste premesse, Governo obbligasi: dare pegno oro, titoli, mettere sotto controllo italiano parzialmente interalleato distribuzione viveri merci a popolazione. Esclusione approvvigionamento esercito rosso.

Ostaggi scarcerati. Diritto borghesi lasciare Ungheria e rientrare possesso parte loro sostanza.

Processo politico commissione controllo potrà inviare proprio delegato.

Governo richiama attenzione Governo italiano che paese non occupato alleati ha viveri solo pochi giorni.

Impossibile prevedere sciagure paese e eccessi se Intesa non permetterà Italia approvvigionarla e non toglierà parzialmente blocco.

Baselett informa che 25 corrente commissione jugoslava recossi Budapest per concludere alleanza contro l’Italia. Commissario Kondor assicura che il Governo possiede prove che Francia cospira per rimettere Carlo al trono Ungheria.

Tacoli informato, ma ritengo urgente decisione nostra, anche per riflesso mia azione come missione. Come ripetutamente manifestato, ritengo a noi indispensabile buttarci arditamente avanti, specie tenuto conto forte azione accerchiamento francese e lusinghe jugoslave. Ripeto mia sicurezza simpatia per noi a Budapest.

Da cosa nasce cosa e assenza deleteria, onde attendo approvazione mio 6584 in data 21 corrente1.

Già abbozzato convenzione scambio.

Segue relazione2; ma Kondor Baselett chiedono pressantemente autorizzazione recarsi Roma.

2 La relazione preannunciata fu trasmessa al Comando supremo Ufficio operazioni, Padova con T. 7070 S. RR. pers. confid. del 28 aprile. Con successivo telegramma, forse del 28 aprile, ritrasmessodal Comando supremo al presidente del Consiglio e per conoscenza ai Ministeri degli esteri e della guerracon T. 7400 OP. del 29 aprile, Segre comunicava di essere stato invitato a Budapest a nome di Bela Kunper trattare le questioni evidenziate nell’incontro con Kondor e Baselett e chiedeva in merito l’autorizzazione e le istruzioni dal Governo.

322 1 Non rinvenuto.

323

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1478/212. Washington, 27 aprile 1919 (perv. ore 2 del 29).

Giornali pubblicano lunghi telegrammi dell’«Associated Press» con resoconti delle accoglienze fatte a S.E. Orlando a Torino ed a Roma e si generalizza il sentimento dell’insuccesso completo del tentativo di Wilson di dividere il popolo italiano che si riconosce essere oggi più unito e più saldo che mai. I commenti dei maggiori giornali italiani sono riprodotti ed impressiona la loro unanimità. I fogli amici del presidente fanno un debole tentativo di ridurre la risposta di Orlando all’espressione di risentimento nazionale se non addirittura di dispetto personale. Da parte repubblicani si riconosce invece che essa espone con abilità e con successo la posizione italiana. Un punto importante della controversia è naturalmente rappresentato dell’attitudine di Clemenceau e di Lloyd George, che appare assai confusa e che la stampa presidenziale aiutata dell’«Associated Press» si affanna a dimostrare essere a favore di Wilson1. L’«Associated Press» ha pubblicato iersera un telegramma che contraddicendo ai propri telegrammi precedenti stabilisce come a Parigi si sia dichiarata inesatta la notizia dell’assenso di Clemenceau e Lloyd George. Stamane torna ad insistere con copia di particolari sul perfetto accordo con Wilson e i giornali danno preminenza alla notizia. L’Agenzia «Havas» pubblica di contro il telegramma di Clemenceau a Luzzatti. Perdura lo sforzo degli ufficiosi a ridurre l’importanza della questione italiana ed a fare prevalere una nota ottimista di fronte alle gravissime preoccupazioni che mostra la stampa avversa per la ripercussione rincrescevole presente crisi sulla conclusione della pace e sulle future relazioni fra Italia ed America.

324

L’ INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1484/219. Washington, 27 aprile 1919 (perv. il 29).

Il tentativo già segnalato a V.E. di fare apparire la posizione assunta da Wilson per rispetto all’Italia come necessaria, allegando fine di opporsi più facilmente all’imperialismo giapponese in Cina, non è scevro di pericoli per noi, specie negli Stati del Pacifico, in quanto tende palesemente ad introdurre un elemento d’interesse pratico nell’intervento di Wilson nella questione italiana. In questi due giorni manca

per altro ogni insistenza su questa nota ed appariscono invece notizie di un (...) o quanto meno di un (...) accordo fra Wilson ed il Giappone sulla questione cinese.

323 1 Vedi DD. 292 e 309.

325

L’ESPERTO TECNICO, ROMEI LONGHENA, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

T. A MANO 155 RIS. Parigi, 27 aprile 1919.

Circa lo invio della commissione internazionale in Asia Minore, da verbali comunicazioni fatte da delegato inglese signor Toynbee e americano signor Lybyer al capitano Pallavicino, da me delegato a tale scopo, non potendo io prendere parte ufficialmente a tali trattative, risulterebbe che Governo francese avrebbe dato la sua adesione allo invio di tale commissione interalleata con presenza rappresentanti francesi che si sarebbe riservato di nominare prossimamente. Desiderio delle commissioni inglese e americana è che partenza possa avere luogo più presto possibile data presente situazione politica nel Vicino Oriente e approssimarsi stagione calda e pericolo malattie infettive, soprattutto malariche, durante periodo agosto settembre nelle zone da visitarsi, specialmente in Palestina. Capi delegazione britannica saranno generale sir Henry Macmahon e comandante marina Hogarth, ambedue specializzati in questioni orientali mediterranee, con circa tre o quattro altri membri subordinati, compreso un medico, e altrettanti scritturali dattilografi. Capi delegazione americana saranno professore King e signor Crane, questo ultimo industriale che ha lungamente viaggiato in Oriente, occupandosi questioni commerciali con Russia e Armenia; saranno accompagnati da tre delegati tecnici, un medico, alcuni interpreti e scritturali dattilografi. Sembra che intenzione sia che personale ogni delegazione non superi dodici persone. Delegazioni americana e inglese dovrebbero essere pronte a partire verso 10 maggio, imbarcandosi Brindisi o altro porto Italia meridionale su piroscafo da noleggiarsi possibilmente tra incrociatori ausiliari ex-navi passeggeri, munito radiotelegrafia per facilità comunicazioni. A tale scopo sembra che sia inglesi che americani si metteranno comunicazione coi comandanti rispettive flotte onde avere proposta nave. Onde ovviare inconveniente che a Parigi le loro comunicazioni non arrivino a pervenire a chi di dovere, propongono che a Parigi resti un delegato per nazione come organo di collegamento, cui verrebbe indirizzata ogni comunicazione e che con gli altri delegati alleati provvederebbe a vagliare e ottenere che proposte provenienti commissione fossero prese dovuta considerazione, eliminando possibilità che, per dualità di commissioni o superposizione di poteri, si ripetano inconvenienti già verificatisi con commissione per Polonia. Accludo copia lettera riservata diretta da Lloyd George a Balfour1 datami in comunicazione riservatissima. Ho fatto presente, sempre a mezzo del capitano Pallavicino, che, data situazione speciale attuale dell’Italia, non mi era possibile

325 Il telegramma fu inviato per conoscenza al MAE.

1 Non si pubblica. Si tratta in realtà di una breve nota di Hankey per conto di Lloyd George, in merito alla decisione di accelerare la partenza della commissione. In realtà, la delegazione britannica non sarebbemai partita per l’Asia Minore, dove operò soltanto la delegazione americana (la c.d. King-Crane Commission).

prendere parte ufficialmente ai preparativi di partenza della commissione interalleata; ma delegati americano e inglese hanno espresso speranza che Governo italiano vorrà ugualmente predisporre perché, qualora situazione si modifichi, Italia possa partecipare spedizione in Siria. Comunico quanto sopra per doverosa informazione e con preghiera di volere notificare a S.E. Sonnino.

326

IL DELEGATO COMMERCIALE A BERNA, LABRIOLA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

RELAZIONE. Berna, 27 aprile 1919.

RAPPORTI COMMERCIALI CON LA GERMANIA (Missione militare - Trattative e penetrazione commerciale-finanziaria di altri paesi) -BLOCCO

Risposta a teleposta del 19 aprile n. 87401.

La notizia delle «Münchner Neueste Nachrichten» smentita dal surrichiamato teleposta mi venne più volte confermata da parte di persone venute dalla Germania; volli perciò raccogliere informazioni più precise e seppi che detta notizia era originata dalle offerte fatte a Monaco a quell’Ufficio dell’alimentazione da tal capitano Mazzaretti segnalato in missione prima a Berlino poi a Monaco. Dal delegato della Croce Rossa italiana in Berna, conte Vinci, seppi poi che effettivamente certe provviste italiane (circa 25 vagoni) destinate a campi di prigionieri in Germania e non più utilizzabili erano state dapprima offerte in vendita in Germania dal Mazzaretti ma poi erano state fatte ritornare nella Svizzera. La notizia è quindi chiarita, in parte rettificata in parte confermata. Non vale il soffermarsi sul caso singolo.

Sta in fatto, in via generale, che alcuni dei membri della missione militare, a ciò reputati più adatti, esplicano opera informativa nel campo economico e azione di ravvicinamento con le sfere finanziarie e commerciali della Germania. Sta pure in fatto che tale azione preparatoria è dovuta alla iniziativa del capo della missione militare, è esplicata senza uno speciale coordinamento con gli uffici di politica economica di codesto Ministero e di quello del commercio, ed è svolta dai singoli membri a seconda delle loro particolari attitudini e della loro maggiore o minore conoscenza della materia e dell’ambiente.

Tutto ciò mi risulta da dirette informazioni e mi viene indirettamente confermato in sostanza da una nota del Ministero del commercio. Da parte di persone amiche che hanno stretti contatti con le sfere finanziarie e commerciali di Berlino, di Monaco e di Francoforte mi vien riferito che la detta attività preliminare e preparatoria viene considerata con una certa simpatia in Germania, e può quindi riconoscersi che al generale Bencivenga, capo della missione militare italiana, spetti il merito di avere,

con i modesti mezzi a sua disposizione, iniziata una azione che non ci lascia completamente sprovvisti di fronte alla imponente attività esplicata in Germania, per l’accaparramento di quei mercati, da parte di neutrali e di nostri alleati e tra questi soprattutto dagli americani ed anche dagli inglesi e dai francesi. Purtuttavia, a stare a quanto mi scrivono e mi riferiscono verbalmente informatori di Germania e svizzeri venuti da quel paese, la nostra azione è debole e scucita, affidata, come è, al caso ed in gran parte a persone che, pur dando prova di buone intenzioni e di zelo, non sono sufficientemente competenti e non hanno la necessaria autorità. Sarebbe considerato desiderabile che persone veramente autorevoli delle sfere bancarie e commerciali d’Italia si recassero in Germania in missione ufficiosa o ufficiale al fine di studiare o preparare adeguatamente il terreno.

La ripresa dei nostri rapporti commerciali futuri con la Germania richiede la preparazione a mezzo di persone del mestiere che vivano la vita degli affari. Non bastano tenenti capitani e generali, né occorrono, a rigore, dei delegati commerciali, ma invece è essenziale l’opera delle persone che vivono e sentono in proprio la vita economica del nostro paese ed abbiano larghe visuali ed attitudini di iniziativa fattiva e di organizzazione. La finanza ai finanzieri, il commercio ai commercianti, così come fanno gli americani, gente che sa vedere gli interessi materiali con occhio sicuro e cuore freddo.

Non contesto che il blocco è in pieno vigore verso la Germania, ma poiché il blocco ha già qualche buco (accordi di Bruxelles, commercio con i territori occupati e attraverso questi con la Germania, commercio di esportazione dalla Germania verso i neutrali, accordo anglo-germanico di Rotterdam, trattative di Colonia, penetrazione ed accaparramento americano in Germania, ecc.) occorre evitare che questi buchi vengano completamente tappati dagli altri. Ed occorre pure e soprattutto preparare il lavoro economico del dopo-blocco ancor prima che il blocco stesso venga meno.

Giova non dimenticare che l’America è nostra concorrente in molti articoli. Non dico delle materie prime del mercato mondiale delle quali quel paese ha il monopolio; ma ricordo lo zolfo americano in concorrenza con lo zolfo d’Italia, le sete asiatiche ed i relativi manufatti monopolizzati da grandi case di New York, gli aranci della Florida, i vini e la frutta di California, la liquirizia dell’Asia Minore monopolizzata da un trust americano e che minaccia di uccidere la analoga produzione siciliana (fu questa la ragione che portò l’America a non consentire la libera esportazione della liquirizia di Sicilia). Ricordo ancora le uova americane di frigorifero che possono far concorrenza al prodotto italiano, e potrei ricordare ancora i grassi ed oli d’America e d’Inghilterra (oleifici di Hull) che tapperanno ogni buco ed impediranno la penetrazione degli oli di oliva d’Italia, e molte altre cose ancora potrei ricordare.

Il rifornimento alimentare e relativo controllo (accordo di Bruxelles e annessi e connessi) offre larga occasione agli altri paesi di penetrare in Germania via Rotterdam e Amburgo e a preparare finanziamenti accaparratori delle risorse germaniche.

Col pretesto del commercio con i territori germanici occupati, che è lecito e al quale l’Italia scarsamente partecipa, si fa notevole contrabbando, sopratutto di tessuti di cotone di Alsazia e di Inghilterra, verso la Germania non occupata; e i territori occupati della sinistra del Reno costituiscono un largo sfogo per formarvi stocks di merci in attesa degli eventi.

In Olanda e nei territori occupati e un po’ dappertutto si fanno contratti preparatori per il dopo blocco.

A tutto questo movimento, a quanto mi è dato di vedere, scarsamente partecipa l’Italia. I finanzieri, i commercianti e gli industriali del nostro paese sono ancora sotto l’imperio della psicologia di guerra ed osservano, in generale, correttamente il sistema della nostra legislazione restrittiva bellica, ormai superata dagli eventi; invece una miriade di intermediari, di accaparratori e di commercianti di occasione di secondo, terzo e quart’ordine, si preparano e lavorano, non certo con utilità della nostra economia generale, né con attitudine e forza tale da potersi contrapporre efficacemente al lavoro altrui.

Uguale situazione nel campo inverso della esportazione dalla Germania. Ad esempio, i preziosi sali potassici, le traversine ferroviarie, certi prodotti chimici, i rottami di ferro, e via dicendo, che potremmo assicurarci per via di negoziazioni dirette di Governo o di gruppi di interessati, finiscono ad andare o nelle mani di accaparratori tedeschi e neutrali in paesi neutrali o nelle mani di qualcuno dei nostri alleati più pronti e meglio agguerriti in cotali negoziazioni. Lo stesso potrebbe dirsi riguardo a brevetti e monopoli di fabbricazione o di smercio.

Mi fermo nella enumerazione a questi cenni che sono soltanto sommari.

Occorrerebbe, a mio avviso, che in paese neutrale, si avviassero sollecitamente negoziazioni per i futuri scambi. Accanto a tali negoziazioni di indole ufficiale o semi-ufficiale, occorrerebbero intese di gruppi seri del mondo finanziario e commerciale-industriale condotte con una certa libertà di azione in base a direttive generali di Governo non troppo restrittive. Se così non facciamo giungeremo troppo tardi e ci troveremo di fronte ad un pericoloso ed invadente monopolio di fatto altrui.

Anche in materia di rifornimento alimentare della Germania (base e punto di partenza l’accordo di Bruxelles) ritengo eccessivo e pericoloso il completo disinteressamento dell’Italia. Ragioni politiche ed interessi materiali consiglierebbero di parteciparvi attraverso la Svizzera o via Brennero, specialmente per quanto riguarda la Germania del sud e in ispecie la Baviera ed il Württemberg, paesi che costituiscono in certo modo l’hinterland non esclusivamente di Rotterdam e di Amburgo, ma bensì anche di Genova e di Trieste e lo sbocco naturale di determinati prodotti agricoli meridionali, quali, ad es. i legumi, gli oli di oliva e di ricino, la frutta, il riso, le sementi di prato, la liquirizia, i fichi secchi industriali, le uova e via dicendo. Possiamo partecipare in misura limitata, date le nostre modeste risorse, ma dobbiamo non figurare assenti. Certi stocks ad alto prezzo e che saran svalutati in seguito ai non lontani nuovi raccolti vanno eliminati al più presto; il mercato svizzero non può più assorbire quanto è insistentemente offerto dall’Italia. La nostra partecipazione oltre a giovare per il riacquisto di necessari e naturali mercati di sbocco, oltre a permetterci di eliminare, con utile, stocks accumulati, gioverebbe politicamente. Il rifornimento alimentare costituisce elemento essenziale di influenza politica in Germania nell’attuale momento, costituisce pure un freno efficace contro il dilagare di movimenti scomposti. Da un lato abbiamo gli spartachiani estremi sotto l’influenza russa che dicono: «attendete ed incoraggiate il dilagare e il trionfare della rivoluzione in tutto il mondo, non fidatevi del soccorso dell’Intesa asservita al capitalismo ed all’imperialismo», e questo movimento lo abbiamo già in Baviera e nel Württemberg, alle porte della Svizzera, che per indiretto sono le porte di casa nostra; dall’altro lato abbiamo il soccorso alimentare dell’Intesa che purtroppo figura essere quasi esclusivamente cosa americana e un pochino cosa inglese; l’Italia figura assente. Così come vedemmo l’importanza politica della cosa nei rispetti dell’Austria, dovremmo vederla nei rispetti della Germania. La notizia di qualche centinaio di vagoni messi, ad esempio, a disposizione di quel Governo regolare di Baviera, che a Berna fa capo al prof. Förster, idealista e visionario ma onesta coscienza e dotato di grande prestigio morale, influirebbe beneficamente nei rispetti dei moti interni di Baviera e gioverebbe a dare a noi prestigio e a metterci in certa guisa in concorrenza con i nostri alleati per l’accaparramento economico della Germania per il dopo-guerra.

Mi permetto di raccomandare caldamente all’attenzione il mio punto di vista e questa mia proposta, per un benevolo esame e per una possibile sollecita attuazione. Forse giungiamo già troppo tardi, di fronte al dilagare della rivolta anarchica, da un lato, e l’azione di penetrazione dei nostri alleati, dall’altro lato.

Quanto sopra nel presupposto che i recenti avvenimenti non mutino la nostra situazione politica e quella dei rifornimenti.

326 1 Non rinvenuto.

327

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE A BERLINO, BENCIVENGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 133/95. Berlino, 28 aprile 1919, ore 12,41 (perv. ore 1,50 del 29).

Persona fiducia ha avuto importante colloquio [con] von Bergen [direttore generale Ministero affari esteri].

Von Bergen si espresse con simpatia verso l’Italia [e assicurò che avrebbe indetto] per stamane una conferenza col capo della stampa del Ministero esteri Naumann, alla quale assisteva dottore Sacchi, per concretare condotta stampa senso favorevole Italia. Riferirò esito conferenza. Von Bergen prega vivamente [informatore adoperarsi perché] Governo italiano avesse in Berlino persona fiducia per mantenere contatto con Governo germanico ed essere in grado di attuare scambio idee, s’intende senza alcun carattere impegnativo. Von Bergen raccomanda che detta persona sia sconosciuta a Berlino e non sia personalità nota nel mondo diplomatico. Dovrebbe venire col pretesto di studi bolscevichi e dovrebbe scendere in un [ambito] che verrebbe fissato momento opportuno. È opinione Ministero esteri tedesco (...) che a Parigi Italia sia stata [trattata proditoriamente] e che contegno Wilson verso Italia sia stato scorretto. Confermo opinione che Germania si disinteressa Jugoslavia ed è perciò [evidente che nella questione] adriatica sarebbe facile [ottenere] appoggio Germania [naturalmente assicurandola appoggiare altre questioni] che fortemente l’interessano.

327 Il testo in arrivo a Roma è molto lacunoso. Si integra con il testo ritrasmesso a Sonnino daParigi con T. 468 del 1° maggio di De Martino.

328

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 114/461 U.U. PREC. ASS. Parigi, 28 aprile 1919, ore 13,30 (perv. ore 17 stesso giorno).

Telegramma collettivo Crespi-Imperiali-Bonin Longare-Cellere-De Martino.

Giornali odierni riproducono comunicato Stefani circa nota dichiarazione Consiglio nazionale di Fiume1.

Superfluo attirare attenzione V.E. su gravi conseguenze che acquiescenza del Governo a tale decisione avrebbe in questo momento speciale in cui tutto lascia intravedere intima tendenza alleati trovare plausibile pretesto solidarizzarsi con Wilson lasciando all’Italia responsabilità violazione Trattato.

329

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 1473/824. Rio de Janeiro, 28 aprile 1919, ore 16,20 (perv. ore 11,30 del 29).

Nel complesso stampa ed opinione pubblica mostransi favorevoli attitudine italiana nella presente crisi. Notevoli manifestazioni di ciò sono stati un articolo del «Pays» vera e propria apologia del punto di vista italiano e una risoluzione assai calorosa nello stesso senso della Lega brasiliana per gli alleati. Ha anche impressionato il fatto che questo ministro degli affari esteri proprio in questi giorni, ossia avantieri, abbia dato banchetto in onore rappresentanti Italia Francia Portogallo che ebbero ospite squadra brasiliana, dal quale naturalmente ambasciatore degli Stati Uniti veniva escluso. Nel complesso mi pare che si sia contenti qui di avere un’occasione di manifestare la poca simpatia che si è sempre avuta per la politica di Wilson del che ebbi anche a riferire a V.E. parecchie prove. Da varie colonie italiane ho ricevuto e debbono anche essere giunti R. Governo direttamente telegrammi gratulatori. Colonia Rio Janeiro prepara grande manifestazione per mercoledì.

328 Edito in CRESPI, D. 6.

1 Il 26 aprile aveva avuto luogo a Fiume una grande manifestazione di italianità; e il Consiglionazionale aveva votato per acclamazione la consegna di tutti i poteri al generale Grazioli, il quale si erariservato di informarne il Governo.

330

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO A PECHINO, GARBASSO

T. 342. Roma, 28 aprile 1919, ore 21.

Suo telegramma n. 501.

Disposto aderire divieto introduzione armi in Cina a condizione che contratti concernenti armi già stipulati o che lo saranno prima conclusione accordo potenze possano eseguirsi senza rinvii o condizioni2.

Se per introduzione armi Cina necessita assenso Governo Pechino prego S.V. assicurarselo.

331

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 113/178. Parigi, 28 aprile 1919 (perv. ore 17).

Ho approfittato della circostanza che non mi ero più recato dopo capo d’anno dal presidente della Repubblica per chiedergli ieri una udienza. Egli mi ricevette con una premura che dimostrava in lui vivo desiderio di parlarmi della situazione. Egli la giudica assai grave. Criticò severamente la condotta di Wilson che secondo lui appare male informato. Lo è ora sulle cose d’Italia come sempre fu su quelle di Russia. La situazione è grave perché da un lato Wilson non può indietreggiare, dall’altro le disposizioni dell’opinione pubblica italiana ripudiano ogni transazione. Il presidente mi ripeté quanto più volte già mi aveva detto che non avremmo mai dovuto uscire dal Patto di Londra che ci rendeva fortissimi. Gli rifeci la storia, che egli del resto non ignorava, della questione di Fiume ed egli mi rispose che modificata la situazione avremmo dovuto procedere nel modo seguente: chiedere ai nostri alleati se potevamo assicurarci di fronte all’atteggiamento dell’America l’esecuzione integrale del Patto di Londra e, in cambio alle rinunzie che sarebbero state necessarie per ottenere l’adesione dell’America, chiedere Fiume che ci sarebbe stata così più facile ottenere. Osservai che in sostanza avevamo fatto la stessa cosa, ma egli replicò che con la pro

2 Notizia dell’avvenuta comunicazione di adesione (con la riserva prescritta) al decano delcorpo diplomatico fu poi data da Garbasso con T. 57 al MAE del 16 maggio.331 Edito in CRESPI, D. 7.

cedura da noi seguita si è prestato il fianco al rimprovero di essere usciti noi dal Patto di Londra ed egli insisteva vivamente a metterci in guardia contro i pericoli che ne scaturivano a nostro danno, fra i quali anche a quello che taluni pensassero a firmare la pace all’infuori di noi. Combattei dal canto mio la tesi della caducità per fatto nostro del Patto di Londra con tutti gli argomenti che V.E. immagina e che qui è inutile riprodurre e osservai che ci aspettavamo dai nostri alleati quell’appoggio che sta nello spirito di ogni buona alleanza.

Il presidente, che mi parlò sempre nel modo più caloroso e cordiale e insistette a più riprese sull’interesse che ha la Francia di mantenere la stretta amicizia con l’Italia, disse che pensava ad ogni possibile via di conciliazione e, come idea affatto sua venutagli poco prima e della quale non aveva fatto ancora cenno ai suoi ministri, mi espose la seguente: un tratto determinato del golfo di Fiume, la città compresa, sarebbe posto per pochi anni, tre o quattro, sotto l’amministrazione [della Società] delle Nazioni la quale avrebbe il mandato preciso di provvedere in quel termine a separare le popolazioni italiane di Fiume e sobborgo dalle jugoslave costruendo un nuovo porto e una nuova città con l’allacciamento ferroviario proprio. Allo scadere del mandato la città italiana andrebbe all’Italia e la croata alla Jugoslavia. A titolo personale osservai che, astrazione fatta dalle difficoltà di applicazione pratica, quella formula avrebbe il vantaggio di assegnare entro un breve termine Fiume definitivamente all’Italia, ma riservai interamente, come di ragione, il pensiero in proposito del mio Governo.

Poincaré mi disse concludendo che aspettava ansiosamente il risultato della prossima seduta al Parlamento e che sperava che il Governo italiano ne uscisse autorizzato a prestarsi a qualche misura conciliante. Nel corso della conversazione egli accennò alla preoccupazione che gli inspiravano i negoziati che stanno per aprirsi a Versailles con i tedeschi, ed il suo dubbio che potessero procedere senza noi.

Da questa conversazione, come da quella che ho avuta ieri pure con Pichon e Barrère1 e da altri dati devo argomentare che così il presidente della Repubblica come vari ministri ci sono assai più favorevoli in questo momento che Clemenceau, il quale sembra dominato dal timore di dispiacere a Wilson.

330 1 Con T. 50 del 26 aprile Garbasso aveva comunicato che, in mancanza di istruzioni, l’Italianon avrebbe figurato tra le potenze aderenti alla nota sul divieto di introduzione di armi in Cina, cosìcome il Belgio e la Danimarca.

332

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. SONNINO, A ROMA

T. GAB. 125/181. Parigi, 28 aprile 1919 (perv. ore 10,45 del 29).

Nella conversazione che ebbi ieri con Pichon gli accennai alle voci che correvano qui sulla prossima conclusione di una alleanza franco-anglo-americana che si diceva essere stata deliberata in un consiglio di ministri tenuto al Foreign Office con

332 Edito in CRESPI, D. 8.

l’intervento di Foch. Osservai come venisse in mal punto notizia di un accordo di quel genere con esclusione della quarta grande potenza dell’Entente. Pichon mi disse che si trattava soltanto di una garanzia per la neutralità della riva sinistra del Reno, da durare sino alla costituzione della Lega delle Nazioni, la quale verrebbe data alla Francia dalle due potenze anglosassoni e alla quale non eravamo chiamati a partecipare perché lo scopo preciso e limitato dell’accordo non ci interessava. Qualcosa di analogo mi disse ieri anche Poincaré mostrando qualche dubbio che l’accordo arrivasse a conclusione1. Credo infatti che l’America non vi si possa impegnare che dopo autorizzazione del Senato federale.

331 1 Vedi D. 319.

333

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 124/182 RIS. Parigi, 28 aprile 1919, ore 21,20 (perv. ore 19 del 29).

Mi permetto segnalare a V.E. pericolo che presenterebbe in questo momento progettata missione Bordonaro. Invio a Berlino di un funzionario diplomatico di grado elevato darebbe occasione a chi ci combatte qui di rappresentarci come patteggianti (...) Germania e ciò ci alienerebbe opinione pubblica francese (...) favorevole nella vertenza con Wilson. Credo sarebbe opportuno attendere situazione sia (...) poi personalità meno in vista.

334

L’AMBASCIATORE IMPERIALI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 122/462. Parigi, 28 aprile 1919, ore 21,40 (perv. ore 5,10 del 29).

Recatomi stamane da Drummond l’ho pregato di far sapere a Balfour che, nulla di speciale avendo a dirgli, non chiedevo parlargli personalmente. Desideravo soltanto che egli e primo ministro sapessero che in conformità delle già notificategli istruzioni

333 Edito in CRESPI, D. 10.

334 Il telegramma è controfirmato da De Martino.

di Vostra Eccellenza, io mi tenevo a disposizione di entrambi per qualsiasi eventuale comunicazione o colloquio da essi desiderato. Di che ringraziatomi Drummond, dopo scambio di frasi generiche sulla situazione creata dalla deplorata intempestiva mossa di Wilson ecc., mi ha confidato che in vista prossimo incontro con tedeschi avevano Alleati recentemente esaminata convenienza da parte loro seguire esempio americano col procedere riconoscimento di un Governo jugoslavo, il quale si verrebbe diversamente a trovare in falsa posizione nelle prossime conferenze a Versailles. In assenza del presidente del Consiglio, che suoi colleghi alleati vivamente avrebbero desiderato consultare, Drummond mi chiedeva se gli potevo esprimere, a titolo ben inteso nulla-mente impegnativo ma meramente personale, un avviso in proposito.

Premesso che nelle discussioni di pace con la Germania, con cui serbi e jugoslavi nessuna questione hanno da risolvere, il titolo del nuovo Stato è di importanza assolutamente nulla, ho senza esitazione dichiarato un simile atto dei Governi alleati avrebbe a mio parere prodotto impressione addirittura catastrofica sulla nostra opinione pubblica. Col suo finissimo intuito la nazione italiana si va già rendendo conto che Alleati con troppa disinvoltura mostransi dimentichi dei servizi resi loro dall’Italia con accentuata benevola neutralità, con scelta momento entrata in guerra, con atteggiamento superlativamente leale serbato fino alla disfatta finale da noi pressoché soli inflitta all’Austria-Ungheria. Non sfugge agli italiani che Alleati non ci trattano oggi con quella sinceramente cordiale amicizia cui avremmo avuto ogni diritto di aspettar

ci. A persuadersi dall’esattezza di questa osservazione basta una rapida scorsa nostri giornali dall’«Osservatore Romano» all’«Avanti». A ribadire ed acuire siffatte impressioni potentemente contribuirebbe contemplato riconoscimento dei jugoslavi facilmente prestantesi ad essere interpretato come indizio definitiva adesione di una politica né amichevole né riguardosa per noi. Sulla convenienza o meno per gli Alleati di siffatta politica non spettava evidentemente a me pronunziarmi e tanto meno consigliare. Interrogato, esprimevo semplicemente mia ferma convinzione sull’ovvio effetto e sulle naturali conseguenze che gesto produrrebbe in Italia. Dopo aver accennato a condividere mie apprensioni ha Drummond timidamente insinuato cattiva impressione in Italia potrebbe forse essere dissipata da contemporanea dichiarazione di lasciarsi impregiudicata delimitazione confini nuovo Stato, ecc. Ho risposto quale che potesse esserne involucro, significato e portata del gesto rimarrebbe la stessa agli occhi degli italiani senza in alcun modo attenuarne amarezza e sdegno. Anche in questa osservazione Drummond è sembrato alla fine mostrarsi consenziente.

Nel corso ulteriore del colloquio dissi ben altro era contegno che io aspettavo dagli Alleati, segnatamente dall’Inghilterra. Essa col suo attuale atteggiamento equivoco e passivo, col non farsi risolutamente avanti proponendo soluzioni accettabili dal Governo, Parlamento e popolo italiano, perde occasione unica di assicurarsi in modo serio e duraturo nostra amicizia. Ad un vago cenno di Drummond circa assenza nostri ministri rendente malagevoli iniziative in tale direzione, ho ribattuto mutismo impostomi nelle circostanze attuali non implicava anche sordità.

Oltre Drummond vidi Malcolm, segretario parlamentare di Balfour. Dissemi del compiacimento segretario di Stato per mia permanenza a Parigi. In termini anche più espliciti deplorò inconsulto scorretto procedimento Wilson riconoscendo pienamente giustificata decisione nostra Delegazione. Aggiunse: «Per fortuna noi si rimane amici». Ripetei anche a lui quanto su questo punto avevo detto a Drummond, non dissimulando le mie previsioni su penosissima ripercussione su nostra opinione pubblica della perfetta concordanza tra Alleati e Wilson circa Fiume. «Purtroppo — ho concluso — temo né Wilson né Voi vi rendiate ancora abbastanza conto vero sentimento animante oggi nazione italiana fermamente unanimemente decisa non tollerare da parte di chicchessia tentativi palesi o larvati di menomazione diritti ad essa acquisiti non solo da solenni patti ma da vittoria gloriosa conseguita a prezzo di sacrifici insigni». Replicò Malcolm con solite generalità manifestando fiducia si finirà per trovare in un modo o nell’altro soddisfacente soluzione conciliativa eccetera.

Nel linguaggio dei due interlocutori mi è sembrato scorgere tracce di forte e magari anche inattesa impressione per grandiose concordi manifestazioni disposizioni e propositi nostro popolo.

Ho comunicato presente telegramma al ministro Crespi nonché a colleghi riuniti.

332 1 L’accordo giunse poi a conclusione con la firma, a Versailles il 28 giugno 1919, di due separati trattati della Francia con la Gran Bretagna e con gli Stati Uniti, che avrebbero dovuto entrare in vigoresolo dopo la ratifica di entrambi. Mentre però l’accordo franco-britannico venne ratificato dalle due parti il20 novembre 1919, quello con gli Stati Uniti fu respinto dal Senato americano, insieme con il trattato dipace cui esso era legato. Lo scambio di ratifiche tra Francia e Gran Bretagna rimase perciò senza effetto.

335

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 123/463. Parigi, 28 aprile 1919, ore 23,15 (perv. il 29).

Telegramma collettivo Crespi-Imperiali-Bonin-Cellere-De Martino.

1) Circa eventuale riconoscimento Regno serbo-croato-sloveno ci riferiamo telegramma odierno Imperiali1. Bonin non potendo oggi vedere Pichon impegnato Conferenza si recò da Legrand per dirgli che voci in quel senso erano a lui pervenute e per pregarlo di segnalare in suo nome al sig. Pichon la disastrosa impressione che ciò produrrebbe oggi in Italia. Legrand rispose che nessuna notizia egli aveva che il Governo francese intendesse modificare atteggiamento fin qui osservato circa riconoscimento nuovo Stato; avrebbe però comunicato al suo ministro il passo fatto presso di lui.

2) Articolo editoriale «Temps» illustra possibile soluzione questione Fiume attribuendo Fiume alla Lega delle Nazioni per il tempo necessario costruzione porto jugoslavo in Segna, dopo che Fiume passerebbe all’Italia. Tale articolo rispecchia proposta Poincaré a Bonin e antecedenti proposte Loucheur a Crespi.

3) Crespi informa che sono state introdotte varianti e soppressioni nel testo definitivo delle clausole per le riparazioni con pregiudizio nostri interessi. Inoltre si delinea sempre più probabilità che tedeschi chiedano discussione clausole pace sentendosi appoggiati dagli americani. In vista del primo punto si prospetta il quesito se

335 Il testo in arrivo porta la data di partenza e di arrivo del 29 aprile, errore comprensibile datoche il telegramma era partito da Parigi alle 23,15 del 28 aprile.1 Si tratta del T. 122/462, a firma Imperiali, controfirmato da De Martino (qui D. 334).

e come convenga Governo italiano agire per prevenire presentazione del trattato ai tedeschi con clausole non approvate da noi o quanto meno formulare opportuna riserva a tutela nostri interessi.

4) Ufficio informazioni riferisce confidenze di Klotz che avrebbe affermato posizione Clemenceau Tardieu pregiudicata causa incidente italiano. Pericolo costituito da eventuale diffida italiani agli alleati di pace separata con Germania. Vuolsi Clemenceau persuaso da Wilson trattare ugualmente anche in caso di diffida italiana. Inghilterra non seguirebbe Wilson.

5) Nella seduta plenaria di oggi alla Conferenza, della quale «Stefani» trasmette resoconto dettagliato, è stata ripresa discussione circa nove2 clausole concernenti lavoro da inserire nel trattato di pace. Invece del testo proposto dalla Commissione venne adottato nuovo testo proposto da Borden per Delegazione britannica che, fra l’altro, modifica radicalmente parole e spirito clausola 8ª relativa a trattamento da assicurarsi ad operai che lavorano fuori del loro territorio nazionale.

Anche per questo importante argomento si ripresenta quesito di cui al n. 3.

6) Secondo circoli americani a noi favorevoli è urgente che Consiglio comunale di Fiume riunito in assemblea plenaria invii per tramite stampa un indirizzo al popolo americano in cui riconfermi che essa è città libera che come tale chiede di congiungersi all’Italia in forza dei principî wilsoniani e che in tale caso garantisce piena libertà del proprio porto a tutti i popoli.

7) Generale Bencivenga, qui di passaggio diretto Roma per gravi ragioni di famiglia, fa osservare che arrivo Bordonaro a Berlino in questo momento potrebbe assumere carattere e importanza che non era intenzione di V.E. dare alla sua missione3. Egli ha impressione che Governo germanico, il quale ha assunto contegno favorevole a noi nell’incidente Conferenza, non vedrebbe volentieri per ora arrivo Berlino di un funzionario diplomatico già colà conosciuto, pel timore che sospetto di intrighi che potrebbe sorgerne desse motivo agli alleati di denunziare manovre subdole Germania e indurli maggiore intransigenza imminenti trattative di pace. D’altra parte anche nei riguardi commenti alleati e sopratutto francesi missione Bordonaro in questo momento potrebbe essere falsamente interpretata. Convenendo opportunità sospendere partenza per Berlino finché dura attuale tensione, propongo trattenere Bordonaro qui in attesa istruzioni di V.E.

8) Generale Bencivenga riassume atteggiamento favorevole Italia della stampa tedesca segnalando opportunità che nostra stampa non acuisca in questo momento sensibilità giornali tedeschi per questione Brennero4. Non essendovi qui che pochi giornalisti italiani vedrà V.E. se non sia il caso di far passare una parola d’ordine a cotesta stampa.

9) Cellere vedrà domattina Lansing per un affare corrente d’Ambasciata.

335 2 Nel testo in arrivo: nuove. 3 Vedi D. 333. 4 Vedi D. 327.

336

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. POSTA GAB. 179/60. Costantinopoli, 28 aprile 1919 (perv. il 4 maggio).

Due sindacati francesi si son creati per accaparrarsi qua nuovi affari; l’uno fa capo a Loucheur, l’altro, minore, a Tardieu. Sono potentissimi non solo pei mezzi finanziari, ma per le ramificazioni d’ogni specie che hanno già in tutta la Turchia.

In proporzioni minori anche la finanza inglese agisce.

Se non vogliamo giungere troppo tardi occorre che, se non altro per la messa in valore delle zone che siano assegnate all’Italia, si costituisca da noi un consorzio finanziario sul tipo della British Trade Corporation (capitale nominale 10 milioni di sterline, versato 2 milioni), che si accinga subito ad assicurarsi concessioni di miniere, costruzioni di ferrovie, linee di navigazione, bonifiche, foreste ecc.; e ciò anche fuori della nostra zona, per compensare quanto di straniero troveremo già in essa.

I capitali necessari dovrebbero essere forniti: a) dai più importanti istituti di credito italiani per esempio Banca commerciale italiana, Banca italiana di sconto, Credito italiano, Banco di Roma); b) da quelli fra gli industriali italiani che più sono interessati nell’esportazio

ne verso l’Oriente;

c) da capitalisti ottomani, sempre che si ritenga opportuno il loro concorso;

d) da capitalisti americani, qualora non fosse possibile trovare in Italia fondi sufficienti;

ma sempre alla condizione essenziale che la maggioranza assoluta appartenga al gruppo italiano. Sarebbe facile salvaguardare nelle relative convenzioni gli interessi dell’industria italiana e della nostra mano d’opera.

La sede del Consiglio potrebbe essere Costantinopoli od anche Roma, ma a condizione che a Costantinopoli risieda un comitato direttivo, munito di poteri sufficienti per la conclusione immediata di qualsiasi affare.

Non ho bisogno di ricordare che la scomparsa o la limitazione della sovranità ottomana rende ancor più urgente una larga azione economica nostra qua. Di fronte alla preminenza economica francese ed inglese, le possibilità future dell’Italia ci venivano garantite dalla cornice della sovranità turca. Collo sfasciarsi di questa cornice si impone vieppiù la realtà che tradisce la nostra inesistenza economica in Turchia.

E se non ci prepariamo fin d’ora, non eviteremo neppure in quella che sia per essere la nostra zona il pericolo di andarvi a far da custodi di già organizzati interessi economici stranieri.

337

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 141/28 URG. Londra, 29 aprile 1919, ore 7,41 (perv. ore 1,30 del 30).

Ebbi oggi lungo colloquio confidenziale con Primo Lord dell’Ammiragliato Walter Long, importante leader del partito conservatore, antico e sincero amico del nostro paese. Per brevità riassumo conversazione (che segretario di Stato mi fece promettere dovesse rimanere affatto privata e personale) sotto forma diretta: Io gli dissi: «Vi parlo non come diplomatico ma esclusivamente come un giovane appartenente alla generazione italiana che volle combattere, combattette e vinse. Questa generazione si attendeva dagli alleati non tanto l’ovvio rispetto trattato, ma quanto il loro appoggio intero e cordiale, come quello che ha [trovato] già [qualche] espressione sia nel telegramma inviato dai 400 deputati inglesi al primo ministro per invitarlo al postutto a sostenere rivendicazioni francesi che, risentito in misura minore, nella mozione presentata alla Camera francese relativamente rivendicazioni italiane. Un organo socialista italiano [«Giornale del popolo»] ha scritto ieri: “Italia deve sapere se essa ha degli amici e dove sono, o se deve riprendere antico motto suo risorgimento”. A me pare essere sopratutto interesse Inghilterra rispondere al popolo e alla democrazia [italiani] con pronta e schietta manifestazione di solidarietà, e ciò tanto più in seguito nuovo metodo pubblicità adottato da Wilson». Segretario di Stato mi rispose: «Sono con voi. Inghilterra dovrebbe fornire questa manifestazione. Sono dolente non possa direttamente sollecitarla dal Parlamento perché ministro. Ne voglio scrivere a Lloyd George. Circa Fiume penso che ogni interesse e tradizione la qualificano [italiana]. Senonché francamente e confidenzialmente debbo dire che, stanti necessità economiche Italia, non comprendo [certe] sue avventure sul Caspio e nel Caucaso, le quali mi paiono pericolose anche sotto altri punti di vista. Penso che possibile via di soluzione attuale crisi possa essere compromesso fra Fiume e penetrazione italiana in quelle regioni». A questo punto ha fatto un accenno all’America troncando subitamente frase.

Stante gravità del momento tacqui [ovvie] osservazioni e dolorose constatazioni e finsi ignorare ogni cosa. Nell’accomiatarmi ministro mi disse che mi avrebbe visto presto con piacere. Compresi che egli accennasse piuttosto ad un incontro suo ufficio che presso suoi parenti che conosco.

337 Il telegramma pervenne a Roma lacunoso e impreciso. Integrazioni e correzioni sono statepossibili sulla base del testo trasmesso da Londra alla DICP a Parigi con T. 1142/... del 30 aprile.

338

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, E ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE

T. Roma, 29 aprile 1919, ore 9,30.

A mezzo di stampa amica sarebbe opportuno far circolare notizia che Wilson decise improvvisa pubblicazione suo proclama perché informato che in Italia era imminente scoppio rivoluzione determinato anzitutto da malcontento verso Governo per suo atteggiamento deciso in seno alla Conferenza e che si aggiungeva a tale informazione altra ugualmente pervenuta presidente secondo cui R. Governo avrebbe fatto pubblicare nelle città italiane affissi proclamanti l’annessione di Fiume italiana. Al primo punto popolo italiano ha già avuto cura opporre solenne smentita mediante manifestazioni unanimi in occasione ritorno Delegazione; al secondo punto ufficio stampa ha provveduto con smentita. Prego S.V. valersi di entrambe le smentite per mettere maggiormente in rilievo atto ingiustificato del presidente. A questo proposito non sarebbe inopportuno che giornalisti amici fossero anche informati che presidente si serve per il suo servizio di informazioni sulla questione italiana di informatoriserbi. È bene che S.V. segua con attenzione tentativi di qualche giornale circa possibilità firma pace con Germania anche in nostra assenza. Sarebbe bene che fosse posto in evidenza come tale tesi non abbia fondamento in quanto allontanamento dell’Italia dalla Conferenza non è dovuto soltanto a difficoltà sorte per Fiume ma sopratutto a mancata attuazione Trattato di Londra a causa opposizione americana. Ora è fuori dubbio che alleati non hanno, per l’altro accordo di Londra che sanciva l’obbligo di una pace comune1, alcuna libertà d’azione di fronte alla Germania fin tanto che non avranno assolto obblighi assunti verso di noi.

339

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 134/90. Belgrado, 29 aprile 1919, ore 16,30 (perv. ore 3 del 30).

Prima impressione prodotta qui da atto presidente Wilson è stata di vivo stupore. Era ben noto che l’America avrebbe validamente appoggiato i serbi, ma ogni aspettativa è stata sorpassata. La stampa locale ha subìto la stessa impressione, ma è ancora molto parca di commenti e non cela una certa soddisfazione che trattative di

Parigi non siano state definitivamente rotte. Questione politica di Fiume non era profondamente sentita a Belgrado e una soluzione che avesse garantito largamente gli interessi economici della Jugoslavia sarebbe stata accolta dalla massa del popolo serbo con un senso di vero sollievo. Verrebbe ora invece a rafforzare la situazione di quei pochi audaci, uomini di governo e militari che hanno in questi ultimi tempi guidato con fortuna le sorti del loro paese sapendo di poter fidare su un popolo paziente e disciplinato. D’altra parte si diffondono voci accolte con simpatia che un accordo diretto fra l’Italia e la Jugoslavia sarebbe ora possibile. Si comprende infatti dagli elementi serbi più moderati che una grande potenza limitrofa che si ritenesse offesa nella sua dignità e nel suo sentimento potrebbe costituire un pericoloso nemico per uno Stato tuttora in formazione. Nelle sfere governative si mantiene sulla nuova situazione creatasi un assoluto riserbo.

338 1 Si tratta della convenzione del 6 settembre 1914 (vedi D. 300, nota 5).

340

IL CAPO DI GABINETTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BATTIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 29 aprile 1919.

Mi si riferisce che il ministro Clémentel il quale aveva già alcuni giorni or sono un appuntamento di indole politica con S.E. Crespi, appuntamento che per i fatti sopravvenuti non ebbe luogo, abbia manifestato il desiderio di non perdere contatto con lui. S.E. Crespi si recò quindi da Clémentel stamane alle 11 e sembra che la conversazione fra i due si sia aggirata sull’articolo del «Temps» di ieri1 che ha segnalato a V.E. e sulle affinità delle proposte su esso contenute con quelle che formarono più oggetto di trattative fra il ministro Crespi e il ministro Loucheur. Il colloquio di stamane ha determinato un secondo colloquio avvenuto questa sera fra S.E. Crespi, Clémentel e Tardieu. S.E. Crespi avrebbe detto attendersi che Clemenceau venisse incontro con una proposta conciliativa; al che Tardieu avrebbe risposto ritenere che ciò sarebbe stato possibile sempreché il Clemenceau fosse stato sicuro presentare proposte accettabili da noi. Il contegno di Tardieu sarebbe stato piuttosto freddo. Comunque S.E. Crespi avrebbe accettato entrare in conversazione, tantoché domani Clémentel e Tardieu sarebbero a colazione all’Edouard VII invitati da S.E. Crespi il quale vi farebbe intervenire anche S.E. Bonin2. Non ho modo di controllare quanto precede essendo in questo momento S.E. Crespi fuori.

Deve trattarsi di cosa avvenuta dopo la riunione degli ambasciatori alle ore 19, riunione cui io richiestone sono intervenuto per dare notizie; ma nella quale nessun accenno fu fatto alle trattative in parola. Comunque sento il dovere di far presente:

2 Vedi poi D. 346.

1) che in questo momento qualunque mossa dal genere, anche se fatta di iniziativa, non può non apparire compiuta e voluta da V.E.;

2) che il ministro degli esteri partendo lasciò categoriche istruzioni agli ambasciatori di astenersi da qualsiasi pranzo e da qualsiasi iniziativa;

3) che così negli ambienti italiani come nei francesi e perfino dallo stesso presidente Poincaré, come ho informato e come più dettagliatamente e con altre notizie telegraferò domani, è che giovi mantenersi in una attitudine ferma, ciò del resto che sembra-mi coincidere con quanto implicitamente dice V.E. nel telegramma di questa sera3 inviatomi per comunicazioni a S.E. Crespi circa mancate espressioni favore Serbia.

Che prova sia opportuno conservare tale attitudine relativamente risoluta in vista di possibili prossime soluzioni non solo risulta dalle notizie precise che io ho potuto avere e che ambasciatori hanno trovato corrispondenti a quelle parziali da loro direttamente raccolte, confermata dalla attitudine che hanno Foch e Poincaré, determinatosi nell’ambiente parlamentare a favore Italia e che V.E. potrà vedere confermate dal contegno delle pratiche costà di Barrère. Mentre notizia che persona che conosce bene serbi, con i quali è stata sempre in contatto, sarebbe inviata da qui a Belgrado per ottenere, secondo piano Poincaré, che sia modificata delegazione serba4, ha avuto già stasera conferma con la partenza di Mooney Radcliffe.

Ciò premesso permettomi esprimere il parere che gioverebbe V.E. facesse entro domani pervenire a S.E. Crespi l’espressione del pensiero suo sì da segnalargli con chiarezza la linea di condotta e di atteggiamento e ciò almeno per prevenire possibili contraddizioni che sarebbero dannosissime.

340 1 «Le Temps» del 28 aprile sera (datato 29) aveva pubblicato un articolo su Fiume che Battioni,annunciandone l’invio in traduzione a Petrozziello con telegramma delle ore 19,40 dello stesso giorno,riteneva ispirato «dagli ambienti ufficiali francesi, anzi da Clemenceau, d’accordo con Tardieu».

341

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1590/54. Addis Abeba, 29 aprile 1919 (perv. il 4 maggio).

Con mio telegramma n. 551 corrente ho riferito V.E. che le tre missioni etiopiche per Italia Francia e Inghilterra hanno lasciato Addis Abeba per Gibuti il 24 corrente per prendere imbarco su piroscafo delle «Messageries Maritimes». Contemporaneamente ad esse è partito per la Francia questo ministro francese. Ras Tafari mi ha anche informato che il ministro di Francia si è effettivamente imbarcato il 27 corrente colla missione per la Francia ma le due altre missioni sono rimaste Gibuti per mancanza posti ed in attesa piroscafo successivo che non sarà di passaggio che fra quin

4 Vedi D. 288.

341 Il telegramma fu trasmesso via Asmara il 1° maggio e pervenne a Roma il 4 maggio.

1 Non rinvenuto. Si veda qui D. 163.

dicina giorni. Ho ragione credere che tanto ministro di Francia che il governatore Gibuti non abbiano messo soverchia buona volontà nel fare prendere imbarco alle missioni per l’Italia e Inghilterra2. Qualora fosse possibile sarebbe opportuno disporre per imbarco missione per Italia su nave nazionale.

340 3 Non pubblicato.

342

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 1491/602. Vienna, 29 aprile 1919 (perv. il 30).

Mio telegramma 5901.

Ministro Allizé ha inviata oggi alla missione italiana il testo di un comunicato che sarà pubblicato nei giornali di domani. In tale comunicato si smentisce che un membro missione francese sia stato intervistato dalla «Mittagspost» ed abbia fatto nota dichiarazione circa Alto Adige2. È certo però che missione francese approfitta di ogni occasione per lasciare comprendere che questione Alto Adige sarà risolta in favore Austria Tedesca purché questa non si unisca alla Germania. È pure significante il fatto che oggi avrà luogo banchetto offerto ad Allizé da sottosegretario di Stato per gli affari esteri Pflügl3, tirolese, il quale si occupa particolarmente della questione Alto Adige e che al banchetto prenderanno parte numerose personalità tirolesi. Noto scrittore René Pinon che fa parte missione francese venne oggi a vedermi e mi intrattenne lungamente questione Alto Adige sostenendo che essa dovrebbe risolversi secondo i principi di Wilson, tanto più che Italia militarmente sarà meglio garantita dalla neutralità Tirolo che dall’occupazione Alto Adige. Gli ricordai la nota frase che gli alleati dell’Italia invocano Wilson nei casi altrui e mai nei propri. La visita aveva certamente il solo scopo di far poi valere di fronte agli austro-tedeschi interessamento francese a loro favore. Del resto anche sulla questione Fiume e Dalmazia mi risultò Pinon essere contrario nostre aspirazioni. In complesso missione francese, di cui il «Corriere della

2 Nell’intervista al giornale «Mittagspost», cui qui si fa riferimento, un membro della missionefrancese aveva sottolineato il desiderio della Francia per un’Austria Tedesca indipendente, aggiungendodi non ritenere possibile, in base ai principi di Wilson, l’assegnazione dell’Alto Adige all’Italia. Ne riferiva Macchioro da Vienna nel T. Gab. 590 del 27 aprile sopra ricordato.

3 Sul banchetto in onore di Allizé e sulle dichiarazioni delle personalità austriache presenti,tutte concordi nell’auspicare l’unione con la Germania, riferiva Macchioro in un successivo T. Gab.1496/603 che reca anch’esso la data del 29 aprile, ma è probabilmente del 30, riferendosi a questo 602come al «telegramma di ieri».

Sera» si preoccupa tanto, ha svolto per ora un’azione piuttosto fondata sul bluff4. Debbo riconoscere però che essa deve avere lavorato molto la stampa locale la quale ha messo la sordina a tutte le sue rivendicazioni contro i jugoslavi mentre si sfoga in ricriminazioni giornaliere sulle questioni dell’Alto Adige e degli oggetti d’arte ed anche nelle questioni di Fiume e della Dalmazia non ci è stata favorevole.

Studierò prossimi giorni migliorare nostro servizio stampa e mi riservo di riferire. Avvertirò inoltre Ministero esteri, il quale ha ancora gran parte della sua antica influenza sulla stampa, che esso non potrà contare nostro appoggio nelle questioni sue territoriali con la Jugoslavia se stampa continua ad attaccarci nelle questioni di Fiume e della Dalmazia.

341 2 Le due missioni partirono poi da Gibuti il 16 maggio sulla nave italiana «Misurata». Consuccessivo T. 57 del 19 maggio, confermando le sue impressioni, Colli aggiungeva: «Ma posso assicurarle che a tutte queste mene il Governo etiopico è perfettamente estraneo e che esso anzi se ne è dimostratoapertamente contrariato: esso è pertanto gratissimo a codesto Governo per aver provveduto imbarco missioni per Italia e Inghilterra su regia nave». Vedi anche D. 456.

342 1 Del 27 aprile, non pubblicato.

343

IL MINISTRO DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 30 aprile 1919, ore 0,55 (perv. ore 7,20).

Per iniziativa Clémentel proveniente effettivamente da Poincaré oggi1 ebbi colloquio con Tardieu che proporrà Clemenceau fare ufficialmente proposta transattiva al presidente Wilson e al Governo italiano. Tardieu ritiene che Clemenceau vorrà sapere se Governo italiano gradirà tale suo passo. Ho creduto bene rispondere subito che a mio personale giudizio Governo italiano sarà lieto di tale passo. Clemenceau vorrà sapere anche se sua eventuale proposta sarà accettata dal Governo italiano. Per studiare tale proposta avrà luogo convegno qui all’Hotel Edouard VII domani mercoledì ore 13 fra Crespi, Tardieu, Loucheur, Clémentel. Pregherò Bonin assistermi. Nei miei odierni colloqui con Clémentel e Tardieu fu riconosciuta necessità che la proposta eventuale di Clemenceau abbia carattere di un ponte fra le opposte vedute per conciliare sentimenti in contrasto salvando dignità entrambe le parti. La base perciò potrebbe essere quella che ti ho telegrafato ieri sera ma colle seguenti modificazioni. Ferme restando le proposte fatte dalla Delegazione italiana nella mattina del 232 e accettate da Lloyd George a nome Clemenceau e Wilson, fermo cioè confine Volosca e anzi fino ai confini occidentali del corpus separatum di Fiume, ferma la cessione delle isole del Trattato di Londra all’Italia con esclusione Pago, fermo il mandato all’Italia per

343 Edito in CRESPI, D. 12.

1 «Oggi» deve intendersi il 29 aprile. Cosi come «domani mercoledì» è il 30 aprile stesso,come risulta dalla successiva relazione di Crespi a Orlando, delle ore 16,30 (qui D. 346), in cui si trattaappunto del colloquio con Loucheur, Tardieu e Clémentel, presente Bonin. Questo apparente spostamentodi data si spiega col fatto che il telegramma, trasmesso nella notte tra il 29 e il 30 aprile, fu effettivamentepreparato il 29 sera.

2 Vedi D. 277, nota 3.

Zara e Sebenico intendendoci mandato definitivo, Fiume e Canadesak dovrebbe essere affidato alla Lega delle Nazioni con mandato all’Italia pel tempo necessario per costruire a sue spese la ferrovia Otoƒac Segna e col periodo massimo di 5 anni. Appena costruita ferrovia o al massimo fra 5 anni sovranità Fiume e Sussak passerà definitivamente all’Italia. Inoltre Italia metterà disposizione Jugoslavia venti milioni di lire italiane perché possa costruire nuovo porto di Segna. Mandati dovrebbero contenere facoltà paesi amministrati eleggere e inviare deputati Camera italiana. Ferrovia Otoƒac Segna è prolungamento della Ugulin Otoƒac ritengo per 60 chilometri circa. Questa proposta fu discussa e ritenuta come possibile base discussione da ambasciatori Imperiali e Cellere e da De Martino. Anche Bonin mostravasi in massima favorevole prima del mio colloquio con Tardieu e lo consulterò domattina non avendo più potuto vederlo dopo colloquio. Né di questa né di altra proposta ho parlato con ministri francesi che hanno da parte loro solo accennato come possibile la proposta pubblicata ieri dal «Temps»3. Non farò alcuna proposta prima avere ricevuto tue istruzioni precise. Come comprendi è però urgentissimo che queste tue istruzioni mi arrivino. Spero potrai farmele avere prima delle ore 134. Mi riservo poi precisare condizioni italiani nelle altre città dalmate. Vivissime congratulazioni per seduta oggi.

342 4 Della questione si occupa anche un «Rapporto sull’attività della missione francese» delgenerale Segre (N. 8232 del 9 maggio).

344

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. GAB. 1136/93.20 UU. Roma, 30 aprile 1919, ore 12,40 (perv. stesso giorno).

Quanto segue deve servire esclusivamente per orientamento V.E. ed ambasciatori Imperiali, Bonin, Macchi di Cellere nel caso di eventuali scambi di idee coi rappresentanti dei Governi alleati e associati, senza quindi modificare le istruzioni già date di non prendere iniziative ma di ascoltare e riferire.

È giunta costà eco dell’atteggiamento preso da tutto il popolo italiano concorde, di fronte al messaggio del presidente Wilson ed alla risposta datagli dal presidente Orlando in nome del Governo e della Delegazione italiana. Non poteva concepirsi un consenso più pieno ed intero esprimente fiducia nel Governo e desiderio del compimento delle aspirazioni italiane. Sono oramai note costà le dichiarazioni fatte dal presidente Orlando al Parlamento italiano che hanno condotto ad una votazione quasi unanime su quest’ordine del giorno1: «La Camera tutrice della dignità ed interprete

4 Vedi poi D. 357.

344 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 442 e in CRESPI, D. 18. Nel fondo Aldrovandi è conservata una versione più ampia e dettagliata di questo telegramma, di cui evidentemente costituiva la prima bozza.1 L’ordine del giorno fu approvato dalla Camera nella seduta del 29 aprile con 382 voti a favo

re e 40 contrari. Nella stessa giornata un o.d.g. analogo fu approvato dal Senato all’unanimità.

della volontà del popolo italiano si dichiara solidale col Governo e gli riafferma pienamente fiducia per far valere i supremi diritti dell’Italia come condizione indispensabile di una pace giusta e durevole». Dopo il voto rimane al Governo, consolidato da esso, l’esame dell’azione da svolgersi ulteriormente.

Richiamo l’attenzione di V.S. sul seguente punto del discorso del presidente Orlando: «L’Italia non si trova già in presenza di una soluzione in cui Alleati ed Associati coincidono nella rigorosa ed insorpassabile misura2 del patto convenuto o nella proposta di un compromesso nel quale essi tutti consentono; bensì invece in presenza di un dissenso che finisce col negare praticamente la possibilità attuale che determinate condizioni territoriali riservate all’Italia possano essere contenute in un trattato di pace accolto da tutte le potenze alleate ed associate. Finché a questo non si pervenga, finché il complesso dissidio esistente anche tra i nostri alleati e la potenza associata non si è risolto, la conclusione della pace non è possibile nei riguardi dell’Italia e noi abbiamo già detto come non sia giustamente possibile una pace che non abbia il valore di pace generale».

La possibilità di pervenire ad una conclusione accettabile dall’Italia in via conciliativa deve intendersi sempre subordinata alla accettazione dei capisaldi seguenti: oltre Brennero e linea Alpi, compreso Volosca fino al confine con Fiume, e oltre le isole del Patto di Londra, debbono essere riconosciuti i diritti dell’Italia sulla città di Fiume, Zara e Sebenico. La discussione potrebbe solo riferirsi alle modalità per arrivare alla effettiva attuazione di tali diritti.

Per quanto poi concerne la nostra partecipazione alla pace con la Germania, essa è subordinata ad una di queste due ipotesi:

a) se all’accordo3 accettato dall’Italia aderisse il presidente Wilson non vi è più questione;

b) se il presidente Wilson si rifiuta, ci basterebbe il consenso delle altre potenze alleate, purché si impegnino sin d’ora a riconoscere e garantire l’annessione dei territori sopra determinati, annessione che faremmo in virtù di un atto di diritto pubblico interno. In seguito a tale impegno noi potremmo intervenire nella conclusione della pace con la Germania.

3 Con T. 1141 dello stesso giorno, Sonnino dava errata corrige: «Al punto a) prego leggere: Sea tale accordo accettato dalla Italia aderisca il presidente Wilson». La correzione era già manoscritta neltesto in partenza, ma non risulta nel testo in arrivo, né è presente in SONNINO, Carteggio, D. 442.

343 3 Vedi D. 340, nota 1.

344 2 Il testo in arrivo reca «intangibilità».

345

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. 1137/9447. Roma, 30 aprile 1919, ore 15 (perv. il 1° maggio).

Anche per Bonin Longare, Imperiali. Approvo passi fatti per impedire da parte Francia, Inghilterra riconoscimento Regno serbo-croato-sloveno e prego rinnovare occorrendo pratiche in tal senso.

346

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. 357. Parigi, 30 aprile 1919, ore 16,30.

Ho ricevuto il tuo telegramma1 ed ho fedelmente seguito tue istruzioni durante tutto il colloquio che ebbe luogo qui all’Hotel EdoardoVII, durato dalle 13 alle 14 e mezzo, con Bonin, Loucheur, Tardieu e Clémentel. Ministri francesi, evidentemente autorizzati da Clemenceau, hanno sostanzialmente detto essere assolutamente impossibile avvicinare Wilson con qualsiasi proposta che assegni all’Italia subito sovranità Fiume. Occorre loro sapere se Governo italiano è disposto in massima accettare proposta transitoria analoga quella accettata dalla Francia per la Saar, e cioè amministrazione Società Nazioni affidata a cinque membri: uno sarebbe scelto fra cittadini e abitanti del capoluogo, un italiano e un francese e altri due altri Stati, cioè per esempio un americano e un inglese. Plebiscito fra quindici anni. Ministri francesi sostengono che come Francia si ritiene sicura avere fra quindici anni plebiscito favorevole, così Italia deve avere identica fiducia. Bisogna dunque che tu mi telegrafi subito se devo entrare in trattative su questa base. Per parte mia osservo, come già feci osservare a Bonin, il quale telegrafa a Sonnino2, che noi potremmo soltanto accettare amministrazione provvisoria Società Nazioni nel senso del mio telegramma della notte scorsa3 e cioè per un breve periodo di tempo, per il tempo necessario a costruire la ferrovia e il porto di Segna, e che non possiamo accettare il plebiscito, perché, creando la ferrovia ed il

346 Edito in CRESPI, D. 14.

1 Si tratta probabilmente del T. 1333 «riservatissimo personale», delle ore 1,20 dello stessogiorno, trasmesso a Battioni per Crespi con cifrario speciale, nel quale Orlando confermava la disponibilità a qualche concessione nell’hinterland dalmata in cambio di Fiume; ma raccomandava «grandissimaprudenza» quanto al metodo, nell’ipotesi di trattative dirette con gli iugoslavi.

2 Il telegramma di Bonin a Sonnino è il 142/186 delle ore 21, dello stesso giorno (non pubblicato).

3 Vedi D. 343.

porto di Segna, spingeremmo i fiumani a tenersi uniti alla Jugoslavia, onde non farsi battere in concorrenza di Segna. Quando invece fiumani sapranno che loro unione Italia sarà certa, svilupperanno d’accordo con noi navigazione porto e ferrovie loro in modo da non poter trovarsi inferiori alla concorrenza. Invece parmi si possa considerare amministrazione per breve periodo transitorio legare nazione perché Italia avrà un proprio amministratore nella Saar, staccato quindici anni e Francia avrebbe un proprio amministratore a Fiume, onde Francia dovrebbe appoggiare Italia se vorrà averne appoggio. Bisogna che comunque Governo decida questione principio cioè se ammettere per Fiume provvisoria amministrazione Lega Nazioni. Naturalmente io poi mi batterò per assicurarne massimi vantaggi possibili. Però ministri di Stato francesi escludono assolutamente dare per Fiume mandato all’Italia. Non abbiamo parlato che incidentalmente della Dalmazia e delle isole perché la questione capitale è Fiume. Ministri di Stato francesi, che si mostrano molto volenterosi arrivare soluzione, fanno notare che soluzione stessa deve trovarsi prima di sabato, data fissata per presentazione clausole pace ai tedeschi. Considerano che Delegazione italiana commetterebbe grave errore se ritornasse a Parigi senza averne prima sostanzialmente definite questioni territoriali e le altre più importanti questioni, non essendo neanche lontanamente possibile considerare eventualità di una seconda partenza della Delegazione italiana da Parigi. Ministri francesi attendono risposta oggi stesso.

347

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, ALL’AMBASCIATORE, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, MACCHI DI CELLERE

T. RR. PERS. Roma, 30 aprile 1919, ore 18,30 (perv. ore 21).

Corre insistentemente per Roma la voce che Lansing avrebbe detto di aver ricevuto una lettera di un uomo politico italiano che gli assicura la possibilità di concludere la pace a buoni patti e largamente rinunziando a rivendicazioni territoriali. Prego di assumere informazioni. Credo che V.E. potrà avere a tal proposito contatti personali con Lansing o con Milner che fece degli accenni che possono spiegarsi con l’esistenza di un passo simile.

347 Il telegramma fu inviato a Battioni con preghiera di comunicazione riservata a Cellere.

348

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO

T. 467. Parigi, 30 aprile 1919.

Suo telegramma n. 2071.

Documento quindici punti2 comunicatole da Masaryk fu consegnato a titolo personale da Paternò a Benes in seguito a trattative svoltesi per vedere se era possibile arrivare rapidamente ad una intesa atta assicurare traffico fra Boemia e porti Fiume e Trieste. Benes ha dichiarato approvare in principio tali 15 punti e ha preso impegno trasmetterli a Praga per il parere dei tecnici e di iniziare subito dopo conversazioni ufficiali coi tecnici della nostra delegazione allo scopo di formulare in ogni particolare un accordo con noi.

Spediscole a mezzo della delegazione czeco-slovacca il documento di cui si tratta avvertendola che esso è stato redatto dai nostri tecnici della Marina, delle Ferrovie dello Stato e dagli altri ministeri ed enti interessati.

349

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 149/359. 30 aprile 1919, ore 22,35 (perv. ore 11,45 del 1° maggio).

In risposta tuo telegramma n. 4631 trascrivo lettera diretta a Lord Sumner, a Norman Davis, a ministro Klotz in seguito varianti e soppressioni testo definitivo clausole riparazioni. Comincia lettera:

Ho ricevuto ultimo testo del progetto per le riparazioni 26 aprile 1919. Noi italiani ci siamo mantenuti estranei a codesta edizione, e già nell’ultima seduta 22 aprile per la necessità di nulla definitivamente approvare prima di una intesa altri Stati nemici, ho fatto le più ampie riserve a tutti gli effetti. Credo tuttavia, per lo spirito di collaborazione che finora ci ha animato, richiamare l’attenzione di V.E. su alcuni punti dove mi sembra di scorgere omissioni che potrebbero essere involontarie.

1) Nell’annesso 1 non vi è alcun accenno alle riparazioni per requisizioni irregolari e per i sussidi concessi ai rifugiati terre invase dal nemico. Tali categorie di

2 Si veda All. al D. 310.

349 Edito in CRESPI, D. 13.

1 Il telegramma cui si risponde è in realtà il T. 9446 del 30 aprile, erroneamente qui indicatocome 463 (che è invece il n. del telegramma cui quello faceva riferimento). Con esso Sonnino chiedeva aCrespi di precisare «precedenti varianti e soppressioni» introdotte nel testo definitivo delle clausole delleriparazioni con pregiudizio di nostri interessi.

danni erano pure state proposte concordemente. Mi sembra difficile comprendere le requisizioni nel 3° numero del detto annesso, e proporrei aggiungere a detto numero dopo la parola «enlevées» le altre parole «irregolarmente requisite». Egualmente alla lettera F del n. 1 prima delle parole «prigionieri di guerra» si dovrebbero aggiungere le altre «ai rifugiati delle regioni invase». 2) All’annesso 2 articolo 12 non figurano le parole «Visés aux articles deux et trois» che furono concordemente aggiunte dopo le parole «.... alleat e associat[sic]». 3) Allo stesso annesso 2 articolo 18 è stata omessa la parola «Exigés» che doveva precedere la parola «acceptés». La parola «exigés» ha grandissima importanza giacché se la Commissione interalleata non potrà chiedere bene o merci utili ai creditori dovrà limitarsi ad accettare soltanto quelli che al debitore piacerà offrire e questi (?) possono essere rifiutati perché non occorrenti. In tal modo si rende sempre più difficile il pagamento del debito del nemico. 4) All’annesso 4 n. 2 non figurano gli oggetti d’arte fra quelli per cui è ammessa la riparazione per equivalenza. Questa categoria fu concordemente accolta. Tale omissione danneggerebbe molto gli interessi della Francia e dell’Italia e del Belgio.

Sarò grato a V.S. se vorrà tener conto delle suddette osservazioni per emendare il testo. In caso contrario dovrei fare e faccio a nome del Governo italiano tutte le più ampie riserve. Finisce la lettera2.

348 1 Vedi D. 310.

350

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 136/470. Parigi, 30 aprile 1919, ore 22,40 (perv. ore 9 del 1° maggio).

Mi riferisco telegramma generale Badoglio in data odierna1 circa avanzata militari jugoslavi su Villach e Klagenfurt. È evidente progetto jugoslavi creare gravissimo fatto compiuto in ordine comunicazioni ferroviarie fra Italia ed Austria per Pontebbana e Transalpina.

Qualora dovesse essere esclusa una azione militare da parte nostra, è da esaminare se non convenga in via diplomatica fare subito protesta e riserva formale presso alleati e Stati Uniti nostri vitali interessi che verrebbero gravemente compromessi da un fatto compiuto jugoslavi2. Eventualmente occorrerebbe sapere se questione fu accennata nel Consiglio dei quattro.

350 Edito in CRESPI, D. 17.

1 Si tratta del T. 7581 dello stesso 30 aprile, non pubblicato.

2 In pari data Macchioro, con T. Gab. 621 da Vienna, comunicava la trasmissione alla missionemilitare italiana di una nota austriaca di protesta alle potenze dell’Intesa per l’avanzata iugoslava, contestualmente riportando la convinzione di Bauer «avanzata iugoslava essere rivolta non contro Austria tedesca, ma contro Italia, iugoslavi volendo tagliare comunicazioni tra questi due Stati».

349 2 Sulla questione si veda D. 109 e poi D. 391

351

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 640. Londra, 30 aprile 1919.

Disp. V.E. 8518-131 del 24 marzo1.

Foreign Office assicura che sono state impartite all’alto commissario britannico in Egitto istruzioni che tutte le comunicazioni con Said Idris siano inviate per il tramite delle autorità italiane.

352

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1512/82. Vienna, 30 aprile 1919 (perv. il 1° maggio).

Bela Kun dettomi avere intavolate trattative con Governi inglese ed americano base cessazione propaganda estera e rimpasto suo Governo con sistemazione elementi più torbidi. Effettivamente commissario Szamuely noto per sue dichiarazioni sanguinarie più non figura da parecchi giorni benché non ufficialmente dimissionario. D’altra parte correrebbero già pratiche per eventualità occupazione Budapest base mantenimento ordine ed incolumità ostaggi borghesi contro pari rispetto vita comunisti e libera partenza membri attuali. Da informazioni serissima fonte ritengo tali trattative aver unicamente carattere dilatorio, Governo comunista fondando ancora speranza di possibili rivolgimenti europei per primo maggio. Tali rivolgimenti specialmente attesi Rumenia Italia Serbia e Svizzera segnatamente Zurigo dove propaganda bolscevika ungherese è stata attivissima.

Mi si assicura giunti ieri Budapest emissari reduci Italia.

351 Il telegramma fu comunicato a Colosimo con T. 8770 di Manzoni del 12 maggio.

1 Vedi Doc. 11. A seguito della richiesta di Borsarelli, il 2 aprile Preziosi aveva inviatosulla questione un memorandum a Curzon. Curzon aveva risposto il 29 aprile, assicurando le opportune disposizioni.

353

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 140/83. Vienna, 30 aprile 1919 (perv. ore 1,40 del 1° maggio).

Con dubbio senso opportunità questa missione militare ha rivolto Governo ungherese richiesta per protezione fiumani italiani in Ungheria1. Domanda immediatamente accolta ha avuto larga pubblicità mezzo stampa destando viva sorpresa per implicito riconoscimento Governo comunista. Faccio presente ad ogni buon fine avere io dato mio esplicito parere perché tale passo assumesse forma di diffida (?) estendendola tutti irredenti come da mio telegramma n. 782.

354

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1579/229. Washington, 30 aprile 1919 (perv. ore 2 del 2 maggio).

Per quanto la stampa amica Ministero e degli altri (...) cerchi di sostenere soltanto con ragioni diritto la tesi di Wilson, è certo che un lato importante della questione italiana si mantiene, se anche i giornali e l’opinione pubblica non sembrino rilevarlo, nel proposito di una intensa corrente di traffico coi paesi ex-austro-ungarici e balcanici e Fiume assume capitale importanza agli occhi degli esportatori americani come il maggior porto di penetrazione nei Balcani. Assegnata alla Jugoslavia apparirebbe ai circoli economici adatta agevolare potentemente penetrazione americana.

353 1 Il riferimento è al T. 870/I del 29 aprile di Segre, non pubblicato. 2 Non rinvenuto.

355

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1521/230. Washington, 30 aprile 1919 (perv. il 1° maggio).

Dinanzi unanimità Parlamento e popolo italiano spariscono tentativi ufficiosi di far apparire divisioni in Italia sulle quali si era insistito anche ultimamente con accenni precisi a nomi e a personaggi. Per ridurre significato ed impressione del voto di ieri si tenta farlo apparire come influenzato dall’agitazione popolare, che si riconduce a sua volta anche ad opera propaganda governativa. Intervento Governo si vuole trovare pure nelle dimostrazioni contro Wilson e contro Stati Uniti di cui diffondonsi notizie qualcuna delle quali con carattere sensazionale.

Mi risulta che Polk in dichiarazione confidenziale fatta stamane ai giornalisti avrebbe appunto accennato a questa attitudine Governo Italia che sarebbesi spinto a chiamare riprovevole. Un telegramma dell’«Associated Press» stabilisce di contro che il Regio Governo a richiesta Page avrebbe impedito manifestazioni popolari ostili a Wilson. Segnalo dichiarazione Polk e spunti dei giornali contrari anche in quanto essi vengano portare nella controversia elementi risentimento.

Da parte repubblicana continuasi sostenere ininterrottamente posizione italiana, che il senatore Lodge apertamente difende in nuove pubbliche dichiarazioni e giornali illustrano con argomenti a favore nostro. Nelle colonie stampa esprime dolore e risentimento per attitudine Wilson inspirandosi sensi d’alto patriottismo. Aumentano manifestazioni colonie che, per essere palesemente spontanee e contenute, paiono sinora trovare buona accoglienza nell’elemento americano non pregiudicato e impressionarlo dell’intensità del sentimento popolare che è dietro nostre domande.

356

APPUNTO DEL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, RICCI BUSATTI

Parigi, 30 aprile 1919.

Il trattato1 fu comunicato a suo tempo al Governo del re? Ci limitammo, in tal caso, a prenderne atto, o si fece qualche riserva? Un contegno speciale, a riguardo nostro, — e da parte nostra — mi sembra richiesto, non tanto da certi antichi diritti che, se non erro, tuttora vantiamo, o potremmo invocare, rispetto a talune parti del

Principato (ricordo alcune memorie e rapporti recenti in proposito), quanto per l’interesse particolare che ha per noi tutto ciò che lo concerne.

Il trattato attuale costituisce un vero e proprio protettorato della Francia sul Principato di Monaco, subordinando in sostanza al beneplacito del Governo francese tutte le sue relazioni internazionali (articolo 2), il regime degli stranieri nel suo territorio, ecc. (articolo 6). Credo che converrebbe per lo meno dichiarare, se non è stato già fatto, che il nostro riconoscimento della nuova condizione giuridica non modifica in nulla i diritti che ci aspettano in base alle convenzioni vigenti.

356 1 Si tratta del trattato tra la Francia e il Principato di Monaco firmato a Parigi il 17 luglio 1918.

357

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI

T. PREC. SU PREC. Roma, 1° maggio 1919, ore 15,25.

Proposta di applicare a Fiume il sistema della Sarre non può essere accettata. Troppo diverse, anzi opposte, sono le condizioni di fatto. Per restare nel terreno di una soluzione conciliativa, non vi sarebbe altro che ammettere per Fiume sovranità politica italiana, accettando un regime provvisorio economico del solo porto sino alla costruzione di altro porto o ferrovia per la Jugoslavia. Questo regime durerebbe non oltre un tempo determinato (cinque anni al massimo). Organo di gestione del porto sarebbe formato col concorso degli Stati interessati del retroterra. Italia pagherebbe una somma determinata alla Jugoslavia, senza assumere ulteriori obbligazioni circa costruzione del porto o della ferrovia. Se questi elementi essenziali dell’accordo non sono ammessi, fai pure chiaramente intendere che una via conciliativa non è né potrà essere accettata da noi. S’intende che, sempre nell’ipotesi conciliativa, l’Italia è disposta a fare ragionevoli concessioni nell’hinterland dalmata.

357 Edito in CRESPI, pp. 502 sgg. Il telegramma inviato a Crespi tramite Battioni, fu poi comunicato da Sonnino a De Martino e ad Imperiali, Macchi di Cellere, Bonin Longare con T. Gab. 94 delle ore19 dello stesso giorno.

358

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 146/189. Parigi, 1° maggio 1919 (perv. ore 18).

Segnalo alla E.V. messaggio diretto dal presidente della Repubblica francese al giornale «Francia Italia»1 organo dell’Associazione franco-italiana cui viene dato maggior valore dal fatto che Agenzia «Havas» lo pubblica pure nel suo bollettino di ieri sera2.

359

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 148/190. Parigi, 1° maggio 1919, ore 14,45 (perv. ore 20,30).

Continuazione telegramma precedente1.

Gesto amichevole Poincaré a nostro riguardo è sintomo di una tendenza contraria a Clemenceau che sembra avere largo seguito anche nel Parlamento. Secondo le informazioni che credo attendibili, Poincaré si mostrerebbe contrarissimo all’idea di firmare pace senza di noi.

358 Edito in CRESPI, D. 24.

1 Il messaggio (destinato al numero di «France-Italie» da pubblicarsi il 2 maggio) è edito inFRUS, V, pp. 391 sg. che però fa riferimento al «Temps». Esso esprimeva sentimenti di profonda amicizia e fedeltà all’alleanza: «Italia e Francia, strettamente unite nella guerra, resteranno unite nellapace. Nulla le separerà. Il raffreddamento della loro amicizia sarebbe una catastrofe per la civiltà latinae l’umanità. La Francia, fedele ai suoi impegni, alle sue simpatie e alle sue tradizioni, continuerà atenere le mani unite alle mani dell’Italia». Wilson se ne sarebbe molto risentito, lamentandosene con Clemenceau (cfr. CRESPI, D. 36).

2 Il telegramma prosegue con il T. 148/190 dello stesso giorno (vedi D. 359).

359 Edito in CRESPI, D. 25.

1 Vedi D. 358.

360

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 1° maggio 1919, ore 16,10.

In pieno accordo cogli ambasciatori Imperiali, Bonin, Cellere e col comm. De Martino presenti, rispondo tuo telegramma delle ore 13,251. Da tutte le notizie che ci pervengono, proposta concreta che assegni immediatamente sovranità politica di Fiume all’Italia non avrebbe alcuna possibilità di riuscita quale via conciliativa verso il punto di vista del presidente Wilson, perché implicherebbe sua completa capitolazione. Qualche possibilità di proficua discussione potrebbe offrire soltanto una proposta che, consacrando fin d’ora in fatto diritti italiani su Fiume, dilazioni proclamazione definitiva sovranità ad un termine quanto più breve possibile sulla base articoli «Le Temps».

361

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI

T. GAB. 95. Roma, 1° maggio 1919, ore 21.

Pregoti tenere al corrente De Martino ed ambasciatori Bonin, Imperiali, Cellere, di ogni tuo passo circa nostre questioni territoriali comunicando loro telegrammi che spedisci ad Orlando e risposte che ne ricevi1.

362

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. GAB. 1145/96. Roma, 1° maggio 1919, ore 21.

Telegramma di V.E. n. 4701.

Prego incaricare ambasciatori fare subito protesta e riserve presso Alleati ed Associati circa questione ivi accennata per libera comunicazione fra Italia ed Austria2.

361 Edito in CRESPI, D. 29.

1 Crespi rispose con telegramma delle ore 22,30 dello stesso giorno (edito in CRESPI, D. 30)assicurando la più assoluta collaborazione sia nella stesura che nella comunicazione dei telegrammi. Etale assicurazione confermò anche ad Orlando con T. 1357 delle ore 23,45, con una dettagliata esposizione dei criteri e delle procedure seguite.

362 Edito in CRESPI, D. 28.

1 Vedi D. 350.

2 Vedi poi D. 379.

360 1 Vedi D. 357.

363

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI

T. ASSOLUTAMENTE RIS. PERS. Roma, 1° maggio 1919, ore 21,15.

Ricevo in questo momento il tuo telegramma1 e ne conferirò domani con Sonni-no, riservandomi una risposta formale. Debbo tuttavia esprimerti subito il mio ordine di idee che, per quanto personale e immediato, mi sembra così intuitivo da escludere ogni dubbio su di esso. Io trovo che il procedimento delle trattative di costà è indubbiamente tale da rendere assolutamente impossibile una buona riuscita per un intrinseco vizio di metodo. Non voglio arrischiare l’affermazione che ciò sia fatto a bella posta; ma in ogni caso mi par certo che si segua una via che non può avere uscita. Il primo difetto di tale sistema è di procedere in via frammentaria. Da tre giorni ci aggiriamo intorno al problema di Fiume come se fosse il solo, mentre ciò non è, per quanto quel problema sia pregiudiziale. Un tale metodo può andar bene quando si hanno dei mesi a propria disposizione; esso è condannato ad un sicuro insuccesso quando l’urgenza vuole una definizione entro pochi giorni. Il secondo difetto organico del metodo che si segue consiste in ciò: che si discute con noi senza tener conto che il pensiero del presidente Wilson è ancor più lontano da un accordo medio di quanto non lo sia il nostro stesso pensiero. E io mi domando con quale utilità io abbia da superare tutte le immense difficoltà oggettive e soggettive di una transazione, quanto poi ho tutti i motivi di credere che una soluzione costruita con tanta fatica fallirà per il disaccordo del presidente Wilson. Io credo che, se davvero si vuole pervenire ad una soluzione rapida, si abbia da seguire una via completamente diversa. I Governi d’Inghilterra e di Francia dovrebbero formulare un piano capace di avvicinarsi al minimo irriducibile dei desiderata italiani, il quale minimo ormai è perfettamente noto. Questo piano dovrebbe essere presentato non meno a noi che al presidente Wilson, e si dovrebbe avere in mente una soluzione per il caso probabilissimo che il presidente Wilson non l’accetti. Quando il Governo italiano si troverà di fronte ad una soluzione completa ed organica ed avrà le garanzie dell’attuabilità di tale soluzione in ogni ipotesi, allora (ma allora soltanto) può diventare umanamente concepibile lo sforzo per adattarsi a qualche rinunzia, come potrebbe essere quella di un breve rinvio della piena sovranità su Fiume. In conclusione, io non credo che codesto avviamento di trattative dia alcuna garanzia di serietà. Il procedimento dovrebbe rovesciarsi: si dovrebbe cominciare dallo stabilire se i nostri alleati possono ottenere l’assenso del presidente Wilson, e, in caso negativo, in qual modo supplirne la deficienza. Se questa pregiudiziale si supera, io penso che l’accordo sulle questioni di merito diventerà di gran lunga più facile. In caso contrario, io debbo manifestare sin da ora la più assoluta sfiducia sulla riuscita di codeste conversazioni. Io non so se e

363 Il telegramma fu inviato a Battioni con l’annotazione: «Faccia a S.E. Crespi seguente comunicazione, dichiarandogli di averla avuta per telefono in maniera che non resti negli atti».1 Si tratta forse del telegramma delle ore 0,55 del 30 aprile (qui D. 343).

quale azione utile possano spiegare gli ambasciatori; ma sarà bene che tu svolga con loro alcuni dei concetti essenziali della presente comunicazione.

364

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 157/7649 OP. Comando Supremo, 1° maggio 1919, ore 23,20 (perv. ore 0,10 del 2).

Seguito nostro 7581 OP.1.

Comunicansi notizie circa attacco jugoslavi in Carinzia pervenute da generale Segre da Vienna e dal comando della IV armata. Ministro esteri ha inviato a predetto generale nota colla quale mentre chiede intervento truppe italiane riferisce che attacco jugoslavo con occupazione Rosenbach e interruzione ferroviaria impedisce transito treni viveri. Governo provincia Klagenfurt chiesta a Tarvis occupazione centri ferroviari e città Villaco-Klagenfurt-Sanveit.

Attacco oriente Völkermarkt respinto e ad occidente Völkermarkt gli austro-tedeschi si ritirano. Regione Rosenbach gli jugoslavi hanno raggiunto riva sud Drava e pare si concentrino specie tra Rosenbach e Ferlach. Missione jugoslava Vienna assicurerebbe attacco fatto da sloveni contro volontà Belgrado. Chiamata alle armi 22 classi Carinzia e colà inviati ufficiali disponibili (?) e rinforzi a Sanveit da Stiria Vienna e Tirolo. Autorità austro-tedesche ritengono però predette misure insufficienti. Con successiva nota presentata al generale Segre, ministro degli affari esteri protesta energicamente contro il contegno jugoslavo e prega Governo italiano intervenire perché le grandi potenze obblighino gli jugoslavi ritirare le truppe oltre la linea di demarcazione. Con predetta nota viene prospettata la necessità della occupazione con truppe di una grande potenza dell’Intesa comunicazioni Assling-Rosenbach-Klagenfurt e Tarvis-Villaco-Klagenfurt-Sanveit. Ufficiosamente predetto ministro ha aggiunto che se le truppe dell’Intesa saranno italiane, il Governo (...) molto soddisfatto.

364 1 Non rinvenuto.

365

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 469. Parigi, 1° maggio 1919 (perv. ore 11).

Telegramma collettivo Crespi-Imperiali-Bonin-Cellere-De Martino.

1) Ricevuto telegramma di V.E, n. Gabinetto 93 in data odierna1.

2) Circa colloquio di Crespi e Bonin con Tardieu Loucheur e Clémentel ci riferiamo a telegramma di Bonin a V.E. n. 1862 e di Crespi a presidente del Consiglio3.

3) Per nostra norma e per norma specialmente di Crespi preghiamo farci sapere se telegrammi collettivi sono da V.E comunicati a presidente del Consiglio4.

4) Durazzo ha saputo al segretariato generale che in seguito a decisione che sarebbe stata presa dal Consiglio dei tre5, testo preliminare di pace sarà bilingue. Comitato di redazione, che è quasi giunto al termine dei suoi lavori, ha preparato e confrontato soltanto testi francese e inglese.

5) Conforme decisione già presa e nota a V.E., ufficiali inglesi e americani sono stati aggregati a missione militare francese per collegamento con delegazione tedesca.

Stante situazione presente nessun ufficiale italiano è delegato.

366

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 144/472. Parigi, 1° maggio 1919.

Telegramma collettivo Imperiali-Bonin-Cellere-De Martino.

Ci riferiamo al telegramma Gab. 93.20 in data di ieri1 col quale V.E. ci conferma le istruzioni di non prendere iniziative ma ascoltare e riferire. Intendiamo pertanto che, anche nel caso di aperture da parte di rappresentanti dei Governi alleati ed associati, ci dobbiamo astenere fino a nuovo ordine dal formulare controproposte sulla base delle direttive contenute nella seconda parte del detto telegramma sia per

365 Il testo in arrivo dà come data di partenza il 30 aprile, ore 22,40.

1 Si tratta del T. 93.20 del 30 aprile (qui D. 344).

2 Del 30 aprile. Non pubblicato.

3 Vedi D. 346.

4 Sonnino rispose affermativamente con T. Gab. 97, ore 20,30 dello stesso giorno.

5 La decisione era stata presa in effetti nella riunione a tre del 25 aprile, assente Orlando (cfr. FRUS, V, pp. 244 sg.). Il problema era stato per altro già sollevato da Aldrovandi con lettera del 28 marzoal segretario generale della Conferenza della pace, Dutasta.366 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 443 e in CRESPI, D. 23. 1 Vedi D. 344.

quanto riguarda la possibilità di una conclusione conciliativa sia per quanto riguarda la nostra partecipazione alla pace con la Germania.

Tuttavia per metterci in grado di pienamente possedere il pensiero del R. Governo preghiamo chiarire i seguenti punti, se V.E. lo crede opportuno:

1) Se la locuzione «diritti dell’Italia sulle città di Fiume, Zara e Sebenico» esclude a priori una soluzione sulle basi prospettate nei telegrammi di Crespi in data 29 aprile al presidente del Consiglio2 e di Bonin n. 1783.

2) Se l’isola di Pago debba tuttora comprendersi fra quelle rivendicate dall’Italia.

In accordo con ministro Crespi ci permettiamo osservare in linea generale:

1) Che secondo le maggiori probabilità la controversia adriatica si risolverà o prima o dopo in una soluzione che ammetta qualche temperamento. Ciò del resto coincide con seguente concetto espresso nel telegramma di V.E. «La discussione potrebbe solo riferirsi alle modalità per arrivare alla effettiva attuazione di tali diritti».

2) Ciò premesso si presenta il quesito se nell’interesse nostro convenga adoperarsi ad agevolare tale soluzione oppure se convenga attendere il corso degli avvenimenti.

3) Noi esprimiamo subordinato parere come appresso:

a) una prolungata assenza dell’Italia sia dai lavori ufficiali della Conferenza, sia dagli scambi d’idee e probabili decisioni extra ufficiali, può seriamente compromettere nostri interessi del Mediterraneo orientale nonché economici e coloniali;

b) un ritardo della conclusione della pace che potesse essere anche malevolmente attribuito all’Italia potrebbe essere sfruttato a nostro danno presso le varie opinioni pubbliche. Avvertimenti in questo senso giungono dalla R. Ambasciata a Londra;

c) nostro intervento nella pace al momento o in prossimità della firma ci metterebbe nella impossibilità materiale di ottenere nuova deliberazione e nuova decisione su molte questioni di interesse italiano;

d) crediamo sarebbe opportuno non abbandonare scambi di idee con francesi e inglesi presentando se del caso nostre controproposte specifiche in relazione citati telegrammi di Crespi e Bonin.

367

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 150/474. Parigi, 1° maggio 1919.

Telegramma collettivo Crespi-Imperiali-Bonin-Cellere-De Martino.

Questa sera Pichon ha chiamato Bonin e, pregandolo di notar bene che gli parlava come ministro degli affari esteri e non come membro della Conferenza, lo infor

3 Vedi D. 331.

367 Edito con varianti in ALDROVANDI, pp. 291 sg., e parzialmente in CRESPI, D. 26.

mò che, in seguito a un ritardo nella redazione del trattato, questo sarà presentato ai tedeschi martedì 6 corrente, in luogo di sabato 3 corrente. Soltanto a quella data avrà luogo il primo incontro dei negoziatori alleati con quelli tedeschi.

Pichon con evidente intenzione insistette su questo differimento di data osservando a più riprese durante tutto il colloquio che non avremmo a nessun costo dovuto abbandonare la Conferenza. Bonin dopo aver preso atto dell’informazione accennò alle voci che corrono di imminente riconoscimento del Regno S.H.S. intorno alle quali egli aveva mandato stamane una lettera particolare a Pichon. Questi rispose che questione si presenterebbe quasi certamente alla verifica dei pieni poteri, che i jugoslavi produrrebbero con quella denominazione. Non si poteva, diceva il ministro, respingerli per questo motivo. Bonin insistette nella pessima impressione che ciò farebbe in Italia, ma riportò la convinzione che pieni poteri così redatti saranno ammessi, ciò che implicherebbe il riconoscimento.

Durante conversazione Pichon fu chiamato fuori da Clemenceau che usciva da una riunione dei Tre. Pichon rientrando, e dopo aver rinnovata osservazione che parlava come ministro degli esteri, disse a Bonin che austriaci e ungheresi erano stati invitati a venire il 12 e il 15 maggio a St. Germain per esaminare le condizioni di pace.

Bonin espresse a Pichon tutta la grande e penosa meraviglia che V.E. immaginerà, e notò gravità che i nostri alleati presentassero al nostro principale nemico, contro il quale abbiamo sostenuto quasi da soli la guerra, delle condizioni di pace all’infuori di noi.

Meno qualche accenno all’ipotesi che si tratterà con gli austro-ungarici sopra-tutto le questioni degli altri confini all’infuori del nostro, Pichon non tentò alcuna difesa della decisione presa che evidentemente era stata a lui stesso notificata all’ultimo momento e a cosa fatta.

Bonin palesò francamente tutta la sua amarezza dicendo a Pichon nel lasciarlo che dopo quattro anni di guerra comune non credeva si sarebbe venuti a una tale situazione.

366 2 Potrebbe trattarsi del telegramma delle ore 0,55 del 30 aprile. Vedi D. 343.

368

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1011 RR. PERS. Roma, 1° maggio 1919.

Dal nostro servizio informazioni in Svizzera viene riferito essere giunti a Ginevra da Belgrado alcuni autorevoli personaggi serbi. Essi hanno confidenzialmente dichiarato che Governo Belgrado ha comunicato suoi delegati Parigi che massima concessione disposto fare è internazionalizzazione Fiume o plebiscito. Tesi è sostenuta anche da ceco-slovacchi; non si accenna alla Dalmazia, ritenuta sicuramente jugoslava. Avviso circoli politici competenti è che si riuscirà far accettare Conferenza tale punto di vista. Frattanto opinione ambienti serbi è che in conflitto contro Italia sarà esercito a dire prima parola eventualmente anche precedentemente decisione Governo. Ritenuta inevitabile manifestazione militare anche se dovesse significare guerra. Nel-l’esercito regnerebbe gran fermento e censura militare avrebbe severamente proibito parlare di esso, ed in generale del movimento che si manifesta in elemento militare.

369

IL MINISTERO DELLA GUERRA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 5995. Roma, 1° maggio 1919.

CORPI DI SPEDIZIONE ITALIANI IN MURMANIA ED IN ESTREMO ORIENTE

Con precedenti comunicazioni questo Ministero aveva rappresentato le condizioni di disagio in cui venivano a trovarsi per molteplici ragioni di ordine morale i nostri corpi di spedizione in Murmania ed in Estremo Oriente (Siberia)1 proponendo che entrambi venissero ritirati al completo e — nel caso l’Italia dovesse ancora mantenere colà una rappresentanza di proprie truppe — venissero sostituiti con volontari da retribuirsi assai più largamente.

Questo Ministero ha nel frattempo messo allo studio uno schema di decreto relativo ai provvedimenti da attuarsi per l’arruolamento dei volontari che dato l’effettivo dei due corpi di spedizione dovrebbero ammontare a circa 3000 uomini.

Non si nasconde però le gravi difficoltà che saranno incontrate nella costituzione di corpi composti con volontari, essendo prevedibile che il gettito dell’arruolamento, sia per l’attuale situazione politica, sia per le condizioni di disagio e di distanza dalla patria in cui debbono operare i corpi stessi, non sarà così pronto, a meno di ricorrere a paghe elevatissime che porterebbero il doppio inconveniente di aggravare l’erario in modo sensibile e di costituire un precedente pericoloso per le altre presenti e future spedizioni oltremare. Ad ogni modo, occorrerà un certo tempo prima che siano arruolati i volontari e costituiti i due corpi di spedizione, mentre per il solo loro trasferimento alle rispettive destinazioni è prudente calcolare circa un mese per quello dislocato in Murmania ed oltre due mesi per quello dislocato in Siberia.

S.E. il generale Diaz al quale, anche in ordine al desiderio espresso da V.E. col tel. n. 1023 S.P.2, ho chiesto il suo apprezzamento sulla questione, mi ha fatto presente che nulla osta da parte sua alla sostituzione con volontari degli attuali corpi di spedizione in Murmania e nell’Estremo Oriente, ma che, dato che altre potenze hanno già compiuto spostamenti e ritiro di parte delle truppe senza interpellare alcuno, sembrerebbe più conveniente procedere gradualmente alla riduzione dei nostri contingenti, specialmente nell’Estremo Oriente ove sembra che gli inglesi abbiano già proceduto al ritiro di parte dei battaglioni canadesi. S.E. Diaz aggiunge che la riduzione potrebbe vantaggiosamente effettuarsi sostituendo solo parzialmente l’attuale effettivo dei corpi di spedizione.

Da parte mia, considerato il tempo complessivamente occorrente per effettuare le accennate sostituzioni, considerato che non è conveniente trattenere più a lungo elementi di classi già licenziate dalle armi e che i comandanti dei contingenti non ritengono opportuno addivenire a rimpatri parziali (in Estremo Oriente ad esempio sono

2 Non rinvenuto.

inquadrati 13 ufficiali e 140 militari di classi anteriori al 1885, 16 ufficiali e 446 militari della classe dal 1885 al 1892, elementi della classe 1900 e circa 2000 ex-irredenti che dovrebbero fare ritorno ai rispettivi territori), considerata infine la probabilità che nell’intervallo di tempo occorrente i fattori di depressione morale, finora arginati dalla disciplina, possano avere il sopravvento, reputo preferibile, dal lato militare, adottare fin d’ora la disposizione di ritirare i nostri due corpi di spedizione provvedendo al loro ritorno in patria a cominciare dagli elementi di classi più anziane.

Sull’argomento rimango in attesa di conoscere le decisioni dell’E.V.3.

369 1 Sulla questione si veda D. 43.

370

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. POSTA 195/629 RIS. Berna, 1° maggio 1919 (perv. il 6).

L’ultimo ministro della defunta monarchia austro-ungarica prof. Lammasch, è venuto a vedermi per parlarmi dei futuri rapporti fra l’Austria Tedesca ed il nostro paese, ed anzitutto della questione dell’Alto Adige.

Egli si professò naturalmente grande e sincero amico dell’Italia, ricordando la difesa da lui presa, vari anni or sono, degli studenti italiani e della facoltà italiana di Innsbruck. Durante la guerra fu tra i rari italofili ed anche nei pochi giorni del suo Ministero cercò di far rendere giustizia alle aspirazioni italiane. Ma si era sempre urtato agli assurdi principi professati dalla casta militare e in primo luogo dal Conrad che egli qualificò come il nostro più accanito nemico. Lo Stato Maggiore austriaco aveva sempre ingannato tutti, a cominciare dall’imperatore.

Si trattava oggi di regolare i buoni rapporti fra la Repubblica di Vienna e il Regno d’Italia, e purtroppo le nostre pretese per l’incorporazione di terra abitata da gente di lingua tedesca facevano temere pel ristabilimento di questi rapporti. Il Tirolo meridionale sarebbe stato rovinato economicamente dall’unione ad un paese che aveva gli stessi suoi prodotti agricoli e vinicoli; le sue stazioni balneari avrebbero trovato delle concorrenti vittoriose in quelle del Regno. L’Italia avrebbe avuto nel suo seno una forte popolazione irredenta, il cui coraggio ed amor d’indipendenza non erano oggi differenti da quelli mostrati nel 1809 (...). E perché urtarci colla Germania che avrebbe certo considerato come sua la causa dei tirolesi, e aspettato l’occasione propizia per liberare i fratelli oppressi?

Ho risposto accademicamente al Lammasch, nella cortesissima discussione, che le sagge e liberali misure del nostro Governo democratico non mi facevano temere lo spettro dell’irredentismo. Quando le popolazioni dell’Alto Adige si fossero convinte (né sarebbe stata lunga l’attesa) che il nostro Governo ne avrebbe rispettato la lingua, gli usi e le tradizioni, esse non avrebbero più bondé [sic] e la fusione spirituale si sarebbe presto compiuta. Né gli argomenti economici mi convincevano perché il Tirolo era pure ricchissimo in foreste di cui il Regno invece scarseggia. Quanto alle stazioni balneari, esse erano di genere differente di quelle italiane. Vi era posto per tutte. Mi lusingavo quindi che i rapporti fra i due Stati si sarebbero conservati buoni, nonostante la dura necessità in cui ci trovavamo di annettere i 180 mila abitanti del-l’Alto Adige. Ero da parte mia convinto che mai il nostro Governo avrebbe rinunziato a quella frontiera geografica naturale che rappresentava la nostra sicurezza, e che era inutile ogni discussione.

Passando quindi ad altri argomenti, il Lammasch mi disse che non credeva alla unione dell’Austria Tedesca alla Germania. L’elemento militare «prussiano» era troppo detestato a Vienna, dove adesso si cominciava finalmente a capire che la terribile guerra era stata l’opera della Germania, la quale aveva ingannato l’Austria. Egli pensava invece che fosse più facile una confederazione danubiana, dopo la constatazione della difficile vita separata dei vari Stati singoli. Non credeva alla vitalità della Jugoslavia, causa principalmente l’odio dei croati pei serbi e le differenze religiose. Stimava poco solido l’edificio creato da Wilson e presentiva il risorgimento terribile della Germania che, se era stata vinta, era tutt’altro che doma.

Nel congedarsi da me il Lammasch mi pregò di far conoscere a V.E. le idee che egli mi aveva esposte sui rapporti italo-austriaci, ciò che faccio col presente telegramma, constatando che l’ex ministro ne ha fatto pure oggetto di un articolo pubblicato ieri mattina dalla «National Zeitung» di Basilea.

369 3 Con T. 10299 del 9 maggio Manzoni trasmetteva a Sonnino a Parigi copia di questo telegramma, con preghiera di far conoscere la sua decisione. A margine un’annotazione manoscritta reca:«Approvo purché si proceda gradualmente e senza mettere il campo a rumore. S.S.». Con T. 8130 OP. del 7 maggio, a sua volta, Diaz, concordando con la decisione del Ministero della guerra, proponeva di attuare gradualmente il ritiro previsto, cominciando dalla Siberia e rimandando il ritiro del contingente dellaMurmania, anche per adeguarsi al modo di procedere degli alleati. Si veda poi DD. 558 e 801.

371

L’AMBASCIATORE IMPERIALI AL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI BRITANNICO, MALCOLM

L. PERS. Parigi, 1° maggio 1919 (perv. ore 19).

I have just received signor Orlando’s reply and I think opportune to quote the telegram. It runs thus: «Although authorised by M. Lloyd George and M. Clemenceau I thought better not to publish the memorandum1 as it appeared to me that the publication would not certainly have helped to enhance the sympathies of the Italian

371 Edito in CRESPI, D. 22. Di questa lettera De Martino diede comunicazione a Orlando ed aSonnino con T. Gab. 473 dello stesso giorno.1 Il memorandum di cui si parla è «Fiume e l’assetto di pace» del 23 aprile, qui D. 287 (cfr. CRESPI, p. 495).

people towards England and France. I wish to add in a strictly confidential way that a French diplomat thoroughly acquainted with the feeling of public opinion in Italy most earnestly urged me not to read the memorandum. I therefore confined myself to simply sum up the views of the two Allied Governments as it had been agreed in the conversation of Thursday last. The communication was received by the House with unmistakable indication of painful surprise from which I gather that things would have been even worse had I communicated the memorandum».

Under the circumstances and for the obvious reasons stated in Signor Orlando’s telegram I venture to express my most earnest hope that the memorandum will not be published. I would have come and see you myself had I not been prevented from the 1st of May. I am so very sorry of the stoppage of circulation because if I had been permitted to come I would have drawn your attention on a most warm and cordial appeal addressed by M. Poincaré to the Italian Nation2. The document published by Havas was reproduced by last night’s newspapers.

372

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA,

T. Parigi, 2 maggio 1919, ore 2,30.

A titolo puramente informativo credo doverti comunicare che direttore «Matin», riferendo colloquio avuto stasera con Pichon immediatamente dopo colloquio di quest’ultimo con Bonin, ha fatto conoscere che Clemenceau e Lloyd George si attendevano di ricevere da te comunicazione del recente voto della Camera. Secondo il loro pensiero, ciò avrebbe potuto e potrebbe ancora facilitare di rimettere sul tappeto questione con Wilson, tanto più se tale comunicazione contenesse domanda circa posizione che alleati credono poter prendere di fronte a concordi manifestazioni del Parlamento e del paese in vista di rendere possibile ritorno della Delegazione a Parigi.

Interlocutore aggiunse che Wilson persiste nel suo atteggiamento ostinato aumentato da sua irritazione per contegno stampa francese e parole Poincaré scritte per giornale «Italia-Francia»1, comunicateti da Battioni, parole che egli ha qualificato, testualmente, come uno schiaffo per lui, dallo aver dovuto cedere ai giapponesi, e dalla prospettiva di dover accontentare anche i belgi. Interlocutore aggiunse che Wilson è padrone assolutamente di Clemenceau. Tutto ciò ripeto a puro titolo informativo2.

372 Edito in CRESPI, D. 33.

1 Vedi DD. 358 e 359.

2 Le stesse informazioni furono trasmesse al MAE alle ore 15,30 con T. collettivo 478 a firma De Martino.

371 2 Cfr. D. 358.

373

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1573/635. Londra, 2 maggio 1919, ore 9,50 (perv. ore 5,35 del 3).

Mio telegramma n. 5931.

Con nota testé pervenutami il Foreign Office fa presente che in Palestina il Governo italiano ha già un suo rappresentante, alludendo evidentemente al capitano Soragna. In conversazione avuta oggi con Kidston, questi mi ha detto però che il Governo britannico non ha alcuna difficoltà permettere sia inviato a Gerusalemme un r.console, e che anzi ne gradirebbe la nomina; soltanto, e ciò specialmente per evitare un precedente che verrebbe certamente invocato da altri Governi, Foreign Office non desidera che si trovino contemporaneamente in Palestina due rappresentanti italiani. Kidston mi ha fatto presente anche che nomina console è stata subordinata alle seguenti condizioni: 1) riconoscimento Governo militare; 2) limitazione sua giurisdizione a Palestina; 3) rinunzia al funzionamento tribunali consolari. Circa la condizione numero tre debbo rilevare che Kidston si è astenuto dare maggiori particolari.

374

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 164/479. Parigi, 2 maggio 1919, ore 15.

Telegramma collettivo Crespi-Imperiali-Bonin-Cellere-De Martino.

Invito all’Austria e all’Ungheria di inviare delegati per la pace (mio telegramma di ieri n. 474)1. Fino ad ora nessun cenno nei giornali. A nostro avviso la decisione improvvisa presa ieri dal Consiglio dei tre, evidentemente improvvisa poiché pochi minuti prima di notificarla a Bonin il signor Pichon la ignorava, sembra doversi commentare come segue: il differimento a martedì dell’inizio dei negoziati con i tedeschi è una specie d’ultimatum a noi d’intervenirvi; la convocazione degli austro-ungheresi ne è la sanzione. Ci si dice cioè: se voi non sarete qui il 6, noi tratteremo senza di voi non solo con i tedeschi ma anche con austriaci e ungheresi.

Due vie si offrono a noi:

374 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 444 ed in CRESPI, D. 35.

1 Vedi D. 367.

a) La resistenza assoluta quale è dettata dall’offesa al nostro prestigio. Per essere efficiente dovrebbe condurci a qualche atto risolutivo come l’annessione. Conseguenze: rottura grave non solo con America ma anche con alleati, decadenza assoluta del Patto di Londra, eliminazione dell’Italia da ogni possibile vantaggio in Asia Minore e in Africa, guerra economica. Possiamo affrontare questa situazione con la certezza di uscirne vittoriosi? Una capitolazione, o anche una insufficiente transazione dopo presa quella via, sarebbe infatti l’ultima umiliazione.

b) Tentare subito un negoziato sulla base svolta dal «Temps»2, cioè provvisoria amministrazione di Fiume e tratto del golfo da parte della Società delle Nazioni, la quale avrebbe mandato preciso di costruire il nuovo porto entro un termine breve e di separare nel frattempo italiani da slavi: scaduto il termine Fiume sarebbe attribuito all’Italia, se possibile, senza plebiscito. Questa soluzione avrebbe il vantaggio di consacrare fin d’ora i diritti dell’Italia su Fiume; sembra quindi restare nel quadro del voto della Camera.

Qualora R. Governo ritenesse meritevole di considerazione la seconda ipotesi ci permettiamo rilevare assoluta ristrettezza di tempo. Imperiali a tal proposito ricorda osservazione fattagli da Lloyd George il 23 aprile e da lui riferita ai delegati: «se voi non sarete con noi a Versailles il Trattato di Londra se ne va».

373 1 Del 24 aprile, non pubblicato.

375

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1544/87. Vienna, 2 maggio 1919, ore 16,15 (perv. ore 21,30).

Da parte francese ed americana si fa intenso lavoro propaganda per intesa fra Ungheria ed Jugoslavia. Date influenze che elimineranno nuovo Governo ungherese ritengo piano abbia probabilità riuscita sotto una o sotto altra forma, probabilmente sotto quella di convenzioni commerciali. D’altra parte lavoro accaparramento risorse Ungheria è già iniziato. Inglesi chiedono concessione costruzioni ferroviarie. «Neue Freie Presse» dà notizia concessioni da parte jugoslavi all’America porti di Ragusa, Gravos e zone territoriali con ferrovia Cattaro. Questa notizia se confermata potrebbe significare rinunzia disegni americani su Fiume sostituendoli con analoghi su Ragusa. Tutto questo rivela chiaramente vasto piano raccogliere enorme corrente commerci Polonia, Czeco-Slovacchia, Ungheria e Jugoslavia con sbocco porto jugoslavo Adriatico, stornandola porti italiani e creando interessi tali che cementino sistemazione politica stessi paesi propugnata da Francia. Unico mezzo salvare nostra posizione nostri interessi futuri, interessi basati su amicizia Ungheria, consiste moltiplicare con pari intensità nostra azione economica in Ungheria unico paese ormai non accaparrato da altri. Pregherei al riguardo per mia norma farmi conoscere pensiero Regio Governo.

374 2 Vedi D. 340, nota 1.

376

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. GAB. 1150/99.25. Roma, 2 maggio 1919, ore 20,30 (perv. ore 22,30).

Comunico in telegramma a parte n. 981 testo di una nota che ho diretto stasera alle Ambasciate di Francia e Inghilterra a Roma.

Nel discorrere coi ministri affari esteri alleati sulla nota suddetta, marchese Imperiali e conte Bonin, oltre ed a parte la questione di forma relativa divieto di pace separata, sono autorizzati a considerare anche situazione di merito. Essi daranno opportuno svolgimento a quanto nella nota si contiene circa attuale impossibilità concreta in cui l’Italia si trova di potere ottenere dalla Conferenza della pace il regolamento delle proprie aspirazioni territoriali non solo a causa del dissenso esistente fra l’Italia stessa e le altre potenze ma anche pel dissenso esistente tra le potenze stesse. Difatti è bene ripetere che al Governo italiano non è stato offerta dalle tre potenze alcuna formula conciliativa in cui le tre potenze stesse si accordino; mentre il mantenimento puro e semplice del Patto di Londra, se è offerto dai due alleati, viene nettamente negato dalla potenza associata.

Se, come è probabile, le due potenze alleate rinnoveranno le assicurazioni di essere pronte all’integrale esecuzione del Patto di Londra, i sigg. ambasciatori faranno osservare che tale dichiarazione non basta per esaurire l’argomento e per costituire l’Italia in mora di accettare o rifiutare una tale offerta, poiché rimane sempre da determinare in quale modo l’offerta stessa possa essere tradotta praticamente in atto. L’Italia non si può evidentemente contentare, al momento della conclusione della pace, di una pura affermazione formale da parte delle due potenze alleate: essa ha il diritto di chiedere e chiede che le si faccia conoscere in che modo questa assicurazione si tradurrà in una effettiva assegnazione di territori con le necessarie garanzie internazionali. La forma più perfetta di tale atto internazionale sarebbe l’adesione dell’America: ma ove questa adesione, come tutto fa credere, non fosse possibile di ottenere, rimarrebbe a sapere in quale maniera pratica gli alleati intendono garantire all’Italia l’attribuzione effettiva dei territori suaccennati.

Se poi nelle conversazioni suddette che gli ambasciatori sono autorizzati a condurre, riapparisse ancora una volta la possibilità della ricerca di una soluzione conciliativa, i sigg. ambasciatori terranno come norma all’uopo le condizioni comunicate col telegramma 932 e per quanto riguarda Fiume dichiareranno di potere discutere sopra una formula la quale allo stato delle cose non importasse da parte dell’Italia una rinunzia ad accettare l’offerta che la stessa città di Fiume ha fatto di annettersi all’Italia. Per spingere sino all’estremo il nostro spirito di conciliazione i sigg. amba

376 Il testo in arrivo reca il n. 99.24. Edito in SONNINO, Carteggio, D. 445 ed in CRESPI, D. 38.

1 Vedi D. 377.

2 Vedi D. 344.

sciatori ammetteranno la ricerca3 di una formula che neppure importi una immediata affermazione della sovranità italiana. Una formula media potrebbe essere rappresentata dalla proposta fatta recentemente sul giornale «Temps» la cui sostanza fu accennata nel recente colloquio fra il signor Poincaré e il conte Bonin4, secondo la quale la piena assegnazione di Fiume alla sovranità italiana sarebbe rinviata di qualche anno (da determinarsi fino da ora) in relazione all’eventuale costruzione di altro porto o ferrovia nella Jugoslavia, costruzione cui l’Italia potrebbe concorrere con una somma sino da ora determinata. Rimane inteso che debbono essere assolutamente assicurate le città di Zara e Sebenico alla nazionalità italiana in modo normale e permanente e inoltre tutte isole del Trattato di Londra, salvo forse Pago. Se si volesse fare qualche altra singola esclusione occorrerebbe prima discuterne.

S’intende altresì che deve essere assicurato all’Italia il confine italiano al Brennero e alle Alpi come da Patto di Londra e fino Volosca cioè confinante con Fiume. Debbono altresì essere date precise garanzie che la ferrovia Trieste-Feistritz-AsslingRosenbach-Klagenfurt sarà tutta, al di là del confine italiano, assicurata all’Austria Tedesca, restando interamente fuori dal territorio jugoslavo nella determinazione del confine tra Jugoslavia e Austria Tedesca.

S’intende che tutte le conversazioni degli ambasciatori non potranno essere che «ad referendum» né condurranno ad accordi impegnativi prima dell’assenso del R. Governo.

377

IL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. GAB. 1151/98.24. Roma, 2 maggio 1919, ore 23,30 (perv. ore 12,30 del 3).

Ecco il testo di una nota diretta questa sera dal ministro Sonnino a queste ambasciate di Francia e d’Inghilterra: Prego V.E. portare a conoscenza del Governo quanto segue:

Il 13 aprile u.s. in una riunione del Consiglio dei quattro fu improvvisamente proposto di procedere alla convocazione dei plenipotenziari tedeschi per la firma del trattato di pace. Il rappresentante dell’Italia dichiarò subito che non gli era possibile consentire a questa convocazione, se prima non fossero state risolte le questioni che riguardavano l’Italia. La sera stessa il presidente Orlando diresse al signor Clemenceau una lettera del tenore seguente1: «Dans la réunion de ce soir il a été convenu

4 Vedi D. 331.

377 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 445, All. ed in CRESPI, D. 39.

1 Vedi D. 188.

qu’aucune invitation ne serait adressée aux plénipotentiaires allemands avant mardi. Je Vous serais reconnaissant de ne pas mentionner le Gouvernement Italien dans ladite invitation avant la communication que je me réserve de Vous faire parvenir à ce sujet, à la suite de la conversation que j’aurai demain avec le Président Wilson.

Participer à cette invitation impliquerait en effet, dès à présent, une solidarité dans la paix séparée offerte à l’Allemagne, tandis que l’on admettrait par contre la possibilité de laisser en suspens la paix avec l’Autriche-Hongrie qui est liée d’une manière indissoluble à l’autre».

Il signor Clemenceau rispondeva così2:

«Je prends note de l’indication contenue dans Votre lettre et il est convenu que j’attends la communication que Vous m’annoncez. Permettez-moi toutefois de Vous faire observer dès maintenant que les préliminaires de paix qu’il s’agit de notifier à l’Allemagne ne constituent aucunement une paix séparée qui lui serait offerte. Ils ne sont que le point de départ de la paix générale à conclure avec les Puissances ennemies. On ne peut dire qu’ils “laissent en suspens la paix avec l’Autriche-Hongrie” puisque les conditions de cette paix n’ont pas encore été examinées et qu’elles doivent précisément faire l’objet de l’étude à laquelle il va être procédé».

Il presidente Orlando replicava quanto segue3:

«Je m’empresse de Vous remercier de la lettre que Vous avez bien voulu m’adresser ce matin. A la suite de la conversation que j’ai eue aujourd’hui avec Monsieur le président Wilson je me vois dans la nécessité de maintenir toutes les réserves de ma lettre d’hier dont je confirme entièrement le contenu».

La discussione delle questioni italiane nel Consiglio dei quattro avvenne a Parigi il 19 aprile4 e si constatò un profondo dissenso che con successive conversazioni si cercò di conciliare.

Mentre tali conversazioni proseguivano, avvenne la nota pubblicazione del Messaggio del presidente Wilson in cui veniva messa in dubbio la pienezza di autorità dei delegati italiani per assolvere il compito loro nella Conferenza della pace.

In seguito a ciò il presidente Orlando diresse ai capi dei Governi alleati una lettera5 contenente fra l’altro la comunicazione seguente:

«Je m’abstiens de toute appreciation sur ce fait mais je ne peux à moins, Monsieur le Président, de faire appel au Traité d’Alliance qui nous lie, ainsi qu’aux dévoirs et aux droits qui en découlent. Vous avez renouvelé tout récemment les déclarations les plus formelles sur Votre ferme intention, dont du reste je n’ai jamais douté, d’assurer à l’Italie tous les droits qui découlent du Traité. C’est en invoquant ces liens d’alliance que je viens Vous prier de vouloir bien considérer l’impossibilité dans laquelle la Délégation Italienne se trouve de prendre une part ultérieure aux travaux de la Conférence à la suite du grave incident qui vient de se produire.

3 Lettera di Orlando a Clemenceau del 14 aprile (non pubblicata).

4 In una prima versione della minuta di questa nota, conservata nel fondo Aldrovandi, a questopunto risultava inserito un altro periodo, con la citazione della dichiarazione di Orlando del 20 aprile inConsiglio dei quattro, che suonava come implicita rinuncia a Fiume (Vedi D. 256). Tutto il brano deve essere stato espunto per il ripensamento di Orlando, testimoniato dalla nota «autodattilografata» qui in Allegato.

5 In data 23 aprile (Vedi D. 285).

Les conditions de paix avec l’Allemagne pouvant désormais être considérées comme arrêtées dans leurs éléments essentiels, je déclare que je suis à même de les signer avec les Alliés de l’Italie dès que les conditions de paix concernant les frontières italiennes auront en même temps été également réglées. En effet il découle clairement de l’accord aussi bien que de la déclaration signés à Londres le 26 avril 1915 que les Puissances signataires des actes susdits doivent arriver ensemble à la conclusion d’une paix générale».

In una conversazione successiva avvenuta il 24 aprile6 il presidente Orlando dichiarava che la pubblicazione del Messaggio del presidente Wilson lo obbligava a ritornare in Italia per interrogare il Parlamento sulla situazione; e la opportunità di tale decisione fu ammessa dai tre rappresentanti delle altre potenze. In quella riunione i tre rappresentanti suddetti esposero i punti di vista rispettivi e fu ancora una volta constatato che nessuna intesa od accordo potevasi raggiungere dai Governi alleati ed associati sulle condizioni di pace concernenti le rivendicazioni italiane, sia in via conciliativa al di fuori del Trattato di Londra, sia per quelle contenute nel Trattato stesso.

Il Governo italiano ha intanto consultato il Parlamento nazionale ricevendo un voto di piena solidarietà e fiducia7. Delle dichiarazioni fatte al Parlamento dal presidente del Consiglio si trascrive il passo seguente come quello che riassume, ancora oggi, la situazione in cui si trova il Governo italiano:

«L’Italia non si trova già in presenza di una soluzione in cui alleati e associati coincidono nella rigorosa ed insorpassabile misura del patto convenuto o nella proposta di un compromesso nel quale essi tutti consentono; bensì, invece, in presenza di un dissenso che finisce col negare praticamente la possibilità attuale che determinate condizioni territoriali riservate all’Italia possano essere contenute in un trattato di pace accolto da tutte le potenze alleate ed associate. Finché a questo non si pervenga, finché il complesso dissidio esistente anche tra i nostri alleati e la potenza associata non sia risolto, la conclusione della pace non è possibile nei rapporti dell’Italia; e noi abbiamo già detto come non sia giustamente possibile una pace che non abbia il valore di pace generale».

Un altro passo del discorso del presidente del Consiglio Orlando riaffermava il nostro ardente desiderio ed il nostro fermo proposito di mantenere l’alleanza cementata dal sangue comune.

Tali dichiarazioni sono state espressamente e ripetutamente fatte e mantenute dai delegati italiani in tutte le discussioni che si erano riferite alle nostre rivendicazioni.

Mentre dunque il Governo italiano si trova sempre in attesa di conoscere dai suoi alleati quale soluzione essi abbiano a proporre d’accordo con il Governo degli Stati Uniti, o quale condotta essi intendano adottare insieme all’Italia per l’esecuzione dell’accordo e della Dichiarazione di Londra del 26 aprile 1915, debbo pregare

V.E. di richiamare l’attenzione del suo Governo sul fatto che non solamente tale dichiarazione vieta fra alleati ogni pace separata, ma contiene altresì la seguente disposizione:

«Les quatre Gouvernements conviennent que lorsqu’il y aura lieu de discuter les termes de la paix, aucune des Puissances Alliées ne pourra poser des conditions de paix sans accord préalable avec chacun des autres alliés».

Il R. Governo avrebbe ritenuto necessario ed urgente di richiamare l’attenzione del Governo di V.E. su di ciò anche soltanto in seguito alla notizia ufficialmente comunicata ieri al r. ambasciatore a Parigi dal ministro degli affari esteri di Francia8, che gli alleati si propongono di presentare martedì 6 corrente ai plenipotenziari tedeschi a Versailles le condizioni di pace con la Germania. Ma questo richiamo deve, con grande rincrescimento del Regio Governo, assumere il valore di una formale protesta in seguito all’altra notizia che è pure stata comunicata per la stessa via ufficiale e cioè che sia stata deliberata la convocazione tra il 13 ed il 16 maggio dei delegati dell’Austria e dell’Ungheria, e ciò al di fuori di ogni consenso del Governo italiano, a cui non si è neanche data preventiva notizia di tale intenzione.

Sembra al R. Governo che quest’atto sia in formale dissenso coi patti di alleanza di sopra indicati.

Per quanto riguarda la convocazione dei delegati tedeschi, si poteva forse addurre una spiegazione per ciò che alla compilazione della maggiore parte delle clausole l’Italia aveva partecipato e che i motivi principali del suo dissenso non riguardavano la pace con la Germania. Tuttavia, anche a questo proposito, il Regio Governo deve fare osservare che gli risulta che talune condizioni di pace con la Germania sono state modificate senza preventivo accordo con il Governo italiano, che deve perciò fare le più ampie riserve.

Ma per quanto invece riguarda la pace con l’Austria e l’Ungheria, l’Italia rappresenta fra le cinque grandi potenze quella che è maggiormente interessata, e nessun accordo si è formato per ciò che riguarda tanto le condizioni territoriali quanto tutte le altre questioni. Il Regio Governo deve dunque fare osservare ai Governi alleati che la portata di questo atto non può conciliarsi coi patti convenuti tra gli alleati stessi e sui quali l’alleanza si fonda.

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, [AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA]9

L. Roma, 2 maggio 1919.

Carissimo, ci ho ripensato ancora e credo che sia preferibile di evitare la inclusione testuale di quella mia dichiarazione del 20 aprile. La portata del documento che abbiamo redatto si riassume in due proposizioni formali: la prima, la violazione del patto della pace separata; la seconda, l’assenza di ogni possibilità di sistemazione territoriale italiana. La tra

9 Di questa lettera non risulta il destinatario, che doveva però essere quasi certamente Sonnino,firmatario della nota agli ambasciatori alleati a Roma. Si pubblica qui in Allegato per la sua stretta connessione con la preparazione della nota di Sonnino.

scrizione di quel lungo passo non è quindi richiesta dalla natura del documento. Se gli alleati vorranno desumere un motivo di violazione del Trattato dal solo fatto che noi abbiamo parlato di Fiume, sarebbe tale insigne malafede che, se essi sono determinati, non vi sarà citazione di passi che potrà dissuaderneli. Chi ci vieterà, del resto, di ricordare il passo stesso il giorno in cui quella iniqua accusa ci fosse mossa? D’altra parte l’includere espressamente, in un documento che ha un valore direi quasi di riepilogo, la nostra rinunzia a Fiume, per quanto subordinata ed eventuale, mi sembra assai più atto ad indebolire la nostra situazione all’interno di quanto non possa esserlo a rafforzare la nostra situazione all’estero. Io penso che si potrebbe, invece, là dove si trascrivono le dichiarazioni da me fatte alla Camera, aggiungere anche quel passo in cui io parlo del nostro fermo proposito di mantenere l’alleanza, aggiungendo anche che tali dichiarazioni io avevo sempre espressamente fatte e mantenute in tutte le discussioni che si erano riferite alle nostre rivendicazioni. Lo scopo mi sembra che così si raggiunga ugualmente, senza ripetere una dichiarazione che in questo momento mi sembra pericolosa.

376 3 Nel testo in arrivo: riserva.

377 2 In data 14 aprile (Vedi D. 194, All. 1).

377 6 Si fa riferimento probabilmente alla riunione dei Quattro del pomeriggio del 24 aprile. Vedi D. 300. 7 Il voto di fiducia in Parlamento è del 29 aprile.

377 8 Vedi D. 367.

378

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 1585/663. Vienna, 2 maggio 1919 (perv. il 3).

Giornali pubblicano testo nota 14 aprile di Wilson1 alla Delegazione italiana in cui Wilson dichiara essere personalmente favorevole a che frontiera fra Italia ed Austria Tedesca sia fissata in conformità Trattato di Londra. Il Gabinetto convocato d’urgenza votò seguente dichiarazione: Comunicazione Wilson è inconciliabile con convenzione armistizio che fu conclusa in base 14 punti, poiché nel punto 9 era detto confini Italia dover essere fissati in base principi nazionalità facilmente riconoscibili. Pretese Italia su Alto Adige sono fondate esclusivamente su ragioni strategiche le quali sarebbero sufficientemente tutelate da confine etnografico. Del resto Wilson nel suo discorso sulla tomba di Washington non riconobbe frontiere debbano essere determinate da ragioni strategiche ma affermò diritti popoli deliberare loro sorte. Ciò nonostante Governo austro tedesco offrì all’Italia (...) Tirolo che avrebbe garantito pienamente suoi interessi strategici ma non ebbe alcuna risposta né dall’Italia né da suoi alleati. Nessuna dichiarazione è stata mai fatta da alcuno degli alleati al Governo austro tedesco che esso avrebbe potuto salvare Alto Adige rinunziando all’unione colla Germania. Esiste invece un rapporto fra le due questioni nel senso che se Alto Adige è assegnato all’Italia la parte rimanente del Tirolo dovrà necessariamente unirsi alla Germania. Austria Tedesca confinante anche ad Occidente con la Germania sarà allora anche più necessariamente costretta ad unirsi ad essa.

Un comunicato ufficiale aggiunge che Governo austro tedesco farà tutto il possibile per impedire annessione Alto Adige all’Italia ed è pronto di sostenere a tale intento «grandi e seri sacrifici». Fu inoltre deciso prendere accordi col Governo provinciale Tirolo per una azione comune.

La stampa tiene un linguaggio eccitato. «Reichspost» interpreta allusione Governo a sacrifici nel senso che per salvare Alto Adige esso è disposto rinunziare unione Germania. Se invece Alto Adige fosse perduto unione avverrebbe. Giornale approva linguaggio Governo ma critica ritardo con cui tale linguaggio viene tenuto. Nei circoli tirolesi si dichiara che se Austria Tedesca si opporrà neutralizzazione il Tirolo prenderà esso stesso in mano i suoi interessi.

In complesso, nonostante testo Trattato di Londra e dichiarazione di Wilson, prevale opinione accreditata dalla missione francese che l’unione alla Germania Austria Tedesca possa salvare Alto Adige.

378 1 Vedi D. 194, All. II.

379

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, PICHON

NOTA. Parigi, 2 maggio 1919.

J’ai l’honneur de porter à Votre connaissance que le Gouvernement Royal Italien vient d’être informé par le Commandement Suprême de l’Armée Italienne que depuis le 29 Avril des forces Yougoslaves ont attaqué à l’improviste les troupes autrichiennes dans les secteurs d’Arnoldstein, Villach, Rosenbach et Ferlach, en atteignant sur plusieurs points la rive droite de la Drave dans le bassin de Klagenfurt.

L’action militaire des Yougoslaves constitue une violation flagrante de l’armistice conclu le 15 Janvier dernier entre eux et les Autrichiens. En plus, elle affecte directement les intérêts et les droits du Gouvernement Italien en tant qu’elle se déroule sur des territoires visés par l’article 4 de l’armistice signé le 3 novembre 1918 par les Hauts Commandements des Armées italienne et austro-hongroise, comme étant susceptibles d’être occupés par l’Italie dans le but du maintien de l’ordre, ainsi que de l’exécution de toute opération militaire.

La position tout à fait particulière et délicate de l’Italie à l’égard de la zone actuelle des hostilités austro-slaves a été d’ailleurs reconnue par la Conférence de la Paix elle-même. En effet la Délégation Italienne a toujours insisté, au sein des Commissions territoriales de la Conférence, sur la nécessité de procéder à la délimitation de la frontière entre l’Autriche-Allemande et la Yougoslavie. Les délégations américaine, britannique et française ont au contraire voulu laisser en suspens le tracé à l’Ouest de la route de Klagenfurt à Laybach, en estimant que l’étude de cette portion

379 Note identiche furono dirette in inglese da Imperiali a Balfour e da Cellere a Lansing, secondo le istruzioni di Sonnino (vedi D. 362).

de frontière était au nombre des questions que le Conseil Suprême de la Conférence avait soustraites à l’examen des Commissions territoriales comme intéressant directement l’Italie.

Le Gouvernement Italien attire ensuite l’attention des Gouvernements des Grandes Puissances Alliées et Associées sur les dangers de la plus haute gravité que l’action militaire des Yougoslaves pourrait entraîner pour la situation internationale, par le fait même qu’elle vient de couper les chemins de fer à travers lesquels s’effectue le ravitaillement de l’Autriche Allemande et de la Tchéco-Slovaquie.

En troisième lieu le Gouvernement Italien s’empresse de rappeler aux Gouvernements des Puissances Alliées et Associées la déclaration solennelle, formulée par le Conseil Suprême de la Conférence, à savoir que toute opération militaire et toute occupation de territoires effectuée pendant les travaux de la Conférence ne saurait constituer aucun titre pour le reconnaissement des faits accomplis.

En relation de ce qui précède, pour les motifs sus-exposés, j’ai l’honneur d’informer Votre Excellence que je suis chargé par le Gouvernement du Roi de protester formellement contre l’action militaire des Yougoslaves en Carinthie, en faisant les plus amples réserves quant aux mesures que l’Italie se verrait obligée à prendre en vue d’assurer l’application de l’armistice, ainsi que pour la continuation régulière du service de ravitaillement et pour la sauvegarde de ses intérêts.

380

GALLARATI SCOTTI AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

L. Parigi, 2 maggio 1919.

Le invio due copie della mia breve relazione sui colloqui con il cardinale Amette e Denys Cochin1. Il commendatore Galli ne desidera una copia.

Date le circostanze in cui sono arrivato a Parigi credo di aver ottenuto il massimo che si potesse ottenere da un primo incontro.

Con il prof. Schiaparelli eravamo rimasti intesi perfettamente sulla via da seguire che è circa quella indicata da Denys Cochin.

Ho trovato il padre custode molto suggestionato dagli inglesi dai quali si ripromette molte cose. Non credo che padre Rosati — fidatissimo e italianissimo — veda però con molta chiarezza la situazione2.

Sarò sempre a disposizione se in qualcosa possa veramente essere utile la mia modesta azione.

ALLEGATO

RELAZIONE. 29 aprile 1919.

Riassumo i due colloqui avuti il 26 aprile 1919 con il cardinale Amette e con Denys Cochin.

Premetto per quanto si riferisce al mio colloquio con l’arcivescovo di Parigi che essendogli presentato dall’arcivescovo di Milano egli mi parlò della questione di Palestina da un punto di vista essenzialmente religioso e senza alcun sospetto dei miei rapporti col Governo.

Mi disse che interessato dalla S. Sede egli aveva parlato direttamente con Clemenceau della sorte della Palestina. Clemenceau gli aveva fatto comprendere che ormai un accordo con l’Inghilterra era stato preso. Che l’Inghilterra avrebbe avuto il mandato dalla Lega delle Nazioni, lasciando alla Francia la Siria. Clemenceau aveva anche parlato di «internationalisation des lieux saints». Ma il cardinale crede che con queste parole intendesse esprimere garanzie internazionali sui santuari.

Di fronte a questo nuovo ordine di cose il cardinale invocava anche da parte dei cattolici italiani una difesa dei diritti della cattolicità e della latinità. Egli sentiva il pericolo di vedere il mondo anglosassone invadere completamente il Levante, distruggendo l’eredità secolare delle due grandi nazioni cattoliche mediterranee. Un’opera di comune difesa doveva essere condotta dai cattolici presso i rispettivi Governi, perché considerassero l’immensa importanza politica della stessa posizione e tradizione religiosa dalle nazioni latine. Il cardinale temeva inoltre che l’Inghilterra avrebbe appoggiato per fini politici i greci ortodossi. Ne era un sintomo il progetto dell’Inghilterra di affidare ai greci ortodossi Santa Sofia a Costantinopoli — atto che avrebbe avuto una enorme ripercussione in tutto l’Oriente e una immediata azione anche sulla posizione dei greci in Palestina.

Questo in sintesi il pensiero del cardinale Amette.

Quanto a Denys Cochin che io già conoscevo ma a cui ero ripresentato da un comune amico accademico, il Bontrona, il colloquio fu improntato alla maggiore cordialità. Gli ero noto per affinità di studi, ma non credetti di nascondergli che attraverso l’Associazione dei missionari ero venuto a Parigi per parlare coi delegati nostri degli interessi della Palestina.

Egli pure non mi nascose che già l’accordo tra Francia e Inghilterra per i mandati di Palestina e di Siria era conchiuso. Ammise che l’Inghilterra era sempre più invadente anche in materia religiosa. La classica Inghilterra liberale dl Gladstone era tramontata. Ormai ci trovavamo di fronte a una Inghilterra imperialista per la quale cattolicesimo o anglicanismo erano strumenti di dominazione. Era interesse comune di Francia e Italia salvare quanto si poteva della propria posizione morale nel Mediterraneo.

Confessò che egli aveva avuto una concezione esclusiva e egoistica del protettorato francese e della supremazia spirituale cattolica della sua nazione, come il marchese Salvago Raggi ricorda in modo particolare. Ma oggi si trattava di guardare la realtà in faccia. Se Italia e Francia si fossero disputato un primato religioso in Palestina, l’unico risultato sarebbe, in un breve periodo di tempo, di venire escluse entrambe da un’abile politica inglese. Inoltre simili dissensi generano uno stato di debolezza morale di fronte al mondo mussulmano che osserva e giudica. Meglio dunque venire a degli accordi per ottenere garanzie comuni in base a diritti e tradizioni secolari sui santuari e dividere in qualche modo la sfera della protezione e dei privilegi, per eliminare le cause degli attriti, di cui un terzo profitterebbe. Egli mi citò la lettera del cardinale Gasparri del 26 giugno l9173 dove è chiaramente espresso il pensiero che la vecchia forma del protettorato non potrà più sussistere nella nuova configurazione politica del Levante. La Francia stessa comprende che bisognerà trovare una nuova forma di garanzie, riconosciute dallo stesso trattato di pace, e di cui l’Italia deve essere partecipe.

Chiesi allora a Denys Cochin in quale modo egli intravvedesse possibile questa garanzia di diritti e questa divisione di prerogative. Mi rispose che non aveva in proposito una idea precisa; che avrebbe volentieri accolto proposte e collaborato per una soluzione di comune gradimento; che la questione non poteva però risolversi che sulla base concreta del nuovo assetto politico della Palestina.

Uscii dal colloquio con Denys Cochin persuaso che egli fosse sicuro nell’ammettere una azione e posizione comune dell’Italia e della Francia, con relativa divisione di prerogative in Palestina; ma ciò perché, col mandato all’Inghilterra, le ambizioni politiche di cui la posizione religiosa erano base, cessano di avere per centro i Luoghi Santi.

Mi è parso pure che mentre il Cochin era realmente preoccupato dell’invadenza anglosassone non avesse nessuna preoccupazione dell’invadenza greca-ortodossa, per quanto cercassi di fargli sentire come essa fosse rafforzata dallo sfacelo religioso della Russia e dalla protezione dell’Inghilterra.

380 1 Gallarati Scotti era stato incaricato dal Governo di sondare il pensiero delle autorità civili ereligiose francesi sulla questione dei Luoghi santi.2 Il riferimento è evidentemente ad un incontro con i rappresentanti della Custodia di Terrasanta (il padre custode Diotallevi ed i padri Rosati e Robinson) in quel momento a Parigi (Vedi D. 129).

381

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

T. GAB. 100. Roma, 3 maggio 1919, ore 9,45.

Telegramma di V.E. n. 76491.

Di fronte avanzata jugoslavi in Carinzia che minacciano interruzione ferroviaria e di fronte richiesta del Ministero degli affari esteri austriaco prego considerare possibilità militare occupare sollecitamente ferrovia fino Sanveit, basandosi su termini armistizio. Dal punto di vista politico tale azione mi sembra indispensabile anche per salvaguardare comunicazioni Trieste. Prego telegrafarmi con la massima urgenza se e quando codesto comando potrebbe procedere occupazione di cui si tratta2.

2 Vedi poi D. 398.

380 3 Non pubblicata in serie quarta vol. VIII. 381 1 Del 1° maggio. Non pubblicato.

382

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE.

T. GAB. 101. Roma, 3 maggio 1919, ore 10,15.

Telegramma di V.E. n. 1911.

Vostra Eccellenza può rispondere che nelle attuali circostanze Governo italiano non crede poter procedere nomina suo membro della commissione per organizzazione Lega delle Nazioni. Nostra presenza non è d’altronde indispensabile non trattandosi di deliberazioni essenziali alla Lega delle Nazioni, né pregiudicante nostra ulteriore eventuale rappresentanza. Prego comunicare quanto precede ad Imperiali perché formuli eguale risposta a Cecil.

383

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. 1152 UU. Roma, [3 maggio 1919].

In relazione alla nota inviata ieri sera a queste ambasciate di Francia e d’Inghilterra (mio telegramma 98)1 Bonin e Imperiali dovranno chiedere di essere ricevuti oggi stesso a mio nome da Clemenceau e Lloyd George cui debbono fare una mia comunicazione diretta e personale. Gli ambasciatori dovranno far rilevare a Lloyd George e Clemenceau che nella nota anzidetta si comunica al tempo stesso il voto di fiducia che il Ministero italiano ha avuto dal Parlamento. Nell’intrattenersi coi due capi di Governo sul contenuto della nota, Imperiali e Bonin dovranno condursi secondo le istruzioni inviate nel mio telegramma 992 e tendenti a giungere ad un accordo il più presto. Anche Cellere dovrà chiedere di essere ricevuto dal presidente Wilson per informarlo della nostra comunicazione agli alleati e per dirgli che siamo sempre desiderosi di trovare una via di conciliazione.

383 Edito in CRESPI, D. 40. Il testo in arrivo reca come data di partenza il 2 maggio. Ma che sitratti del 3 maggio risulta dal riferimento alla «nota inviata ieri sera a queste ambasciate di Francia eInghilterra (mio telegramma 98)» che è del 2 maggio e dalla datazione di Crespi.

1 Vedi D. 377, in realtà a firma Aldrovandi.

2 Vedi D. 376, in realtà a firma Sonnino.

382 1 Con il T. Gab. 191 del 1° maggio Bonin aveva dato notizia dell’invito di Wilson al Governoitaliano perché nominasse un rappresentante nella commissione di nove membri designata a preparare ilprogetto per l’organizzazione della Lega delle Nazioni il cui statuto era stato approvato il 28 aprile.Anche Imperiali aveva ricevuto analogo invito da parte di Lord Cecil (T. Gab. 475 dello stesso giorno).Vedi poi D. 409.

384

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 170/35. Londra, 3 maggio 1919, ore 15 (perv. ore 4,10 del 4).

Credo mio dovere riferire aver appreso da fonte privata e confidenziale che reputo bene informata che basi proposte eventuali britanniche per soluzione nostra questione siano le seguenti:

1) Larghe concessioni economiche specialmente in miniere.

2) Si pregherebbe Italia consentire che Fiume sia eretta per un certo periodo di tempo come libero porto sotto la sovranità o degli Alleati o della Lega delle Nazioni. Alla fine di detto periodo popolo di Fiume sarà chiamato decidere sua sorte per plebiscito. Riconoscimento fin d’ora da parte degli Alleati appartenenza Fiume all’Italia palliativo plebiscito riuscirà allora in tal senso.

3) Sarebbe altresì proposto che ottenga sovranità Zara Sebenico Lissa ed altre isole che non mi sono state precisate.

4) Attribuzione Valona.

5) Revisione statuto Dodecaneso se non immediatamente almeno fra qualche tempo.

Dalla stessa fonte ho saputo che a seguito unanime decisione popolo italiano si ritiene qui possibile che Wilson faccia comprendere non aver nulla da dire circa questione Adriatico e che, sebbene contrario, possa assolutamente garantire nota annessione pure non vi si opporrà.

Devo infine aggiungere che medesima persona mi ha confermato sfere competenti sembrano ognora propendere in favore atteggiamento America e che pertanto ogni eventuale reazione debba attendersi specialmente dalla personale iniziativa di Lloyd George.

385

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. 1369. Parigi, 3 maggio 1919, ore 16,05.

Ringrazioti tua telefonata mezzo Battioni e tuo telegramma1. Ambiente americano è naturalmente molto riservato.

È giunta nota Sonnino con istruzioni ambasciatori2. Sono lieto siano così giunte istruzioni e mandate precise e ritengo che attività diplomatica sia riservata esclusiva

2 Vedi DD. 376 e 377.

mente Imperiali e Bonin, coi quali De Martino, Cellere e io siamo in perfetta fusione di animo e di intenti. Mi permetto esprimerti mia profonda convinzione che, data difficoltà situazione, nulla potrebbe essere più pernicioso in questo momento che il lavorare per vie diverse. Poiché avete scelta la via naturale dell’incarico trattative ai due ambasciatori accreditati presso gli alleati, non dubito escludere ogni altra strada che non sia immediatamente raccordata e dipendente dalla opera loro. Questo mi permetto dirti pel caso che altre strade fossero o si mantenessero aperte. Il compito dei due ambasciatori è difficilissimo.

Ieri ebbi lunghi colloqui con Clémentel e Loucheur che dimostrano molto interessamento arrivare soluzione e erano ansiosi avere risposta alla proposizione da essi con Tardieu formulata mercoledì 303. Invece dare risposta ho prospettato gravissima complicazione sopravvenuta per la convocazione dei plenipotenziari austriaci e ungheresi. Essi si sono persuasi che la pubblicazione di tale notizia può provocare violento scoppio indignazione, e hanno ripetutamente dichiarato che modo agire verso Italia è insensato. Ho lasciato comprendere che se prima di martedì Governi alleati non avranno trovato soluzione, Governo italiano potrebbe trovarsi costretto da indignazione popolare chiamare subito plenipotenziari tedeschi a Roma. Questa prospettiva ha fatto grandissimo effetto. Ritengo che essi faranno ora ogni sforzo possibile sul loro Governo. D’altra parte avendo loro chiesto come possono nostri alleati garantirci Patto di Londra, risposero che questo riguarda loro e che si sentono assolutamente sicuri da[re] tale garanzia.

Da ciò risorge tutta la difficoltà situazione e difficilissima posizione ambasciatori Imperiali, Bonin, che se insistessero sul Trattato di Londra indubbiamente formerebbero accordo fra Alleati e Wilson. Nelle presenti condizioni Wilson ha interesse aderire Trattato di Londra protestando vivamente perché sa benissimo che questa accettazione, implicando cessione Fiume alla Croazia, pone il Governo italiano in imbarazzo.

Deputato Della Guardia4 ha ieri conferito con Wilson e dice essere sua impressione che presidente è pronto accettare Trattato Londra con Fiume alla Croazia, e che Jugoslavia sarebbero pure pronti accettare ben inteso colle più ampie proteste per Dalmazia5. Ciò vi prova sempre più che posizione nostra è difficilissima e che sola azione concordemente rimessa con spirito di larga fiducia agli ambasciatori Imperiali e Bonin può condurre ad un relativo successo. Della Guardia dice che suo presidente non crede alla attuale espressione del Parlamento, della stampa, del popolo, ritenendo tutti siano comprati o dipendenti dal Governo. Sapendo corrispondere suo desiderio pregoti comunicare Sonnino queste mie espressioni.

4 Recte La Guardia.

5 Riferendo in termini analoghi del colloquio tra Wilson e La Guardia in un telegramma urgente a Orlando, dello stesso giorno, ore 12,40, Battioni aggiungeva: «Il Della Guardia si offrirebbe comeintermediario, ma credo, pur lasciando che agisca per conto suo nell’ambiente americano, svolgendoazione sua personale e di sua iniziativa nostro favore, convenga evitare qualsiasi passo ed attendere notepratiche ambasciatori».

385 1 Del 3 maggio. Non pubblicato.

385 3 Vedi D. 346.

386

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 172/666. Vienna, 3 maggio 1919, ore 19,30 (perv. ore 9,30 del 4).

Mio telegramma n. 6631, in data di oggi.

Ministro affari esteri Bauer, a cui ho fatto notare che opinione pubblica e stampa danno importanza esagerata questione Alto Adige, mentre trascurano questione frontiera con jugoslavi, ha insistito noti concetti che perdendo Alto Adige, Austria Tedesca perderà tutto il Tirolo e Voralberg. Inoltre popolazione Alto Adige malcontenta ragioni nazionali ed economiche formerà un «irredentismo» che renderà impossibile amicizia cordiale fra Italia da una parte e Austria Tedesca e Germania dall’altra. Bauer dichiara che Austria Tedesca è disposta fare all’Italia ogni più larga concessione dal punto di vista militare, e vorrebbe avere in proposito degli scambi di idee sulla questione dell’unione Austria Tedesca alla Germania. Mi disse che se essa sarà vietata dalle potenze dell’Intesa, simile divieto non ha mai un carattere assoluto e (...). Mi risulta che situazione Bauer quale ministro esteri è molto compromessa e non è improbabile portafoglio esteri sia affidato ad altre mani. Ministro di Francia Allizé mi comunica che ad Innsbruck dovrebbe aver luogo oggi un’assemblea per chiedere proclamazione indipendenza Tirolo dall’Austria Tedesca2. Sottosegretario affari esteri von Pflügl tirolese ha chiesto oggi un’intervista ad Allizé per chiedergli un consiglio. Allizé mi dice essere sua intenzione di rispondere miglior consiglio essere di non farne nulla e di attendere deliberazione Conferenza pace.

387

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 169/194. Parigi, 3 maggio 1919, ore 20 (perv. stesso giorno).

In esecuzione istruzioni telegramma in chiaro a firma Orlando1 mi sono recato oggi alle 14 e mezza da Clemenceau. Gli ho detto che venivo a vederlo d’incarico del presidente del Consiglio e gli chiesi se fosse a conoscenza della nota diretta da S.E. Sonnino a Barrère e Erskine2. Egli mi disse che ancora non l’aveva ricevuta, che sol

2 Vedi D. 406.

387 Il telegramma è controfirmato da De Martino. Edito in SONNINO, Carteggio, D. 446 ed in CRESPI, D. 43.

1 Vedi D. 383.

2 Vedi DD. 376 e 377.

tanto gli era stata segnalata una lunga nota nostra. Allora gliene riassunsi i punti più salienti rilevando in primo luogo che essa comunicava nel tempo stesso al Governo francese e all’inglese il voto di fiducia ottenuto dal Ministero italiano e segnalandogli situazione a noi creata dal dissenso esistente non solo fra l’Italia e le altre potenze ma anche fra le potenze stesse. Clemenceau mi disse che voleva anzitutto espormi suo punto di vista e in tono più misurato che non sia suo costume, ma che rivelava non poco risentimento, mi disse che a suo giudizio noi avevamo sbagliato strada. Chiedendo Fiume che il Patto di Londra assegna alla Croazia noi uscivamo dal Patto di Londra; nutrendo quella aspirazione, noi dal primo inizio della Conferenza avremmo dovuto proporre ai nostri alleati una revisione del Patto che ci desse Fiume sotto qualche forma contro nostre rinunzie in altri punti. Invece, egli disse, abbiamo voluto forzar la mano agli alleati dichiarando ultimamente che non potevamo associarci all’invito ai tedeschi se non fossero regolate le nostre questioni e poi lasciando la Conferenza. Con questo atto noi avevamo violato il Patto di Londra con conseguenze che potrebbero essere assai gravi.

Non potevamo pretendere di tenere in sospeso la pace del mondo indefinitamente. Ed accennò, senza voler precisare, alla possibilità di qualche prossimo atto pubblico da parte degli alleati che potrebbe rendere per noi anche più difficile la situazione. Non ho bisogno di dire all’E.V. che ho risposto a tutte queste affermazioni ora ribattendo ora riservando e sopratutto per quanto concerneva violazione Patto di Londra che affermai invece essere commessa dagli alleati con la convocazione austro-ungheresi.

Egli replicò che i suoi giureconsulti avevano già in pronto conclusioni dimostranti violazione essere da parte nostra.

Dopo aver opposto ai suoi tutti i nostri argomenti dissi a Clemenceau che delle sue parole non volevo ritenere se non quelle che apparivano avere qualche carattere conciliante e consono ai sentimenti che egli mi andava malgrado tutto confermando della sua antica amicizia per l’Italia.

Gli dissi che stava bene parlare di non uscire dal Patto di Londra ma quale assicurazione e garanzia poteva egli darci di poterlo fare accettare da Wilson? A ciò egli rispose senza esitazione quanto già Loucheur e Tardieu avevano detto a Crespi cioè che questa era cosa che riguardava i nostri alleati. Gli chiesi allora, prendendo occasione da quanto egli aveva detto in principio nella nostra conversazione sulla possibilità d’un compromesso per Fiume, se io potevo ritenere che egli appoggerebbe schiettamente una nostra proposta conciliativa. Egli mi disse che sì, se essa si fondasse su basi accettabili, dicendomi però che parlava per conto della Francia soltanto e ripetendo ciò che del resto mi aveva detto più volte nel corso della conversazione, che i nostri alleati non prenderebbero mai iniziativa di farci proposta alcuna. Parlando della possibilità di compromesso ed avendo avuto io occasione di dire che noi non avremmo mai accettato una qualsiasi formula che non assicurasse Fiume alla famiglia italiana, egli mi disse che ciò egli capiva perfettamente.

Quando però gli accennai alla nota proposta del «Temps» egli mi disse che non gli pareva cosa seria. Evidentemente egli pensa alla soluzione tipo Sarre proposta da Tardieu e Loucheur.

Uscendo dal gabinetto di Clemenceau incontrai quei due ministri più Klotz, i quali tutti mi raccomandarono vivamente di suggerire al mio Governo di non lasciare incominciare le trattative con i delegati tedeschi in nostra assenza.

Con questo telegramma mi limito a riferire mio colloquio con Clemenceau rimandando mie impressioni e commenti al telegramma collettivo che invierò contemporaneamente di concerto con i miei colleghi3.

386 1 In realtà il T. Gab. 663 di Macchioro è in data 2 maggio. Vedi D. 378.

388

L’AMBASCIATORE IMPERIALI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 168/486. Parigi, 3 maggio 1919, ore 21 (perv. ore 23,55).

Telegramma di V.E. n. 991.

Oggi ho conferito con Lloyd George. Ho cominciato per comunicargli messaggio di cui odierno telegramma in chiaro del presidente del Consiglio2. Ha replicato non conoscere ancora testo nostra nota3 di cui Barrère ha trasmesso soltanto breve riassunto. Gli ho allora indicato punti essenziali della nota, specie quelli concernenti obbligo incombente agli alleati in base trattato circa previamente concordata formulazione proposte di pace, ed ho manifestato legittime doglianze per invito rivolto a nostra insaputa agli austriaci ed ungheresi. Ha replicato decisione essere stata imposta ai tre Governi dalla nostra assenza. I consiglieri legali britannici e francesi hanno espresso l’avviso che coll’abbandonare Conferenza ritirando persino nostri rappresentanti da tutte le commissioni, noi ci siamo separati dagli alleati ed abbiamo virtualmente annullato il Trattato. Contro questa tesi ho naturalmente levato vivaci proteste che è inutile enunciare.

Lloyd George ha poi nettamente rifiutato di entrare in conversazione nel merito delle questioni controverse, ha anzi insistito sul carattere affatto privato nostro colloquio. Lloyd George ha affermato: 1) Conversazioni non possono in sede di Conferenza essere in sostanza riprese pel solito tramite diplomatico. A tale procedura è assolutamente contrario Wilson che esige discussioni avvengano tra plenipotenziari qualificati a pronunziarsi senza bisogno di previo assenso telegrafico di chicchessia, assumendo dei loro atti responsabilità solo davanti rispettivi Parlamenti. 2) Che se il giorno dell’incontro con i tedeschi, alla domanda di essi circa Italia, si dovrà rispondere che i rappresentanti ufficiali dell’Italia sono assenti, il Patto di Londra «è andato». E qui mi ha ricordato l’avvertimento datomi il 24 corrente (vedi il telegramma collettivo

n. (...)4. 3) Che se invece i nostri delegati saranno a Parigi prima dell’incontro con i tedeschi, egli mantiene tuttora integra dichiarazione fatta ripetutamente al presidente

388 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 447 ed in CRESPI, D. 44.

1 Vedi D. 376.

2 Vedi D. 383.

3 Vedi D. 377.

4 Si tratta del T. Gab. 479 del 2 maggio (qui D. 374). In esso per altro l’osservazione di LloydGeorge («se voi non sarete con noi a Versailles, il Trattato di Londra se ne va») è collocata al 23 aprile.

del Consiglio che Inghilterra «will stand by» e pur non impegnandosi ben inteso a dichiarare, per questo, guerra all’America, rifiuterà di firmare qualsiasi pace non conforme Patto di Londra. Per converso Fiume dovrà, in tal caso, giusta medesimo Patto, venire consegnato senz’altro ai croati. 4) Che se nostri plenipotenziari tornano alla data indicata egli nutre ancora speranza si potrà discorrere con Wilson per giungere ad una soluzione conciliativa sulle basi all’incirca che formarono oggetto ultime discussioni in seguito alle quali, a suo dire, l’intesa era quasi sul punto di raggiungersi quando noi, malgrado sue insistenze, adottammo tesi di Wilson e rifiutammo di proseguirle. Su questo punto però Lloyd George ha esplicitamente confermato sue precedenti dichiarazioni circa unica soluzione Fiume ossia a città libera sotto Lega delle Nazioni. La soluzione venne da lui qualificata di accettabilissima per noi. Delle due l’una, disse: o italiani hanno predominanza in numero influenza posizione economica ecc. o non l’hanno. Nel primo caso essi finiranno sempre per essere i padroni, nel secondo caso non vi è più ragione di discutere. Lloyd George ha inoltre soggiunto che se R. Governo mantenesse ultime disposizioni da V.E. manifestate all’incaricato d’affari britannico, che cioè non potremmo oggi più contentarci di quanto ci sarebbe stato possibile accettare allora, ogni speranza d’intesa sarebbe vana. Che gravissimo errore e pregno delle più serie conseguenze è stata la nostra ritirata, all’ultimo momento, proprio alla vigilia dell’incontro col nemico, dopo che per tre mesi poco o nulla si è da parte nostra tentato per negoziare circa una soluzione conciliativa che si sarebbe certamente trovata. Per questo motivo appunto egli, rendendosi subito conto dell’imbarazzo in cui ci aveva posto la pubblicazione del comunicato Wilson, sulla quale non voleva manifestare apprezzamenti, e conscio delle per noi spiacevoli conseguenze della secessione dalla Conferenza, tentò quanto era umanamente possibile, con risultato purtroppo negativo, per spingerci a non partire.

Sgradita conversazione, nella quale ho naturalmente in ogni punto ribattuto argomenti del primo ministro, si è terminata col pistolotto finale sulla gravissima responsabilità che pesa sulle spalle dei Governi alleati trovantisi di fronte ai rispettivi popoli imperativamente clamanti pronta conclusione pace, nella impossibilità di giustificarne rifiuto per semplice questione Fiume.

Nel linguaggio con me, per la prima volta, severo ed asciutto di Lloyd George, attraverso solite manifestazioni di rincrescimento e di sollecitudine a modo suo dei veri interessi italiani, mi è sembrato scorgere pure qualche traccia di personale risentimento per insuccesso sua azione mediatrice. Primo ministro, nell’accennare alla primitiva impressione di Wilson, Clemenceau e sua che Delegazione italiana sarebbe subito qui tornata appena ottenuto voto di fiducia della Camera, ha lasciato intendere che accertata nostra decisione di assenza il giorno dell’incontro coi tedeschi provocherebbe invio di comunicazione, forse già in preparazione, allo scopo di precisare in condizioni per noi spiacevoli atteggiamento finale degli alleati.

Non è mancata nemmeno una ripetizione, per quanto non precisa, dell’allusione fattami il 24 all’eventualità di una richiesta di evacuare Fiume. Lloyd George ha pure detto che naturalmente una volta accertato deciso ritorno nostra Delegazione, non mancherebbero pretesti per differire di un giorno o due incontro con i tedeschi.

387 3 Vedi D. 397.

389

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 175/... Parigi, 3 maggio 1919, ore 21 (perv. ore 23,45).

È mia opinione che interservizio soccorsi (Relief)1 e vettovagliamento deve essere considerato come vasta impresa umanitaria intesa a impedire che con la fame si diffonda anarchia, mezzo principalissimo per ristabilire condizioni normali in Europa. È quindi essenziale che questo servizio abbia precedenza su tutti gli altri (salvo quelli richiesti da impellenti necessità militari) e che non soltanto come arma per combattere disordini. Mi risulta chiaramente che ciò corrisponde pure al concetto di Hoover, direttore generale Relief, e del Governo americano in generale e posso dire che mi sento sicuro che Stati Uniti non hanno avuto mai in mente di valersi della sospensione invio viveri come mezzo coercitivo nelle attuali divergenze politiche.

Raccomanderei quindi vivamente che questo concetto fondamentale servisse di linea di condotta alle autorità italiane nell’[interesse]2 di tutti.

Identico telegramma spedisco alle LL.EE. Diaz e Orlando.

390

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. GAB. 102 RIS. PERS. Roma, 3 maggio 1919, ore 21,40 (perv. il 4).

Barrère mi ha comunicato il seguente progetto d’accordo sulle rivendicazioni italiane:

1) Fiume aux italiens après réalisation de la condition contenue dans l’article 2.

2) Construction, dans un nombre d’années déterminé, à fixer après avoir pris conseil d’ingénieurs, et par les soins d’un consortium international, d’un port pour la Jougoslavie, soit à Segna, soit à Buccari, et d’un raccordement par voie ferrée à la ligne d’Agram1.

389 Edito in CRESPI, D. 42. Telegramma identico fu spedito a Orlando e a Diaz. 1 Il Relief (Relief and Reconstruction of Europe Commission) era un organismo per l’assistenza ai paesi devastati. Era diretto da Hoover e faceva parte del Supremo consiglio economico.2 Così in CRESPI, cit.

390 Il telegramma reca l’annotazione «riservato alla persona. Decifri Ella stessa». Il testo in arrivo, su carta intestata Gabinetto, risulta separato in due telegrammi: 102/26 GAB. e 1527 GAB., con numero di registro in arrivo1158 e 1157 rispettivamente.

1 Contro il progetto Barrère, e specialmente contro l’ipotesi di costituzione di un consorziointernazionale per la nuova ferrovia e il nuovo porto iugoslavo, intervenne Crespi con telegramma aOrlando delle ore 15,30 del 4 maggio.

3) Jusqu’à la réalisation de la condition contenue dans l’article 2, administration de Fiume par la Société des Nations, mais avec présidence italienne du Directoire International chargé d’administrer Fiume au nom de la Société des Nations.

4) Après constatation de l’achèvement, dans le temps et les conditions déterminées, des travaux prévus à l’article 2, Fiume appartiendra aux Italiens.

5) La Dalmatie aux Jougoslaves moins Zara et Sebenico.

6) Ou Zara aux Italiens et Sebenico à la Societé des Nations, ou Zara et Sebenico à la Société des Nations, mais avec présidence italienne du Directoire International chargé d’administrer Zara.

7) Octroi réciproque de garanties spéciales à determiner, par exemple en matière scolaire et religieuse, en faveur de l’élément de race italienne compris dans le territoire jougoslave, et de l’élément de race jougoslave compris dans le territoire italien.

8) Faculté d’option de nationalité pour les italiens en Jougoslavie, ou des Jougoslaves dans les territoires attribués à l’Italie.

Il presidente del Consiglio ed io abbiamo detto a Barrère che in massima potevamo essere favorevoli ad una soluzione del genere salvo alcune modifiche. Tali modifiche da me comunicate a Barrère consistono nel porre un limite massimo di quattro anni (non oltre il 30 giugno 1923) al periodo di tempo contemplato nei paragrafi 2 e 4; nell’aggiungere «qui seront attribués avec leurs districts à l’Italie» dopo le parole «Zara e Sebenico» dell’articolo 5, e nel determinare il diritto d’opzione contemplato dall’articolo 8 agli italiani di Traù, Spalato, Ragusa ed agli jugoslavi di Fiume, Zara e Sebenico. Tale restrizione impedisce infatti che ad esempio in Istria siano incluse entro la nostra sovranità grosse isole di nazionalità jugoslava. Al paragrafo 6 del progetto Barrère ho sostituito il paragrafo seguente: «Les îles et le reste comme dans la Convention du 26 avril 1915».

Barrère mi ha detto che il progetto era suo personale, presentato senza conoscenza del suo Governo, ma che, da quanto aveva arguito, a Parigi non sarebbe stato impossibile farlo accettare. Egli si è riservato di rispondermi domattina in merito alle modifiche da me fatte.

Quanto precede per norma esclusiva di V.S., di S.E. Crespi e dei r.r. ambasciatori, poiché tutto quanto precede deve tenersi completamente segreto fino a nuove istruzioni.

391

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 3 maggio 1919, ore 22,30.

Ore 13 sono venuti qui all’Hotel ministri Clémentel e Boret, per comunicarmi, anche a nome Loucheur, che questa sera Governi francese e inglese avrebbe notificato una nota al Governo Italia, per chiamarlo alla Conferenza. Nel caso non avesse aderito invito, si sarebbe ritenuto Governo italiano uscito dall’alleanza1. Ministri

amici furono molto lieti sapere da me che viceversa oggi stesso Governo italiano ha notificato sua nota Governi alleati. Detta conversazione è sorpassata dagli avvenimenti. Ho ricevuto importantissima lettera da Klotz, ministro delle finanze2, nella quale mi comunica che Consiglio tre ha stabilito con una clausola riparazioni, da noi finora sconosciuta, che Germania pagherà indennità alleati in proporzione dello sforzo compiuto su ciascuno dei teatri della guerra. Questa clausola, grandemente dannosa all’Italia, deve essere energicamente respinta. Anche clausole per fornitura carbone all’Italia sono cambiate e devono essere respinte3. Pregoti comunicare quanto sopra Sonnino. Data grande autorità ed esperienza dell’on. Martini, trattenutosi finora all’Edoardo VII e partito oggi ore 14, ha creduto opportuno venire da te, per riferirti verbalmente circa parte della situazione, della quale gli spiegai quanto mi parve opportuno. Egli ti esporrà anche incidente circa tuo ultimo telegramma4, incidente che potrebbe avere effetti spiacevoli.

391 1 Sulla questione v. FRUS, vol. V, pp. 426 sgg.

392

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL SUO CAPO DI GABINETTO, BATTIONI

T. URG. Roma, 3 maggio 1919.

Prego chiamare a sé il marchese Imperiali e in via del tutto riservata e senza che rimanga traccia in atti fargli seguente comunicazione in mio nome: «Stamane è venuto a trovarmi un deputato inglese dell’isola di Galles, amico personale di Lloyd George. Egli si chiama Grifth1. Viene in Italia per un affare personale e mi ha portato pure la parola di Lloyd George, che aveva visto a Parigi la settimana scorsa. Egli mi espose i soliti progetti, molto confusi, su Fiume. Io gli feci osservare che vi è qui una questione più importante ancora che quella di Fiume, ed è il fatto che l’Italia non ha sinora alcun territorio che possa esserle attribuito d’accordo tra le due potenze alleate e la potenza associata. Egli mi disse che nessuna persona in Inghilterra può credere che non ci si diano i territori del Patto di Londra. Io replicai che se questi territori ci

3 In questa linea nella seduta plenaria del 6 maggio successivo, Crespi fece la seguente dichiarazione: «En vue de la possibilité que pendant l’absence temporaire de la Délégation Italienne, certainesclauses, qui avaient déjà été adoptées avec le concours de la Délégation Italienne, aient été modifiées, jedois, à toute fin utile, faire les réserves qui pourraient être justifiées par les circonstances».

4 Si riferisce al fatto che «per involontario equivoco» il T. 1152, anch’esso del 3 maggio (qui

D. 383) non era pervenuto in cifra ma interamente in chiaro, come precisa un telegramma di Battioni aPetrozziello delle ore 22 dello stesso giorno.

392 Il telegramma pervenne a Battioni solo nella tarda serata del 4 e dovette essere comunicato aImperiali solo nella notte, come risulta da un successivo «riservatissimo» di Battioni a Orlando delle ore24 del 4 maggio.

1 Il nome è errato. Si tratta di Ellis Griffith, deputato dell’isola di Anglesey (Galles).

sono attribuiti effettivamente, la questione di Fiume si potrebbe risolvere mediante concessione di territori ai jugoslavi nell’hinterland della Dalmazia, ove però tali accordi fossero simultanei, in guisa che all’Italia non arrivasse la notizia di un abbandono di Fiume anche per un periodo transitorio. Quel deputato mi disse che avrebbe telegrafato a Lloyd George a mezzo dell’Ambasciata».

Credo utile che il marchese Imperiali sia informato di ciò, anche perché io credo che questa via potrebbe facilitare l’assenso di Wilson. Gli alleati dichiarerebbero che all’Italia si debbono assegnare i territori del Patto di Londra, e Wilson non avrebbe ragione di opporsi, non potendo pretendere che la Francia e l’Inghilterra manchino all’onore della loro firma. Contemporaneamente i jugoslavi cederebbero Fiume all’Italia contro concessioni nell’hinterland dalmata, e Wilson non avrebbe ragione di opporsi trattandosi di accordi diretti. Un tale procedimento potrebbe salvare la dignità di tutti nella forma, arrivando nella sostanza a quel minimo di nostrerivendicazioni che è già stato telegrafato. È però assolutamente indispensabile che l’accordo coi jugoslavi sia considerato come contemporaneo all’annunzio dell’accettazione del Patto di Londra, senza di che si avrebbe un periodo intermedio in cui l’Italia potrebbe credere che Fiume non le viene assegnata2.

Il marchese Imperiali terrà questa comunicazione per suo conto e la potrà lanciare come una sua idea senza però mai farne argomento di una nostra proposta. Desidererei molto che il marchese Imperiali avesse maniera di conferire con Lloyd George, anche per controllare esattezza della trasmissione telegrafica fattagli dal deputato inglese, e ciò perché lo scambio di idee tra noi è avvenuto attraverso un interprete non molto capace, e quindi è possibile che vi sia stato qualche errore di interpretazione.

391 2 La lettera (in data 2 maggio) del ministro francese delle finanze Klotz, in realtà preparata daKerr, in risposta alle osservazioni di Crespi (del 30 aprile) a lord Sumner, a Davis e allo stesso Klotz sultesto delle clausole per le riparazioni (vedi qui D. 349), è edita in FRUS, vol. V, pp. 415 sgg.

393

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1566/484. Parigi, 3 maggio 1919, ore 18.

Telegramma di V.E. Gabinetto n. 9538 del 1° corrente1.

Tomasi della Torretta ha fatto a questa Delegazione georgiana opportuna comunicazione circa missione italiana che si reca nel Transcaucaso, esponendo scopo economico che R. Governo si propone di raggiungere in quelle regioni ed accennando alla possibilità che le truppe inglesi siano sostituite anche prossimamente da truppe italiane.

Delegazione si mostrò soddisfatta di tale comunicazione e di quanto R. Governo pensa di fare nel Transcaucaso. Espresse fiducia che missione italiana giunta sul

luogo saprà mantenersi in perfetto accordo con il Governo di Tiflis e con le autorità militari inglesi. Torretta diede ampie assicurazioni a questo proposito.

Sarebbe forse opportuno raccomandare telegraficamente al colonnello Gabba di mettersi subito in contatto con il Governo di Tiflis cercando di stabilire con esso fin dal primo momento rapporti cordiali.

392 2 Di questa ipotesi di compromesso Orlando fece cenno anche a Crespi, in un telegrammainviatogli la mattina dello stesso giorno, a mezzo Battioni, per telefono.

393 1 Con il T. 9538 del 1° maggio Sonnino aveva autorizzato ad informare la delegazione georgiana della partenza della missione italiana per la Transcaucasia.

394

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1599/243. Washington, 3 maggio 1919 (perv. il 4).

Koltromara presidente Vatra1 ha inviato a Wilson telegramma di protesta contro l’affermazione del memorandum del presidente degli Stati Uniti del 14 aprile circa esistenza di un pieno accordo sulla cessione di Valona all’Italia. Valona ceduta all’Italia in cambio Fiume e attitudine delegati americani favorevole alla cessione alla (...) di provincia albanese di Argirocastro e di porto Santi Quaranta mostrano, dice il telegramma, intenzione delle potenze alleate e degli Stati Uniti di attuare le clausole del Trattato segreto di Londra del 1915 spartendo Albania. Con ciò, continua telegramma, Serbia e Grecia saranno incoraggiate a esigere tutto ciò che assegna loro Trattato segreto Londra e creazione Albania indipendente diventerà una illusione atroce e indegna delle democratiche potenze associate.

395

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 4 maggio 1919, ore 1,15 (perv. ore 3).

A seguito di quanto ti ha anche telegrafato Battioni, ti informo che oggi1 ore 17 è tornato da me deputato La Guardia che ha presentato Lansing memoriale contenente una sua proposta per risolvere questione adriatica. La Guardia è stato per tre anni console americano in Fiume. Pare rivesta perciò certa autorità. Sua risposta riassume

si nel costituire Fiume (...) corpus separatum annesso al Regno d’Italia, nell’unire Susak a Fiume in una sola municipalità, nel costituire Zara e Sebenico in città libere per cinque anni, poi loro sorte dovrà essere decisa plebiscito. Lo stesso La Guardia ha poi avuto colloquio con colonnello House che, dopo aver avuto frasi gentili ed amichevoli per Italia ed Orlando, incaricò formalmente La Guardia venire da me col seguente memorandum che trascrivo integralmente:

«Nel caso che i seguenti punti fossero approvati dal Governo americano, quale sarebbe attitudine dei rappresentanti del Governo italiano: 1) invito ai delegati italiani di venire a Parigi per firmare il trattato di pace coi rappresentanti della Germania; 2) garanzie all’Italia dei termini del Patto di Londra fino al porto di Fiume escluso; 3) il porto di Fiume e la striscia della Dalmazia con Zara e Sebenico e le isole poste e tenute sotto la Lega delle Nazioni sino alla loro disposizione finale. I dettagli della loro disposizione così circa il tempo come circa le modalità da essere fissati dalla Lega della Nazioni».

Risposto subito che Italia non poteva rinunziare terzo punto. Allora La Guardia mi disse che colonnello House attende controproposte italiane e che perciò ha già fissato appuntamento al La Guardia domattina alle 10,30. La Guardia insistendo per pronta risposta, dovetti fissargli appuntamento per domani alle ore 9. In questo momento Cellere trovasi in conferenza Wilson. Da tale convegno dipende evidentemente risposta da dare La Guardia. Comunque prego darmi istruzioni2.

394 1 La Vatra era la federazione panalbanese d’America che si batteva per la costituzione di unfocolare (vatra) indipendente per la nazione albanese.395 Il telegramma fu inviato a Orlando con preghiera di comunicazione a Sonnino.1 Il riferimento è evidentemente al 3 maggio nella cui serata fu preparato il telegramma, spedito poi nella notte.

396

L’AMBASCIATORE, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, MACCHI DI CELLERE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 177/487. Parigi, 4 maggio 1919, ore 2 (perv. stesso giorno).

S.E. Orlando avendo telegrafato stamane1 «anche Cellere dovrà chiedere di essere ricevuto dal presidente Wilson per informarlo della nostra comunicazione agli alleati e per dirgli che siamo sempre desiderosi di trovare una via di conciliazione» ho chiesto ed ottenuto udienza da Wilson per le ore 18.30 di oggi. Ne sono uscito alle ore 19.30.

Premetto che Wilson si era scusato due volte di non potermi designare l’ora del-l’appuntamento e che mi ha invitato alle ore 18 per le ore 18.30 dopo aver conferito nel pomeriggio con Lloyd George e Clemenceau. Gli ho detto dell’incarico ricevuto. Wilson era già informato della nota di V.E. a codeste Ambasciate francese ed inglese.

Non ne conosceva esattamente il contenuto ma sapeva che vi si protesta contro la convocazione dei plenipotenziari austriaci. Avendo constatato in lui fino dal principio, dietro una perfetta cortesia, un assoluto proposito di freddezza e di riserva, ho cercato di addentrarmi nell’argomento per scrutare il suo pensiero. Ho detto che dopo il voto della Camera la Delegazione italiana sembrava giustificata di attendere una parola da Parigi che le spianasse la via al ritorno in base a qualche proposta che conciliasse i vari punti di vista col verdetto del popolo italiano. A Parigi si era non soltanto inteso diversamente ma si prescindeva dall’Italia, invitando a trattare a nostra insaputa la pace il nostro più diretto nemico. Ciò obbligava l’Italia a protestare e a richiamare gli alleati ai patti convenuti. Wilson ha replicato che la colpa era nostra per aver abbandonato la Conferenza, e per il modo col quale il dissidio era stato prospettato da S.E. Orlando al Parlamento. Si è riportato all’ultimo colloquio in casa di Lloyd George2, alle pressioni esercitate da ognuno sul presidente del Consiglio perché non partisse, alla possibilità in quel giorno di risolvere la vertenza, alla dimostrazione fatta a S.E. Orlando delle gravissime conseguenze che avrebbe generato il suo abbandono ed alla risposta del presidente del Consiglio «che vedeva chiaramente quelle conseguenze ma che le avrebbe ugualmente affrontate». A questo riguardo Wilson ha detto di avere compreso che V.E. stessa si sforzava, ma invano, di scongiurare la partenza. Dal canto mio ho ribattuto a Wilson che nel colloquio che io ebbi posteriormente con lui quello stesso giorno egli sembrò convenire nella necessità per S.E. Orlando di appellarsi al paese. Wilson ha rettificato che le ragioni addotte dal presidente del Consiglio spiegavano ma non giustificavano la sua partenza. Quanto alle dichiarazioni fatte al Parlamento Wilson ha manifestato che, in presenza del noto rifiuto dei Tre di darci Fiume, sarebbe stato a suo avviso preferibile non alimentare oltre le illusioni del popolo italiano. Ho obiettato che la volontà del paese per Fiume si rivelò in modo clamoroso prima ancora delle dichiarazioni del Governo al Parlamento al quale il rifiuto dei Tre venne da S.E. Orlando francamente ed ampiamente esposto. Ho aggiunto che le dimostrazioni spontanee del popolo accentuavano il lato sentimentale delle rivendicazioni nazionali su Fiume e che poteva sembrare non impossibile di trovare una soluzione che, sottraendo i fiumani alla dominazione croata, appagasse l’aspirazione unanime dell’Italia. Wilson ha replicato che egli aveva già proposto per Fiume una forma di autonomia che era stata recisamente scartata dal presidente del Consiglio. Addentrandosi poi a discutere di Fiume, ha ripetuto i noti suoi argomenti aggiungendo di nuovo che lo stesso Ossoinack il quale, in presenza di S.E. Orlando, fu tanto veemente a sostenere l’annessione all’Italia3, in un precedente colloquio con Wilson prima del suo ritorno in America aveva chiesto l’autonomia di Fiume e aveva dichiarato che i croati si erano astenuti dal votare quando egli fu eletto deputato alla Camera ungherese. Me ne sono dichiarato sorpreso. A questo punto e sempre nell’intento di leggere in fondo al pensiero di Wilson mi è sembrato dover insistere sulla gravità della situazione odierna per chiedergli se a spianare la via egli non avesse nulla da suggerire. Mi ha risposto di no. Vedeva la «tragica» gravità della situazione, profetizzata a S.E. Orlando, il quale aveva dichiarato di affrontarla, ed egli onestamente non sapeva che cosa poter dire. Il

presidente del Consiglio a suo avviso aveva commesso un errore di giudizio e Wilson (che si trincera evidentemente ormai dietro un proposito di fredda resistenza a tutt’oltranza) si dichiarava impotente a correggerlo. Ho insistito. Ho detto di sapere che gli alleati intendevano dichiararci responsabili della decadenza del vincolo di alleanza (Wilson mi ha confermato che i loro esperti così giudicavano, ma che egli non aveva interpellato i suoi perché si considerava a ciò estraneo) e che da ciò poteva sorgere un conflitto insanabile. Gli chiedevo perciò se egli non credesse di pronunciare una parola che, tenuto conto delle unanimi aspirazioni del paese, valesse a facilitare la soluzione. Wilson mi ha risposto: «Mi sembra di capire che vogliate da me una dichiarazione che suoni invito ai vostri di tornare. Non posso pronunciarla. Non ho nulla da dire». E per dimostrarmi che egli si atteneva tuttora fermamente al programma del suo proclama (programma che ha accennato di avere rivelato a V.E. e a S.E. Orlando tre mesi prima) ha ribadito i vieti argomenti in base ai quali ci contrasta la Dalmazia assegnata-ci dal Patto di Londra. Ho manifestato da ultimo il mio profondo rammarico. Egli vi si è associato e nulla più.

Sorvolo naturalmente su tutto quanto ho detto io stesso a sostegno della nostra causa durante il lungo e penoso colloquio dal quale ho desunto che Wilson, ormai in perfetto affiatamento cogli alleati nell’addebitarci la responsabilità dell’accaduto e nell’esimersi di noi al trattato di pace, si trincera dietro una fredda quasi sprezzante indifferenza mascherata appena da una voluta semplicità e correttezza di forma. Ho parimenti desunto che sarebbe vano tentare oltre di rimuoverlo dal suo insidioso programma a nostro danno. Egli si dichiara oltretutto sempre più convinto di servire colle sue idee i veri interessi d’Italia della quale mi si è dichiarato ancor oggi amico verace. Ne concludo che ci rimane la sola arma del Trattato di Londra.

395 2 Vedi poi D. 404. 396 Edito in CRESPI, D. 45 e in SONNINO, Carteggio, D. 448. 1 Si tratta del T. 1152 delle ore 10,20 del 3 maggio (qui D. 383). Il riferimento a «stamane» epoi a «oggi» si spiega con l’ora di preparazione di questo T. 487 spedito nella notte tra il 3 e il 4.

396 2 Potrebbe riferirsi alla riunione dei Quattro del 24 aprile pomeriggio, vedi D. 300.3 Vedi D. 195.

397

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 176/488. Parigi, 4 maggio 1919, ore 2.

Telegramma collettivo Crespi-Imperiali-Bonin-Cellere-De Martino.

Dai colloqui odierni dei tre ambasciatori risulta un peggioramento della situazione già grave prospettata nel telegramma di ieri n. 4791.

Ci troviamo di fronte al pericolo imminente di una dichiarazione di decadenza del Trattato di Londra da parte di Francia e Inghilterra se i delegati italiani restano assenti all’inizio della Conferenza coi tedeschi. I tre ambasciatori hanno fondata impressione che non si tratta di vana minaccia. Giova riflettere che, a parte la conte

397 Edito in CRESPI, D. 46 (erroneamente in data 5 maggio) e in SONNINO, Carteggio, D. 449.

1 Il T. 479 è del 2 maggio (qui D. 374). Il riferimento a «ieri» si spiega con l’ora di preparazione di questo T. 488, che evidentemente è della tarda serata del 3 maggio. Ed appunto in partenza al 3maggio è dato nel testo in arrivo al Gabinetto MAE.

stabilità del punto di vista di Lloyd George e Clemenceau, sta in fatto che è interesse di Francia e Inghilterra cogliere questo pretesto per esonerarsi dal gravoso obbligo complessivo del Trattato valendosi, come arma potente, dell’accusa di ritardare la conclusione della pace. I giuristi dell’una e dell’altra parte potranno discutere all’infinito, ma al di sopra di essi resta l’interesse manifesto dei due alleati. Ricordiamo a quale specioso pretesto l’Inghilterra ebbe ricorso per esimersi dall’accordo agosto 19172.

Per contro è evidente che nell’attuale situazione il Trattato di Londra è nostra unica ancora di salvezza sia che dovessimo ridurci a reclamare l’esecuzione pura e semplice sia che esso ci abbia da servire come base a transazione complessiva.

In tale stato di cose urge salvare il Trattato di Londra da ogni contestazione sia pure artificiosa. Unico riparo consiste nel ritorno dei plenipotenziari italiani per l’apertura della Conferenza coi tedeschi.

Si presenta a questo punto una questione di sostanza ed una di forma.

La questione di sostanza consiste nel previo regolamento, sia pure in massima, della questione adriatica. Ma oggi, di fronte al prestabilito piano del blocco che si contrasta ed al nostro isolamento, ciò appare impossibile.

La questione di forma consiste nel trovare un modo che permette alla Delegazione italiana di tornare a Parigi per quanto con la questione di merito risoluta, ma salvando il prestigio del paese e il decoro della Delegazione.

Ma su questo punto non possiamo permetterci esprimere un avviso, unico giudice essendo il R. Governo in relazione allo stato della pubblica opinione italiana.

Pericoli della situazione richiedono pronte decisioni.

398

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI, A ROMA

T. GAB. 187/19276 GM. Abano, 4 maggio 1919, ore 13,10 (perv. ore 15,30).

Risponde a 10061.

Da informazioni giunte ora risulta che austro-tedeschi hanno rioccupato tutte le posizioni precedentemente perdute e ripresa anche testa di ponte Völkermarkt. Linea di demarcazione primitiva ristabilita. Austro-tedeschi hanno conseguentemente sospeso invio rinforzi.

Stante attuale situazione sembra non necessario né opportuno per ora occupazione ferrovia fino a Sanveit. Però essendo possibile che attacchi jugoslavi si ripetano e occorrendo in tal caso immediato nostro intervento, necessario tener pronte forze sufficienti che non potrei destinare se non a pregiudizio eventuale azione che si rendesse necessaria verso Jugoslavia. E pertanto, per fronteggiare eventualità suesposta, chiedo

398 1 Potrebbe trattarsi, più esattamente, del T. Gab. 100 di Sonnino del 3 maggio (qui D. 381).

urgenza ritorno in zona di guerra di almeno quattro delle brigate inviate in paese per ordine pubblico. Resta inteso che avute queste truppe, qualora si verificasse situazione minacciosa analoga a quella ora definita, mi regolerò secondo intendimenti precisatimi dal Governo in questa circostanza e che considero come di norma per l’avvenire2. Analoga comunicazione faccio a S.E. il presidente del Consiglio e ministro della guerra.

397 2 Cfr. D. 314, nota 2.

399

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

T. GAB. 1530 RR. Roma, 4 maggio 1919, ore 18.

In data 29 aprile il comm. Battioni comunicava a S.E. il presidente del Consiglio il seguente telegramma del generale Bencivenga1:

«Nella conversazione stamani col generale Naumann capo servizi stampa Ministero esteri venne stabilito:

1) Bisognerebbe profittare subito attuale momento singolarmente favorevole per lavoro riavvicinamento tra Italia e Germania, anche senza nessun impegno da una parte o dall’altra.

2) Che Governo tedesco sarebbe disposto ad agire per influenzare stampa in tale senso.

3) Che Ministero degli esteri, come primo passo siffatta intesa, preparerebbe pubblicazione in alcuni giornali tedeschi articoli che sostengono tesi italiane. Tali giornali sarebbero «Berliner Tageblatt», «Kreuz Zeitung», «Kölnische Zeitung» e «Frankfurter Zeitung». Dottore Naumann si impegnerebbe disporre perché estratti questi articoli vengano comunicati a mezzo agenzia «Wolf» alla stampa e agenzie paesi neutrali.

4) Dottor Naumann prese nota alcuni argomenti che mio fiduciario gli propose come particolarmente graditi opinione pubblica italiana e promise che avrebbe interessato stampa perché prospettasse questione Fiume in senso a noi favorevole. Rimasi quindi d’accordo col fiduciario che sarebbesi adoperato per far tacere eventuali ulteriori polemiche su questioni Brennero.

5) Governo tedesco desidererebbe in compenso che nostra stampa spiegasse analoga azione di appoggio su questioni bacino Saar e Danzica. Fiduciario stesso tornerà quanto prima da dottore Naumann per mantenere contatti». Il presidente del Consiglio rispondeva come appresso2: «Ricevo il telegramma con le notizie pervenute da Berlino in data 27 corrente dal generale Bencivenga e le leggo con il massimo stupore. Non sono infatti

2 In data 30 aprile.

ammissibili conversazioni del genere di quelle ivi riferite, avvenute senza nessuna autorizzazione del Regio Governo il quale non intende in nessun modo mancare alla lealtà verso i suoi alleati anche col semplice dubbio di atteggiamenti ed intese con chi è tuttora nostro nemico. Prego di comunicare quanto precede al generale Bencivenga, facendogli pervenire istruzioni di venire subito in Italia».

Il generale Bencivenga è venuto a Roma e mi ha fatto chiedere se e quali istruzioni il Ministero affari esteri avesse ad impartirgli in merito a quanto precede.

Gli è stato risposto che, dipendendo egli dal Comando Supremo, avrebbe ricevuto da quest’ultimo eventualmente istruzioni e per sua notizia gli è stato aggiunto che avrei telegrafato a V.E., come ora faccio, proponendo che il generale Bencivenga rimanesse per ora in Italia salvo a decidere sul suo ritorno o meno a Berlino fra una decina di giorni secondo la situazione del momento.

Prego V.E. comunicare le istruzioni che Ella invierà a questo proposito al predetto generale.

398 2 Verificatasi poi tale situazione, con la ripresa dell’avanzata jugoslava in Carinzia, su sollecitazione urgente dello stesso Diaz (Nota 8276 SP. del 10 giugno), le truppe italiane, a partire dal 14 giugno, procedettero all’occupazione della zona Villaco-S.Veit.

399 1 Vedi anche il T. 95 di Bencivenga del 28 aprile (qui D. 327).

400

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

FON. Parigi, 4 maggio 1919, ore 19.

Pregoti rispondere vista se avete deliberato sul nostro telegramma collettivo di questa notte1. Governo francese ha fatto presso di me in questo momento passo amichevole a mezzo solito ministro amico. Sono pronti rinviare convocazione delegati austriaci. Vi consiglio nuovamente venire subito Parigi2 con intento dare battaglia a fondo su Patto di Londra. Dovreste cioè ingaggiare battaglia ed intanto le persone che vi stanno intorno troveranno certo la transazione, poiché rispondendo a Barrère avete già ammesso principio che sovranità Fiume può essere rinviata di quattro anni3. Dilazionando anche di poche ore annunzio vostro ritorno si potrebbe creare situazione ancora più grave: se decidete tornare autorizzare subito qualcuno intervenire domani prima seduta Consiglio Lega Nazioni. Sarebbe inutile irritare maggiormente ambiente americano. Pregoti rispondermi immediatamente poiché lettere rifiuto intervenire Consiglio Lega Nazioni4 sono pronte ma non ancora spedite.

2 Analogo sollecito Crespi aveva inviato già con telegramma a Orlando delle ore 18,15.

3 Per il progetto Barrère e le controproposte Orlando vedi D. 390.

4 Si tratta delle lettere, già pronte in data 4 maggio, da parte di Bonin e Imperiali, rispettivamente per Wilson e Cecil, con le quali, su istruzioni di Sonnino (qui D. 382), si esprimeva il rammaricodel Governo italiano per non essere in grado, «in view of present circumstances», di prendere parte allaprima riunione del Comitato organizzatore della Società delle Nazioni. Sulla questione v. poi D. 409.

400 1 Vedi D. 397.

401

L’AMBASCIATORE, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, MACCHI DI CELLERE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 185/492. Parigi, 4 maggio 1919, ore 20 (perv. il 5).

A titolo di doverosa informazione riferisco a V.E. quanto segue: Imbattutomi oggi nel signor Miller, questi mi si è mostrato desideroso di parlare, chiedendomi cosa c’era di nuovo. Mi sono tenuto sulle generali, non senza prospettargli però la strana situazione che gli Alleati ed Associati sembravano di comune accordo voler creare all’Italia, addebitandole la responsabilità e le conseguenze di fatti cui la nostra Delegazione venne trascinata soltanto dagli avvenimenti a lui noti. Ho riepilogato a questo riguardo le vicende dei giorni scorsi, senza che egli potesse obbiettare nulla, ed ho conchiuso coll’attirare la sua attenzione sulla barriera che ci veniva opposta dallo stesso disaccordo regnante fra Alleati ed Associati rispetto alla soluzione della questione adriatica. Il sig. Miller, confermandosi amico nostro, mi ha detto che occorreva comunque raggiungere subito un accordo. Egli lo vedeva facilmente ottenibile in un paio d’ore nella riunione in Parigi di quattro rappresentanti, uno per ciascun Governo, col mandato di formulare circa l’Adriatico una raccomandazione unanime da essere presa in considerazione dai quattro Governi. Egli propendeva perfino a suggerire che questa riunione fosse a tre, con esclusione della Francia, che a suo dire si sarebbe acconciata alla volontà inglese. Ma arrendendosi alle mie obiezioni, ha formulato la proposta per i quattro, insistendo peraltro che i delegati americano ed inglese fossero House e Balfour. Consapevole delle conversazioni di ieri fra i tre ambasciatori ed i tre capi di Governo1, ma senza farne in alcun modo menzione, io ho espresso forti dubbi sulla accettabilità da parte dei terzi di un piano siffatto. Il signor Miller non divide questo scetticismo ed alla mia domanda se poteva garantire l’eventuale accettazione di Wilson, mi ha risposto: «Posso garantire che la proposta che venisse dal Governo italiano e che io (Miller) accetterei volentieri dalle vostre mani, sarebbe appoggiata fortemente presso Wilson». Questa proposta, a suo dire, dovrebbe essere formulata press’a poco così: il Governo italiano sarebbe lieto di nominare ... quale suo rappresentante per incontrarsi a Parigi con un rappresentante del presidente Wilson, un rappresentante di Lloyd George ed un rappresentante di Clemenceau nell’intento di addivenire rispetto all’Adriatico ad una raccomandazione unanime da esser presa in considerazione dai quattro Governi.

A questo punto ho creduto dover aggiungere altresì che siffatta proposta avrebbe potuto forse essere interpretata malevolmente come un tentativo di dilazione della questione della presenza o meno dei nostri plenipotenziari a Versailles. Il sig. Miller

401 Il testo in arrivo risulta controfirmato da De Martino. 1 Vedi DD. 387, 388 e 396.

mi ha opposto che, se avanzata subito, così da farne oggetto di accordo domani stesso, la proposta avrebbe valso invece, a suo avviso, a conciliare e risolvere ogni cosa. Pur dichiarandomi di parlare in suo nome, Miller ha mostrato d’insistere tanto sulla opportunità e fattibilità della cosa, che gli ho detto ne avrei parlato ai miei colleghi per eventuale immediata comunicazione al R. Governo.

402

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 4 maggio 1919, ore 21 (perv. ore 22,10).

Telefonicamente da Bonin. Il Gabinetto Ministero esteri francese smentisce notizia «Havas»1. Battioni che torna ora mi riferisce che notizia è uscita dall’«Associated Press» e che «Havas» ha ora sospeso ulteriori diramazioni, avendo saputo essere falsa2.

Del resto ministri amici mi dichiaravano che Wilson si oppone qualsiasi invito. Appunto perciò essi fecero passo personale verso ministro Italia. Hanno lasciato chiaramente intendere che loro presidente Consiglio è al fatto del loro duplice passo. Naturalmente tu soltanto puoi essere giudice del decoro nazionale in questo supremo momento.

402 1 Si tratta della notizia diffusa dall’«Associated Press» e poi dall’«Havas» di un invito dei treGrandi all’Italia perché riprendesse il suo posto alla Conferenza della pace.2 Analoga comunicazione fu fatta a Orlando da Battioni con telegramma delle ore 22,20 del 4maggio, poi a Sonnino da De Martino il 5 maggio con T. 493 delle ore 0,05 (edito in CRESPI, D. 50).

403

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. GAB. 1159/103. 27. Roma, 4 maggio 1919, ore 22,30 (perv. stesso giorno).

Per Imperiali, Bonin, Cellere.

Prego V.E. fare ai Governi francese, britannico ed americano, appena le perverrà un mio ulteriore telegramma di conferma, seguente comunicazione verbale:

«Avuta ogni più ampia conferma della fiducia che Parlamento e paese ripongono nel R. Governo pel raggiungimento delle maggiori aspirazioni nazionali [di liberazione e di sicurezza]1, desiderosi di non complicare in questo momento così grave la complessa situazione politica e morale dell’Europa con qualunque atto positivo o negativo che potesse essere preso da chicchessia a motivo o a pretesto per l’allontanamento della pace da tutti desiderata e fiduciosi nelle assicurazioni dei Governi alleati e nelle loro buone disposizioni di agevolare un accordo che risolva con comune soddisfazione e nell’interesse generale le delicate questioni interessanti l’Italia nell’Adriatico, il presidente del Consiglio ed io abbiamo risoluto di partire domani (lunedì) sera per Parigi, dove arriveremo mercoledì mattina2 per potere sperabilmente prendere parte alla prima riunione coi delegati germanici»3.

Nutriamo fiducia che questa riunione potrà essere ritardata a mercoledì secondo ammetteva Lloyd George per permettere nostra presenza mercoledì. Prego darmi di ciò assicurazione.

Vossignoria curerà che siano presentate alla segreteria della Conferenza nostre credenziali che si trovano nella camera di Aldrovandi nel secondo tiretto a destra del-l’armadio.

Per tutto quanto precede però dovrà essere attesa una mia eventuale comunicazione di conferma4.

403 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 450 e, parzialmente, in ALDROVANDI, p. 293 e in CRESPI, p. 522.1 Le parole «di liberazione e di sicurezza» mancano nel testo in arrivo.2 La minuta manoscritta reca «al più presto martedì sera».3 Ricevuta venne accusata da De Martino con T. Gab. 495 (collettivo) delle ore 1 del 5 maggio. 4 La conferma fu data da Sonnino con T. 104 delle ore 8,45 del 5 maggio. Vedi D. 409.

404

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI

T. Roma, 4 maggio 1919, ore 22,50.

Rispondo a tuo telegramma1 che appare trasmesso la notte scorsa alle h. 1 dopo mezzanotte, mentre è arrivato qui soltanto dopo mezzogiorno. Come vedi, era materialmente impossibile che risposta ti arrivasse questa mattina. Eventualmente, darai spiegazioni in tal senso. Quanto al merito delle proposte osservo che la risoluzione proposta da La Guardia per Fiume appare ingegnosa e accettabile, sicché penso che bisognerebbe lavorarci intorno. Quanto a proposta House è evidente che il n. 3 è per noi inaccettabile, come tu hai detto, ma do al passo un valore ottimistico, in quanto indica un’attenuazione della tensione italo-americana, per il fatto stesso che il passo proviene dal Governo americano. Quanto alle controproposte che tu richiedi, osservo che è assai difficile di farle, non solo per la mancanza di tempo onde discuterle, ma anche perché è in corso trattativa attraverso Barrère2, e non vorrei usargli lo sgarbo di far procedere un’altra trattativa collaterale. Del resto, tu conosci quelle proposte e potresti eventualmente orientarti su di esse, tanto per non lasciar cadere la conversazione. Ritengo, però, che probabilmente tutte queste considerazioni saranno sorpassate, ove si verificasse quell’invito cui accenna la nota «Havas» di oggi3. Ritengo, quindi, che abbia un valore accademico il tuo secondo telegramma, in cui parli di un altro progetto per Fiume, che ritieni preferibile. Non so bene a quale progetto ti riferisca, a meno che non sia quello attraverso Quartieri4, che tu stesso escludesti. Nel merito, lascia che io ti dica che non mi preoccupo troppo delle tue obiezioni. In primo luogo, noi dobbiamo affrontare una così spaventevole battaglia politica che ogni considerazione economica perde ogni importanza. Del resto, anche a considerare il solo lato economico, credo le tue preoccupazioni esagerate: primo, perché tutti assicurano che il nuovo porto non potrebbe avere un grande sviluppo per enormi difficoltà tecniche da superare, secondo, perché in ogni caso Fiume avrà sempre un suo hinterland, che preferirà quello sbocco anche per ragioni politiche. Ad ogni modo, ripeto che non è certo nella situazione attuale che possiamo dare un gran peso a tali considerazioni.

2 Vedi D. 390.

3 Sulla questione si veda il telegramma di Crespi delle ore 21, pervenuto alle 22,10, evidentemente non ancora visto da Orlando (qui D. 402).

4 Vedi D. 313.

404 1 Vedi D. 395.

405

L’ESPERTO TECNICO, PARIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1584/5686. Parigi, 4 maggio 1919 (perv. stesso giorno).

Delegazione greca Conferenza pace sotto titolo «Violenti incidenti nel Dodecaneso» ha diramato mezzo Agenzia «Radio» Parigi notizia1 che nelle isole arcipelago dopo messa solenne Pasqua metropoliti proclamarono simultaneamente unione delle dodici isole alla Grecia e popolazione acclamò ritorno Dodecanneso madrepatria. Avendo autorità italiane ordinato disperdere dimostranti si sarebbero verificati conflitti con morti e feriti e con speciale gravità Rodi. Piroscafo greco «Roumeli» approdato Rodi sarebbe stato acclamato vivamente. Autorità italiane avrebbero decretato blocco Dodecanneso. Comitato Dodecanneso Parigi indirizzerà ai tre presidenti protesta e invito intervenire. Pregasi comunicare elementi smentita2 per immediata divulgazione. Segue mezzo corriere testo originale nota intercettata3.

406

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 1609/683. Vienna, 4 maggio 1919 (perv. il 5).

Mio telegramma 6661, di ieri.

Dieta tirolese votò deliberazione Tirolo pronto proclamare Stato indipendente democratico se per tale modo possibile salvare Alto Adige. Se ciò non dovesse riuscire Tirolo proclamerebbe sua annessione Germania2. Socialisti votarono contro prote

2 Analoga richiesta venne rivolta in data 6 maggio da De Martino a Rodi con T. 500 delle orel6,45. La mancanza di smentite aveva provocato una violenta campagna italofoba della stampa greca esasperata per l’ostilità dell’Italia verso le rivendicazioni greche in Egeo e in Asia Minore, come comunicato, per esempio, dal console a Salonicco, Dolfini, con T. 138 del 5 maggio.

3 Non si pubblica.

2 Con T. 1611/9 del 5 maggio da Innsbruck Chiovenda dava poi notizia della visita di duedelegati tirolesi, venuti a «spiegare amichevolmente» il voto, con proposte per la creazione di un modus vivendi in Alto Adige. Vedi poi anche D. 451.

stando energicamente. Giornali odierni dedicano questione lunghi articoli. Nel «Neues Wiener Tageblatt» articolo ex ministro Sieghart dichiara Alto Adige sarebbe per Germania quello che Alsazia Lorena fu per Francia e Trento Trieste per Italia. Invoca speciale aiuto Francia che ebbe durante la guerra le simpatie di tutto il mondo e invita Tardieu suo amico personale far sentire sua (...) autorevole. «Neues Wiener Journal» in articolo ex ministro presidente Lammasch protesta vibratamente contro annessione Alto Adige rivolgendosi Francia che sarebbe danneggiata dall’inevitabile annessione Tirolo alla Baviera. Si accentua sempre più la speranza di poter ottenere appoggio Francia contro annessione3.

405 1 Una nota in questo senso, datata Atene, 29 aprile, era stata già trasmessa dalla delegazionegreca al Segretariato generale della Conferenza della pace, e da questo fu poi fatta pervenire alla Delegazione italiana con foglio del 6 maggio. A sua volta Romano, da Atene, con TT. 112 e 120 dello stessogiorno, aveva dato notizia dell’atteggiamento assunto dalla stampa greca dopo la pretesa proclamazioned’unione del Dodecanneso alla Grecia.

406 1 Vedi D. 386.

407

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

APPUNTO. Roma, 4 maggio 1919.

Il console generale del Montenegro a Roma è venuto a dichiarare che il presidente del Consiglio del Montenegro tiene ad informare il barone Sonnino che egli personalmente e i montenegrini in Italia si mettono a disposizione del Governo italiano per una eventuale operazione militare nell’opposta sponda dell’Adriatico1.

Il console generale gradirà conoscere domani accoglienza fatta da barone Sonnino.

408

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

L. 1275-76. Praga, 4 maggio 1919.

Da tempo io vengo segnalando l’attività non solo militare ma politica del generale Pellé capo della missione militare francese a Praga. Egli opera apertamente in fuori e di sopra della rappresentanza diplomatica francese in questa Repubblica: ne

407 Manoscritto autografo. Annotazioni marginali manoscritte «N.B. Scritto sotto dettatura delCons. Gen» e «S.E. il ministro dice di non dare risposte di sorta, B[iancheri]».1 Il 30 aprile era stata firmata dal ministro della guerra Caviglia e dal console del Montenegro aRoma, Ramadanoviƒ, una convenzione per la costituzione di un nucleo di militari montenegrini a Gaeta.408 Manoscritto autografo. La lettera, pervenuta a Roma il 15 maggio, quando Sonnino era giàripartito per Parigi, fu ritrasmessa alla DICP, dove giunse il 22 dello stesso mese.

perora le ragioni e procaccia aiuti e benefici per mezzo del generale Foch, di cui — com’è noto — si qualifica rappresentante.

Orbene è evidente che qualcosa di analogo accade anche in Polonia, in Rumenia, a Vienna e nei Balcani, ove l’autorità militare francese è dappertutto presente ed attiva sotto veste di rappresentanza del comando unico, se non anche più semplicemente del maresciallo di Francia Foch.

Che la Francia sfrutti l’immenso prestigio militare acquistato durante la guerra, è naturale: ed è anche comprensibile che facilmente e opportunamente tenda a confondere i concetti di comando unico e di alto comando francese. Ma è, mi pare, degna di particolare attenzione la politica sempre più organicamente e decisamente unitaria, che vanno facendo tutti questi generali e queste missioni militari francesi, nell’Oriente europeo e nei Balcani.

I vantaggi sono manifesti. Era difficile alla Francia assicurarsi una situazione di supremazia direttiva localmente nei diversi Stati, sovente in lotta coperta o aperta fra loro, semplicemente sulla base delle consuete rappresentanze diplomatiche. Invece l’influenza militare appare più agevole, più utile, più accettabile, maggiormente efficace nelle attuali contingenze dominate da preoccupazioni militari e sociali.

L’intento di questa diplomazia militare non è poi diverso da quello cui si informa tutta la politica francese; e cioè la ricostituzione, in luogo della crollata monarchia austro-ungarica, di un nuovo organismo statale.

Naturalmente i modi ed i risultati di questa vasta azione possono essere apprezzati solamente da V.E. che riceve informazioni da tutte le fonti. Scopo di questo mio rapporto è sopratutto di rilevare l’attività personale del generale Pellé, che, se non mi inganno, esercita un’azione la quale esorbita dal suo ufficio di capo della missione militare francese in Boemia.

Io so per esempio che ha vivamente e con successo contrastato l’azione impulsiva e imprudente del generale Niessel, membro della Commissione interalleata di Polonia; che dà istruzioni e riceve notizie dal generale Henrys, il quale si trova attualmente in Polonia con una missione analoga a quella ch’egli stesso esercita qui; che è in relazioni molto seguitate con il generale Franchet d’Esperey, con il generale Berthelot e con la nuova missione militare a Vienna, come lo era pure col colonnello Vix, quando quest’ultimo si trovava a Budapest. Naturalmente io non posso sapere se questi rapporti siano dei semplici rapporti di collegamento, o se il generale Pellé abbia realmente una qualche superiorità organizzatrice su alcune delle autorità militari francesi più direttamente a contatto con lui. Debbo dire però che si va sempre più determinando in me la persuasione che questa seconda ipotesi si avvicini maggiormente alla realtà.

Come ho già rilevato in altri rapporti, la personalità del generale Pellé è certo notevole e particolarmente adatta per un’azione complessamente politica.

406 3 Con T. 1186/715 del 7 maggio Macchioro ritornava sulle preoccupazioni delle classi dirigenti austriache per le manifestazioni di Salisburgo: «Si osserva che le regioni che formano oggi AustriaTedesca non sono cementate da vincoli molto solidi e che tutta la Stiria e il Tirolo non erano maggiormente unite a Vienna di quanto fossero la Moravia e la Slesia. L’unione dell’Austria Tedesca alla Germania avrebbe potuto costituire un vincolo sicuro. Poiché questa sembra essere proibita si teme l’ulterioredisgregazione dell’Austria Tedesca in Stati autonomi».

409

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. GAB. 1160/104.28. Roma, 5 maggio 1919, ore 8,30 (perv. ore 8,45).

Prego dare corso telegramma n. 1031.

Aderendo invito Wilson può andare oggi adunanza Società Nazioni marchese Imperiali2.

410

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. GAB. 190/496. Parigi, 5 maggio 1919, ore 12,15 (perv. stesso giorno).

Telegramma di V.E. n. 104.281.

Mi sono recato poco fa da Pichon a fargli la comunicazione verbale prescrittami intorno all’arrivo di V.E. e di S.E. Orlando. Il signor Pichon mi lasciò appena finire che chiese la comunicazione telefonica con Clemenceau ed essendogli stato risposto che il presidente si era già recato da Wilson per la riunione dei Tre si gettò subito nella sua carrozza per recare egli stesso il mio messaggio a Clemenceau in casa di Wilson. Da tutto ciò argomento che si stava preparando a nostro riguardo qualche atto grave che Pichon ha voluto prevenire con l’immediata comunicazione del messaggio stesso. Pichon mi dichiarò che da più giorni la difficoltà con Italia lo turbava oltre ogni dire. Pichon mi disse che riunione dei delegati tedeschi avrà luogo giovedì.

409 Edito in CRESPI, p. 523.

1 Vedi D. 403.

2 Vedi D. 382, nota 1. Con telegramma delle ore 0,30 del 5 maggio De Martino aveva sollecitato con la massima urgenza una decisione in merito.410 Il telegramma è controfirmato da De Martino. Edito in CRESPI, D. 53. 1 Vedi D. 409. Nel testo in arrivo il riferimento è anche al T. 2620 (non pubblicato).

411

L’AMBASCIATORE IMPERIALI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 188/499 PREC. ASS. RR. Parigi, 5 maggio 1919, ore 13 (perv. stesso giorno).

Telegramma di V.E. Gab. 104.281.

Stamane ho fatto prima a Lloyd George e poi per doveroso riguardo a Balfour comunicazione nei termini testuali prescrittimi dal telegramma n. 103 Gab.2.

Lloyd George ha accolto notizia con visibile soddisfazione. Ha detto che come amico dell’Italia si compiaceva della decisione presa da V.E. e dal presidente del Consiglio.

Dal linguaggio primo ministro ho facilmente capito che odierna comunicazione è giunta proprio in tempo. Lloyd George ha assicurato convegno con tedeschi non poteva essere differito oltre mercoledì, delegazione germanica avendo fatto sapere che non intendeva aspettare più oltre e che in caso di ulteriore differimento si sarebbe ritirata.

412

L’AMBASCIATORE, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, MACCHI DI CELLERE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 189/498 PREC. ASS. Parigi, 5 maggio 1919, ore 13,59 (perv. ore 15,30).

Telegramma di V.E. Gab. n. 104.281. Ho fatto a Lansing alle ore 11,30 la comunicazione verbale relativa al ritorno di

V.E. e di S.E. Orlando. Lansing da me richiestone ne dava notizia immediata per telefono a Wilson. Lansing si è mostrato assai soddisfatto della comunicazione ed in tono di amichevole cortesia mi ha detto di sperare che tutto si accomoderebbe soddisfacentemente. Gli ho risposto che dividevo siffatto desiderio.

411 Il telegramma è controfirmato da De Martino. Il testo in arrivo reca erroneamente il n. 449.Edito in CRESPI, D. 54.

1 Vedi D. 409.

2 Vedi D. 403.

412 Il telegramma è controfirmato da De Martino. Edito in CRESPI, D. 55.

1 Vedi D. 409.

413

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI

T. 348. Roma, 5 maggio 1919, ore 16.

Suo telegramma 6351.

V.S. può notificare Foreign Office che con arrivo regio console Gerusalemme cessa missione Soragna. Circa condizioni cui si vorrebbe subordinare nomina console V.S. dichiarerà che R. Governo, pur essendo favorevole abolizione capitolazioni Palestina, non può anticipare decisione Conferenza pace ma è disposto riconoscere stato di fatto cioè: 1) esistenza di fatto governo militare; 2) limitazione giurisdizione Consolato Gerusalemme alla Palestina; 3) funzionamento tribunali consolari subordinato esistenza di fatto legge marziale analogamente accordi speciali vigenti in materia per Egitto.

Prego comunicare Foreign Office ed attendere sollecita risposta circa invio regio console Gerusalemme2.

414

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI

T. 1391 P. Roma, 5 maggio 1919, ore 19,30.

Circa comunicato da diramare alla stampa1 non mi pare che sia il caso. Nostra attitudine in questo momento dev’essere assolutamente austera. D’altra parte, anche senza ricorrere al comunicato formale, si possono mettere in rilievo le ragioni della nostra decisione desumendole da quanto ho telegrafato poc’anzi2 sullo stesso argomento. Il concetto predominante dev’essere questo: l’Italia intende adempiere agli obblighi dell’alleanza sino al limite estremo possibile e che considera la sua presenza alla consegna delle condizioni di pace alla Germania come adempimento del suo dovere di alleanza. Ciò era in tanto più inevitabile in quanto le recenti dichiarazioni fatte dai due Governi alleati non solo confermavano la loro piena e leale intenzione di eseguire i loro obblighi di alleanza, ma precisavano che ciò sarebbe avvenuto

2 La comunicazione fu fatta da Preziosi a Kidston il 6 maggio, verbalmente e senza le precisazioni circa le condizioni per la nomina del console a Gerusalemme (T. 671 da Londra a Sonnino, del 6maggio). E fu ripetuta più dettagliatamente (su sollecitazione di Borsarelli, T. 10416 dell’11 maggio) conla consegna di un promemoria, il 20 maggio successivo (T. 746 da Londra, in pari data). Dal 1° giugnosuccessivo sarebbe stato incaricato dalla reggenza del Consolato a Gerusalemme il vice console Tuozzi.

414 Il telegramma fu inviato a mezzo Battioni.1 Il riferimento è ad un telegramma di Crespi a Orlando delle ore 16,50 con cui si proponevaper l’approvazione una bozza di comunicato stampa sul ritorno della Delegazione italiana a Parigi.2 Il riferimento è a un precedente telegramma di Orlando a Battioni delle ore 19 n. 1390.

anche malgrado l’eventuale dissenso con l’America. L’Italia quindi doveva alla sua volta compiere l’atto di estrema solidarietà coi suoi alleati nei rapporti con la Germania, pur riservandosi piena libertà d’azione per ciò che concerne le sue questioni territoriali. Si intende che questo non deve essere un comunicato formale, ma bensì le intonazioni da fare ai giornalisti par spiegare la nostra attitudine, gli elementi della quale, se compresi bene, sono altrettanto corretti quanto nobili.

413 1 Vedi D. 373.

415

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1690/97. Belgrado, 5 maggio 1919 (perv. il 10).

Trattato di commercio. Faccio seguito al mio telegramma n. 931. Dopo le note prolungate tergiversazioni e dichiarazioni contrarie Ministero stesso mi ha oggi fatto pervenire promemoria nel quale si afferma che, non avendo Governo italiano dato suo consenso a che trattato di commercio fra Serbia2 al momento suo spirare fosse prorogato e esteso a tutti i territori Regno serbo croato sloveno secondo domanda di questo Governo, trattato deve considerarsi cessato e tariffa generale deve esser applicata alle merci importate dall’Italia in tutto il territorio del Regno serbo croato sloveno.

A mezzo corriere trasmetterò integrale promemoria.

416

IL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, BORGHESE, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 1714/B.12. Budapest, 5 maggio 1919 (perv. il 13).

Qui giunto Tacoli e missione militare comandante tenente colonnello Murari cui generale Segre avrebbe dato attribuzioni rappresentante Regio Governo1. Ignoro motivo invio missione che nel momento attuale non sembrami opportuno2 (a meno

2 Anche Tacoli (con T. 83 del 2 maggio) aveva espresso le sue perplessità sulla ricostituzionedella delegazione militare a Budapest.

che non abbia scopo pratico definito) potendo servire dare impressione riconoscimento appoggio attuale Governo. In ogni modo ritengo che avere tre persone che con veste differente trattano separatamente con questo Governo può dar luogo inconvenienti e diminuire efficacia e serietà trattative e credo dover proporre a V.E. disporre e provocare istruzioni affinché azione questa r. rappresentanza venga opportunamente coordinata e unificata3.

415 1 Non rinvenuto. 2 Si tratta del Trattato di commercio e navigazione tra l’Italia e la Serbia del 14 gennaio 1907,prorogato sino al 1° gennaio 1919.

416 1 Una missione italiana, guidata dal maggiore Pentimalli, aggregata alla missione francese delcolonnello Vix (e di cui Tacoli faceva parte in rappresentanza del Ministero degli esteri), era stata inviata aBudapest dopo l’armistizio, ma era stata ritirata dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi il 21 marzo1919. La nuova missione si configurava come delegazione di Budapest della missione militare italiana perl’armistizio di Vienna (presieduta dal generale Segre). Murari rimase a dirigerla soltanto fino al 13 maggio,quando fu sostituito dal ten. colonnello Romanelli. Tacoli vi ricopriva le funzioni di commissario politico.

417

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A ROMA

T. 1172/673. Londra, 6 maggio 1919, ore 8,40 (perv. ore 12 del 7).

Ho telegrafato S.E. Borsarelli: «Telegramma di V.E. 97301. Foreign Office comunica quanto segue in risposta memorandum consegnato da marchese Imperiali alla delegazione britannica per la pace in Parigi circa santuario del Cenacolo: Informo che Governo britannico non può che deprecare in linea di massima negoziati fra una delle potenze alleate e la Turchia durante prolungarsi stato di guerra e che pertanto esso è dolente non potere impartire proposte istruzioni»2.

418

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO

T. 1163/... Bussoleno, 6 maggio 1919, ore 14,50 (perv. ore 17).

Rispondo Suo telegramma 20661.

Autorizzo stabilire Makri e Budrum distaccamento fisso nostre truppe in relazione disordini ivi avvenuti e per proteggere nostri posti sanitari2.

Prego V.S. dare disposizioni necessarie.

2 Notizia della decisione fu comunicata da Sonnino a Sforza con T. 508 dell’8 maggio conl’aggiunta «Stabilita in massima anche occupazione Scalanova con obiettivo Ayasoluk subordinatamenteatti occupazione Smirne da parte greci». Sbarchi di marinai a Makri e Budrum e di reparti di carabinieri,genio e sanità a Marmarizza furono poi eseguiti tra l’11 e il 12 maggio (T. 457 di Elia al MAE dell’11maggio).

416 3 Vedi poi D. 570, nonché DD. 817 e 841. 417 1 Non rinvenuto. Sulla questione vedi D. 212.2 Si tratta della conclusione della Nota del Foreign Office 63738/M.E. 44 del 5 maggio, successivamente trasmessa in copia a Sonnino da Preziosi con foglio 1664/372 urg. del 9 maggio.418 1 Con il T. 2066 del 6 maggio a firma De Martino, su proposta della Sezione militare della DICP,si chiedeva appunto l’autorizzazione a stabilire a Makri e Budrum distaccamenti fissi di nostre truppe.

419

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1635/94. Budapest, 6 maggio 1919 (perv. il 7).

Ho avuto colloquio con Weltner, uno dei capi partito democratico sociale, direttore giornale «Svolgsava (?)». Riassunte condizioni attuali, gli chiesi se ritiene che partito socialista declini formazione nuovo Governo.

Rispose affermativamente dimostrandomi Governo socialista non potrebbe svolgere politica propria non avendo mezzi per imporsi partito comunista di cui non sarebbe quindi che schiavo. Confermommi masse operaie galvanizzate da capi Governo essersi ora dichiarate per resistenza; a mia richiesta convenne trattarsi unicamente fenomeno suggestione che può dare luogo qualsiasi momento nuovo stato depressione analogo quello verificatosi giorni fa.

Dissemi, qualora concetto cessazione resistenza prevalesse, essere probabile appello mediazione Italia ed al riguardo chiesemi se e quale concorso possa attendersene. Risposi che, senza poter fare nessuna dichiarazione circa possibile intervento materiale, Ungheria può contare su benevolo interessamento Italia e suo appoggio morale nonché circa immediato soccorso viveri e tessuti. Al riguardo riferiscomi miei telegrammi e conversazione Giuffrida, fino ad oggi senza riscontro.

In vista larga corrente qui formatasi per eventuale richiesta (...) Italia che qui gode maggiori simpatie, non è escluso essa possa concretarsi prima o poi in una precisa richiesta, eventualità per la quale gradirei istruzioni.

Gradirei parimenti disposizioni circa trattative fornitura viveri.

420

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. POSTA 2891 RIS. Roma, 6 maggio 1919 (perv. il 7).

Suo telegramma posta n. 7101 del 17 aprile 19191.

Ho preso conoscenza dei due telegrammi2 diretti a codesto Ministero dalla Regia Ambasciata in Londra, e parmi che possiamo convenire col Governo inglese circa l’opportunità di rimandare l’esame di qualsiasi questione collettiva da parte

2 Si tratta del T. 506 del 9 aprile (qui D. 154) e del T. 512 del 10 aprile (non pubblicato).

delle tre potenze firmatarie dell’accordo di Londra del 1906 a quando la Conferenza della pace avrà risolto altre questioni africane sorte dalla guerra.

Non posso peraltro non rilevare come l’iniziativa per una riforma della amministrazione abissina si debba al rappresentante in Addis Abeba del Governo di Francia, ed io credo che convenga telegrafare al conte Colli di contenersi in modo da fare cessare una tale agitazione.

Sullo stesso argomento mi giunge ora dal governatore della Eritrea il telegramma n. 395 del 25 aprile u.s.3 che ho il pregio di qui unire in copia.

420 1 Non rinvenuto.

421

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

Comunico all’E.V. il telegramma n. 400 in data 26 aprile u.s.1 col quale il

NOTA 1747/2891 RIS. Roma, 6 maggio 1919 (perv. il 9). Etiopia.

governatore dell’Eritrea richiama tutta la mia attenzione sulla nostra situazione in Etiopia che va persistentemente peggiorando a pieno vantaggio dell’azione francese oramai preminente in quell’Impero.

Comunico del pari il telegramma di risposta2 che gli ho subito diretto.

Ho dovuto a malincuore annoverare, fra le circostanze che hanno sfavorevolmente influito sull’attuale nostra situazione in Etiopia, anche la sterile azione della R. Legazione in Addis Abeba, specialmente in alcune trattazioni, di capitale importanza per la nostra affermazione in Etiopia, che stimo utile qui riassumere.

MONOPOLIO DEGLI ALCOOLS

La trattazione, dopo essersi protratta per diversi anni con alterna vicenda di affidamenti e di dubbiezze sul suo buon esito, si è fermata sostanzialmente alla comunicazione riportata nel telegramma-posta n. 18508 del 29 dicembre 1917 dell’E.V.3 che cioè il Governo etiopico era disposto ad accettare che la gestione della regia degli

421 La nota, pervenuta al MAE il 7 maggio, fu ritrasmessa a Sonnino a Parigi, dove giunse il giorno 9.

1 Non si pubblica.

2 Non si pubblica.

3 Non pubblicato in serie quinta, vol. IX.

alcool fosse divisa fra un gruppo francese (Chifel) e un gruppo italiano (Sciam)4. Il comm. Ostini delegato della Sciam, dopo aver trattato l’affare a Parigi, si è recato ad Addis Abeba. Nulla abbiamo saputo dell’esito delle trattative, ed ora il governatore dell’Eritrea informa che il Governo etiopico di fatto tratta nuovamente con società francese e pare prossima la conclusione. Il silenzio del r. ministro in Etiopia è, sotto ogni aspetto, non spiegabile.

FERROVIA NELLA PARTE OCCIDENTALE DELL’ETIOPIA

Il viaggio del comm. Ostini ad Addis Abeba ha avuto anche per principale obbiettivo la concessione della ferrovia oltre Setit verso Gondar che si trascina parimenti da anni.

La cosa doveva essere colà trattata di piena intesa col r. ministro che ne era perfettamente edotto. Il comm. Ostini ha già fatto ritorno in Eritrea, ma nessuna notizia la R. Legazione in Etiopia ci ha dato.

MINIERA DI DALLOL

Il Governo etiopico fu richiesto fin dal 1917 di riconoscere il passaggio di concessione della miniera di Dallol dai fratelli Pastori alla società mineraria. È una questione di primaria importanza per la posizione giuridica della società e per la sicurezza della concessione in mani italiane. L’ultima comunicazione è quella che risulta dalla lettera 31 dicembre u.s., n. 85745 di questo a codesto Ministero, dalla quale si rileva la completa accettazione da parte della società delle clausole richieste dal Governo etiopico.

Ma neppure di tale trapasso di concessione si è più avuta notizia alcuna dal r. ministro in Addis Abeba.

CONCESSIONI MINERARIE IN ETIOPIA

Della pressione esercitata dal gruppo francese Verrière-Bayart sul Governo etiopico per ottenere il privilegio dello sfruttamento minerario in Etiopia, l’esito, che pareva negativo (telegramma-posta n. 4858 del 10 marzo u.s. di V.E.)6 oggi si intravede essere ben positivo dalla notizia che ne dà il governatore dell’Eritrea al n. 3 del qui unito telegramma e dalla comunicazione fatta all’E.V. dal r. ministro in Addis Abeba col telegramma n. 48 del 15 aprile u.s.7.

Tutto ciò è in evidente contrasto con quanto il conte Colli telegrafava all’E.V. nel marzo scorso8 che cioè il Bayart nulla aveva potuto concludere ed era partito da Addis Abeba attribuendo l’insuccesso alla opposizione personale di esso conte Colli.

5 Non pubblicata in serie sesta, vol. I.

6 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

7 Non rinvenuto.

8 Vedi serie sesta, vol. II, D. 754.

STAZIONE RADIOTELEGRAFICA IN ADDIS ABEBA

Sulla richiesta di tale concessione il conte Colli fin dal 1912 assicurava che il Governo etiopico era in buone disposizioni, ma finora nulla si è concluso. La trattazione si è fermata al telegramma pel conte Colli, rimesso all’E.V. con la mia lettera del 22 febbraio u.s.9, per una formale domanda al Governo etiopico a nome del senatore Marconi, sul cui esito pareva potersi fare pieno affidamento.

Anche su questa trattazione nessuna comunicazione si è più avuta da quel r. ministro.

Mi limito per tal modo a ricordare all’E.V. le principali delle questioni che ci interessano per l’Etiopia e delle quali non si è avuto più notizia; ed è ciò che ben contribuisce a giustificare il grido di allarme del senatore De Martino il quale peraltro estende il suo lamento alla mancanza di un nostro programma capitalistico effettivo in Etiopia. Se non che, una tale affermazione del governatore dell’Eritrea, se in parte ha un fondamento nella deficienza in genere di iniziative private, non può trovare, peraltro, pieno consenso quando si consideri che per la nostra penetrazione politico-economica in Etiopia siamo riusciti da un lato a vedere costituita una solida società (Sciam) con un largo programma di azione coloniale, avente una base finanziaria che da un capitale iniziale di 400 mila lire, quale risultava nel 1915, è andato aumentando a 5 milioni di lire nel 1917 e a 25 milioni di lire nel 1918; e, d’altro lato, siamo riusciti ad avere la piena adesione della Missione della Consolata dell’Africa orientale per un largo concorso anche finanziario allo scopo di completare la nostra penetrazione economica iniziata nel sud-ovest dell’Etiopia a mezzo della Sciam con altra azione economica nel sud-est dell’Etiopia medesima.

Sul concreto programma di tale azione della Consolata mi riservo di dare al più presto precise informazioni all’E.V.

V.E. conosce che per la concessione del monopolio degli alcools in Etiopia erano state messe a disposizione del conte Colli, come mezzo di influenza, L. 30 mila dal R. Governo e talleri 50 mila (regalie e diritti di concessione) dalla Sciam. Parimenti per la concessione della ferrovia nell’ovest dell’Etiopia la Sciam è stata sempre disposta a largheggiare in mezzi di influenza presso i capi etiopici. Neanche da questo lato può, adunque, dirsi che si sia lesinato nel largheggiare.

Inoltre, abbiamo visto formarsi altre due società, la Mineraria con 9 milioni di lire di capitale versato che già sfrutta la miniera di Dallol nella Dancalia etiopica e si propone di allargare il suo campo di azione mineraria, e la Società mineraria dell’Africa orientale italiana, con 10 milioni di lire di capitale per imprese minerarie in Etiopia e nelle altre nostre colonie e nei territori limitrofi.

Quanto ad una sistemazione radiotelegrafica in Etiopia V.E. sa come i fondi siano già assicurati (ora la cifra è fissata a 2 milioni di lire) e come il senatore Marconi sia disposto ad offrire in dono al Governo etiopico due stazioni radiotelegrafiche portatili. Insomma, tutte queste disponibilità finanziarie da parte di società private e da parte del R. Governo, oltre alle disponibilità proprie del Governo dell’Eritrea, per

suadono che non in via assoluta la deficienza di mezzi può essere messa innanzi come causa degli insuccessi della nostra penetrazione economica in Etiopia.

Io, quindi, debbo pregare vivamente l’E.V. di scuotere il r. ministro in Addis Abeba richiamandolo sul nostro programma di penetrazione politico-economica in Etiopia, che, ampiamente da me svolto all’E.V. con lettera 26 gennaio 1917, n. 51610, oggi si riassume, per la parte di programma minimo immediato, negli oggetti più avanti accennati da trattare col Governo etiopico e cioè: concessione del monopolio degli alcool, concessione della ferrovia nell’ovest dell’Etiopia, riconoscimento del trapasso di concessione della miniera di Dallol, impianti radiotelegrafici in Etiopia. Sullo stato attuale di tali trattazioni urge che il conte Colli ci dia affidamento. A questi argomenti da trattare sono da aggiungere, per l’urgenza immediata, gli altri concernenti la dogana unica, i punti franchi in Adua e Dessiè e la sistemazione di quello già esistente in Gondar, ed inoltre l’autorizzazione ai capi di favorire i traffici con l’Eritrea e gli impianti di case commerciali italiane nell’ovest dell’Etiopia.

L’integrale accoglimento del nostro programma coloniale è questione vitale per la nostra politica economica di affermazione in Etiopia; altrimenti, di fronte alla invadente azione francese, la situazione per noi si farà disastrosa, e l’Eritrea e la Somalia italiana saranno del tutto sacrificate.

Attendo con fiducia dall’E.V. comunicazioni che mi rassicurino come tutti gli sforzi finora da noi compiuti non siano riusciti vani e che valgano anche a reintegrare con fondamento quella fede, che sembra in lui scossa, sui destini della Colonia.

420 3 Comunicava il telegramma n. 51 di Colli da Addis Abeba del 24 aprile, nel quale si davanotizia dell’incarico affidato al rappresentante francese dal Governo di Parigi per redigere, d’accordo coni colleghi italiano e britannico, uno schema di riforme per l’Abissinia, e della risposta dilatoria del rappresentante inglese.

421 4 Società commerciale italo-abissina. Giuseppe Ostini ne era l’amministratore delegato.

421 9 Non pubblicata in serie sesta, vol. II.

422

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

NOTA 19329 G.M. Comando Supremo, 6 maggio 1919.

Da comunicazioni inviatemi da S.E. il ministro degli esteri il 29 aprile u.s.1 risulta, per notizie direttamente raccolte presso l’elemento militare inglese, che questo, pur essendo più preparato del nostro per l’occupazione della Transcaucasia, considererebbe come troppo arduo il compito di assicurare la pace in quella regione.

Inoltre è confermato che la situazione interna della Transcaucasia è tutt’altro che rassicurante sia per l’odio reciproco fra le popolazioni delle diverse regioni, sia per l’avversione comune contro la potenza (oggi Inghilterra) che si atteggia a colonizzatrice, sia infine per i fenomeni di bolscevismo che si manifestano in Georgia.

Dal complesso di tali notizie si può ritenere che la sostituzione delle nostre truppe a quelle britanniche nella regione è da considerarsi come un servizio ingrato da compiersi da noi per l’Inghilterra.

42110 Non pubblicata in serie quinta, vol. VII. 422 1 Non rinvenute.

In considerazione della gravità delle informazioni avute, della nostra situazione politica e militare nel pericolo attuale, nonché della questione non ancora risolta riguardante la concessione dei piroscafi britannici per il trasporto del nostro corpo d’occupazione e — qual che più interessa — per assicurare ad esso in avvenire i necessari rifornimenti, ritengo conveniente, salvo avviso diverso dell’E.V., di attendere notizie almeno sommarie del col. Gabba, capo della nostra missione inviata in Transcaucasia, prima di prendere una decisione impegnativa circa l’invio di nostre truppe in quella regione, resistendo sin d’ora alle sollecitazioni che pervenissero dal Governo inglese.

Ciò fu già concordato con V.E. e con S.E. il ministro degli affari esteri; ma reputo opportuno, ad ogni modo, di confermarlo.

423

IL CAPO DI GABINETTO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, PETROZZIELLO, AL CAPO DI GABINETTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BATTIONI

T. 1407. Roma, 7 maggio 1919, ore 1.

Bisogna evitare che sia nostri corrispondenti sia giornalisti esteri accentuino troppo il carattere di spontaneità nella decisione dei nostri ministri tornare a Parigi, giacché ciò induce a credere che essi si siano mossi senza alcun serio affidamento e soltanto pel timore di restare esclusi dalla Conferenza. La qual cosa, come è facile immaginare, non produce nel pubblico buona impressione.

424

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1165/350. Roma, 7 maggio 1919, ore 2 (perv. ore 9).

Ho ricevuto oggi1 io stesso missione Azerbaigian la quale dietro mia esplicita richiesta mi ha assicurato che nostra penetrazione economica pacifica sulle più larghe basi incontrerà speciali vive simpatie Governo e popolazione che preferi

424 Il telegramma fu inviato contestualmente a Sforza senza l’ultimo periodo e con la nota:«Prego comunicare colonnello Gabba».

1 La data di spedizione del telegramma è il 7 maggio, ore 2: ma la minuta risulta redatta atarda sera del 6 (h. 22). Si spiega così il riferimento all’incontro di «oggi», il cui resoconto reca appuntola data del 6 maggio.

rebbe appunto elemento italiano anche per riorganizzare amministrazioni. Missione ha accentuato che dovrebbe essere escluso in modo assoluto intervento militare sotto qualsiasi forma.

Invio a parte rapporto Majoni2 in merito le cui conclusioni coincidono con quelle del conte Sforza. Missione conta partire posdomani per Parigi ove spera poter conferire con V.E.

425

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III, E AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. RR. PERS. Parigi, 7 maggio 1919, ore 16.

Notizie raccolte qui dagli informatori confermano che noi non ci ingannammo nella valutazione della situazione e che certamente la nostra assenza oggi avrebbe determinata la dichiarazione degli alleati che il trattato di Londra era venuto meno per fatto nostro. Tutti sono d’accordo nel ritenere l’enorme gravità della situazione che ne sarebbe derivata senza neanche il conforto di poter rimproverare agli alleati un caso di indiscutibile infedeltà. Tali impressioni contribuiscono dunque a non farmi pentire della risoluzione di partire, per quanto penosa essa sia. Sembra si accentui il dissidio Clemenceau-Foch, che ieri parlò pubblicamente contro le condizioni di pace proposte alla Germania. Nei nostri rapporti risulta in tutti i sensi da parte degli alleati una freddezza ostile, che salva appena le forme. Trovai l’invito per la riunione dei Quattro alle ore undici e vi intervenni. Non si fece alcuna allusione a noi. Lloyd George relativamente il più amichevole; Clemenceau sereno nella sua serenità; Wilson mostrava un certo turbamento. Anche io tenni una attitudine estremamente fredda e seccata. La situazione dunque è molto tesa, anche nei rapporti personali, il che mi fa pensare che sarebbe stato forse utile un mutamento degli uomini rappresentativi, pur lasciando inalterato l’indirizzo. Disgraziatamente le complesse condizioni della situazione e del paese lo impedirono e sembra che lo impediscano ancora, determinando una pregiudiziale che non è certamente benefica alle cose.

425 Il telegramma fu inviato a mezzo Petrozziello con la seguente annotazione: «Prego comunicare S.M. il re e S.E. Colosimo, avvertendo che è desiderabile, come Le telegrafa Battioni, che S.M. il resia in possesso di questo speciale cifrario per avere così modo di telegrafarmi direttamente. Lei avviseràquando ciò sarà possibile».

424 2 Non rinvenuto.

426

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. Parigi, 7 maggio 1919, ore 19,50 (perv. ore 22,15).

In relazione a telegramma diretto a Sua Maestà, di cui avrai preso notizia1, aggiungo che fu indetta per domani alle 15 una riunione per nostra questione coloniale2. Vi parteciperanno Lord Milner per l’Inghilterra e il ministro Simon per la Francia. Tra coloro che sono qui, il più informato sembra essere De Martino. Comprendo che tu non ti puoi muovere; ma vedi se convenga inviare qualche tuo alto funzionario di speciale competenza. Per quanto poi concerne irritazione Wilson ti prego vivamente di impedire che si ripetano le cause di questa spiacevole situazione. Ai meno irragionevoli dei capi del movimento, ti prego di far considerare, attraverso qualche amico comune, che il discorso d’Annunzio3 ha fatto più male che una battaglia perduta e che in tal modo non si servono certamente gli interessi del paese in un’ora così difficile. Sorveglia pure la stampa mediante la censura per quanto possa riguardare offese contro Wilson.

427

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III, E AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. RR. PERS. Parigi, 7 maggio 1919, ore 22.

Riunione Versailles con plenipotenziari tedeschi non dà luogo osservazioni notevoli. Discorso tedesco, soprattutto per sua prolissità, non parve all’altezza della situazione. Quanto alla accettazione condizioni fatte, tedeschi parlano in guisa da lasciarsi aperte tutte le porte. Ebbero luogo successivamente riunioni del Consiglio tra i quattro, dove si parlò delle colonie tedesche. In nostra assenza si assicura era preparata una spartizione tra Francia e Inghilterra. Io sollevai la questione dei com

426 Il telegramma fu trasmesso a mezzo Petrozziello.

1 Vedi D. 425 e poi anche D. 427.

2 La costituzione di una Commissione per l’applicazione dell’art. 13 del Patto di Londra erastata decisa dal Consiglio dei quattro il 7 maggio (vedi D. 444). Indetta per il pomeriggio dell’8 maggio,la prima riunione si tenne poi il 15, a causa del ritardo nel ritorno del delegato britannico Milner (vedi poi

D. 500). 3 Il discorso di D’Annunzio contro Wilson è quello del 4 maggio all’Augusteo di Roma (per la

commemorazione della Sagra dei Mille).427 Il telegramma fu trasmesso a mezzo Petrozziello, con preghiera di darne notizia a Colosimo.

pensi secondo Trattato Londra. Nostra richiesta fu subito ammessa. Il risultato non è notevole per il contenuto dei vantaggi che potremmo ottenere: lo è per la maniera premurosa e cordiale con cui Francia e Inghilterra aderirono. Queste riunioni pomeridiane hanno attenuato la tensione stamane esistente con queste due potenze, mentre invece riesce accentuata l’irritazione di Wilson. Lloyd George, in una conversazione avuta con Sonnino, dopo seduta pomeridiana, mise in rilievo peggioramento situazione, a causa dell’ira di Wilson, anche in rapporto alle offese personali cui è stato fatto segno. Lloyd George è di opinione che convenga guadagnar tempo, per lasciar sbollire quest’ira, ed io trovo che ha ragione.

428

L’INCARICATO D’AFFARI AD HELSINGFORS, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1659/31. Helsingfors, 7 maggio 1919 (perv. l’8).

Riconoscimento ufficiale indipendenza Finlandia da parte del Governo inglese è stato accolto con generale entusiasmo. Qualora anche il R. Governo intendesse riconoscere Finlandia suggerirei che il riconoscimento non fosse troppo differito, indugio non potendo ormai che diminuire presso il Governo e l’opinione pubblica locale effetto morale del riconoscimento1.

429

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1181/197 RIS. Parigi, 7 maggio 1919 (perv. l’8).

Al momento in cui l’Eccellenza Vostra ritorna a Parigi per riprendere parte ai lavori della Conferenza, credo utile riassumere le mie impressioni e le congetture che posso fare circa l’atteggiamento dapprima freddo indi recisamente ostile tenuto verso di noi dal Governo francese nella crisi occasionata dal nostro conflitto con il presidente Wilson. Quando dico Governo francese intendo Clemenceau perché abbiamo bensì nel Ministero francese elementi a noi favorevoli, come ad esempio il signor Pichon, ma questi mancano assolutamente d’energia come di autorità, e il presidente governa solo, non ascoltando nessuno, ad ecce

429 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 451.

zione forse dei ministri Loucheur, Clémentel, Tardieu e del suo capo di Gabinetto Mandel, tutte persone a noi poco amiche e che sopratutto mescolano la politica agli affari secondo i noti metodi americani.

Nell’attitudine di Clemenceau vi fu di recente un repentino cambiamento; mentre infatti ancora poco tempo fa lasciava intendere che avremmo potuto aver Fiume in cambio di concessioni in Dalmazia e così faceva dire anche dal suo confidente Tardieu, improvvisamente ci negò Fiume non solo, ma smentì violentemente d’avercelo mai lasciato sperare. Con ciò egli non solo dimostrò una volta di più la mala fede che tutti i suoi colleghi in Parlamento gli hanno rimproverato durante tutta la sua carriera, ma anche una debolezza di memoria forse dovuta all’età. Questo suo atteggiamento poco leale e poco amichevole a nostro riguardo diventò poi addirittura ostile quando noi, in seguito alla pubblicazione di Wilson, uscimmo dalla Conferenza. Vedemmo infatti nei primi giorni dopo la pubblicazione quasi tutta la stampa seria porsi dal nostro lato, tutti gli elementi più autorevoli del Quai D’Orsay, compreso lo stesso Pichon, biasimare più o meno apertamente l’atto di Wilson; ma frattanto l’«Homme libre» osservava il più rigoroso silenzio, e quando si poté constatare che Wilson non disarmava e accettava la lotta contro di noi, l’«Homme libre» pubblicò due articoli che senza essere schiettamente ostili contenevano moniti a nostra intenzione, poco cortesi nella sostanza come nella forma. Dato così il la, tutta la stampa, meno i giornali di aperta opposizione come «Matin» e «Echo de Paris», mutò di tono, e l’ambiente ufficiale francese ci divenne di più in più sfavorevole. Clemenceau diede ancora prova di qualche esitazione quando si oppose per pochi minuti all’invito all’Austria in nostra assenza, voluto da Wilson di concerto con Lloyd George; ma da quel giorno seguì docilmente Wilson in tutta la sua campagna contro di noi, fino a sostenere la tesi cinica che la nostra partenza rendeva caduco il Patto di Londra, fino ad autorizzare come presidente della Conferenza che il nome dell’Italia fosse cancellato dal testo del trattato da sottoporsi ai tedeschi, fino a pretendere, dopo annunziato il ritorno dei nostri ministri, che quel nome fosse aggiunto a penna. Solo alla vigilia della presentazione si poté ottenere che si correggessero le bozze per inserire quel nome a stampa.

Quali i motivi di questa ostilità? Non esito a porre in primo luogo l’influenza a noi ostile degli uomini che lo circondano, sopratutto del Mandel che secondo ogni probabilità medita, d’accordo con i compagni sopraccennati e con l’aiuto anche di capitali americani, grossi lucri in imprese jugoslave. In secondo luogo devo mettere tutti i vecchi rancori dell’estate e dell’autunno scorsi non ancora superati, perché Clemenceau non dimentica mai; ancora l’altro ieri mi citò il famoso telegramma Revel1. In terzo luogo Clemenceau si è ormai dato piedi e mani legate a Wilson al quale, dopo l’accordo da questo stretto con Lloyd George, egli non può più da solo resistere. Posto quindi nell’alternativa di scegliere tra l’amicizia di Wilson e la nostra non esitò un momento a preferire la prima, e con l’impulsività ben nota del suo carattere è diventato d’un tratto il più fedele esecutore della volontà del presidente americano. Ciò al punto che dopo essere stato durante tutta la guerra in intimo

e costante accordo con il maresciallo Foch di cui sostenne in ogni occasione e quasi senza esame la volontà, ora ha rotto apertamente con lui perché il maresciallo non s’acquieta alle decisioni wilsoniane intorno alla protezione del confine orientale della Francia. Da ultimo il presidente Clemenceau non si rassegna a vederci prendere la via della resistenza nella questione di Fiume mentre egli ha preso quella della arrendevolezza nell’affare della Sarre, e poiché egli ha dovuto capitolare si sdegna che non capitoliamo anche noi. Aggiungo che, a ragione dell’infelice tentativo fatto alcuni mesi orsono dalla nostra propaganda di sussidiare l’«Homme libre», Clemenceau è persuaso (e questa convinzione viene sfruttata contro di noi dal suo entourage) che noi facciamo qui contro di lui una campagna di stampa e che i giornali che lo attaccano sono sussidiati da noi. Comunque sia egli è ora da considerarsi un nostro irriducibile avversario; altrettanto, per ragioni che meglio di me potrà esporre il mio collega di Londra, si deve dire di Lloyd George; i tre plenipotenziari delle maggiori potenze fanno quindi blocco contro di noi e di questa situazione dobbiamo in prima linea tener conto nel riprendere il nostro posto in seno alla Conferenza. Questa situazione si modificherebbe certamente a nostro favore se Clemenceau che è parlamentarmente molto indebolito lasciasse il potere, ma questa è tuttora eventualità incerta, ed in ogni modo non potrà verificarsi che fra qualche settimana, troppo tardi quindi per poterci giovare.

Per lottare contro questo blocco formidabile non abbiamo a mio giudizio che un’arma sola, il Trattato di Londra. La potenza di quest’arma si rivela anche dallo stesso tentativo che i nostri alleati inglese e francese hanno fatto di spezzarla invocando la singolare teoria che la nostra provvisoria assenza faceva decadere quel patto. Se noi avremo il doloroso e non facile coraggio di dire a francesi ed inglesi: noi invochiamo i Patti di Londra e non altro, ma vi mettiamo in mora di assicurarcene l’esecuzione intera, otterremo il risultato o di spingerli a dichiarare in faccia al mondo che anche essi praticano la politica dei «chiffons de papier», ovvero isoleremo Wilson come ora siamo isolati noi. Allora Wilson o accetterà il Patto di Londra o non l’accetterà. Nella prima ipotesi, assai poco probabile, egli si troverà in piena contraddizione con se stesso, dando Fiume per forza ai croati; e verosimilmente gli stessi jugoslavi preferiranno venire con noi a una transazione per quella città piuttosto che avere nel fianco la spina della terraferma dalmata assegnataci da quel Trattato. Se Wilson non l’accetterà, com’è più probabile, allora i nostri alleati, a meno che non vogliano rompere con lui, dovranno venire essi medesimi a offrirci un compromesso che da un lato risolva le difficoltà con Wilson, cioè sia accettato anche da lui, e dal-l’altro dia soddisfazione alle nostre aspirazioni.

È da notarsi che nell’ipotesi improbabile che per ora non si possa risolvere la situazione se non con l’esecuzione pura e semplice del Patto di Londra, questo ci darà nell’Adriatico una posizione così forte che anche la questione di Fiume dovrà in un non lontano avvenire venir regolata secondo i nostri voti.

Per battere sicuramente questa non facile via occorre però, oltre che guidare e illuminare diligentemente l’opinione pubblica italiana e, ove occorra, resistervi: 1) astenerci scrupolosamente dal formulare noi stessi o lasciar formulare in nome nostro ogni nuova proposta di transazione per ottenere Fiume; 2) dichiarare che non prenderemo in esame alcuna proposta transazionale che ci sia presentata a nome dei due nostri alleati se non già ammessa dal presidente Wilson.

Credo che qualsiasi altra via ci condurrà fatalmente a soluzioni ibride e insufficienti che lasceranno certamente l’opinione pubblica italiana agitata e malcontenta quanto e più che tutte le eventualità sopra prospettate.

428 1 Vedi poi D. 691.

429 1 Si tratta di un telegramma del capo di S.M. della Marina al suo collega britannico, in cui siaffermava di preferire in Alto Adriatico la presenza delle navi inglesi a quelle francesi (S. SONNINO, Carteggio, D. 372, n. 1).

430

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 7 maggio 1919.

La riunione ha avuto luogo alle ore 11 antimeridiane in casa del presidente Wilson, presenti: il presidente Wilson, il signor Clemenceau, il signor Lloyd George e

S.E. Orlando.

Lloyd George — La situazione russa si sviluppa con la possibilità di una caduta dei bolscevichi. Il Gabinetto inglese desidera una decisione immediata circa il nostro atteggiamento verso la Russia. Se le truppe dell’ammiraglio Kolciak riescono a riunirsi a quelle di Arcangelo, potrebbero anche raggiungere Mosca. Il generale Denikin è un appassionato germanofilo. Occorre quindi fare qualche cosa prima che le sue truppe possano arrivare a Mosca. Paderewski ritiene che la formazione eventuale di un Governo costituito all’infuori dell’Intesa e che potrebbe rinvigorire la Russia presenterebbe il pericolo della conclusione di accordi con la Germania. Ritengo a questo proposito che sarebbe utile sentire Ciaikovski.

Clemenceau — Dov’è?

Lloyd George — A Parigi. [Credo sia anche parente di Paderewski]1. Mi sembra una persona per bene. Spero che gli alleati si uniranno a me per impedire la formazione di una Russia reazionaria ed imperialista. Per evitare il pericolo bolscevico cadremmo cosi in un pericolo peggiore.

Clemenceau — Temo l’uno e l’altro pericolo.

Lloyd George — Ma i bolscevichi passano mentre i reazionari, d’accordo con laGermania, costituirebbero un pericolo maggiore. Vorrei si vedesse Ciaikovski. È una cosa molto urgente.

Wilson — In che modo assistete i russi?

Lloyd George — Con armi e rifornimenti. Noi controlliamo tutto il petrolio del Caucaso.

Clemenceau — Si, ma ieri m’avete detto che ve ne volete andare di là. Vogliamo ora parlare dei mandati? Simon è arrivato.

Entra il signor Simon, ministro delle Colonie francese.

Simon domanda un rinvio per poter preparare un testo definitivo. Lloyd George

suggerisce che egli veda l’assistente di lord Milner.

430 Riunione antimeridiana del 7 maggio del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 294 sgg., FRUS, vol. V, pp. 496 sgg. MANTOUX, vol. I. pp. 504 sgg. e RAC nn. 413-416. 1 Cancellato nell’originale.

Wilson — I montenegrini chiedono di avere un posto nella Conferenza oggi, dato che essi erano in guerra con la Germania.

Lloyd George — Sono mai stati presenti nelle prime riunioni?

Clemenceau — Vogliono venire oggi a Versailles?

Wilson — Non sollevo questa questione per oggi, ma per sapere se si debba prendere una decisione a riguardo del Montenegro, specie in riguardo agli imminenti negoziati di pace con gli austriaci-ungheresi.

Wilson dice che ha ricevuto una lettera da una signora americana che ha sposato un persiano. Anche i persiani vogliono essere sentiti sulle questioni che concernono la Persia.

Lloyd George — Vi sono anche i maomettani dell’India che sono interessati a parlare circa Costantinopoli. Però, sia gli uni che gli altri non hanno interesse diretto nella pace con la Germania: essi potranno essere intesi a tempo debito.

Wilson — Dopo la seduta di oggi a Versailles che cosa facciamo? Dobbiamo parlare del trattato dell’Austria?

Clemenceau — Si, gli austriaci vengono, gli ungheresi invece no.

Wilson — Per il dodici corrente.

Clemenceau consegna un documento al signor Mantoux affinché egli ne dia lettura.

Mantoux legge il documento che è un telegramma del rappresentante francese a Vienna. Da esso risulta che la delegazione austriaca potrebbe essere pronta a partire sabato sera o domenica mattina. Vi sono però delle difficoltà circa la nomina dei plenipotenziari. Il partito cristiano sociale non vorrebbe che alla testa della delegazione si trovasse il signor Klein, il quale è favorevole all’unione dell’Austria Tedesca con la Germania.

Il signor Mantoux legge poi un altro telegramma dello stesso rappresentante francese a Vienna secondo il quale il delegato inglese a Vienna gli avrebbe chiesto se la data dell’arrivo degli austriaci a Parigi non potrebbe essere ritardata a dopo il 12.

Lloyd George — Ci deve essere qualche errore.

Clemenceau — Manteniamo allora il dodici per gli austriaci.

Lloyd George concorda.

Clemenceau — Fissiamo il dodici, ma siamo pronti ad accettare un rinvio ragionevole della convocazione.

Wilson — Bisogna spiegare al signor Orlando che il nostro incontro con gli austriaci doveva avere un carattere molto più ufficioso (informal) di quello con i tedeschi.

Lloyd George — Non so perché gli austriaci dell’Austria Tedesca dovrebbero essere presenti alle discussioni sulle frontiere dei vari Stati dell’ex Impero austro-ungarico. Basta dir loro quali siano i confini fissati nei loro riguardi. Non v’è alcuna discussione sui confini tra l’Italia e l’Austria Tedesca.

Wilson — Vorrei pensare sopra a tutto ciò. Non è possibile preparare un trattato per il 12.

Lloyd George — Dobbiamo però affrettare la pace.

Orlando — Ho sempre creduto che la pace con l’Austria-Ungheria non si potesse più fare perché ora non esiste più uno Stato austro-ungarico quale esisteva prima della guerra. L’Austria-Ungheria essendo scomparsa non può più essere un contraente. Ciò che vorrei fare è un regolamento di confini con i nuovi Stati, di cui l’Austria è uno.

Lloyd George — È perfettamente esatto. Occorre determinare i confini dei vari Stati, uno dopo l’altro.

Wilson vorrebbe che tale determinazione fosse fatta simultaneamente per tutti gli Stati dell’ex Impero austro-ungarico.

Lloyd George osserva che occorrerà pure incominciare da qualcuno, ed insiste sulla necessità di fare presto la pace con l’Austria. L’Austria non può morire di fame perché non si può ancora fare la pace con la Croazia. L’indugio inoltre può aumentare il pericolo del bolscevismo in Austria.

Wilson osserva però che i deputati croati erano membri del Parlamento di Budapest e non di Vienna.

Lloyd George — Incominciamo coll’avere la pace in qualche parte.

Orlando — Si potrebbero condurre i vari negoziati contemporaneamente.

Clemenceau — Possiamo parlarne di nuovo nel pomeriggio.

431

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

T. 507 UU. Parigi, 8 maggio 1919, ore 19,30.

Mi riferisco suo telegramma 8152 del 7 corrente1.

Prego comunicare quanto appresso al generale Segre:

«Occorre tener presente pericolo che jugoslavi, i quali dispongono probabilmente di forze militari preponderanti, possano in una loro successiva controffensiva, rioccupare zona ferroviaria di grande interesse per noi, stabilendo così un fatto compiuto. Pertanto si dovrà in primo luogo insistere perché venga strettamente osservata sino a nuove decisioni la linea di armistizio precedentemente stabilita. Qualora venisse costà decisa una riunione a Klagenfurt di rappresentanti alleati, insieme a quelli dei contendenti, per definire armistizio e nuova linea demarcazione, è opportuno che

V.S. vi prenda parte per salvaguardare nostri interessi essenzialmente nei riguardi ferroviari affinché linea ferroviaria transalpina passi direttamente da territorio italiano in quello austriaco. Ingerenza dell’Italia è anche giustificata dalle disposizioni dell’armistizio di Villa Giusti».

431 Il telegramma fu inviato per conoscenza ad Orlando ed alla Sezione militare della DICP. Adesso era allegato un appunto manoscritto, senza firma, su carta intestata «Ministero degli affari esteri, Il capo di Gabinetto», datato 17 aprile: «S.E. Revel ha avuto notizia che serbi, in caso non siano riconosciute loro pretese nell’Adriatico, sono decisi ad attaccare Italia».

1 Non pubblicato.

432

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1197/730. Vienna, 8 maggio 1919, ore 20,15 (perv. ore 11,30 del 9).

Mi risulta che gruppo finanziario Rothschild, Credito austriaco e Credito ungherese lavorano per la ricostituzione Austria-Ungheria sotto forma federativa1.

Per il momento si tratterebbe di ricostituire soltanto i vincoli economici salvo a trasformarli più tardi in politici.

433

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 8 maggio 1919.

Seduta antimeridiana fu destinata alla determinazione dei criteri metodici per la pace con l’Austria Ungheria, e specialmente per quanto concerne il sapere se la pace vera e propria dovesse limitarsi all’Austria Ungheria, riservando per gli altri Stati la determinazione dei loro confini. Io ho manovrato con molta cautela, potendo avvenire che, a seconda dei casi, possa trovare preferibile l’uno o l’altro sistema. Dalla discussione apparve riconfermata attitudine amichevole di Lloyd George e ostile di Wilson, già segnalata ieri1. Non fu presa risoluzione definitiva, e fu invece stabilito di affidare alla riunione dei ministri degli esteri l’esame delle proposte fatte dalle commissioni circa alcune frontiere già state studiate dai comitati degli esperti. Nel pomeriggio non si terrà riunione.

432 1 Il riferimento è ai progetti dei circoli bancari austro-ungarici per una zona di influenza inLevante (T. 505 di Sonnino dell’8 maggio).433 Analogo telegramma fu inviato a Petrozziello per Colosimo con partenza alle ore 16 dellostesso giorno.1 Vedi D. 425.

434

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 8 maggio 1919.

Barzilai parte stasera e si conduce Salata. Al processo Cavallini1 la deposizione Martini ha dato luogo ad un principio di scandalo. La difesa chiede la pubblicazione del suo diario2. Martini ha dichiarato di bruciarlo piuttosto che di farlo noto. Udienza rinviata; ma Martini stamane è venuto a chiedere ausilio, poiché è noto che avvocati posseggono copia del diario, nel quale è cenno di una lettera di Sonnino del 1914 a Guicciardini con la quale Sonnino dichiarava doveroso intervenire in guerra a fianco Germania Austria. Ho risposto che tribunale poteva rifiutarsi a tale pubblicità, perché il fatto non ha rapporto con la causa Cavallini, ma non vedevo altra via di intervento.

435

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE, E ALL’AGENTE DIPLOMATICO AL CAIRO, NEGROTTO CAMBIASO

T. 357. Roma, 8 maggio 1919.

In relazione false esagerate notizie propaganda greca comunico per norma linguaggio versione esatta avvenimenti Dodecanneso giorno di Pasqua1.

Nei giorni precedenti Pasqua alcuni preti maestri greci Dodecanneso fecero circolare voci imminente arrivo greci Rodi ed appoggio dato da Francia Inghilterra alle rivendicazioni elleniche.

Giorno Pasqua metropolita Rodi disse nella chiesa allocuzione invocante annessione Grecia. In taluni villaggi interni Rodi aizzati da preti e da maestri poche perso

2 L’agenda Martini fu poi esibita all’udienza del 16 maggio ma la censura impedì la pubblicazione della parte relativa alla lettera di Sonnino. Secondo Biancheri (T. 1706 del 16 maggio, a Sonnino)si trattava di una lettera al conte Guicciardini, in data 18 agosto 1914, nella quale si condannava la politica di neutralità, optando per l’intervento accanto agli imperi centrali. La lettera non risulta pubblicata nel-l’edizione del carteggio di Sonnino.

ne diedero luogo incidenti con forza pubblica che dimostrò dovunque tolleranza e tatto esemplari. A Villanova circa 200 contadini e molte donne riunite piazza adunati e sobillati da un papas già più volte condannato assalirono forza pubblica. Nella colluttazione rimasero uccisi papas ed una donna. Altri conflitti senza gravità avvennero villaggi Alerma e Ganadi. Isola Simi fu necessario per mantenimento ordine pubblico eseguire alcuni arresti. Trattasi di manifestazioni provocate da agitatori allo scopo di creare avvenimenti per sfruttarli.

Circostanza del poco successo che tale agitazione effettivamente produce è manifesta prova della tranquillità della maggioranza popolazione e della condotta liberale e tollerante seguita dall’autorità italiana2.

434 1 Filippo Cavallini, avvocato, più volte deputato, era stato arrestato nel novembre 1917 e veniva processato, sulla base di accuse formulate contro di lui dai francesi, per i suoi rapporti con l’ex ministro Caillaux, per tradimento e associazione a delinquere a favore di una pace separata con le potenzecentrali. Nella complicata vicenda si era cercato di coinvolgere anche altri importanti uomini politici, tracui Giolitti e Sonnino.

435 1 Sugli incidenti di Pasqua nel Dodecanneso aveva riferito da Rodi con tutta una serie di telegrammi, a partire dal 21 aprile, il generale Elia, sottolineando le responsabilità del metropolita Apostolos,del quale si chiedeva ripetutamente l’allontanamento. Si veda anche il D. 405.

436

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 170. Sofia, 8 maggio 1919 (perv. il 21).

Mio rapporto n. 334/102 del 16 aprile u.s.1.

Colla riapertura ufficiale dell’Alliance Française a Sofia che avrà luogo l’11 corrente sotto gli auspici del generale Chrétien verrà dato nuovo impulso alla propaganda francese in Bulgaria. Il programma in vista avrebbe scopo politico e commerciale.

Si cercherebbe, a quanto si afferma da buona fonte, di profittare delle circostanze attuali per indurre gli studenti bulgari a riprendere fra breve la strada della Francia che sembrava sul punto di essere disertata per le note ragioni politiche.

Le difficoltà che hanno finora impedita la partenza per l’Italia dei numerosi studenti bulgari desiderosi di seguire i corsi delle nostre università, hanno già scoraggiato un poco questo ambiente per quanto favorevole a noi.

Nel segnalare questa condizione di cose, vengono nuovamente a pregare V.E. di voler far presente al Ministero della pubblica istruzione tutto l’interesse politico ed economico a non permettere che gli studenti bulgari vengano attratti in Francia oppure in Svizzera ed anche in Austria e Germania.

Gradirei perciò essere avvisato telegraficamente non appena i nostri ostacoli fossero rimossi, in modo di non compromettere tutto il beneficio della situazione attuale.

435 2 Il processo dinanzi al tribunale di guerra per i fatti del giorno di Pasqua a Villanova si concluse il 23 maggio con cinque condanne (da sei mesi a tre anni di reclusione, da 500 a 2000 lire di multa).Ne riferisce Elia al MAE con N. 966 R. del 25 maggio.

436 1 Non rinvenuto.

437

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MERESCOTTI

Parigi, 8 maggio 1919.

Riunione presso il presidente Wilson alle ore 11 del giorno 8 maggio 1919.

Sono presenti il signor presidente Wilson, il signor Lloyd George, il signor Clemenceau, il presidente del Consiglio Orlando, il ministro Sonnino.

Clemenceau — Mi sono domandato se dobbiamo rispondere alla proposta fatta-ci dai tedeschi nel discorso di ieri del sig. Brockdorff-Rantzau di fare delle commissioni miste di tedeschi e di alleati. Per il caso si ritenga opportuno fare una proposta, ne avrei preparata una. Direi che riguardo alla loro domanda di istituire una commissione neutrale per la responsabilità, ciò non è possibile perché è contraria alle condizioni di pace che gli alleati hanno posto. Per quanto riguarda l’istituzione di commissioni miste, risponderei che non è possibile aderirvi perché è stato stabilito siano escluse le discussioni verbali.

Sonnino fa osservare che non è ben chiaro se il sig. Brockdorff-Rantzau ha fatto la proposta di commissioni miste.

Si manda a cercare il testo del discorso del primo plenipotenziario tedesco.

Wilson — Ho qui una lista dei paesi le cui frontiere sono state determinate dai periti in modo unanime. Tuttavia ve ne sono ancora alcune per le quali non si è giunti ad un accordo. Vi è inoltre la frontiera belga-olandese, ma questa veramente non è materia per la Conferenza.

Lloyd George propone per quanto riguarda l’Austria si stabiliscano le seguenti risoluzioni:

«Si concorda:

1) Che il Comitato militare navale ed aeronautico presieduto dal maresciallo Foch, il quale si occupò delle condizioni di pace con la Germania, si riunisca per preparare un progetto di articoli navali, militari ed aerei da inserire nel trattato di pace con l’Austria e nel trattato di pace con l’Ungheria, per sottoporlo all’esame del Consiglio supremo.

I rapporti delle varie commissioni possono essere presi come guida in linea generale circa le frontiere dell’Austria e dell’Ungheria.

2) Che il gruppo dei periti finanziari, il quale sotto l’immediata direzione del Consiglio supremo ha redatto gli articoli da inserire nel trattato di pace con la Germania relativamente alle riparazioni, si riunisca per preparare un progetto di articoli da inserire nel trattato di pace con l’Austria e nel trattato di pace con l’Ungheria, per sottoporlo all’esame del Consiglio supremo.

437 Riunione a.m. dell’8 maggio del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 306 sgg.,FRUS, vol V, pp 510 sgg., MANTOUX, vol. II, pp. 5 sgg. e RAC, nn. 419-430.

3) Che il gruppo dei periti il quale, sotto l’immediata direzione del Consiglio supremo, ha redatte le clausole finanziarie da inserire nel trattato di pace con la Germania, si riunisca per preparare un progetto di articoli da inserire nel trattato di pace con l’Austria e nel trattato di pace con l’Ungheria per sottoporlo all’esame del Consiglio supremo».

Orlando — Per quanto riguarda la risoluzione numero 2 è già stata presa una decisione e risulta che vi è una commissione che se ne occupa in una seduta che deve aver luogo oggi stesso.

Lloyd George — Chi dovrà riunire i militari?

Clemenceau — Me ne occuperò io.

Il colonnello Hankey fa osservare che i militari tennero già una riunione per quanto riguardava le condizioni militari da imporsi all’Austria, ma che in questa riunione i militari osservarono di non poter procedere oltre prima che fossero state risolte le questioni territoriali.

Lloyd George per quanto concerne la risoluzione n. 1 osserva che gli sembra meglio che il lavoro sia eseguito dai consulenti tecnici di Versailles senza l’intervento del maresciallo Foch.

Si approva.

Lloyd George — Dovremmo discutere i principi generali per le questioni territoriali concernenti l’Austria secondo ho proposto ieri. Infatti, se riusciamo ad eliminare l’Austria, potremo poi fare lo stesso per l’Ungheria ed il lavoro sarà molto agevolato.

Clemenceau — Ciò è molto urgente, perché gli austriaci arrivano il 12.

Wilson — La difficoltà è questa che, se facciamo la pace con l’Austria senza prendere speciali disposizioni, non ci resta più la forza per obbligare i nuovi Stati ad accettare i nuovi confini.

Lloyd George — Ma si può mettere una clausola dalla quale risulti che essi sono obbligati a rispettare le altre clausole che saranno poste in relazione ai territori dell’antica monarchia austro-ungarica. Vorrei parlare francamente: per quel che riguarda il trattato di pace con l’Austria non ci troviamo in un’atmosfera favorevole. Crederei un grande vantaggio non chiamare in discussione in una pace con l’Austria gli Stati che non vi sono interessati.

Wilson — Il trattato dovrebbe dire che l’Austria e l’Ungheria riconoscono l’indipendenza di tali e tali Stati, ma per alcuni di questi possiamo determinare i territori fin da ora e per altri no. Si potrebbe dire che essi saranno determinati dalla Lega delle Nazioni.

Lloyd George — No, la Lega delle Nazioni non può entrare in questo punto.

Wilson — Allora si potrebbe dire che essi potranno essere determinati dai principi degli Alleati ed Associati. Non ci dobbiamo mettere fuori di ogni autorità.

Lloyd George — Certamente no, e deve essere stabilito che ogni autorità rimane a noi. Però penso che possiamo fare in questo modo e cioè secondo quanto avevo accennato ieri. Noi dobbiamo cercare di raggiungere la pace al più presto. L’unico momento in cui io ieri non mi sono sentito tranquillo quando ho udito il discorso del conte Brockdorff-Rantzau è stato quando egli ha ricordato che avevamo messo tanto tempo per arrivare dall’armistizio con la Germania alla pace.

Wilson — Occorre riservare tutta la nostra autorità. Si possono nominare i confini dove possiamo farlo e si deve mettere una clausola in cui si obbligano ad accettare quelli che saranno successivamente determinati.

Lloyd George — Non so se noi possiamo farlo con l’Ukraina.

Wilson — Lo possiamo fare per i confini tra la Romania e l’Ungheria.

Lloyd George — Vi sono taluni confini così difficili che potremmo regolarli solamente dopo che la pace sarà firmata.

Wilson — In Ukraina vi sono molte difficoltà, poiché gli ucraini dichiarano di essere indipendenti dalla Russia. Come possiamo risolvere questo problema?

Lloyd George — Mi hanno detto che l’Ukraina non esiste e che essa fu inventata dai tedeschi durante la guerra. L’Ukraina in fondo è una piccola Russia che fa parte della grande.

Wilson — Noi potremmo chiedere subito che si radunassero i ministri degli esteri coi loro periti e ci presentassero le raccomandazioni del caso per le frontiere non controverse.

Lloyd George — Voi proponete che i ministri degli esteri ci presentino i confini territoriali?

Sonnino — Anche fra i vari Stati? C’è una questione tra l’Austria e la Jugoslavia per quanto riguarda la zona di Marburg e di Klagenfurt. Questa deve essere esaminata. Esiste infatti una ferrovia fra Trieste e Vienna che sarebbe intersecata da una zona jugoslava se il problema non fosse risolto in altro modo. I ministri degli esteri dovrebbero riesaminare quello che è stato fatto finora dalle varie commissioni, completarlo e fare le raccomandazioni al Comitato dei quattro.

Wilson — Che cosa si deve fare per quanto riguarda le responsabilità?

Lloyd George — Il caso non è lo stesso per quanto riguarda l’Austria e la Germania. Infatti in Austria non esiste più lo stesso imperatore che dichiarò la guerra. L’imperatore Carlo era un giovine non responsabile.

Orlando — Ma vi sono però molti altri delitti che sono stati commessi durante la guerra contro l’Italia ed anche questi sono analoghi a quelli per i quali si sono prese disposizioni nel trattato colla Germania.

Sonnino conferma quanto ha detto il presidente Orlando ed aggiunge che anche gli austriaci debbono essere tenuti responsabili per la guerra fatta coi sottomarini.

Wilson — Mi è stato riferito che non si riusciva molte volte a distinguere se si trattasse di sottomarini austriaci o tedeschi.

Sonnino — Si hanno però delle prove specifiche che qualche volta si trattava precisamente di sottomarini austriaci.

Wilson — Vi è anche da considerare il problema delle vie di comunicazioni acquee. Anche per questo si possono dare istruzioni al comitato di redazione.

Lloyd George — Vi è poi la questione economica. Per essa si è atteso il ritorno dei delegati italiani.

Il colonnello Hankey avverte che il Consiglio economico si deve radunare oggi

o domani. Sarebbe necessario che si riunisse anche una Commissione militare che possa stabilire le forze necessarie da tenersi sul Reno.

Wilson — Sarebbe meglio che il maresciallo Foch rimanesse fuori. La sua mentalità è tale che non può portare ad un lavoro utile.

Lloyd George — Sì. Foch e Fiume sono due questioni troppo scottanti.

Viene portato il testo del discorso di Brockdorff-Rantzau e dopo averlo esaminato si decide di non rispondere per ora niente ai tedeschi.

Hankey — Dovrebbe essere esaminata e risolta la questione dell’invio di materie prime in Europa.

Lloyd George osserva che questo è un problema di grande importanza nel quale gli Stati Uniti possono dare un grande aiuto. Gli Stati Uniti durante il primo atto della guerra e mentre furono neutri trassero grandissimi profitti economici. Essi si arricchirono in grande misura in conseguenza degli acquisti che facevano presso di loro tutti gli Stati europei. Prima però di rientrare nella discussione sarebbe meglio che i periti esponessero i fatti.

Si decide che i periti siano sentiti domani alle ore 10,30 presso il presidente Wilson.

Hankey — Occorre parlare anche dei bastimenti tedeschi che erano internati in Spagna e per i quali non si è giunti ancora ad una risoluzione.

Lloyd George — Questa non è questione che si deve trattare con la delegazione tedesca per la pace, ma è questione che deve essere trattata dalla commissione del-l’armistizio. Mi pare che potrebbe farlo l’ammiraglio Wemyss.

Wilson — Non vi sembra che sollevando questa questione condurrete la delegazione tedesca per la pace ad una irritazione inutile?

Lloyd George — Io credo che a ciò si possa procedere senza troppe difficoltà.

Propone ne sia incaricato l’ammiraglio Wemyss.

Si approva.

438

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AI MINISTRI DEGLI ESTERI, SONNINO, DELLA GUERRA, CAVIGLIA, E DELL’INDUSTRIA, COMMERCIO E LAVORO, CIUFFELLI

NOTA 8263 OP. Parigi, 8 maggio 1919.

Trasmetto, per opportuna conoscenza, copia del foglio n. 66871 inviato dal capo della Missione armistizio a Vienna — generale Segre — richiamando l’attenzione su quanto è in essa rappresentato circa l’opportunità di iniziare anche da parte nostra relazioni di carattere economico con la Polonia inviando sul posto elementi adatti allo scopo.

Questo Comando provvederà inoltre all’invio di giornali e corrispondenti italiani, come viene proposto dal generale Segre per far meglio conoscere ed apprezzare alla Polonia la nostra guerra.

ALLEGATO

IL GENERALE SEGRE AL COMANDO SUPREMO

NOTA 6887. Vienna, 22 aprile 1919.

NOTIZIE SULLA POLONIA

A seguito ed a conferma della relazione compilata dal capitano Accame sulla Polonia e trasmessa a codesto Comando col n. 6178 di Prot. S.M. in data 17/42, si stralciano i seguenti particolari interessanti la nostra situazione in Polonia da un nuovo rapporto inviato dal ten. colonnello Gaggini.

Tutti quanti i rappresentanti delle varie potenze presenti a Cracovia hanno l’incarico di studiare sul posto le condizioni e le risorse economiche del paese per l’eventuale sfruttamento e per l’impiego di capitale.

Più che militari, spesso alcuni personaggi sono degli industriali e dei commercianti in uniforme, rappresentanti forti gruppi di capitalisti, senza una missione militare ben definita.

Soltanto da parte dell’Italia questa iniziativa manca completamente. Sarebbe di sommo interesse per il nostro paese inviare elementi tecnici, industriali, commerciali per studiare non soltanto la questione, ma per imbastire fin d’ora in modo pratico relazioni di affari con tutta la Polonia, da sfruttare poi in tempo di pace.

Il paese, la cosa è da tutti risaputa, ci vede di buon occhio e senza diffidenza, ma occorre fare e soprattutto fare presto.

Gli altri, i nostri alleati, hanno lavorato e lavorano con lena sempre crescente ad accaparrarsi il mercato e se non vogliamo giungere a cose fatte è necessario decidersi. Il momento è molto propizio anche perché si nota una certa freddezza verso gli inglesi e gli americani, a causa della posizione presa dai due Governi nella questione di Danzica e per la persuasione diffusa da tutti i giornali che le potenze più sinceramente amiche della Polonia sono l’Italia e la Francia.

Sempre in merito alla questione dell’influenza italiana, è da ritenersi dannoso l’aver sospeso l’invio dei nostri giornali.

Le notizie del nostro paese giungono per il tramite dei giornali tedeschi che si sa quanto siano tendenziosi e falsi, senza una possibilità di fare rettifiche.

Sarebbe opportuno inviare a Varsavia qualche corrispondente scelto bene, con l’intendimento di lanciare i nostri migliori giornali, cosa che servirebbe per fare anche un po’ di reclame in riguardo alla nostra guerra che qui è ancora troppo poco conosciuta ed apprezzata.

438 1 Vedi Allegato.

438 2 La relazione del capitano Accame «Promemoria riservatissimo circa le condizioni della Polonia e la nostra futura penetrazione commerciale e militare» reca la data del 5 aprile; ed era stata trasmessadal Comando supremo al MAE, al Ministero della guerra e alla DICP, Sezione militare con n. 7113 OP. del 23 aprile. La accompagnava la seguente nota riassuntiva: «Il generale Segre trasmette una relazionecompilata dal capitano Accame, in cui è prospettata chiaramente la situazione della Polonia e la simpatiache, a malgrado dell’assenteismo, gode sempre l’Italia. Non contiene invero nulla di nuovo, ma confermail concetto, già noto anche al Governo, della necessità per l’Italia di non lasciarsi sfuggire i mercati dellaPolonia ove qualunque prodotto — dai viveri ai manufatti, ai meccanici — può essere esportato, e dove atal uopo preparano attivamente il terreno Francia, Inghilterra ed America. Il generale Segre mette in rilievo la necessità di imporre alla Boemia di smettere il blocco ferroviario della Polonia e quindi, preparatala base di esportazione, di imporre che i nostri treni merci abbiano libero transito pel territorio polacco.Accenna infine all’invio di nostri rappresentanti, questione, come noto, in corso di attuazione d’accordocol Governo».

439

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 1066 RR. PERS. Roma, 8 maggio 1919.

Con lettera 74 P.R.S. in data 18 aprile1 ho rappresentato alla E.V. il grave danno che risulterebbe per l’Italia, qualora nelle deliberazioni del Congresso per la pace fossero sanzionate limitazioni o peggio impedimenti all’impiego dei sommergibili.

Dalle notizie che la stampa è andata pubblicando sulle deliberazioni del Congresso e sugli intendimenti degli Stati Uniti e dell’Inghilterra nei riguardi degli armamenti navali, sembra si possa ritenere con un certo fondamento che si andrà sempre più affermando nel prossimo avvenire il potere navale di queste due grandi nazioni anglosassoni le quali, finché andranno fra esse d’accordo, cercheranno di dominare economicamente e politicamente il mondo intero mercé la loro strapotenza marittima.

In queste previsioni, si rende sempre più a mio avviso necessario impedire che il Trattato di pace e lo statuto della Società delle Nazioni portino a limitazioni di qualsiasi genere — oltre a quelle stabilite dal diritto internazionale vigente, e da superiori leggi di umanità —, a qualsiasi limitazione nell’impiego bellico dei sommergibili così in merito al numero e al tipo di essi, nei quali riguardi ciascuna potenza marittima dovrà avere piena libertà di azione, come pure nei riguardi del loro impiego bellico: ad esempio una restrizione che potrebbe essere proposta dagli anglo-sassoni — perché ad essi vantaggiosa — ed alla quale dovremmo recisamente opporci, sarebbe quella di consentire l’impiego dei sommergibili soltanto in determinati limiti di distanza dalle coste nazionali.

Questa classe di navi è il solo mezzo per bilanciare — entro certi limiti — la strapotenza marittima delle razze anglosassoni, che tanto più facilmente possono conseguirla, in quanto oltre a disporre di grandi mezzi finanziari possono senza rischio alcuno limitare in tempo di pace i loro armamenti terrestri: è il solo mezzo per costituire una minaccia navale così importante, da indurre anche i possessori di fortissime squadre d’alto mare a non impegnarsi leggermente in una guerra marittima.

Si può ritenere per certo, che la Francia e le altre potenze continentali d’Europa sosterranno la tesi del libero impiego dei sommergibili; ed io confermo, che è grande interesse dell’Italia appoggiarla con massima fermezza.

439 1 Con L. 74 P.R.S. del 18 aprile si evidenziavano le conseguenze negative per l’Italia dell’abolizione dei sommergibili come arma di guerra navale sia dal punto di vista militare che da quello economico. Sulla questione si veda anche D. 127.

440

IL GENERALE SCIPIONI, AL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO

T. 8248 OP. Abano, 9 maggio 1919, ore 4,30 (perv. ore 16,50).

A puro titolo informativo trasmettesi seguente telegramma qui inviato dal tenente colonnello Finzi: «Sono in possesso della nota petizione croata appoggiata da cento firme pure presso di me e unite ad esse mi vennero portate tutte le pubblicazioni comprovanti agitazione croata contro annessione al regno S.H.S. Provvedo immediatamente a sollecita traduzione; possibilmente io stesso porterò domani documenti a codesto Comando. Iniziate sollecite trattative perché comitato centrale croato si disinteressi ufficialmente soluzione Fiume e promesso in compenso che noi appoggeremo croati nel loro assoluto desiderio di restare Repubblica croata indipendente. Situazione interna Croazia e Bosnia sempre più anti serba. In Zagabria rapporti tra ufficiali francesi e serbi sembrano molto tesi. Complessivamente, date notizie che mi pervengono dalla Slovenia ove malcontento contro i serbi è fortissimo per fallita avventura carinziana, date notizie provenienti dalla Slovenia1 ove perdura agitazione violenta specialmente in zona Esseg, dati forti movimenti bolscevichi in Bosnia e contegno decisamente anti serbo e anti union della Croazia, ritengo che situazione generale è eccezionalmente favorevole e tale da permettere attuazione tutto nostro programma. Esclusa in modo assoluto qualsiasi seria reazione serba non avendone capacità dato contegno truppe. In Carinzia battaglioni jugoslavi si sono ribellati apertamente a comando serbo il giorno cinque corrente. Chiamata classi ordinata da Governo serbo per tutto territorio cosidetto S.H.S. ha risultato negativo: nessuno si presenta».

441

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 5280. Roma, 9 maggio 1919, ore 22 (perv. ore 22,15).

Data impossibilità ritorno Salvago, affido a De Martino trattazione questioni coloniali1. Egli potrebbe farsi coadiuvare dal mio funzionario Nobili Massuero che trovasi a Parigi. Delle fasi di queste trattative coloniali ti prego disporre che io sia

440 Il telegramma fu trasmesso per conoscenza alla PCM Gab. e al MAE Gab. con N. 6028 SP. dello stesso giorno.1 Recte, forse, Slavonia.

tenuto al corrente ogni giorno non essendo ammissibile che io sia all’oscuro2. Potresti ordinarlo a De Martino.

441 1 Colosimo aveva pensato inizialmente per tale incarico ad Agnesa: poi, scomparso improvvisamente questi per aneurisma, a Salvago Raggi, che, già dimissionario da delegato, aveva confermato lasua indisponibilità. In definitiva l’incarico fu poi da Orlando affidato a Crespi (vedi poi D. 499) e DeMartino ebbe il compito di collaborare con lui.

442

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL MINISTRO DEI TRASPORTI MARITTIMI E FERROVIARI, DE NAVA

T. 415. [Parigi], 9 maggio 1919.

Consiglio supremo economico ha discusso presente sistema di controllo su navigazione Danubio trovandolo non soddisfacente per due ragioni: Prima, Controllo è esclusivamente in mano autorità militari mentre navigazione Danubio deve servire in questo momento sopratutto a rifornimento viveri e commercio; Seconda, Controllo è esercitato per parte superiore Danubio da autorità militari inglesi in Belgrado, per parte inferiore da autorità militari francesi in Bucarest. Si è pertanto deciso: Primo, Di formare immediatamente una commissione interalleata con rappresentanti francesi italiani inglesi americani la quale riceva istruzioni da Consiglio supremo economico pur mantenendosi in contatto con comando supremo Esercito Oriente per quanto riferiscesi ad esigenze militari. Presidente tale commissione sarà nominato da generale Franchet d’Esperey cui però Governi associati raccomandano scegliere ammiraglio inglese Troubridge che trovasi nei Balcani da oltre tre anni; Secondo, Di dare a tale commissione controllo su navigazione intero corso Danubio. Naturalmente commissione funzionerà solo fino a che non entrerà in funzione regime definitivo per Danubio che verrà fissato in trattato pace. Nostro rappresentante che mi permetto augurare debba essere persona pari a nostri gravi interessi in tale questione dovrà recarsi a Costantinopoli e presentarsi a comando supremo Esercito Oriente dove sarà anche informato di sede comitato non ancora scelta. Nome nostro rappresentante dovrebbe esserci inoltre urgentemente comunicato qui per comunicarlo alla nostra volta al Consiglio supremo economico.

442 Il telegramma fu poi trasmesso da Sonnino al MAE con T. 1518 del 13 maggio.

441 2 Contemporaneamente Biancheri, con T. 1625 GAB. R. delle ore 20,16 a Sonnino, faceva rilevare come Colosimo non avesse avuto alcuna comunicazione delle decisioni del Consiglio supremo inmateria coloniale, già pubblicate dai giornali.

443

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, E ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI

T. POSTA 1489 RIS. Parigi, 9 maggio 1919.

Per sua opportuna informazione ho l’onore di qui sotto trascrivere alcune notizie fornite dalla missione militare italiana in Berlino circa i lavori che sarebbero in corso per la costituzione di una confederazione danubiana. Dette notizie sarebbero state raccolte presso l’Auswärtiges Amt da un fiduciario, per solito bene informato.

«Informazioni dall’Austria e dalla Svizzera all’Auswärtiges Amt concorderebbero nel richiamare l’attenzione sopra un serio lavorio inglese per la ricostruzione di una confederazione danubiana. Detto lavorio sarebbe svolto d’accordo coi centri monarchici austriaci di Berna e di Friburgo con quelli di Vienna. Si progetterebbe una specie di federazione su larghe basi, quasi una piccola società delle nazioni danubiano-balcanica, sotto una presidenza puramente rappresentativa e formale dell’ex imperatore. Gli inglesi fornirebbero già molti mezzi per la propaganda condotta specialmente per mezzo di ufficiali del vecchio esercito austro-ungarico facilmente guadagnati alla causa. Rientrerebbe in questo piano inglese il progetto, a cui si dice che il Governo italiano avrebbe già consentito, di armare ed inquadrare i prigionieri austro-tedeschi che si trovano in Italia, per rimandarli così organizzati in patria, allo scopo di assicurare al Governo attuale un nerbo di forze sufficiente in caso di nuovi tentativi bolschevichi. In realtà queste forze dovrebbero appunto rendere possibile l’esecuzione di quel piano ed appoggiare il Governo di destra che, superate le resistenze socialiste, dovrebbe prendere l’iniziativa della nuova confederazione. Il Governo tedesco s’accorderebbe volentieri col Governo italiano per un azione comune volta ad impedirla. La Germania non ha nessun interesse a vedere stabilita questa confederazione che sarebbe monopolizzata dall’elemento slavo, e ostruirebbe completamente alla Germania quelle vie commerciali dell’Oriente che qui si vuole mantenere libere. L’Austria Tedesca, indebolita, non potrebbe mai rappresentare un elemento sufficiente di contrappeso, tanto più mancandole il prestigio dinastico, perché la posizione della casa d’Asburgo nella nuova combinazione dovrebbe assolutamente escludere la possibilità di una “nazionalizzazione”, in qualsiasi senso, della monarchia. Vienna si czechizzerebbe ancor più di quanto già non sia.

Questa attività degli agenti inglesi si svolgerebbe indipendentemente dall’azione di Allizé».

444

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

NOTA 1490 RR. Parigi, 9 maggio 1919.

Conforme a quanto S.E. Orlando ha telegrafato a V.E.1 mi pregio informarla che, quale delegato italiano nella commissione istituita il 7 corrente dal Consiglio supremo per l’applicazione dell’articolo 13 del Patto di Londra, è stato nominato il comm. G. De Martino2 segretario generale del Ministero degli affari esteri.

Delegato per il Governo francese sarà il signor Simon, ministro delle colonie; per il Governo inglese Lord Milner.

Qui acclusa mi pregio trasmettere a V.E. una memoria redatta dal comm. De Martino3, nella quale è esposta l’attuale situazione delle questioni concernenti il nostro programma coloniale.

ALLEGATO

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 9 maggio 1919.

Mi sono recato ieri dal ministro Simon per notificargli decisione di V.E. e del presidente del Consiglio di designarmi a far parte della Commissione istituita il 7 corr. Il signor Simon disse che egli stesso vi rappresenterà la Francia e Lord Milner l’Inghilterra.

Aggiunse che per convocare la Commissione occorre attendere il ritorno di Lord Milner che avverrà fra pochi giorni.

Qui appresso espongo la situazione attuale nei riguardi dei nostri interessi coloniali come mi apparisce dopo avere esaminata questa materia della quale non ebbi ad occuparmi dal mio arrivo a Parigi.

Il 7 corrente il Consiglio supremo (presenti per l’Italia il presidente Orlando e il ministro Sonnino)4 adottò la seguente decisione:

«La Francia e la Gran Bretagna faranno insieme una raccomandazione alla Lega delle Nazioni per l’avvenire delle colonie del Togo e del Camerun;

Il mandato per l’Africa Orientale tedesca sarà dato alla Gran Bretagna;

2 Vedi D. 441.

3 Vedi Allegato. Si vedano poi le osservazioni di Colosimo alla relazione De Martino in T.3450 del 13 maggio (D. 479).

4 Si tratta della riunione tenuta dai Quattro il 7 maggio alle ore 16,15 al Trianon. Cfr. ALDROVANDI, pp. 302 sgg., FRUS, vol. V, pp. 506 sgg., MANTOUX, vol. I, pp. 513 sg.

Il mandato per l’Africa Occidentale tedesca del sud sarà dato all’Unione del Sud-Africa;

Il mandato per le isole Samoa sarà affidato alla Nuova Zelanda;

Per gli altri possessi tedeschi nel Pacifico al sud dell’equatore escluse le isole tedesche di Samoa e di Nauru, il mandato sarà affidato all’Australia;

Il mandato per Nauru sarà dato all’Impero britannico;

Il mandato per le isole tedesche al nord dell’equatore sarà dato al Giappone.

È stato altresì deciso che, in vista di quanto è sopra convenuto, i Governi d’Italia, della Francia e dell’Inghilterra nomineranno subito una Commissione interalleata per far luogo all’applicazione dell’articolo 13 del Trattato di Londra che prevede compensi equi a favore dell’Italia, specialmente nel regolamento delle questioni concernenti le frontiere delle colonie italiane in Eritrea, Somalia, Libia, e delle colonie confinanti della Francia e della Gran Bretagna»5.

Da questa decisione risulta che oramai Francia e Inghilterra si sono accordate fra loro, all’infuori dell’Italia, per la spartizione dei mandati in Africa, restando così confermati gli indizi che da alcun tempo giungevano intorno a trattative fra quei due Governi. Ci troviamo pertanto di fronte ad un fatto compiuto diplomatico che sarà molto difficile, se non impossibile, modificare a nostro vantaggio.

D’altronde dal testo medesimo della citata deliberazione risulta che il mandato della Commissione è limitato agli studi per l’applicazione dell’articolo 13 del Trattato di Londra.

Il punto di vista del Ministero delle colonie risulta dal telegramma di S.E. Colosimo al marchese Salvago Raggi in data 5 febbraio 1919 (n. 1270)6 nonché dalla memoria annessa alla nota (n. 1890) in data 16 marzo7. Secondo il Ministero delle colonie l’Italia in aggiunta all’applicazione dell’articolo 13 dovrebbe richiedere una partecipazione nella distribuzione dei mandati.

Il punto di vista della Delegazione italiana, secondo mi riferisce il cav. Piacentini, e quale risulta dalla corrispondenza, consiste invece in una alternativa: o sostenere l’applicazione dell’articolo 13, o sostenere la nostra partecipazione ai mandati.

Inoltre i plenipotenziari italiani, in presenza dello inasprimento dei negoziati per la questione adriatica, deliberarono che i maggiori problemi interessanti l’Italia dovessero trattarsi successivamente e non contemporaneamente: in primo luogo la questione adriatica, in secondo luogo l’Asia Minore, in terzo luogo l’Africa e ciò nell’intento di evitare abbinamenti.

Di fronte a queste due concezioni diverse, si presenta la situazione di oggi quale ho sopra indicata, cioè che il Consiglio supremo ha nominata una commissione con l’incarico esclusivo di esaminare l’applicazione dell’articolo 13.

A mio modo di vedere il piano di azione potrebbe essere il seguente:

1) Nella prima seduta della commissione esprimere formale riserva perché i due Governi alleati hanno deliberato circa la distribuzione dei mandati all’infuori di ogni concorso

6 Pubblicato in serie sesta, vol. II, D. 241.

7 Pubblicata in serie sesta, vol. II, D. 853.

dell’Italia. Superfluo qui enumerare i molteplici argomenti a sostegno di tale riserva. Naturalmente questa riserva non avrà alcun effetto pratico, almeno in primo tempo.

2) Impostare il nostro postulato sull’articolo 13, con la cessione di Gibuti; Kisimaio; Somaliland britannico; Giarabub; rettifica confine Gadames — Gat — Tummo; Farsan; indipendenza dell’Arabia.

3) È chiaro che la difficoltà maggiore sarà per Gibuti. A tal proposito ricordiamo anzitutto che durante i negoziati pel Trattato di Londra nel 1915 il Governo francese ci espresse a Londra e a Parigi la riserva che in nessun caso le disposizioni dell’articolo 13 dovessero comprendere Gibuti e fu dai nostri ambasciatori ottenuto a stento che la riserva non figurasse nel testo dell’articolo.

Faccio presente inoltre il rapporto del r. ambasciatore a Parigi in data 18 aprile scorso

n. 20108 (comunicato al Ministero delle colonie) relativo agli ostacoli che si presentano ad una eventuale cessione di Gibuti. In tale condizione di cose occorre stabilire un piano d’azione che potrebbe essere il seguente:

In primo luogo mandare subito a Parigi persona di fiducia non funzionario, avente attinenza cogli ambienti finanziari francesi, che stabilisca approcci cogli interessati alla ferrovia di Addis-Abeba e al commercio delle armi per vedere se vi è possibilità di intesa a base di risarcimenti confidenziali. E ciò perché risulta che l’origine degli ostacoli alla cessione di Gibuti proviene specialmente da interessi privati. Nel caso apparisse che il negoziato ufficiale possa utilmente proseguirsi quella persona dovrebbe poter rapidamente concludere il suo lavoro.

In secondo luogo intraprendere un negoziato con l’Inghilterra sulla base delle proposte contenute nella nota del Ministero degli esteri a quello delle colonie in data 7 febbraio 1917 n. 59 allo scopo di creare un interesse pratico all’Inghilterra di favorire la cessione di Gibuti per parte della Francia; in altri termini di pagarne il prezzo alla Francia stessa.

Quella proposta ha la sua base nell’interesse britannico alla questione del lago Tsana da cui dipende l’irrigazione del Sudan. Per brevità non ripeto qui tutto quanto è detto nella citata nota del 7 febbraio 1917.

Tuttavia proporrei una modificazione e cioè offrire all’Inghilterra, in primo tempo, un accordo sulla base di maggiori e più complete garanzie di carattere idraulico, e solo in secondo tempo, se ciò non fosse sufficiente, una intesa di carattere territoriale sulla delimitazione dello sfere d’influenza in Etiopia.

Mi pare improbabile che senza questo compenso pratico e tangibile il Governo inglese si deciderà ad agire seriamente su quello francese ed a pagare l’indispensabile prezzo di Gibuti. E ciò affermo pur ricordando quanto mi disse a Londra nello scorso dicembre sir William Tyrrell (ripetendolo pure in presenza del marchese Imperiali). Trascrivo dalla mia relazione 3 dicembre 191810: «Tyrrell disse che è interesse dell’Inghilterra che l’Italia abbia Gibuti; si tratta di vedere che prezzo ci metterà la Francia. Se il prezzo sarà ragionevole l’Inghilterra è pronta a combinare; se non sarà ragionevole non potrà, perché si metterebbe contro le sue proprie colonie e i Domini. Tyrrell mi fa capire che vi furono già scambi di idee indiretti, per mezzo di persone non ufficiali, col Governo francese. L’Inghilterra ha offerto Togo, Camerun

9 Non pubblicata in serie quinta, vol. VII.

10 Non pubblicata in serie sesta, vol. I.

e Gambia ma i francesi giudicarono l’offerta non sufficiente. Tyrrell si è schermito dal dirmi chiaramente se l’offerta di quelle tre colonie era diretta in modo specifico a regolare la cessione di Gibuti all’Italia oppure se essa riflettesse in generale l’assestamento coloniale africano. Durante il colloquio Tyrrell accennò alla difficoltà di trovare per la Francia un’altra stazione carbonifera sulla via delle Indie. Accennò pure agli interessi privati francesi connessi con la ferrovia di Gibuti e col traffico delle armi».

È però da tener presente che dopo quella data il Foreign Office è stato messo completamente da parte per volere di Lloyd George il quale con due o tre segretari ha accentrato ogni cosa. Gli «Assistant Under Secretary of State» come Tyrrell non contano nulla oggi e spesso non sono nemmeno al corrente. Ciò si può dire dello stesso Balfour.

Qualora ci urtassimo in difficoltà insormontabili per Gibuti, sarebbe allora il caso di avanzare in compenso una domanda di partecipazione ai mandati in Africa appoggiandoci ai seguenti punti:

a) Riserva che, come ho detto in principio, propongo di formulare nella prima seduta della Commissione;

b) Discussione nel Consiglio supremo del 28 gennaio u.s. nella quale S.E. Orlando disse che «anche l’Italia ha un accordo con la Francia e con l’Inghilterra concernente le colonie tedesche»;

c) Far valere la parola «notamment» dell’articolo 13 per darvi una interpretazione estensiva ai mandati;

d) Far valere l’argomento demografico. In un rapporto confidenziale inglese dello scorso gennaio ho letto quanto appresso: «La Germania invero non ha mai avuto bisogno di colonie per il legittimo scopo di procurare uno sbocco all’eccesso della sua popolazione. Nel-l’ultimo quarto di secolo la Germania ha cessato di avere ogni disponibile eccedenza di popolazione; di guisa che con la diminuita natalità, ancor più ridotta dalle perdite causate dalla guerra, è improbabile che essa possa riaverne».

Ora questo argomento si può con efficacia ritorcere a vantaggio dell’Italia. Precisamente perché l’Italia manca di sbocchi per l’eccedenza della sua popolazione «outlet for a surplus population», essa avanza legittima richiesta di avere una colonia di popolamento non essendo tali le sue colonie attuali.

Su questo punto occorrono precisioni del Ministero delle colonie.

e) Far valere l’argomento, egregiamente esposto nelle istruzioni del Ministero delle colonie, che l’Italia ha fatto la guerra anche in Africa dando sicurezza alla frontiera egiziana e agevolando con le operazioni in Palestina, e con un esercito di circa 40 mila uomini in Tripolitania, per cui ha impedito il dilagare in Tunisia delle ribellioni fomentate dai turco-tedeschi.

f) Far valere l’argomento, suggerito anche dal Ministero delle colonie, del diritto del-l’Italia di partecipare colle altre potenze all’opera di civilizzazione in Africa.

g) Argomento statistico della proporzionalità degli acquisti coloniali (memoria del Ministero colonie del 30 ottobre 1918)11.

Come ho detto sopra a proposito di Gibuti ritengo indispensabile che anche qualora si venisse a negoziati circa mandati si debba accompagnare l’azione diplomatica e le discussioni

44411 Non pubblicata in serie quinta, vol. XI.

in sede di Commissione con un discreto ed abile lavoro confidenziale di persona fidata non funzionario presso gli ambienti coloniali di questa capitale. Non entro qui nel dettaglio di tale lavoro che naturalmente deve avere base finanziaria. Ricordo quanto mi disse mesi sono un sottosegretario di Stato inglese parlandomi dei negoziati con i francesi circa cose coloniali: egli deplorava che qualunque negoziato di tal genere dovesse necessariamente accompagnarsi da trattative private confidenziali di quella natura.

Esposto quanto precede al Ministero delle colonie, è necessario che da esso ci giungano istruzioni chiare e sollecite.

444 1 Vedi D. 426.

444 5 A queste decisioni fa riferimento un appunto senza data e senza firma, relativo alla commissione costituita per l’applicazione dell’art. 13. Esso è introdotto dall’annotazione: «I verbali hanno iniziodall’8 di maggio. Non sono quindi stati verbalizzati gli accordi coloniali avvenuti in quel tempo». E conclude osservando: «Così fu deciso, senza altre osservazioni di Orlando e Sonnino: rimase cioè stabilito che le ex colonie tedesche d’Africa passavano a Francia e Inghilterra e che all’Italia si sarebbe applicatol’art. 13 (senza però che i rappresentanti italiani — prima di aderire — chiedessero in che cosa dovesseconsistere l’applicazione dell’art. 13).

444 8 Vedi D. 237.

445

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 9 maggio 1919.

RIUNIONE PRESSO IL PRESIDENTE WILSON

alle ore 11 del giorno 9 maggio 1919

Sono presenti i quattro capi di Governo ed i periti finanziari.

Lord Robert Cecil espone la grande necessità di fare qualcosa di sistematico e niente di spasmodico per quanto riguarda la ricostituzione industriale ed economica dei paesi nemici e dell’Europa e ciò col regolare efficacemente tutta la questione delle materie prime e dei crediti. Gli sembra che sarebbe necessario pubblicare due principi:

1) che gli Alleati si varranno della facoltà di rimettere il blocco se la pace non è firmata; 2) che appena la pace sarà firmata il blocco sarà tolto in ogni sua forma. Ciò avrà per conseguenza di stabilire un elemento psicologico favorevole al credito.

Wilson — Noi tutti ci rendiamo conto della natura critica del problema che concerne il vettovagliamento, le materie prime ed il credito. Mi pare però che la discussione non possa farsi proficuamente in una così larga Assemblea come questa. Mi pare sarebbe più opportuno che ciascuna delle quattro potenze nominasse due periti che si riunissero in commissione, salvo a portare il risultato dei loro lavori al Consiglio dei quattro.

Così si decide1.

La riunione rimane limitata ai quattro capi dei Governi.

Wilson fa osservare che è incorso un errore nella redazione delle condizioni di pace presentate ai tedeschi e precisamente nell’articolo 430, poiché la rioccupazione

445 Riunione a.m. del 9 maggio del Consiglio dei quattro. Cfr. FRUS, vol. V, pp. 521 sgg., MANTOUX, vol. II, pp. 11 sgg. e RAC, nn. 431-437. Alla riunione intervennero anche Crespi e Sonnino.

1 Di questa prima parte della riunione, con la presenza dei periti finanziari, e in particolare del-l’intervento di Lord Cecil sul rifornimento di materie prime, esiste nel fondo Aldrovandi una più dettagliata relazione che non si pubblica.

delle zone specificate nell’articolo 429 è preveduta nel caso che la Germania non abbia osservato in tutto od in parte «le obbligazioni risultanti dal presente Trattato». Ora, era stato stabilito che questa clausola si riferisse alle obbligazioni finanziarie e non a tutte le obbligazioni derivanti dal Trattato.

Osserva altresì che l’articolo dice che tali territori «saranno immediatamente occupati di nuovo dalle forze alleate ed associate». Vorrebbe che invece di usare una forma obbligatoria si mettesse una formula più facoltativa e che invece di dire «saranno immediatamente occupati» si dica «potranno essere immediatamente occupati».

Lloyd George e Clemenceau non hanno obiezioni. Siccome d’altronde si tratta di condizioni che si modificherebbero a favore della Germania, credono che sia inutile procedere ad una rettifica fin d’ora, mentre non vi sarà difficoltà a presentarla ed a farla accettare a suo tempo quando si procederà alla redazione del trattato definitivo.

446

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 9 maggio 1919.

RIUNIONE PRESSO IL PRESIDENTE WILSON

alle ore 16 del giorno 9 maggio 1919

Wilson fa presente l’incertezza in cui egli si trova per quanto riguarda il rinvio in America delle truppe che sono ancora in Francia. Se seguita a rinviarle nella quantità con cui esse sono inviate adesso, fra tre mesi non vi sarà più alcun soldato americano in Francia. Ora se debbono rimanerne in Francia, in conformità di alcune clausole del trattato di pace, ciò implica una inutilizzazione di mezzi di trasporto che è certamente dannosa.

Lloyd George — Fra quindici giorni sapremo a che punto saremo, se esiste ancora la guerra o no. Il generale Wilson mi ha detto che il generale Pershing seguita a mandare truppe americane a casa con grande attività.

Wilson — Noi mandiamo in America 300.000 uomini al mese; potremmo man-darne ancora di più.

Una cosa che mi preoccupa è anche la situazione militare in Siberia. I nostri soldati che stanno là sono considerati come dei neutri perché non portano un contributo attivo come desidererebbero i generali russi e specialmente Kolciak. Le autorità americane non credono in Kolciak, mentre i francesi e gli inglesi hanno fiducia in lui. Io mi trovo nell’alternativa di seguitare a mandare altre forze in Siberia o di ritirarle e vorrei risolvere la questione entro 48 ore.

446 Riunione p.m. del 9 maggio del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 313 sgg., FRUS, vol. V, pp. 526 sgg., MANTOUX, vol. II, pp. 15 sgg. e RAC, nn. 438-441.

Quando mandammo delle truppe in Siberia facemmo un accordo coi giapponesi secondo il quale le nostre forze dovevano essere pressappoco corrispondenti a quelle giapponesi. In principio accadde così e, di fronte a nove divisioni americane, i giapponesi ne mandarono 12; ma poi la proporzione fu cambiata, tanto che i giapponesi ebbero fino a 70.000 uomini.

Lloyd George — Ma essi hanno detto che gli avrebbero ridotti a 30.000 uomini. D’altronde lo scopo che seguono i giapponesi è quello di non far apparire che la vittoria dipenda dal generale Kolciak.

Wilson — Noi temiamo che dal nostro ritiro nascano difficoltà fra i giapponesi e Kolciak.

Legge un lungo telegramma che rende conto dell’attuale situazione in Siberia.

Lloyd George — È necessario che noi arriviamo ad una soluzione circa la Russia. Kolciak si avanza verso Arcangelo, Pietrogrado e Mosca. Egli sta per girare il Volga e procede assai velocemente. Mi sembra che sarebbe opportuno prima di prendere una decisione, sentire il signor Ciaikovski, il quale si trova a Parigi ed è un liberale. Egli è allarmato dallo atteggiamento di Kolciak il quale viene descritto come un reazionario che può darci delle difficoltà una volta che si sia impossessato di Mosca e di Pietrogrado. Mi parrebbe quindi meglio che mettessimo al più presto possibile delle condizioni a Kolciak.

Wilson — Non dubito che lo indurremo a promettere; ma se sarà a Pietro-grado ed a Mosca, che forza avremo poi per obbligarlo a mantenere quanto ci ha promesso?

Lloyd George — Possiamo sempre tenerlo per mezzo del vettovagliamento ed anche coi mezzi di trasporto. La Russia attualmente non ha locomotive; tutti i trasporti sono in condizioni deplorevoli e mentre i bolscevichi hanno avuto a loro disposizione delle riserve di provvigioni, adesso non ne esistono più in Russia e la Russia d’altronde non può averne dalla Germania.

Wilson — Che cosa fareste per il mantenimento delle vostre forze in Russia e delle forze americane?

Lloyd George — Mi pare che il meglio sia ancora di aspettare qualche giorno. Noi dovremmo qui considerare la cosa e intanto potreste telegrafare che manderemo istruzioni.

Wilson — Si potrebbero intanto chiedere le intenzioni di Kolciak.

Lloyd George — Mi pare un programma assai vago. Dovremmo chiedere per iscritto qualcosa di più definito, come per esempio se egli abbia intenzione di lasciare la terra ai contadini oppure di rimettere la proprietà fondiaria nelle condizioni in cui si trovava prima della rivoluzione.

Wilson — Da quanto mi risulta, anche la situazione attuale delle terre è piena di inconvenienti.

Lloyd George — Ciò accadde anche al tempo della rivoluzione francese del 1789.

La seconda domanda che dovremmo fare a Kolciak, sarebbe quella di riunire un’Assemblea costituente che rappresenti veramente la nazione russa.

Wilson — Sono d’accordo nell’opportunità di vedere domattina Ciaikovski.

Lloyd George — Dobbiamo prendere una decisione in riguardo a Kolciak.

Wilson — Il vostro problema ed il mio sono virtualmente lo stesso. Voi dovete raggiungere Kolciak da una parte ed io dall’altra.

Lloyd George — Non vi è niente di peggio in questo momento che disinteressarsi della Russia.

Wilson — A parte il problema russo, vi è ancora da considerare che cosa si deve fare dal punto vista militare nel caso in cui i tedeschi non firmino il trattato.

Clemenceau — In questo momento deve essere adunata una commissione militare. Mi è stato riferito però che non vi sono gli italiani, poiché, essendo stati invitati, essi hanno risposto che non erano pronti. Naturalmente non possiamo arrestare il lavoro perché gli italiani non sono pronti. Ho detto al generale Belin che passasse oltre e che discutesse la questione senza gli italiani.

Orlando — Ci deve essere stato un malinteso.

Lloyd George — Dovrebbe considerarsi anche l’eventualità dell’occupazione di Berlino e di Francoforte.

Clemenceau — Proporrei che il maresciallo Foch sia sentito da noi domani.

Wilson — Sta bene, domattina potremo sentire il maresciallo Foch alle 11 ed il signor Ciaikovski a mezzogiorno.

Aldrovandi, che nel frattempo ha telefonato al generale Cavallero, informa che quest’ultimo ha dichiarato di non essere mai stato invitato per la riunione concernente questioni militari riguardanti la Germania. Egli era stato invitato per intervenire alla commissione che stabiliva lo statuto militare dell’Austria e dell’Ungheria ed aveva risposto che, arrivando domenica il generale Diaz, riteneva opportuno aspettare il suo arrivo.

Hankey rammenta che occorre risolvere alcun’altra questione, per esempio quella della distruzione o meno dei sottomarini tedeschi. Occorre altresì decidere se, prima di porre delle condizioni finanziarie all’Austria, convenga deliberare una linea di condotta uniforme per tutti i territori che formavano parte della monarchia austro-ungarica. Questo sarebbe il parere del delegato inglese.

Orlando — Concordo.

Wilson — Mi pare che si dovrebbe usare un trattamento diverso a taluni Stati che, come la Polonia, sono meno responsabili delle direttive politiche seguite da Stati che avevano proceduto alla sua spartizione. Così, altre considerazioni si dovrebbero tenere forse presenti per altre nazioni, come la boema.

Orlando — Vi pregherei di formulare voi stesso una decisione che vedremmo domattina.

Lloyd George fa una proposta perché la stampa alleata e nemica abbia contemporaneamente il testo della risposta dei tedeschi alle condizioni di pace, come è avvenuto per la stampa alleata e nemica in occasione della presentazione delle condizioni di pace.

Clemenceau non vede nella cosa alcuna importanza.

Si decide di non dare seguito alla proposta.

Hankey presenta la seguente risoluzione1, che egli ha formulato in seguito alla discussione avvenuta ieri mattina: «Si concorda: che ciascuno dei trattati di pace coll’Austria e coll’Ungheria conterrà articoli vincolanti così l’Austria e l’Ungheria come le Alte potenze contraenti a riconoscere

la frontiere dei vari Stati sorti dall’antico Impero austro-ungarico e di tutti gli Stati contigui. Ovunque possibile, l’intero confine di tutti questi Stati dovrà essere fissato nei detti trattati di pace con l’Austria e con l’Ungheria. Nei casi tuttavia in cui non appaia attuabile di determinare completamente tali confini prima della firma di questi trattati, l’Austria e l’Ungheria, come le altre Alte parti contraenti, converranno di riconoscere questi Stati nel limite di quei confini i quali verranno susseguentemente determinati dalle principali potenze alleate ed associate. Naturalmente ciò non si applicherà al territorio austro-ungarico, le frontiere del quale verranno fissate dai rispettivi trattati di pace».

Orlando e Wilson si riservano di esaminarla e di dichiarare domattina se l’approvano o no.

446 1 Edita in ALDROVANDI, p. 316 e in FRUS, vol. V, p. 536.

447

IL PRESIDENTE DELLA DELEGAZIONE

DELLA REPUBBLICA ARMENA, AHARONIAN,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 177. Parigi, 9 maggio 1919 (perv. stesso giorno).

La Délégation Arménienne1 a eu l’honneur, à plusieurs reprises, d’attirer l’attention de la Conférence de la Paix sur la situation désespérée du peuple arménien; elle constate avec douleur qu’aucune suite n’a été donnée à ses appels pressants.

Après quatre années de sacrifices héroïques et de souffrances inouïes, le peuple arménien était en droit d’espérer que la fin de la guerre lui apporterait un soulagement. Six mois se sont écoulés depuis l’armistice et nos souffrances continuent avec la même intensité. Les foyers arméniens sont toujours occupés par les Turcs, nos réfugiés, par centaines de mille, sont toujours massés sur la frontière de l’Arménie Turque, mourant de la famine, des épidémies et des privations sans fin.

Le correspondant du «Times» rapporte, dans son numéro du 6 Mai, que ces pauvres réfugiés sont condamnés à se nourrir de la chair des cadavres humains, et meurent par plusieurs milliers par jour.

Tandis que, d’un côté, le monde civilisé se réjouit de l’approche de la Paix, est-il juste de laisser mourir ce peuple dans les affres de la faim et de la maladie?

Le peuple arménien ne comprend pas ce traitement injuste. Aussi longtemps qu’il s’est agi de souffrir et de mourir, à côté des Alliés, pour la bonne cause, il a tout

supporté; mais il ne comprend pas que les Alliés permettent, après leur splendide Victoire, que son extermination continue six mois après l’armistice. Si les Puissances libératrices tardent à prendre des mesures immédiates, l’Arménie entière sera transformée en vaste cimetière.

Nous venons encore une fois jeter un cri de détresse et attirer Vos regards, au milieu de Vos graves préoccupations, sur le sort de ce peuple si éprouvé.

D’autre part, tant que la République Arménienne n’est pas encore reconnue, Elle ne peut contracter aucun emprunt pour porter Elle-même remède à ses maux.

Nous supplions les Alliés d’accélérer cette reconnaissance et de nous accorder un emprunt qui nous permette de procurer des vivres, des médicaments et des vêtements à ce peuple mourant.

Si l’occupation de l’Arménie par les troupes Alliées est impossible, nous prions les Alliés de donner des moyens aux troupes Arméniennes pour qu’elles puissent prendre elles-mêmes en mains la défense de leurs foyers2.

447 1 Accanto alla delegazione della Repubblica armena di Erivan, presieduta da A. Aharonian,un’altra delegazione (Delegazione nazionale armena) rappresentava gli armeni turchi ed era guidata daBogos Nubar pascià. In data 12 febbraio 1919 i presidenti delle due delegazioni avevano presentato afirma congiunta un documento a stampa dal titolo «La question arménienne devant la Conference de laPaix». Ora, in data 10 maggio, anche la delegazione nazionale armena, con nota a firma Nubar, inviò aSonnino una accorata perorazione, invocando la protezione degli alleati contro le persecuzioni turche.

448

IL DELEGATO PRESSO IL RE NICOLA I DEL MONTENEGRO A PARIGI, MONTAGLIARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 56.43. Parigi, 9 maggio 1919. (perv. stesso giorno).

Si annuncia come prossima la venuta dei plenipotenziari austriaci coi quali si stabilirà le condizioni di pace per quanto riguarda le frontiere dell’ex Impero austro-ungarico. A quella occasione verrebbe pure fissato il futuro assetto dei Balcani.

I montenegrini dolorosamente delusi di non aver potuto assistere alla consegna dei preliminari di pace ai plenipotenziari tedeschi rivolgono tutte le loro speranze sulla loro assistenza alla consegna delle condizioni di pace agli austriaci. Per questo contano sull’aiuto dell’Italia.

A mio subordinato parere credo che sarebbe opportuno di esaminare attentamente questa questione e di cercare, ove fosse possibile, di soddisfare la legittima richiesta dei montenegrini. Se fossero delusi anche questa volta perderebbero ogni fiducia in noi e non sarebbe impossibile che, spinti dalla disperazione, si buttassero in braccia ai serbi, re Nicola abdicando in favore del nipote il principe Alessandro. Già abili sobillatori di parte serba (che ha dei fautori nella stessa famiglia reale) cercano di influenzare in questo senso il re e il Governo. Già si sta formando tra quella gente l’idea che l’Italia, che prima li aveva aiutati e sostenuti, ora pensa di servirsi di loro come mezzo di cambio per facilitare i negoziati su Fiume e la Dalmazia e voglia

448 Manoscritto autografo.

in cambio di concessioni sulla costa dalmata sacrificare, al momento opportuno, il Montenegro. Mi sono adoperato con ogni energia a confutare quella idea.

Mi permetta l’E.V. di esprimere il subordinato parere che si dovrebbe aiutare per quanto ci sia possibile il Montenegro il quale, se ci rimarrà amico e fedele, formerà come un cuneo infisso nella Jugoslavia, o meglio nella Grande Serbia, che ci è e ci sarà sempre ostile. Un Montenegro a noi devoto diventerebbe per noi un’arma difensiva e anche offensiva verso la Serbia. Invece un blocco compatto panserbo, a noi certamente ostile, sull’altra sponda dell’Adriatico sarebbe per noi un pericolo perenne che con ogni mezzo dovrebbesi evitare.

Col Montenegro indipendente, a noi amico e riconoscente, avremo sempre un piede sulla costa orientale dell’Adriatico e il mezzo per poter efficacemente intervenire nelle questioni balcaniche che, è da prevedersi, dovranno ancora e per molto tempo passare per un periodo di instabilità e disordine1.

447 2 A margine annotazioni manoscritte «Proporrei che Galli si tenga in continuo rapporto conNubar e gli altri affinché l’Italia non sia esclusa da eventuali decisioni. 11.V. G. De Martino».

449

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA

T. 511. Parigi, 10 maggio 1919, ore 10.

Giornali francesi di stamane pubblicano quanto segue:

«Il ministro commercio Clémentel ha riferito giovedì presso la Commissione del bilancio su un progetto che egli aveva presentato e avente lo scopo di chiedere all’America un anticipo di 45 milioni di franchi per il rifornimento viveri all’Austria. Il ministro commercio disse che Inghilterra e Italia avevano già accettato di fare un eguale anticipo di 45 milioni franchi ciascuna e che questi due paesi si erano resi garanti di fronte all’America per il debito che veniva contratto dall’Austria. Solo a queste condizioni America aveva consentito a fare tale anticipazione a Inghilterra Italia e alla Francia. Il Clémentel ha insistito vivamente per l’accettazione del suo progetto ma la Commissione all’unanimità meno un solo voto, quello di Simyan, ha respinto le proposte del ministro commercio tenuto conto della critica situazione finanziaria in cui si trova oggi la Francia».

449 Il telegramma è controfirmato da Sonnino. Il testo era stato inviato in minuta il giorno precedente al Gabinetto di Sonnino per l’approvazione e la firma, con nota del prof. Rondoni, capo Gabinettodi Crespi. Da qui la seconda firma.

Sarà bene che la cosa sia molto conosciuta perché siano messi in tutta luce il diverso contegno e sentimento dell’Italia anche per ribattere impressione dei sequestri opere d’arte. Prego informarne confidenzialmente Governo austriaco facendo rilevare quale affidamento si possa fare sulle promesse e assicurazioni d’ordine finanziario date da Allizé e da Chevalier. Occorre far rilevare che Italia non solo ha concorso per la sua quota di 45 milioni anticipati dall’America ma ha concorso per una quota molto superiore prendendola da denaro proprio. Sarà opportuno rilevare anche che Chevalier si è recato a Vienna per prendere accordi per il rimborso di un credito che il suo Governo non aveva fatto e che il suo Parlamento non ha consentito di fare. Prego comunicare a Mario Alberti se ancora a Vienna e a generale Segre.

448 1 A margine annotazioni manoscritte: «Il re Nicola dovrebbe fare formale domanda alla Conferenza per essere ammesso alla firma della pace con l’Austria». In realtà re Nicola aveva inviato a Wilson una richiesta di ammissione di un proprio rappresentante alla Conferenza della pace nel gennaio del1919, al momento dell’insurrezione del Montenegro. Ma il Consiglio supremo alleato aveva rinviato laquestione al chiarimento della situazione politica del paese. Il 5 marzo una delegazione montenegrinaguidata da Plamenatz venne ricevuta dal Consiglio supremo, senza che questo valesse a sciogliere lariserva sulla rappresentanza del Montenegro alla Conferenza. Da parte sua Plamenatz già il 9 aprile avevainviato a Sonnino analoga protesta con preghiera di intervento presso gli alleati. Il 7 maggio, infine, Wilson aveva sottoposto al Consiglio dei quattro una nuova richiesta montenegrina a lui pervenuta.

450

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1216/747. Vienna, 10 maggio 1919, ore 14 (perv. ore 10 dell’11).

Mio telegramma n. 733 di ieri1.

Il compito che si propone delegazione Austria Tedesca Pace può essere riassunto come segue: Ottenere facoltà unione Austria Tedesca alla Germania e in caso contrario farsi pagare rinunzia a tale unione col massimo possibile di concessioni territoriali, economiche, finanziarie. Va anche notato che unione alla Germania è desiderata sinceramente dai soli socialisti e tedeschi nazionali.

Il partito cristiano-sociale, rappresentato in seno alla delegazione da deputato Gürtler, non desidera tale unione. Mi risulta d’altronde che essa non è desiderata né da barone Eichkoff, capo sezione agli affari politici, né forse da dottor Schüller, capo sezione agli affari commerciali del Ministero esteri, i quali fanno parte della delegazione.

In complesso la delegazione non potrà a meno tener conto della circostanza che unione Austria Tedesca alla Germania non è desiderata né dai circoli commerciali, industriali, bancari, né dagli ambienti cattolici e cristiano sociali. Anche l’aristocrazia, che però ha perduto in parte della sua antica influenza, è contrarissima all’unione alla Germania. Naturalmente, delegazione passerà ciò in silenzio ed affermerà necessità unione Austria Tedesca alla Germania salvo a rinunziarvi per ottenere maggiori concessioni. Fra queste si trova questione Alto Adige che appassiona in modo particolare opinione pubblica. Il Tirolo sarà rappresentato in seno alla delegazione, oltre che dai deputati Abram e Schumacher di cui mio telegramma 7132, da capitano provinciale aggiunto del Tirolo dottor Sternbach. Qualora ciò fosse ritenuto necessario

2 Si tratta del T. 1183/713 del 7 maggio. Non pubblicato.

per impedire perdita Alto Adige, si ritiene che i rappresentanti del Tirolo si staccherebbero dalla delegazione austro-tedesca dopo aver fatto dichiarare dagli organi competenti del Tirolo l’indipendenza del paese.

Delegazione austro-tedesca sembra fare molto assegnamento sull’aiuto della Francia.

Scrittore francese René Pinon si reca Saint-Germain nello stesso treno della delegazione austro-tedesca.

450 1 Non pubblicato.

451

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, E ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 3477. Abano, 10 maggio 1919, ore 21,40.

Seguito telegramma 3389 A. OP. data 4 corrente di questo Comando1 informasi che Assemblea del consiglio nazionale del Tirolo ha soprasseduto proclamazione repubblica indipendente2 limitandosi, dissenzienti socialisti, a formulare ordine del giorno nel quale si afferma decisione Tirolo proclamarsi Stato indipendente qualora solo tale soluzione assicuri integrità territorio da Salorno a Kufstein. Ove le due parti del Tirolo venissero disgiunte, stesso ordine afferma che altro non rimarrebbe al Tirolo settentrionale che unirsi a Germania. Segue testo dell’ordine suddetto3 che venne trasmesso ufficialmente a nostro Comando 3° Corpo d’armata in Innsbruck.

452

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 10 maggio 1919.

Nella seduta antimeridiana fu approvato il criterio metodico di procedere alla pace con l’Austria, ammettendo che ciò debba avvenire in via di successive delimitazioni delle frontiere dei nuovi Stati, mentre nel trattato di pace con l’Austria basterà

451 Il telegramma è indirizzato anche, per conoscenza, al Ministero della guerra, div. S.M.

1 Non pubblicato.

2 Vedi D. 406.

3 Non rinvenuto.

452 Analoga comunicazione fu fatta a Petrozziello per Colosimo con telegramma delle ore 21,30dello stesso giorno.

aggiungere soltanto l’impegno dell’Austria stessa di accettare tali decisioni. Fu chiarito espressamente che tali successive determinazioni relative alle frontiere dovranno essere fatte dalle stesse grandi potenze alleate ed associate che siedono per ora nella Conferenza. Questa decisione, per quanto puramente metodica, ha per noi il vantaggio di consentirci la possibilità di un rinvio delle nostre questioni mantenendo il possesso. Questa possibilità non è in se stessa gradevole, ma può rappresentare un meno male di fronte a soluzioni ben più pericolose e dannose, mentre si darebbe tempo al tempo e si renderebbe possibile il mutamento di stati d’animo che per ora costituiscono insuperabili difficoltà1.

Nella seduta pomeridiana fu votata una massima secondo la quale la contribuzione per le riparazioni deve gravare su tutti i nuovi Stati derivanti dall’ex impero austro-ungarico, comprese quindi Jugoslavia, Boemia, ecc. Tale soluzione corrisponde alle nostre proposte e ai nostri interessi. Le nostre principali questioni territoriali rimangono in sospeso, evidentemente perché tutti avvertiamo non essere ancora matura nessuna possibilità.

453

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 561. Costantinopoli, 10 maggio 1919.

Col tel. Gab. n. 22 del 15 febbraio1 accennai ai tentativi della Chiesa ortodossa di stringere stretti legami colla Chiesa anglicana. Osservavo come questa avrebbe potuto non accorgersi che gli scopi del Fanar eran puramente politici.

Ho ragione di credere che i greci han lavorato con successo a Londra. Mi consta che tre personalità della High Church si son recate a Parigi per propugnare la restituzione di Santa Sofia alla Chiesa ortodossa.

Come V.E. sa, la Chiesa romana non è stata indifferente a questi tentativi; una recente intervista del cardinal Gasparri lanciava la tesi che, quando Maometto II si impadronì di questa città, vigeva l’unione delle Chiese, che Santa Sofia era una chiesa cattolica e che deve quindi tornare al cattolicismo.

I dirigenti cattolici sentono che S. Sofia agli ortodossi rappresenterebbe per le Missioni e la loro propaganda un colpo da cui non si rimetterebbero.

Sto sull’argomento in riservatissimo contatto con questo delegato apostolico. Gli interessi politici italiani coincidono in questo caso con quelli religiosi del Vaticano.

A noi conviene che S. Sofia resti moschea o, ridiventando chiesa cristiana, passi ai latini.

In questo senso sono anche disposto ad agire presso la Porta ove l’occasione ed il momento si presentino opportuni, ed in modo riservatissimo.

Gradirei tuttavia conoscere se V.E. abbia altre direttive da segnarmi.

452 1 Le stesse considerazioni erano già state fatte da Orlando nel telegramma a Vittorio EmanueleIII del 9 maggio, non pubblicato.453 Questo documento fu trasmesso a Sonnino da Manzoni con T. 11349 del 21 maggio, conriferimento alla relazione già inviata il 17 maggio (vedi D. 527).1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 348.

454

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 10 maggio 1919.

RIUNIONE PRESSO IL PRESIDENTE WILSON

alle ore 10 del 10 maggio 1919

Sono presenti: il presidente Wilson, il sig. Clemenceau, il sig. Lloyd George, il sig. Orlando, il maresciallo Foch, il generale Weygand, i due segretari e l’interprete Mantoux.

Clemenceau — Signor maresciallo, vi preghiamo di indicarci quali precauzioni occorrerà prendere se i tedeschi rifiuteranno di firmare la pace1. Voi dovete informarci sui mezzi che intendete adottare e su che cosa farete.

Foch — Abbiamo avuto una riunione il 24 aprile fra i capi degli eserciti interessati sul fronte franco-belga ed abbiamo accertato che nel mese di maggio avremo 40 divisioni di fanteria e 5 di cavalleria pronte ad operare sul fronte del Reno. Per poterle far marciare occorre un preavviso di otto giorni.

L’azione da intraprendersi dovrebbe organizzarsi secondo lo scopo. Se vi è un Governo germanico assolutamente opposto a firmare la pace, dobbiamo prendere la direzione di Weimar e di Berlino. Ci si può trovare invece di fronte ad una situazione meno netta. Se ci troviamo di fronte ad un Governo che resiste, dobbiamo vincere la sua resistenza andando a Weimar od a Berlino col più corto cammino, per la via di Reno-Colonia e Magonza col maggiore numero di forze possibile, cioè con quelle che abbiamo colà e che ho citato or ora. Prendendo questa base e questa direzione abbiamo dinanzi a noi una linea molto vantaggiosa, perché abbiamo a nord la Lippe e a sud il Meno.

Ma nell’ipotesi successiva, vale a dire in quella in cui ci trovassimo di fronte ad un Governo non irreducibile, possiamo, senza arrivare a Weimar od a Berlino, esercitare una grande influenza sul Governo, facendo delle operazioni minori. Infatti, passando il Reno a Colonia, mettiamo le mani sul bacino della Ruhr di cui noi ci impossessiamo; passando al sud tagliamo la Germania del nord dalla Baviera e tendiamo la mano ai czechi di Praga.

È un’operazione che si può fare senza pericolo. Così otterremo il vantaggio senza andare in fondo, ma se vorremo andare in fondo potremo arrivare al centro e distruggere il Governo.

Clemenceau — Voi contemplate anche un’azione con la Czeco-Slovacchia?

454 Riunione a.m. del Consiglio dei quattro del 10 maggio. Cfr. ALDROVANDI, pp. 316 sgg.,FRUS, vol. V, pp. 537 sgg., MANTOUX, vol. II, pp. 21 sgg. e RAC, n. 442-446. 1 Per i precedenti della questione vedi. D. 151 e All.

Foch — Noi andiamo a trovarla.

Lloyd George — Quante truppe hanno i czeco-slovacchi?

Foch — Hanno tre divisioni complete, che hanno attualmente occupate sul fronte ungherese; ma oltre queste divisioni complete hanno anche brigate pronte che stanno formando nuove divisioni. Abbiamo del resto anche ieri chiesto schiarimenti a Praga. La linea di avanzata di cui ho parlato sopra è soddisfacente sotto ogni punto di vista.

Wilson — Non ci sono piazzeforti sulla strada?

Foch — No, nessuna.

Wilson — Weimar e Berlino sono fortificate?

Foch — No, in nessun modo.

Lloyd George — Non si contempla anche l’aiuto di truppe polacche?

Foch — Si, si, evidentemente.

Lloyd George — I polacchi sono attualmente in possesso di Posen?

Foch — Si.

Wilson — Quali sono le forze attuali della Germania?

Foch — Non si sa. Sono probabilmente 450.000 uomini, ma sparsi un po’ dappertutto, i quali non vogliono più battersi e sono disorganizzati.

Lloyd George — È stata contemplata una possibile azione per la via di Stettino?

Foch — No, non si può agire dal mare colle artiglierie attuali. A condizione di essere prevenuti otto giorni innanzi, si può sferrare un’azione sopra 400 Km di fronte, di una potenzialità indiscutibile.

Clemenceau — Ma per quel che riguarda il bacino della Ruhr, non vi è pericolo pel fatto che vi è addensata una forte popolazione operaia?

Foch — Si, certo, ma coi cannoni e coi fucili questa popolazione si tiene. Certo bisognerà pensare al suo vettovagliamento.

Clemenceau — Ma non si potrebbe fin da ora ridurre gli otto giorni di cui avete parlato perché un’azione militare si possa svolgere se vediamo venire la tempesta? Ve ne accertiamo fin d’ora e voi potreste dare gli ordini perché tutto sia pronto in un termine minore di otto giorni.

Lloyd George — Mi pare che sarebbe opportuno far vedere ai tedeschi che ci stiamo preparando per un’azione eventuale. Ciò può avere un’influenza nel determinarli alla pace.

Foch — Concordo in questa opportunità. Potrei andare io stesso la settimana prossima per ispezionare le truppe che sarebbero destinate a questa operazione e per rendermi conto se sono pronte. Per rispondere poi alla domanda che mi è stata fatta, avverto che ho già preso delle misure per ridurre il termine di otto giorni di cui ho parlato prima.

Il generale Weygand dà dettagli sull’azione di minore importanza di quella accennata dal maresciallo Foch e che potrebbe sferrarsi in poche ore e con poche truppe, per evitare che i tedeschi facciano il vuoto sulle ferrovie, ciò che renderebbe più difficili le operazioni successive.

Clemenceau — In queste condizioni, quanto tempo vi occorre di preavviso?

Foch — Io potrei disporre perché ciascuna armata abbia due o tre divisioni sempre pronte.

Weygand — Io posso studiare subito la cosa nel pomeriggio e dare delle disposizioni immediate.

Lloyd George insiste nel dire che sarebbe opportuno che i preparativi militari che si fanno in questo senso siano il più possibile palesi al nemico.

Clemenceau — Ritengo che ciò sia opportuno. Infatti il nemico osserva che gli americani stanno andandosene dalla Francia; le condizioni della Francia sono tali che nessuno desidera riprendere la guerra e perciò non vi è niente da temere dagli alleati.

Lloyd George ritiene che sarebbe opportuno che il maresciallo facesse qualche cosa di visibile fra uno o due giorni, per esempio dovrebbe far vedere movimenti di cavalleria.

Foch — La cavalleria è quel che c’è di più magro. Ritiene sarà molto più efficace che vada egli stesso e che ciò sia saputo da tutti.

Clemenceau — Che cosa farete dunque per abbreviare il termine di otto giorni?

Foch — Dirò di sospendere i permessi per una o due divisioni per armata.

Lloyd George — Quando può partire il maresciallo Foch?

Clemenceau — Propongo parta lunedì.

Lloyd George — Quanto prima è meglio.

Clemenceau — I giornali riferiscono i discorsi di Hindenburg e di Scheidemann. Da essi non risulta ben chiaramente quali siano le loro intenzioni. Forse non lo sanno nemmeno loro.

Lloyd George — Bisogna perdere il meno tempo possibile, perché questo è il momento in cui i tedeschi decidono.

Clemenceau — Sono d’accordo.

Foch — Sono agli ordini dei Governi, ma osservo che i tedeschi hanno tempo a rspondere fino al 22.

Clemenceau — Hanno già mandato due lettere.

Foch — Oh, ve ne manderanno ben di più.

Lloyd George — Ci vorrà qualche tempo prima che essi sappiano che il maresciallo Foch è andato sul fronte.

Foch — Potrei far fare movimenti di munizioni.

Lloyd George — I tedeschi non pensano rapidamente. C’è interesse ad andare più presto.

Clemenceau — Sono d’accordo. Vi raccomandiamo la rapidità.

Foch — La diligenza.

Il maresciallo Foch esce.

Hankey — Ieri il presidente Orlando ha riservato la sua approvazione per quanto riguarda la risoluzione presa circa la pace coll’Austria.

Orlando — Non ho alcuna difficoltà.

Clemenceau — Ho ricevuto una lettera di Venizelos, con cui egli chiede l’evacuazione di Corfù da tutti: francesi, inglesi, italiani, americani se ve ne sono.

Wilson — Non credo ve ne siano.

Orlando — Non ho difficoltà.

Clemenceau — Che cosa c’è da trattare ancora?

Orlando — Il presidente Wilson mi aveva detto ieri che avrebbe studiato una formula per quanto riguarda i principî generali concernenti le riparazioni dell’Austria Ungheria.

Wilson — Me ne ero incaricato io? Non me lo ricordo. Ad ogni modo non ho avuto tempo a pensarvi.

Hankey legge la correzione che è stata fatta all’art. 430 del trattato di pace colla Germania.

Clemenceau — Lasciatemi questo testo, insieme con la decisione che era stata presa a questo riguardo. Comunicherò la mia decisione.

(Il testo dell’art. 430 (riveduto) è il seguente:

«Nel caso in cui, sia durante l’occupazione sia dopo la scadenza dei quindici anni sopra indicati, la Commissione delle riparazioni trova che la Germania rifiuta di osservare in tutto o in parte le proprie obbligazioni, secondo quanto è indicato nella Parte VIII (Riparazioni) del presente trattato, l’intera superficie specificata nell’art. 429, od una parte di essa, sarà rioccupata immediatamente dalle forze alleate ed associate»).

Wilson propone una sua risposta ad una delle domande che sono giunte dai tedeschi.

Clemenceau — I giapponesi chiedono di essere posti nelle commissioni che vedranno le risposte date dai tedeschi.

Si concorda che per ciò non vi è nessuna difficoltà.

Clemenceau — Lammasch ha fatto chiedere di portare seco la moglie e la figlia. Ho preso sopra di me la responsabilità di concederglielo. Gli austriaci arriveranno mercoledì.

Entra il Sig. Ciaikovski.

Wilson — Vorremmo che voi ci illuminaste su ciò che possiamo fare per la Russia. Vogliamo essere il suo amico intelligente e temiamo che l’avanzata di Kolciak possa produrre una reazione o restaurare l’antico ordine di cose2.

455

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 10 maggio 1919.

RIUNIONE PRESSO IL PRESIDENTE WILSON

alle ore 16 del 10 maggio 1919

Sono presenti: il presidente Wilson, il sig. Lloyd George, il sig. Clemenceau, il sig. Orlando, i due segretari e l’interprete Mantoux.

Lloyd George — Che cosa pensate di Ciaikovski?

Wilson — Mi piace, è un uomo diritto. Nello stesso tempo non mi rendo ben conto ancora quale sia la situazione, ma credo che l’opinione pubblica del mondo non ci sosterrebbe se noi abbandonassimo la Russia a se stessa. Come potremmo avere un rapporto recente sopra i propositi dell’ammiraglio Kolciak?

455 Riunione p.m. del 10 maggio del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 318 sgg.,FRUS, vol. V. pp. 553 sgg., MANTOUX, vol. II, pp. 32 sgg. e RAC, nn. 447-451.

Lloyd George — Tutto il futuro della Russia dipende da Kolciak. Se egli non è persona da fidarsene dobbiamo saperlo.

Clemenceau — Non abbiamo mezzi per raggiungerlo.

Wilson — Io ho un buonissimo ambasciatore a Tokio, il signor Morris.

Clemenceau — Ma ci vuole molto tempo per andare da Kolciak.

Wilson — Credo ci voglia una settimana da Vladivostok.

Lloyd George — E quanto per andare da Tokio a Vladivostok?

Wilson — Non più di 24 ore.

Lloyd George — Credo valga la pena di mandarvelo.

Wilson — Se considerate il programma di Kolciak esso vi apparirà buono, ma però noi non siamo sicuri che egli sia sincero. Potrebbe darsi infatti che egli fosse un secondo Napoleone, ma anche in questo caso egli non si troverebbe dietro di sé un paese come la Francia dopo la rivoluzione del 1789.

Lloyd George — Ma Kolciak non è un Napoleone.

Hankey — Occorrerebbe prendere una decisione sopra la domanda fatta da Cunliffe. Come mi diceva ora Aldrovandi, il Comitato finanziario non può procedere allo studio delle riparazioni da chiedere all’Austria se non si è prima fissato il principio generale in base al quale esse debbono essere richieste.

Wilson — La mia idea sentimentale era che la Polonia venisse lasciata fuori, ma io ritengo che le altre parti dell’Austria debbono sopportare una parte proporzionale nel debito pubblico e nelle riparazioni o nelle sole riparazioni.

Lloyd George — Prima del debito pubblico debbono essere considerati i diritti degli alleati. Faccio poi osservare che le condizioni dell’armistizio coll’Austria non sono identiche a quelle dell’armistizio colla Germania.

Wilson — Noi non potremmo evidentemente mettere un grosso peso sull’Austria.

Clemenceau — No, no.

Wilson — Riterrei però che bisognerebbe considerare quello che è più giusto per l’Italia.

Lloyd George — Ma l’Italia è nelle stesse condizioni in cui noi ci troviamo.

Orlando — Fino ad ora sì.

Wilson — Tutti temiamo che le riparazioni che possa offrire l’Austria non siano adeguate.

Lloyd George — Senza dubbio è meglio fissare la somma che essa dovrà pagare.

Wilson — E fare una domanda moderata.

Clemenceau — Ma chi può dare indicazioni a questo proposito?

Wilson — Mi pare difficile arrivare ad una somma soddisfacente.

Lloyd George — Mi pare però sia meglio dire qualcosa di definito. Sarebbe poco serio dire: Voi siete collaterali alla Germania per tutti i danni.

Wilson — Non si può applicare all’Austria il principio di farla collaterale. Essa deve essere indipendente.

Lloyd George — Io ritengo necessario chiedere ai nostri periti di riferirci qual’è la proporzione che deve pagare ciascuno dei paesi che costituivano l’antica monarchia austro-ungarica.

Wilson — Sarebbe utile poter cercare di fare una proposta generale per tutto quello che deve pagare il gruppo delle varie potenze.

Lloyd George — D’accordo.

Orlando — Vi sono questioni tecniche molto difficili, che bisogna fare esaminare dai periti. Certamente, come principio, concordo coll’adottare quello che ha esposto or ora il presidente Wilson, cioè: accettare il principio generale che tutti gli Stati debbono pagare qualcosa, forse eccettuando la Polonia, determinare le possibilità dipagamento ed infine lasciare ai periti di fare proposte circa la distribuzione. È necessario farlo anche in rapporto ai tedeschi, perché se no essi domanderebbe per qual ragione mai tutto il peso delle riparazioni è posto sopra di loro.

Lloyd George — Questa è una ragione addizionale che è certamente giusta. Io ritengo poi che anche gli Stati che sono stati liberati per effetto della guerra debbono pagare la loro parte e includerei anche la Polonia.

Wilson — Ma la Polonia si può sotto certi punti di vista equiparare al Belgio.

Lloyd George — Ma osservo che il Belgio sarà il più ricco paese d Europa.

Wilson — Allora ritiro il paragone.

Orlando suggerisce che il colonnello Hankey rediga il testo della decisione.

Hankey dice che lo farà. Fa presente che il comitato finanziario che tratta le questioni austriache ha chiesto se ha facoltà di sentire la delegazione czeco-slovacca.

Orlando e gli altri assentono.

Clemenceau conferma che i delegati austriaci arriveranno mercoledì.

Lloyd George — E gli ungheresi?

Clemenceau — Nessuno ne sa niente.

454 2 Manca qui il resoconto dell’audizione di Ciaikovski sulla situazione in Russia, resoconto chemanca per altro anche in ALDROVANDI cit., ma è edito invece in FRUS, vol. V, pp. 544 sgg. e in MANTOUX, vol. II. pp. 27 sgg.

456

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1229/5306. Roma, 11 maggio 1919, ore 2,20 (perv. ore 9 del 12).

Alcuni giornali riportano notizia data dal «Matin» dell’arrivo Parigi missione etiopica scopo presentarsi Conferenza per chiedere protettorato francese sull’Etiopia. Notizie dirette danno che le altre due missioni etiopiche per Italia e Inghilterra attendono imbarco Gibuti. Si è disposto affinché missione per Italia sia portata il più presto possibile da regia nave a Suez per proseguire per Italia con primo mezzo. Come

V.E. ben ricorda fu già concordato che unico scopo di queste missioni deve essere quello di presentare ai capi di Governo alleati le felicitazioni della corte abissina per la vittoria riportata dall’Intesa sulle armi austro-turco-tedesche.

Regi ambasciatori a Parigi e Londra ebbero istruzioni1 chiedere rispettivi Governi quale trattamento sarebbe fatto missioni stesse per procedere, anche circa accoglienza, in pieno accordo con alleati. Ministero esteri mi comunica ora seguente rispo

sta del regio incaricato di affari a Londra: «Foreign Office mi ha comunicato che l’ambasciatore di Inghilterra a Parigi ha appreso che il conte Bonin ha fatto passi presso il Quai D’Orsay per ottenere sia seguita una perfetta uniformità nelle accoglienze da farsi alla missione etiopica e che Lord Derby ha in seguito a ciò fatto rilevare a Pichon l’opportunità che i tre Governi giungano al riguardo ad un completo accordo».

Ministero esteri mi comunica anche seguente risposta regio ambasciatore in Parigi: «La missione etiopica sarà ospite del Governo francese. Se lo chiederà essa sarà pure accompagnata a visitare il fronte in automobile. Non è finora stabilito alcun programma per banchetto, circa personaggi che vi parteciperanno, ecc. Siccome si prevede che durata del soggiorno in Francia della missione sarà di un mese, così si potranno in seguito avere più ampi ragguagli».

Devo ritenere che notizia «Matin» sia canard giornalistico giacché, se diversamente fosse, nostro allarme non potrebbe che essere vivissimo per sorti Eritrea e Somalia Italiana. Non ho bisogno rappresentare V.E. che se altrimenti fosse Francia, legata per l’Etiopia all’accordo a tre di Londra del 13 dicembre 1906, avrebbe agito nella preparazione della cosa non da alleata ma da nemica in onta alla fede che altamente professa per i trattati. Mi preoccupa il fatto dell’imbarco avvenuto a Gibuti della sola missione etiopica diretta in Francia, contrariamente alle precedenti intese per una simultanea partenza delle tre missioni, la quale cosa ha messo in diffidenza lo stesso conte Colli, il quale telegrafava al Ministero esteri da Addis Abeba2 avere ragioni di credere che così ministro di Francia quanto governatore a Gibuti non abbiano dimostrato soverchia buona volontà nel far prendere imbarco alle missioni per Italia e Inghilterra. Che se effettivamente si tratti di azione personale del ministro di Francia ad Addis Abeba, in contrasto delle istruzioni del suo Governo, dovrebbe giungere immediato il disconoscimento da parte di questo.

V.E. ha certamente sul posto tutti gli elementi per una esatta visione dello stato delle cose. Nella dannata ipotesi, che non posso ammettere, che notizia del «Matin» abbia fondamento di vero, non ho bisogno di dire all’E.V. che si imporrebbe un’azione di immediata protesta presso il Governo francese, nella quale dovremmo aver il concorso dell’Inghilterra, che fin dal 1901 è strettamente legata a noi nei riguardi del-l’Etiopia.

La stessa comunicazione del r. ambasciatore a Parigi che la missione resterà in Francia un mese potrebbe essere un indizio di mene francesi. Attendo rassicurazioni dall’E.V.

456 1 Vedi D. 50.

456 2 Vedi D. 341.

457

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1218/110. Roma, 11 maggio 1919, ore 13,25 (perv. ore 15,30).

Mio telegramma Gab. n. 1071.

In relazione notizia partenza otto piroscafi greci per imbarcare truppe da sbarcarsi presumibilmente Smirne, riterrei opportuno fossero date, se non è stato fatto, istruzioni perché nostri informatori seguissero a Metelino attentamente movimenti e disposizioni perché nostro sbarco Smirne, giustificato da tutela connazionali, avvenisse contemporaneamente o quasi subito dopo, per modo che occupazione Smirne avesse almeno quel carattere internazionale che gli alleati hanno voluto dare a Fiume.

458

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 459 bis RR. Parigi, 11 maggio 1919, ore 14,45 (perv. ore 17,50 stesso giorno).

A tuo telegramma di ieri sera, senza numero1.

Non mancherò di fare tutto il possibile per una azione che da qui concorra agli scopi che tu indichi. Ma bisogna stabilire per conto nostro tutta la vera portata del movimento d’opinione che tu descrivi. Esso rappresenta da un lato un ritorno offensivo di tutti quegli elementi politici i quali si trovano in antico disaccordo con le essenziali direttive della nostra politica estera («Corriere Sera», «Secolo» ecc.), nonché di tutti gli oppositori parlamentari, più o meno larvati, da Nitti in poi. Questi elementi non osarono manifestare il loro dissenso finché si videro contro un sollevamento d’opinione pubblica; ma ripigliano la loro funzione di fronte allo snervamento dell’opinione pubblica stessa. Il lato dunque più preoccupante del fenomeno consiste, secondo me, in siffatto snervamento. Ciò dimostra quale scarso assegnamento potesse farsi sopra una politica di resistenza ad oltranza e cioè contro quella politica la quale, non contenta della rottura con l’America, si fosse anche adoperata a rompere con Inghilterra e Francia2. Posto ciò, si spiega la sproporzione tra il malumore e gli incidenti che tu indichi. Quanto alla censura, ho già dato larghe spiegazioni a Petrozziello,

2 Sulle tattiche da seguire alla Conferenza della pace si veda poi D. 489.

attraverso Battioni3. Quanto alla così detta alleanza tra Francia, Inghilterra ed America4, basta una sommaria considerazione per convincersi che qui impropriamente si parla di alleanza, ma bensì di un sostitutivo, più o meno sincero e più o meno efficace, alla primitiva pretesa francese dell’occupazione della riva sinistra del Reno. E si spiega che l’Italia non vi partecipi per un motivo di evidente orgoglio nazionale francese, dato il valore manifestamente protettivo di quella clausola. D’altra parte la risoluzione di procedere a tale cosiddetta alleanza è almeno di un mese fa, ed è quindi del tutto indipendente dai fatti recenti che ci riguardano.

Io non mancai di valutare attentamente l’opportunità di offrire un concorso benché non richiesto e, d’accordo con Sonnino, ritenemmo ciò inopportuno per ragioni che continuo a credere buone. Quanto, finalmente, al ritardo della soluzione delle nostre questioni, il pubblico dovrebbe bene rendersi conto che ciò è una naturale conseguenza della politica di resistenza da noi assunta. In altri termini, il ritardo significa che noi persistiamo in tale attitudine di resistenza, non volendo cedere e non riuscendosi a trovare una transazione accettabile. In sostanza, dunque, il problema che si pone è di sapere se il paese è o no risoluto a persistere in questa linea politica e ad accettare tutti gli inconvenienti che ne derivano, tra cui in prima linea precisamente il ritardo. Tutti coloro che conservano serenità in questo difficilissimo momento debbono convincersi essere assolutamente impossibile di ottenere una soluzione che nel tempo stesso sia favorevole e rapida, e bisogna invece decidersi a scegliere tra il ripiegare o il tener fermo con tutte le sue conseguenze. Tu sai bene come io non dia nessuna importanza alla mia persona quando si tratta di interessi del paese. Valuta tu stesso, d’accordo coi colleghi, se la situazione del paese sia tale da apparir preferibile, nell’interesse delle cose, un cambiamento degli uomini che sono al Governo. In tal caso sarà sempre possibile trovare il modo, essendo io disposto, anzi lieto, di qualunque sacrificio personale che possa giovare al paese. Sarà anche bene che tu ti rechi a conferire con Sua Maestà, a cui darai notizia del contenuto di questo telegramma, e attenderò le vostre impressioni.

457 1 Del 9 maggio. Non pubblicato.

458 1 Non pubblicato.

459

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE

T. 514. Parigi, 11 maggio 1919, ore 15.

Suo telegramma n. 2291.

1) Le ragioni di diritto invocate da Fiume per unirsi all’Italia riposano sui due principi di nazionalità e autodeterminazione e cioè sui due capisaldi della tesi di Wilson.

4 Vedi D. 332.

2) Le ragioni economiche che esercitano tanto fascino sugli speculatori americani sono semplicemente il frutto della propaganda avversaria che si è servita di questo miraggio per assicurarsi l’appoggio di Wilson: Fiume è un porto che non ha mai sorpassato un milione quattrocentomila tonnellate di movimento mercantile; sua posizione geografica, e sua orografia escludono che possa divenire mai lo sbocco per i paesi balcanici da un lato e per gli austro-ungarici dall’altro; ne è prova lo scarso movimento summenzionato e il fatto che Trieste, quando Fiume e Trieste appartenevano allo stesso Stato, assorbiva tutto il traffico. Opinione pubblica americana non si è mai accorta con quanta poca buona fede sia stata informata circa tale questione la quale non può avere una reale importanza se non per l’Italia perché rappresenta per essa il compimento della sua unità nazionale.

V.S. può servirsi ampiamente degli argomenti che precedono.

458 3 Sui movimenti di stampa e gli interventi di censura si vedano poi DD. 476 e 539.

459 1 Vedi D. 354.

460

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1228/757. Vienna, 11 maggio 1919, ore 19,45 (perv. ore 9 del 12).

Cancelliere di Stato Renner che parte domani per Saint-Germain mi ha detto sarebbe desiderabile stabilire rapporti diretti fra delegazione italiana e delegazione austriaca per la pace essendovi questioni che potrebbero essere più facilmente risolte fra Italia e Austria senza intervento altri alleati. Egli ha conosciuto delegato italiano finanziamento viveri Mario Alberti che parte in questi giorni per Parigi e chiede se questi non potrebbe essere adoperato per stabilire collegamento fra delegazione italiana ed austriaca. Renner augura intervenga accordo fra Italia ed Austria questione Alto Adige che diversamente rappresenterebbe costanti ostacoli buoni rapporti fra italiani e tedeschi. Se Alto Adige dovesse essere annesso semplicemente all’Italia nulla potrebbe impedire futura alleanza fra Austria-Tedesca e Jugoslavia. Poiché Alto Adige è richiesto dall’Italia solo per regioni strategiche Governo austro-tedesco aveva già dichiarato accettarne assoluta neutralizzazione militare. Ora esso va più in là e propone intendersi sulla base seguente: occupazione permanente Brennero e stazioni di tappa per il Brennero da parte delle forze militari italiane mentre però amministrazione civile Alto Adige rimarrebbe all’Austria-Tedesca. Renner dichiara inoltre Governo austro-tedesco essere disposto liquidare ogni suo interesse economico e finanziario nell’Adria e nei Balcani a favore Italia. Egli osserva che Francia sta mettendo le mani in numerose imprese finanziarie e concessioni sopratutto in Bosnia e nei Balcani. Citò imprese legname, carbone, rame, zucchero, elettricità, valori dalmati ferrovie orientali. Verso le concessioni predette circa Alto Adige Governo austro-tedesco è pronto adoperarsi perché tutti questi interessi economici e finanziari siano attribuiti all’Italia e non alla Francia.

461

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1236/201. Parigi, 11 maggio 1919 (perv. il 12).

Ho avuto stamane una conversazione con il signor Clémentel ministro del commercio; egli è uno dei membri dell’attuale Gabinetto che più avvicina Clemenceau e forse quello che per precedenti politici, per simpatie personali e per ragioni di affari è meglio disposto verso di noi.

Gli dissi francamente che in tutto questo disgraziato conflitto italo-americano ciò che più sinistramente mi aveva impressionato era l’atteggiamento dapprima indifferente e da ultimo addirittura ostile assunto da Clemenceau. Gli ricordai, a titolo d’esempio, la pretesa che l’assenza dei nostri delegati dalla riunione di Versailles facesse decadere il Patto di Londra, l’invito fatto a nostra insaputa ai negoziatori austriaci, l’omissione del nome dell’Italia dal testo delle proposte di pace e la lotta che dovemmo sostenere per farlo ristabilire a stampa. Clémentel mi disse che il suo presidente, pur conservando la sua antica amicizia per l’Italia, era stato profondamente irritato dall’atteggiamento della nostra marina nell’Adriatico, che egli giudicava essere stato assolutamente ostile alla Francia e dal quale aveva tratto l’impressione che fosse nostro programma escludere la Francia dall’Adriatico per fare poi una politica imperialista a suo danno nell’intero Mediterraneo.

Non ripeterò all’E.V. i molti e facili argomenti che trovai per dimostrare al signor Clémentel la assurdità di simile accusa e di simili sospetti; egli però insisteva che quello era il principale grief del presidente, al quale si presentavano quotidianamente (e dal linguaggio di Clémentel ebbi la conferma indiretta che il principale autore di tale manovra è il signor Mandel) nuovi documenti delle disposizioni ostili della nostra marina. Il signor Clemenceau afferma di sapere che a un dato momento le nostre navi si preparavano perfino a tirare sulle navi francesi. Altra accusa che ci fa Clemenceau è quella di manovrare in Bulgaria a danno dei nostri alleati e di impedire così un pacifico assetto dei Balcani. A ciò risposi che non usavamo fare della politica d’intrighi, ma che non era da meravigliarsi se i bulgari, visto l’atteggiamento ostile della Serbia a nostro riguardo, ci consideravano di miglior occhio degli altri alleati e citai il proverbio «les ennemis des ennemis sont des amis». Nulla di serio vi era dunque in tutto questo atto di accusa, nulla che giustificasse un atteggiamento che può compromettere per molti anni l’amicizia franco-italiana. Il Clémentel si rendeva pienamente conto del pericolo che minaccia le relazioni dei due paesi e mi assicurò che per quanto egli poteva si adoperava a scongiurarlo. Egli ci dava il consiglio di non appartarci più in nessun caso dalla Conferenza.

Se fossi al vostro posto, egli diceva, firmerei senza esitare la pace con la Germania che vi assicura dei vantaggi economici importanti, firmerei quella con l’Austria che vi darà un lungo tratto dei confini del Patto di Londra e nella quale dovreste introdurre clausole economiche e commerciali di vostra convenienza. Alla mia osservazione che firmati quei due trattati prima che sia risolta la questione del nostro confine orientale noi saremmo rimasti senza pegni in mano, egli rispose che potremmo sempre anche allora invocare il Patto di Londra per risolvere anche quella questione. A tale proposito egli mi disse che dall’Hotel Crillon1 era partita la proposta, che egli credeva prossima ad essere applicata, della costituzione di una commissione di quattro per risolvere quella questione e in primo luogo quella di Fiume. I quattro rappresentanti sarebbero, a quanto gli era stato riferito, i signori House, lord Milner, Tardieu e Crespi. Gli dissi che non avevo informazioni a tale proposito, che però diffidavo assai delle proposte americane, che in più occasioni si erano dimostrate alla prova dei fatti di non essere che iniziative personali non autorizzate da alcuna personalità responsabile, che per mio conto non consiglierei al mio Governo di esaminare nessuna proposta presentataci dai nostri alleati che non avesse già in qualche modo ottenuto l’adesione di Wilson.

Mentre mi accomiatavo Clémentel mi ripetè abbondantemente l’assicurazione dei suoi propositi di viva amicizia a nostro riguardo e mi disse che nella settimana stessa avrebbe visto Pichon per parlargli di tutto ciò. Sono lungi dall’avere grande fiducia nell’esito delle sue pratiche, ma credo sia stato utile segnalare anche per mezzo suo a questi circoli dirigenti la pessima ripercussione che la condotta di Clemenceau dovrà necessariamente avere sull’opinione pubblica italiana.

462

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, GRASSI, AL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI

NOTA 200 L. Parigi, 11 maggio 1919 (perv. il 13).

Come è a conoscenza dell’E.V. una delle non facili questioni che si presenteranno tra breve alla discussione degli Alleati è quella relativa al naviglio mercantile nemico. Essa è stata obbietto di studi anche in seno alla nostra Delegazione e si sono avute parecchie conferenze, nelle quali si rilevava qualche punto di divergenza sul modo come ottenere i nostri giusti intenti, specialmente per quanto si riferiva al naviglio ex austriaco iscritto a Trieste e Fiume.

Il punto di vista della Marina militare, conforme in complesso a quello del Ministero dei trasporti, sarebbe il seguente.

Il naviglio iscritto a Trieste e Fiume era caratterizzato per un servizio quasi esclusivo, per i porti stessi. Esso quindi era economicamente legato alle due città, di cui formava la ricchezza e il benessere. Qualora esse dovessero essere private del naviglio avrebbero la medesima sorte delle città nelle quali si distruggono gli stabilimenti di produzione, perché il naviglio costituiva il mezzo, l’unico mezzo anzi, per far prosperare quei paesi. Il commercio marittimo era la fonte di ricchezza delle due

462 La nota fu inviata per conoscenza a Orlando e Sonnino. Grassi firma «d’ordine del Capo di

S.M. della Marina».

città le quali cadrebbero nella più grave e quasi irreparabile situazione economica,qualora venissero private del naviglio iscritto nei loro porti. È bene nell’occasione tener presente che ben diverso era il carattere del naviglio tedesco, la cui attività si svolgeva generalmente all’estero e tra porti esteri, nel commercio internazionale.

Per tali considerazioni il naviglio iscritto a Trieste e a Fiume non deve essere compreso nel pool generale per il risarcimento dei danni, come non sono stati computati a tale scopo i mezzi locali di produzione e il naviglio del Reno, considerati come legati alle industrie locali e alla navigazione fluviale.

Il risarcimento dei danni dovrebbe quindi essere concesso all’Italia, escludendo il detto tonnellaggio dal pool generale nella percentuale assegnata all’Italia. Per ragioni di opportunità tale percentuale dovrebbe essere costituita dal naviglio ex austriaco non iscritto a Trieste e Fiume, completato da quello germanico.

Tale tesi incontrerà certo delle difficoltà, ma le ragioni economiche e di equità sono tali da persuadere gli alleati che la reintegrazione politica non può essere disgiunta per le nostre terre irredente dalla ricostituzione economica. Questa era tutta nel naviglio, sul quale vivevano le industrie locali e trovava lavoro la massa dei lavoratori.

Qualora tali nostri desiderata non venissero accettati, bisognerebbe far in modo da detrarre dal pool generale quella parte di tonnellaggio che potesse risultare appartenente a regnicoli. Tale principio sembra sia già stato applicato per l’Alsazia e Lorena ove i beni privati degli oriundi francesi non formano obbietto di risarcimento di danni. Una differenza di trattamento della proprietà degli irredenti italiani non potrebbe in alcun modo essere giustificata. Si aggiunga che, qualora tale principio non venisse seguito, il tonnellaggio che resterebbe all’Italia non sarebbe sufficiente per i bisogni di Trieste e Fiume e per il servizio delle comunicazioni che esse hanno con i vari porti adriatici. L’Italia col nuovo territorio marittimo ha un fabbisogno di tonnellaggio superiore a quello che aveva per i soli suoi porti prima della guerra.

La tendenza dell’Inghilterra sarebbe, a quanto si dice, di mettere tutto in pool, senza alcuna eccezione, con assegnazione ai vari Stati di tonnellata per tonnellata. Se questi due criteri, specialmente il secondo, venissero accettati, grande sarebbe il danno che ne deriverebbe all’Italia in generale e a Trieste e Fiume in particolare. Bisognerebbe combattere il criterio della ripartizione tonnellata per tonnellata e propugnare quello proporzionale delle perdite subite da ciascun Stato. In ogni caso la quota spettante all’Italia dovrebbe essere costituita dalle navi appartenenti alle società di navigazione delle terre redente.

Se la ripartizione avvenisse col criterio del tonnellata per tonnellata l’Inghilterra verrebbe ad impadronirsi di quasi 8/10 del naviglio nemico. Così mentre essa ha potuto aumentare durante la guerra il suo naviglio mercantile questo crescerebbe con l’aumento del naviglio nemico a dismisura a tutto danno degli alleati (l’Italia si trova nelle identiche condizioni della Francia) i quali verrebbero a trovarsi nelle identiche condizioni, se non peggiori, del nemico.

Reputo utile far presente, nel caso dovesse sorgere la proposta di dare del naviglio agli jugoslavi, la considerazione che, non avendo essi avuto perdite durante la guerra, non hanno diritto a risarcimento di danni nel campo della marina mercantile1.

461 1 Era la sede della delegazione americana.

462 1 Quest’ultimo periodo è aggiunto autografo nel testo.

463

IL COMANDANTE DELLE FORZE ITALIANE NELL’EGEO, ELIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1250/884. Rodi, 12 maggio 1919, ore 11,50 (perv. ore 7 del 13).

Telegramma V.E. n. 5131.

Connivenza francese con elemento greco a nostro danno anche riguardo Dodecanneso fu da me da lungo tempo constatata e segnalata. Azione pertinace sebbene ora assai cauta di questo vice consolato continua imprimere elemento ellenofilo persuasione sue aspirazioni hanno appoggio Francia. Telegrammi cifrati insolitamente lunghi, frequenti queste settimane, di questo vice console al suo Governo contengono certamente eco simpatica agitazione provocata mantenuta unicamente da metropolita Apostolos. Con lunghi telegrammi e diffusi rapporti ho riferito Roma i reclami (?) contro nostri ufficiali truppe e carabinieri che metropolita quasi quotidianamente manda a me, ai consoli esteri, a Clemenceau, a Wilson e a Sua Maestà il re. Questi miei rapporti e telegrammi diretti Ministero degli esteri e dei quali sarei gratissimo

V.E. prendesse visione, forniscono documentazione precisa fatta mediante sopraluoghi giudice istruttore, procuratore del re, carabinieri, ufficiali superiori. Processi che si svolgeranno fine settimana metteranno nuova luce sulla velenosa campagna ordita da metropolita che produsse artificiosa agitazione in paese che non chiede se non di restare tranquillo.

Riterrei più che opportuno pubblicazione ufficiale suggerita da r. ambasciatore a Parigi a giusta rivendicazione del nostro buon nome. Miei rapporti e telegrammi forniscono ampio materiale.

Metropolita, vedendo colle nostre occupazioni Anatolia svanire sempre più speranza annessione Grecia, gioca tutto per tutto. Paventando esito processi cercherà spingere nuove violenze. Come ho riferito, mi ha minacciato dichiarare «Chiesa in persecuzione», chiudendo chiese, scuole, sospendendo battesimi, matrimoni, vita religiosa familiare comunità ortodossa se non metterò libertà inquisiti e se non farò cessare martirî, battiture, sofferenze, fame, sete, crudeltà che si esercitano verso prigionieri e se non impedisco continuazione selvagge violenze miei ufficiali e truppe. Queste calunniose contumelie questo ribelle atteggiamento attentano gravemente nostro prestigio. Ripetute volte ho chiesto Ministero facoltà allontanare metropolita Apostolos dal Dodecanneso come già era stato contemplato in condizioni ben meno gravi col mio predecessore (vedi dispaccio a firma V.E. 58815 del 22 dicembre 19162, e 238 del 22 febbraio 19173, al generale Croce).

2 Non pubblicato in serie quinta, vol. VI.

3 Non pubblicato in serie quinta, vol. VII.

A queste mie richieste Ministero con suoi dispacci da Roma 3308 del 15 febbraio4, 5295 del 18 marzo5, e 10023 del 7 corrente6 mi significa ritenere opportuno «continuare eludere sue mene, continuare nostra liberale linea di condotta, non creare martiri». Mi sono attenuto sempre massima liberalità, ma è appunto per non dare occasione ribellioni e necessarie repressioni che potrebbero creare martiri che verrebbero sfruttate nostro danno, che ritengo indispensabile urgente avere adesione V.E. poter eventualmente poter adoperare contro metropolita quest’unica arma cioè suo allontanamento. In tal senso ho oggi replicato R. Ministero degli affari esteri7.

463 1 Il T. 513 dell’11 maggio ad Elia ed a Romano ritrasmetteva il T. 198 GAB., del 9 maggio, diBonin sulla campagna stampa del «Journal des débats» contro le pretese atrocità italiane nel Dodecanneso e sulla necessità di una nostra pubblicazione ufficiale che ristabilisse la verità dei fatti.

464

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1240/97. Vienna, 12 maggio 1919, ore 13 (perv. ore 9 del 13).

Crisi che addietro sembrava imminente in Governo comunista ungherese ha dato luogo questi giorni nuova per quanto precaria stabilizzazione. Fatti giornalieri quali arresto offensiva rumena, inazione czeca, rovescio Kolciak in Russia, comunicato da Cicerin, con speciale radiografo, voce corsa invito Governo ungherese Conferenza pace, mobilitazione jugoslava contro Italia, hanno risollevato morale governanti comunisti e decisili restare; situazione giornalmente aggravasi, requisizioni ogni sorta valori proseguono minacciando annientare ricchezza nazionale; fatti isolati di uccisioni e saccheggi, non voluti da Governo, danno impressione che certi elementi stiano sfuggendogli. Mancanza viveri, nervosità creata da incerta situazione, possono dar luogo ad ogni momento ad eccessi.

Moti mal organizzati sono stati violentemente repressi, paese invoca pronto intervento salvarlo totale rovina.

Di fronte appelli rivoltimi da ogni partito perché iniziativa intervento parta da Italia, per la quale simpatie sono vivissime, ritengo mio dovere segnalare nostro assoluto interesse aiutare ogni ristabilimento Governo normale in Ungheria, che dovrà essere fulcro nostra futura politica orientale. Facile pretesto ci è dato da necessità difenderci da propaganda ad onta ogni misura che con Italia permane attivissima.

5 Vedi serie sesta, vol. II, D. 867.

6 Non rinvenuto.

7 T. 1715/461 dello stesso giorno, ore 20. Con T. 540 del 17 maggio Sonnino rispondeva intermini rigorosamente negativi alla richiesta di allontanamento di Apostolos: «Situazione presente sconsiglia in modo assoluto allontanamento metropolita così come in genere qualsiasi allontanamento che disolito raggiunge fini opposti a quelli che ci si propone ottenere». Anche Manzoni si era espresso nellostesso senso già con T. 8978 del 23 aprile.

463 4 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

465

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1241/98. Vienna, 12 maggio 1919, ore 13,10 (perv. ore 9 del 13).

In relazione noto invito deciso, poi sospeso, a Governo intervenire Conferenza pace, non posso non osservare, per ogni possibile futura evenienza, che tale passo avrebbe risultati più deplorevoli, rinforzando regime che tutto consiglia far sparire.

466

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1231/1658. Roma, 12 maggio 1919, ore 17,30 (perv. ore 18).

Risulta confidenzialmente che Governo serbo ha diramato una circolare ai propri rappresentanti all’estero per informarli che, Alleati avendo riconosciuto regolarità delle credenziali dei delegati alla Conferenza pace, questi hanno firmato come rappresentanti legali e che con ciò è avvenuto di fatto il riconoscimento dello Stato serbo croato sloveno1.

466 1 Sarà proprio questo infatti l’argomento usato da Clemenceau per rispondere alle obiezionisollevate da Orlando in Consiglio dei quattro il 31 maggio successivo (cfr. MANTOUX, vol. II, p. 262).Prima di questa data solo gli Stati Uniti in febbraio (con riserva delle decisioni finali della Conferenzadella pace) e la Svizzera, in marzo (vedi qui D. 7), avevano riconosciuto il nuovo Stato serbo-croato-sloveno, proclamato il 1° dicembre 1918. Scontato il riconoscimento di fatto, la Gran Bretagna provvide alriconoscimento ufficiale il 1° giugno, la Francia il 5, il Belgio il 13. Seguirono la Romania, la Spagna enumerosi altri paesi. L’Italia riconobbe di fatto il nuovo Stato con la firma del Trattato di Versailles, il 28giugno 1919.

467

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO DELLA MARINA, DEL BONO

T. 521. Parigi, 12 maggio 1919, ore 19,30.

È stato stabilito di permettere occupazione Smirne da parte Grecia1. Contemporaneamente sbarcheranno reparti di eguale forza italiani francesi inglesi che occuperanno i forti salvo a imbarcarsi nuovamente lasciando i greci a custodia della città. Occupazione è stata motivata da recenti massacri di greci avvenuti colà. Alleati non intendono però dare con questo alcuna indicazione di ripartizione di territori in Asia Minore.

Governo turco sarà avvertito dodici ore prima dello sbarco che si suppone avverrà nelle ventiquattro ore. Prego V.E. impartire istruzioni in conformità di quanto precede.

468

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 12 maggio 1919.

Nella seduta antimeridiana fu trattata la questione del tonnellaggio adriatico, sulla quale la commissione degli esperti ci era stata nettamente contraria, avendo contro di noi inglesi, francesi ed americani. Non avevo dunque nessuna seria speranza, e difatti la tesi da me sostenuta non poté prevalere malgrado una lunga e spesso violenta discussione. L’argomento decisivo di Lloyd George fu questo: se l’Italia vuole avere ragioni di preferenza per ciò che concerne i rapporti patrimoniali con l’Austria-Ungheria, bisogna allora che dia a noi la preferenza nei rapporti con la Germania. Ma poiché l’Italia è stata ammessa a piena parità di trattamento verso la Germania, non può negare uguale trattamento a noi verso l’Austria-Ungheria. Dato questo punto di vista, deliberazione odierna, per quanto in sé incresciosa, ha tuttavia il vantaggio di avere definitivamente confermato l’assoluta parità di trattamento dell’Italia nei rapporti con le riparazioni tedesche, cioè verso il creditore solvibile. Il danno di Trieste sarà evitato, perché fu ammesso che l’Italia imputerà nella quota di tonnellaggio che le spetta le navi adriatiche.

467 Il telegramma fu inviato contestualmente per conoscenza a Sforza. Alla Legazione ad Atenela notizia fu data con T. 535 del 16 maggio, posteriormente allo sbarco, avvenuto il 14.

1 La decisione di autorizzare la Grecia ad occupare Smirne era stata presa dal Consiglio deitre, durante l’assenza della delegazione italiana, nella seduta a.m. del 6 maggio (vedi FRUS, vol. V, pp. 484, 504).

468 Analogo telegramma fu inviato a Colosimo, a mezzo Petrozziello, alle ore 21,40.

In una conversazione privata con Lloyd George, questi disse essere opportuno che le condizioni di pace nell’interesse dell’Italia fossero considerate nel loro complesso, per valutarle in maniera reciprocamente compensativa. Risposi che gradivo tale pensiero, e che se ciò non era sinora avvenuto, la colpa non era certo nostra. Lloyd George insistette nella proposta già fatta dagli americani nel senso di nominare la commissione di quattro per cercare un componimento delle questioni territoriali adriatiche1.

469

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL COMANDANTE DELLE FORZE ITALIANE NELL’EGEO, ELIA, E AL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA

T. 362. Roma, 12 maggio 1919, ore 22.

(per Atene) Suo telegramma n. 1211.

(per tutti) All’incaricato d’affari di Grecia venuto stamane Consulta per altre faccende, per alcune delle quali chiedendo speciali agevolazioni per interessi greci in Italia, sono state fatte vive lagnanze per contegno autorità greche specialmente Salonicco che consentono si dicano, si pubblichino, si telegrafino all’estero versioni menzognere e false avvenimenti Dodecanneso giorno Pasqua e si ingiurino soldati italiani tuttora presenti nel suolo greco che hanno difeso dall’invasione nemica. Non si comprende quale vantaggio Governo greco possa trarre da questo suo atteggiamento in questo speciale momento mentre appare evidente il danno che manifestazioni avvenute recano nelle relazioni tra due pubbliche opinioni. Col non impedire manifestazioni pubbliche per quanto di infima minoranza popolazione isole e solo provvedendo non fosse turbato ordine pubblico autorità italiane Rodi aver dato prova tolleranza e liberalismo cui essa informa propria condotta. Manifestazioni Salonicco Atene apparivano dunque anche sotto questo punto di vista estremamente offensive del sentimento pubblico italiano.

468 1 Nel telegramma a Colosimo l’ultimo capoverso è sostituito dal seguente: «Totale di tonnellaggio che ci dovrà essere attribuito a titolo di riparazioni è di circa 400 mila tonnellate; tonnellaggiocomplessivo di Trieste e Fiume è di 500 mila. Noi dunque siamo sicuri di salvarne i quattro quinti, mentre speriamo di far assegnare l’altro quinto in conto delle nostre riparazioni. Ti prego di dare comunicazione di ciò tanto a Ciuffelli quanto a De Nava, invitandovi a fare in modo che si eviti a Trieste l’impressione di un danno sofferto dalla città. Ho già spiegato come questo danno sarà sicuramente evitato siapure con (...) in altro senso».

469 1 Del 9 maggio. Non pubblicato.

470

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. Parigi, 12 maggio 1919, ore 24 (perv. ore 2,30 del 13).

Rispondo subito a tuo telegramma 14571.

Non entro nei particolari di cui prendo atto cercando di soddisfare per quanto è possibile i vari suggerimenti cui tu ed i colleghi avete pensato. Per ciò che riguarda comunicazioni, ti fo osservare che io sono in continuo contatto coi giornalisti, mentre del resto la parte che più direttamente e più vivamente interessa il paese, cioè le nostre questioni territoriali, si trova sempre in quello stato di elaborazione cui ho più volte accennato e che non offre per ora alcuna possibilità di notizie concrete.

Comprendo e rispetto le ragioni che ti hanno indotto a prospettare subito la possibilità di cui ti avevo parlato di un (...) della situazione mediante una crisi di Governo.È certo tuttavia che la questione doveva essere da me proposta. La mia preoccupazione principale riguarda la situazione del paese, verso cui sono pronto a fare tutti i sacrifici, di cui il maggiore è certamente di restare nell’attuale situazione irta di amarezze e di difficoltà. Sono deciso a ciò e vi persisto, in quanto ciò giovi all’interesse del paese; ma se si potesse avere la sensazione sicura che un mutamento di uomini potesse avere un effetto calmante, credo che non vi sarebbe da esitare un momento. Per quanto riguarda nostri negoziati, io non potrei affermare con eguale sicurezza il cambiamento degli uomini abbia ad avere necessariamente effetto favorevole, poiché le nostre difficoltà sono ormai diventate tali da potersi ritenere indipendenti dagli uomini; ciò non toglie che ogni (...) ovvero pretesto dia luogo a recriminazioni, per cui ogni insuccesso viene attribuito alla diminuita autorità dei rappresentanti italiani. Un esempio notevole di ciò si ha nella questione del tonnellaggio adriatico di cui nel mio precedente telegramma2. La questione era già stata talmente pregiudicata nella commissione tecnica che nessuna seria speranza si poteva avere di aver ragione nel Comitato dei quattro. Così io sono assolutamente certo che qualsiasi altro negoziatore non avrebbe potuto ottenere una soluzione diversa. Ciò non toglie che qui, nell’ambiente stesso dell’Edoardo VII, la notizia abbia avuto un coro di violente recriminazioni e che da molti si dica che tali scacchi dipendere oltre dal fatto che io e Sonnino non abbiamo più autorità sufficiente. Io ho il dovere di considerare tutto ciò. L’assenza dall’Italia mi impedisce di avvertire con precisione le ripercussioni di eventuali decisioni ed è perciò che mi astengo dal manifestare propositi in qualsiasi senso, limitandomi a dichiararmi pronto agli eventi. Tu ed eventualmente i colleghi e Sua Maestà siete soli in grado di valutare ciò che possa essere preferibile nell’interesse del paese.

D. 468, nota 1.

470 1 Delle ore 15,45 dello stesso giorno. Non pubblicato.2 Si tratta del telegramma di Orlando a Colosimo delle ore 21,40 dello stesso giorno. Vedi

471

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 12 maggio 1919.

Nel pomeriggio di oggi si è delineata in maniera netta una tendenza da parte dei nostri alleati nonché degli stessi americani per cercare una via di soluzione alle nostre questioni territoriali. A parte un attivo movimento di intermediari, Lloyd George ci ha fatto sapere che desidera vedere domani alle dieci e mezza me e Sonnino, e che alle undici avrà una riunione con Clemenceau e Wilson evidentemente in relazione alle cose nostre. Queste iniziative mostrano come io avessi ragione assumendo quella attitudine di serena attesa che ho tenuto sino qui malgrado le critiche. Speriamo che sia un buon principio.

472

IL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 6608. Roma, 12 maggio 1919.

Risponde a telegramma 8143 data 7 corrente1.

Questo Ministero ha finora ceduto al Governo romeno, dietro precise direttive della Delegazione per la pace, solo oggetti di vestiario (50.000 serie) e bardature (1000 serie); non ha in corso altre cessioni di materiali. Da parte sua, il Governo romeno non ha indirizzato a questo Ministero richieste specifiche di armi, essendosi limitato, ad eccezione del vestiario, a domandare genericamente ogni specie e quantità di viveri, materiali, automobili, vetture, etc. di cui l’esercito italiano potesse disporre.

Quanto alla proposta fatta da codesto Ministero col telegramma sopraindicato2, osservo che la Francia segue nei paesi balcanici una politica opposta ai nostri interessi e che pertanto mi sembra poco probabile riuscire a distrarre l’indirizzo del Governo francese dalle sue particolari mire nel rifornire l’uno piuttosto che l’altro dei paesi balcanici.

E però ritengo mezzo più efficace per contrastare l’attività francese quello di rifornire direttamente, coi nostri materiali esuberanti alle necessità dell’esercito, quelle nazioni che, come la Romania, possono esserci favorevoli o meno contrarie o, quanto meno, abbiano eventualmente interessi contrapposti a quelli delle piccole nazioni favorite dalla Francia.

472 1 Non pubblicato.2 Con il T. 8143 citato si proponeva di indirizzare verso la Romania piuttosto che verso la Grecia l’operazione di cessione di materiale bellico francese esistente in Macedonia.

473

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 12 maggio 1919.

RIUNIONE DEL 12 MAGGIO ALLE ORE 11 PRESSO IL PRESIDENTE WILSON

Sono presenti: il presidente Wilson, il sig. Clemenceau, il sig. Lloyd George, il sig. Orlando, due segretari ed un interprete.

Wilson comunica una lettera del sig. Brockdorff-Rantzau.

Clemenceau — Ho qui anche il progetto di una risposta.

Lloyd George — Quando è arrivata?

Clemenceau — Avant’ieri!

Lloyd George — Avant’ieri!

Clemenceau — Ne ho un’altra che si riferisce ai prigionieri.

L’interprete Mantoux legge la lettera.

Clemenceau — I tedeschi affermano che le deliberazioni che noi abbiamo preso circa il lavoro sono insufficienti, e che essi hanno intenzione di fare molto meglio e suggeriscono di convocare una conferenza sindacalista.

Lloyd George — Questo è molto abile da parte loro.

Clemenceau — Ma noi possiamo dare loro una buona risposta.

Lloyd George — Essi si appelleranno ai lavoratori del mondo ma naturalmente ciò è pura tattica.

Clemenceau — Non trovo qui la lettera di Brockdorff-Rantzau.

Mantoux legge il testo di risposta.

È approvato.

Orlando — A proposito della questione delle riparazioni per quanto riguarda l’Austria Ungheria vi è un punto molto importante riguardante la questione del tonnellaggio. Le disposizioni che si sono applicate per la distribuzione di tonnellaggio nemico con riferimento alla Germania non si possono applicare all’Austria Ungheria. Infatti per quanto concerne la Germania è stato stabilito che il Governo debba sostituire le navi nell’interesse dei privati. In Austria Ungheria ciò non si potrà. I bastimenti che vengono distribuiti appartengono a porti che vengono attribuiti ad amici e non rimangono all’Austria Ungheria. Questi battelli costituiscono la vita dei porti che saranno italiani o jugoslavi. Se si togliessero da quei porti sarebbe decretarne la morte.

Clemenceau — Chi detiene attualmente questi bastimenti? Gli italiani od i jugoslavi?

Orlando — Sono stati per ora sequestrati dagli alleati. Ora si tratta di decidere la loro proprietà futura sopra una base differente. Ripeto, sarebbe la rovina di queste città marinare, siano italiane, siano jugoslave, se essi fossero loro sottratti. Si tratta di procurare la loro rovina se vengono sottratti loro i mezzi di traffico e di sostentamento.

473 Riunione a.m. del 12 maggio del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 323 sgg.,FRUS, vol. V, pp. 565 sgg., MANTOUX, vol. II, pp. 45 sgg. e RAC, nn. 452-454.

Lloyd George osserva che se l’Italia deve avere la sua quota sulla porzione delle navi germaniche non è possibile usare il trattamento ora suggerito per le navi austro-ungariche, perché ciò sarebbe ingiusto per le potenze del nord.

Orlando — I bastimenti austriaci non rappresentano un aumento del tonnellaggio italiano. Si dice dell’Italia che essa avrà il compenso delle perdite subite col tonnellaggio austriaco, ma in questo modo i territori che otterrà l’Italia non hanno più i bastimenti che sono una dotazione loro.

Clemenceau — Non capisco che cosa voglia dire.

Lloyd George — Credo di avere inteso. Ora, se l’Italia non partecipa più alla quota germanica, non ho nessuna obiezione a che essa si interessi unicamente del tonnellaggio austro-ungarico. Ma se l’Italia volesse avere la quota germanica e il tonnellaggio austro-ungarico, non so su quale principio di giustizia e di equità essa fonderebbe la sua domanda.

Wilson — Orlando considera il tonnellaggio austro-ungarico come una unità che non deve essere toccata.

Lloyd George — Sono molto sorpreso del modo in cui questa questione è stata posta. Non abbiamo mai detto che la flotta del nord è esclusivamente nostra. I porti del nord hanno altrettanto bisogno di quelle navi, questa è la proposta più straordinaria che io abbia mai sentito.

Orlando — Vorrei pregarvi di considerare la questione sotto un altro aspetto. Io sono convinto della giustizia della mia proposta. L’Italia avrà Trieste, ma se voi date Trieste sopprimendone la marina, le date una città rovinata. Quando avete dato l’Alsazia Lorena alla Francia avete detto che essa non deve contribuire ai danni. Così le avete lasciato i battelli che servono per la navigazione fluviale e non li avete fatti contribuire al tonnellaggio da ripartirsi fra gli alleati. Nello stesso modo Trieste deve venire all’Italia coi suoi bastimenti. Se l’attribuite all’Italia senza i suoi bastimenti, essa sarà una città rovinata.

Clemenceau — Bisogna che la proporzione sia eguale. Se voi volete prendere tutto al nord e al sud non ci potremo intendere. Io non ero preparato a questo.

Lloyd George — Io non sono preparato a niente.

Wilson — Che cosa volete dire coi bastimenti di Trieste? Volete dire tutti i bastimenti che vanno nel porto di Trieste?

Orlando — No, intendo i bastimenti registrati nel porto.

Lloyd George — Non so esattamente che cosa si sia fatto per i bastimenti sul Reno, ma osservo, a quanto mi viene riferito ora, che si tratta soltanto di bastimenti che possono navigare unicamente nel Reno. D’altronde, se l’Italia insiste, sta bene, ma essa dovrà avere tonnellata per tonnellata. Non è possibile cha l’Italia partecipi alla divisione del tonnellaggio che prendiamo al nemico contro cui noi abbiamo combattuto e contro cui essa non ha combattuto, e che d’altra parte si trattenga i bastimenti del paese contro cui essa ha combattuto. Non mi aspettavo a questo dopo quello che abbiamo fatto per la situazione dell’Italia nel fronte finanziario comune verso la Germania.

Orlando — Constato con dolore che in questa questione l’idea di giustizia che ho io non corrisponde a quella che ne ha il sig. Lloyd George.

Clemenceau — Né a quella che ne ho io.

Orlando — Chiedo se almeno si vorrà applicare all’Italia la disposizione che si applica per l’Alsazia Lorena.

Lloyd George — Ripeto, non ritengo che quanto è stato detto per l’Alsazia Lorena sia vero.

Clemenceau — No, non c’è niente di tutto questo.

Lloyd George — Non sono state lasciate le navi del Reno all’Alsazia Lorena per il fatto che la Francia ottiene l’Alsazia Lorena, ma per il fatto che la Francia ha avuto del tonnellaggio corrispondente distrutto.

Clemenceau — Si tratta di una riparazione, ne sono sicuro.

Orlando — Osservo anche che le disposizioni le quali secondo il trattato germanico danno agli alleati la facoltà di sostituire tonnellata con tonnellata si applicano a sudditi tedeschi. Per fare qualcosa di corrispondente nella pace coll’Austria, occorrerebbe applicarle al sudditi austriaci ed ungheresi, ma a nessun altro.

Clemenceau — Non vi posso dire tuttavia: non vi voglio dare cento milioni quando io non prendo che quattro soldi. Voi chiamate questo la giustizia? Io la chiamo l’ingiustizia suprema.

Lloyd George — Io non ho inteso bene quello che ha detto il sig. Orlando.

Orlando — Si deve fare una distinzione fra navi appartenenti a sudditi amici e a sudditi nemici.

Lloyd George — Adesso comprendo. Voi volete fare una distinzione fra le navi che appartengono a cittadini italiani che saranno attribuiti a voi e quelle che appartengono a cittadini austro-ungarici.

Clemenceau — Ma essi non diventano cittadini italiani fino a quando non è stato fatto il trattato di pace.

Orlando — Ma ai paesi amici non si sono applicate le riparazioni. Se non si darà ragione alla mia proposta accadrà che praticamente l’Italia non avrà nessuna riparazione in navi, perché essa dovrà lasciare il tonnellaggio austro-ungarico ai porti e quindi non avrà nessun sostituto al tonnellaggio che essa ha perduto.

Lloyd George — Faccio osservare che noi abbiamo perduto migliaia di tonnellate di nostri bastimenti per portare carbone, grano e munizioni in Italia passando per il Mediterraneo che era il mare più pericoloso.

Clemenceau — E da ciò noi non ricaveremo niente.

Wilson — Ma allora che cosa intendereste di fare per il tonnellaggio iscritto nei porti jugoslavi?

Orlando — Avevo cominciato col dire che in questo caso jugoslavi ed italiani si trovano nella stessa situazione.

Lloyd George — Non è possibile che io mi presenti al Parlamento britannico e dia questa spiegazione per giustificare il fatto che l’Inghilterra non ha partecipato alla ripartizione della flotta austro-ungarica.

Clemenceau — Trieste è una città nemica fino a nuovo ordine.

Lloyd George — Non riesco assolutamente ad intendere. Trieste non sarà più rovinata di qualsiasi altro porto. Se Trieste giustificherà il commercio ed il traffico, tutti i piroscafi di tutti i paesi andranno là ed essa prospererà.

Wilson fa osservare che l’Austria rimane privata di ogni accesso al mare.

Orlando — Mi si lasci almeno la facoltà di abbandonare la partecipazione alla flotta tedesca e di riservare la flotta austriaca per i porti che ci saranno attribuiti.

Lloyd George — Vi sono due principî: quello che abbiamo accettato, cioè che l’Italia e noi domandiamo al nemico di darci le riparazioni secondo i danni fatti, oppure quello di mettere tutto insieme e di fare una ripartizione generale secondo il sistema di equità. L’Italia potrebbe chiedere riparazioni per l’Austria e noi per la Germania.

Orlando — Domanderei almeno che se mi saranno assegnati bastimenti siano quelli di Trieste.

Lloyd George — Voi intendete dire nella distribuzione?

Wilson — Se siano nella misura giusta o no?

Lloyd George — Se volete dire che per il caso vi siano assegnati cento bastimenti, questi li prenderete su quelli che andavano a Trieste ciò è accettabile, ciò si può decidere e considerare. Vi è altro da discutere?

Wilson — Ecco il documento che non avevamo trovato prima1. Lo legge.

Lloyd George — Vi è molto da dire circa il permettere alla Germania di entrare nella Convenzione del lavoro prima di farla entrare nella Lega delle Nazioni. Credo tuttavia che sarebbe bene farlo per non trovarsi in diverse condizioni, per esempio per quanto riguarda la regola delle otto ore di lavoro.

Wilson — La nostra esperienza ci dice che si produce di più in otto ore di lavoro che in dieci.

Lloyd George — È vero in certe industrie, ma non per esempio in quella del ferro e dell’acciaio.

Wilson — Ma è vero però in quella del cotone. Trovo sarebbe molto dannoso per noi esserci mostrati in ciò in opposizione colla Germania. Ciò potrà produrre un sentimento spiacevole di fronte agli operai del mondo.

Lloyd George — Dovremmo sentire a questo proposito i nostri periti.

Orlando — Non ci sono a Parigi i periti per il lavoro.

Lloyd George — Ma però abbiamo necessità di sentirli subito.

Orlando — Vedrò se è possibile inviare anche un rappresentante italiano.

Clemenceau — Non resta che l’affare greco su cui bisogna spiegarci. Durante l’assenza dei delegati italiani da Parigi, i greci ci hanno chiesto di fare uno sbarco a Smirne che noi abbiamo concesso. In seguito a ciò vi è stata una radunata di navi, credo a Kavala. Non si tratta di fare una ripartizione concernente Smirne, ma vogliamo che i greci possano sbarcarvi per proteggere i loro connazionali dai massacri; di questi molti hanno avuto luogo ultimamente. Riteniamo conveniente che prendano parte allo sbarco anche dei reparti inglesi, francesi ed italiani. A quanto sappiamo, vi sono a Smirne molte navi da guerra italiane, sei o sette.

Orlando — Credo soltanto due.

Clemenceau — Non vorremmo che lo sbarco delle truppe inglesi, francesi ed italiane si facesse in modo diverso. Noi non abbiamo colà che una piccola nave, e non vorremmo invece che gli italiani sbarcassero una forza molto più rilevante. Non possiamo far ciò senza avvertire il sig. Orlando per pregarlo di dare disposizioni opportune.

Orlando — Si tratta di fare uno sbarco di greci, francesi, italiani ed inglesi?

Clemenceau — I greci occupano Smirne, ma, ripeto, non pretendiamo dare l’indicazione di alcuna ripartizione di territori.

Lloyd George — Proponiamo che l’occupazione sia un’occupazione greca per reprimere i massacri verificatisi ultimamente contro i sudditi greci.

Clemenceau — Ripeto, i greci ci avevano chiesto il permesso di fare questo sbarco.

Wilson (interrompendo) — No, siamo stati noi che lo abbiamo suggerito ai greci.

Clemenceau — È giusto, lo riconosco. In queste condizioni e perché non avvenga nessun inconveniente, si sono date disposizioni all’ammiraglio Calthorpe che da Costantinopoli vada a Smirne. A quanto mi risulterebbe, gli italiani hanno già sbarcato tempo addietro dei marinai a Smirne, ma poi li hanno ritirati.

Orlando — Non mi risulta.

Clemenceau — Noi intendiamo che simultaneamente all’occupazione greca avvenga uno sbarco di italiani, francesi ed inglesi, lasciando poi a custodia della città i greci.

Lloyd George — Noi occuperemo i forti finché i greci ci abbiano rimpiazzato epoi imbarcheremo di nuovo. È naturale che non vi possano essere in un sol luogo più comandi; il comando a Smirne sarà quindi greco. (Rivolgendosi al colonnello Hankey) La Turchia è stata prevenuta?

Hankey — Non credo.

(Il sig. Lloyd George continua a parlare delle atrocità commesse ultimamente contro i greci nella zona di Smirne, e che occorre non si ripetano più).

Clemenceau — Quando avrà luogo lo sbarco?

Orlando — Vorrei parlare della cosa a Sonnino, perché non so esattamente quale sia la nostra posizione a questo riguardo. Potrei dare risposta nel pomeriggio.

Lloyd George — Mi è stato riferito che vi sono stati sbarchi italiani a Makri, Budrum, Marmaritza e Scalanova. Vorrei chiedere al sig. Orlando se ciò è vero.

Orlando — Non conosco particolari a questo proposito ed è perciò che vorrei parlare con Sonnino.

Wilson — Allora può prendere un promemoria dei nomi concernenti questi sbarchi.

Lloyd George — Questi son luoghi circostanti a Smirne.

Wilson — A che punto siamo circa il trattato coll’Austria?

Lloyd George — I lavori non sono ancora stati terminati definitivamente. C’è un territorio confinante coll’Austria, l’Italia e la Jugoslavia che non è ancora bene definito.

Wilson — Sarebbe bene trattare subito questa cosa. Potremmo oggi andare al Quai d’Orsay e discutere e decidere la questione in presenza dei ministri degli esteri.

Lloyd George — Sta bene. Allora nel pomeriggio ci raduniamo qui alle 15,30 per sentire la risposta del sig. Orlando circa Smirne e poi alle 16,30 al Quai d’Orsay per trattare degli affari dell’Austria.

473 1 Si tratta di una lettera di Brockdorff-Rantzau con la richiesta di partecipazione della Germania alla Convenzione internazionale del lavoro.

474

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 12 maggio 1919.

RIUNIONE DEL 12 MAGGIO ALLE ORE 15,30 PRESSO IL PRESIDENTE WILSON

Sono presenti: il presidente Wilson, il sig. Clemenceau, il sig. Lloyd George il sig. Orlando, il barone Sonnino; due segretari ed un interprete.

Wilson — Quale decisione è stata presa per Smirne?

Orlando — In principio accetto. Tuttavia trovo sarebbe preferibile lasciare a Smirne i rappresentanti delle tre potenze. Se la Francia vi sbarca 200 marinai e l’Italia e l’Inghilterra lo stesso, mi pare sarebbe opportuno lasciarli nei forti e ritirarli soltanto quando la cosa sarà regolata. Propongo soltanto questa modificazione.

Wilson — Ma non si pensa che si sbarcheranno duecento marinai per nazione.

Clemenceau — Io credo non potrò sbarcarne più di 50.

Sonnino — La proposta del sig. Orlando corrisponde all’idea di dare un carattere internazionale all’occupazione, e a non pregiudicare la questione dell’attribuzione di Smirne.

Clemenceau — Quando noi abbiamo detto fra di noi che la questione della ripartizione non è ancora stata regolata, è sufficiente. Io preferisco non lasciare i marinai francesi sotto il comando di un generale greco.

Wilson — Mi sembra che ciò sia poco desiderabile.

Lloyd George dimostra la necessità che vi è di provvedere subito per l’occupazione di Smirne. In una lettera che egli ha ricevuto da un cittadino inglese che sta a Smirne e che è molto antigreco, vien detto che egli ha veduto soldati turchi tirare sopra dei greci inermi.

Wilson — Un’occupazione mista continuata è una cosa molto poco prudente.

Lloyd George — Che cosa diremo ai turchi?

Clemenceau — Diremo loro la verità, che i massacri che hanno fatto a Smirne ci hanno obbligati a procedere all’occupazione della città.

Wilson — Quando diremo loro ciò? Dodici ore prima dello sbarco?

Lloyd George — Lo diremo loro subito. In 24 ore le truppe greche possono arrivare da Kavala dove hanno già preparato dei bastimenti.

Wilson — Quando gli italiani erano assenti.

Lloyd George — Una settimana fa. Quando i bastimenti saranno a metà strada, noi faremo fare le comunicazioni al Governo ottomano.

Clemenceau — I polacchi mi hanno fatto una comunicazione, secondo la quale i tedeschi avrebbero deciso di non firmare il trattato di pace e starebbero già radunando uomini.

Orlando — Mi pare sia del bluff.

474 Riunione p.m. del 12 maggio del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 332 sg., FRUS, vol. V, pp. 576 sgg., MANTOUX, vol. II, pp. 51 sg. e RAC, nn. 455-458.

475

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI

T. 10536. Roma, 13 maggio 1919, ore 2.

Suo telegramma n. 971.

Affermazione contenuta promemoria trasmessole da codesto Ministero esteri non può essere che risultato equivoco perché da nota di questa Legazione di Serbia in data 12 gennaio scorso2 risulta esplicitamente accettazione da parte codesto Governo nostra proposta proroga trattato. In detta nota, della quale trasmettole copia per posta3, non appariva affatto che accettazione Governo serbo dovesse intendersi subordinata accoglimento da parte nostra suo desiderio che trattato fosse esteso a territori croati e sloveni. Tale interpretazione è confermata da circostanza che questa Legazione di Serbia ha lasciato senza replica nota questo Ministero in data 7 febbraio scorso4 con la quale, mentre si prendeva atto accettazione Governo serbo nostra proposta proroga trattato, si comunicava che circa suo desiderio estendere trattato stesso territori croati e sloveni non era possibile prendere una decisione fino a che annessione detti territori a Regno di Serbia non fosse riconosciuta da Conferenza della pace. Del resto che tale fosse fino ad oggi anche convincimento Governo serbo risulta da dichiarazioni precedentemente fatte a Vossignoria da codesto Ministero esteri giusta suoi telegrammi posta nn. 735 e 886. Ciò stante prego V.S. insistere perché trattato sia considerato in vigore da codesto Governo, il quale potrà, se mai, denunciarlo affinché non abbia a rinnovarsi tacitamente alla scadenza del primo periodo semestrale di proroga.

476

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL CAPO DI GABINETTO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, PETROZZIELLO

T. RR. Parigi, 13 maggio 1919, ore 10,20 (perv. ore 11,35).

A proposito attitudine giornale «Corriere della Sera» contro Delegazione italiana, crederei utile provocare movimento reazione dei giornali che hanno sinora rappresentato tendenze opposte («Giornale Italia», «Epoca», «Resto del Carlino», «Perseveranza» ecc.).

2 Non pubblicata in serie sesta, vol. I.

3 Copia della corrispondenza intercorsa con la Legazione di Serbia a Roma fu trasmessa a Belgrado in allegato al T. Posta 10647 dello stesso giorno.

4 Non pubblicata in serie sesta, vol. II.

5 Non rinvenuto.

6 Del 22 aprile. Non pubblicato.

Il tema del controattacco dovrebbe essere la considerazione che proprio quel programma sul quale l’Italia lotta apparve a quegli stessi giornali come un programma eccessivo ed imperialistico. Ed è strano che proprio nel momento in cui l’Italia lotta precisamente per il raggiungimento di questo scopo, siano quegli stessi giornali ad accusare la Delegazione ed il Governo di non aver chiesto abbastanza: e ciò senza alludere alla parte di responsabilità che l’attitudine di quei giornali stessi ha avuto nella determinazione delle attuali difficoltà.

475 1 Vedi D. 415.

477

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1266/98. Vienna, 13 maggio 1919, ore 16,10 (perv. ore 9 del 14).

Conte Andrassy chiesto vedermi pregami trasmettere R. Governo sua preghiera Italia intervenga salvare Ungheria mediante occupazione Budapest accettando come ipotesi subordinata occupazione czeca sotto comando italiano.

Trasmetto debito ufficio1.

478

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1264/771. Vienna, 13 maggio 1919, ore 16,25 (perv. ore 11 del 14).

Piscel comunica quanto segue: Viaggiò con deputato cristiano-sociale Schraffl presidente del Governo tirolese. Questi ritiene probabilissima unione Voralberg Svizzera desiderata gran parte popolazione voralberghese e vista con crescente simpatia in Isvizzera. Esprimeva invece incertezza sorte futura Tirolo. Esistono crescenti contrarietà unione imposizione sistema contrario sentimenti popolazione rurale e perché Tirolo è discentrato da Vienna.

Quando strappare Tirolo tedesco meridionale rendesse impossibile funzionamento vitale di uno stato tirolese indipendente, soluzione preferita è annessione alla Baviera. Schraffl disse di averne parlato con Allizé e di averne ritratta impressione che speranze tirolesi conservazione Bolzano Merano non siano perdute dopo che è esclusa unione Austria Tedesca alla Germania. Piscel esprimeva meraviglia sussisten

za tali illusioni perché a Parigi gli parve essere riguardato anche da alleati e consocia-ti come fatto compiuto indiscutibile confine italiano Brennero e perché opinione italiana preferirebbe certamente unione tedesco-austriaci al resto nazione piuttosto che assistere preparazione resurrezione monarchia asburghese.

Schraffl esclude probabilità tale avvenimento perché, se restaurazione dinastia può essere desiderata da generali od altri impiegati, non corrisponde sentimenti attuali contadini. Espresse poi suo ottimismo sulla tranquillità interna Tirolo. Comunisti restano minoranza perfino massa operaia innsbruchese però hanno singola accessione in ogni vallata, rappresentati da reduci dalla Russia. La Guardia rossa tirolese diede prova di resistenza morale anche nei piccoli combattimenti sostenuti in questi giorni al confine contro bande comunisti sfuggite da Monaco. Le condizioni alimentari nel Tirolo hanno migliorato grazie ai rifornimenti italiani ma questi riescono troppo cari fin tanto che si devono pagare contanti col corso disastroso corona. Sarebbe desideroso concludere per Governo tirolese accordo con nostri (...) a base permuta. Avrebbe disponibile legname non bestiame.

477 1 In pari data ed ora, con T. 1267/101 Tacoli comunicava a Sonnino la diffusione di voci sullacostituzione di un Governo nazionale ungherese a Szegedin.

479

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 3450. Roma, 13 maggio 1919, ore 17 (perv. ore 9 del 14).

Ricevuto lettera 01490 del 9 corrente con unita relazione De Martino1, delegato italiano per applicazione articolo 13 Patto di Londra, sulla presente situazione nostri interessi coloniali.

Le premesse della relazione sono esatte, e non m’indugio su di esse appunto perché come nella relazione è detto ci troviamo di fronte ad un fatto compiuto diplomatico, con avvenuto accordo di Francia e Inghilterra all’infuori della Italia per la spartizione dei mandati in Africa.

Esaminerò quindi il piano d’azione proposto da De Martino in rapporto allo scopo esclusivo riservato alla Commissione istituita a Parigi il 7 corrente, cioè di esaminare applicazione articolo 13 Patto di Londra:

1) Sta bene per riserva proposta.

2) Sta bene; nella intesa però che quando si parla di Gibuti si intende protettorato Costa Somali francese e più specialmente esclusiva influenza italiana su Etiopia con guarentigia sua integrale indipendenza. Similmente per Kisimaio s’intende Giubaland britannico nei termini esposti al marchese Salvago con foglio 5 febbraio ultimo e carta annessa2.

2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 242.

3) So che la difficoltà maggiore sarà per Gibuti; ma V.E. stesso, nella lettera 7 febbraio 1917 n. 53 in risposta al mio programma del 15 novembre 1916 n. 96834, esplicitamente riconosceva che questione Gibuti è per noi di capitale importanza e che senza Gibuti e relativa ferrovia è vano sperare da parte nostra attuazione programma politico economico in Etiopia.

Chiamo in proposito attenzione V.E. anche su mia lettera 1° giugno 1918 n. 32455 .

Convengo pienamente opportunità avere Parigi persona fiducia, non funzionario, che stabilisca approcci con interessati ferrovie e commercio armi e, a titolo di pura indicazione, fo nomi di Toeplitz, Pogliani, Volpi, Fenoglio, di cui alcuni già sono Parigi, altri potrei far venire, e quasi tutti hanno rapporti di affari con la finanza francese.

Parimenti approvo opportunità, che è stata sempre da me vista, creare interesse pratico a Inghilterra di favorire cessione a noi di Gibuti.

Nella mia lettera 24 febbraio 1917 n. 11276, rispondendo alla Sua 7 stesso mese

n. 57, esponevo a V.E. mio punto di vista circa concessioni cui potremmo arrivare per andare incontro interessi britannici per questione Lago Tzana; e cioè concessione massima garanzia di carattere idraulico e solo se inevitabile minima concessione carattere territoriale; o preferibilmente forte controllo anglo-italiano tecnico-amministrativo per garantire rispettivi interessi. Ma rendendomi conto grandi difficoltà negoziati per Gibuti comprendo che V.E. per raggiungere lo scopo di Gibuti debba riservarsi libertà azione.

Convengo che, qualora difficoltà per Gibuti fossero insormontabili, bisognerebbe porre in compenso domanda partecipazione mandati in Africa. Ottimi a questo proposito argomenti a), b), c), ma non altrettanto forte argomento d) demografico poiché solo una parte dell’ex Africa occidentale tedesca potrebbe diventare colonia di popolamento.

Sta bene per lettera e) ma bisogna ricordare grande aiuto prestato a Inghilterra anche nell’Africa orientale dove nostri possedimenti e protettorati somali sono stati quasi esclusiva ragione mantenimento pace e sicurezza. Sta bene per lettera f) e g).

479 1 Vedi D. 444.

479 3 Non pubblicata in serie quinta, vol. VII. 4 Non pubblicato in serie quinta, vol. VI. 5 Non pubblicata in serie quinta, vol. XI.6 Non pubblicata in serie quinta, vol. VII. 7 Non pubblicata in serie quinta, vol. VII.

480

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 1469 PERS. Roma, [13 maggio 1919], ore 19,15.

Sono stato da Salandra. Ignora pubblicazione cui alludi ma afferma non averparlato con alcuno. È inflessibile nella decisione di non tornare a Parigi; e prega non far fare un inutile viaggio a Barzilai se deve qui venire apposta per indurlo a recedere dal proposito manifestato. Aggiunge essere inutile la sua presenza ora, come fu inutile nel passato; poiché la linea adottata specialmente da Sonnino rende impossibile qualunque partecipazione di altri nelle trattative, già risolute o compromesse quando i delegati minori ne vengono informati. Consiglia sostituire lui e Salvago.

481

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1259/10592. Roma, 13 maggio 1919, ore 22 (perv. ore 11 del 14).

Ministro dell’istruzione pubblica informa che nel museo di Costantinopoli si conservano opere d’arte ed antichità provenienti da Libia e Dodecanneso e domanda se Regio Governo crede esercitare qualche azione per restituzione a titolo compenso danni guerra in modo da integrare museo fondato nelle due regioni onde inviare in caso affermativo funzionario a Costantinopoli per compilare nota oggetti recuperabi

li. Prega compilare nota oggetti recuperabili. Prego istruzioni. Se V.E. in linea di massima favorevole, idea parmi si potrebbe mandare Costantinopoli Paribeni; si occuperebbe contemporaneamente dell’ideato istituto per studi bizantini.

480 Il telegramma è senza data ma può essere attribuito al 13 maggio sia per l’ordine di collocazione nel copialettere di Orlando sia per l’esplicito riferimento alla visita di Colosimo a Salandra, postaappunto sotto la data del 13 maggio in SALANDRA, p. 132.

482

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1258/10585 CONFID. Roma, 13 maggio 1919, ore 22,05 (perv. ore 11 del 14).

Autorità inglese ha informazioni nel senso che Lenin visto insuccesso bolscevismo in Baviera e Ungheria1 concentrerà ora suoi massimi sforzi propaganda contro Italia e Svizzera. Ho informato subito Presidenza del Consiglio la quale dispone aumentare attività nostra sorveglianza.

483

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 13 maggio 1919.

Nella riunione antimeridiana col solo Lloyd George1 fu trattata la questione del-l’Asia Minore, esaminando due possibilità: primo, concessione all’Italia della zona meridionale da Scalanova sino a Mersina; secondo, un generale mandato all’Italia su tutta quanta l’Anatolia, che sarà d’ora in poi l’impero turco. Non è sinora possibile scegliere la formula definitiva poiché ciò dipende dalla risoluzione dell’America di accettare o no il mandato per l’Armenia. In fine della seduta Lloyd George accennò alle nostre questioni, dichiarandosi sicuro di trovare una via di conciliazione, ma che all’uopo egli doveva adeguatamente preparare Wilson. Sono continuate conversazioni con gli americani, benché non conclusive. Ho pure notizia indiretta ma sicura che Consiglio ministri francese avrebbe deliberato di spiegare d’ora in poi una azione risolutamente favorevole all’Italia. Non posso dire (edotto dall’esperienza) che tutto questo insieme di notizie dimostri che sia probabile e tanto meno prossima una soluzione favorevole alle nostre più essenziali aspirazioni; ma è certo che si vuole dare prova di avere una tale intenzione. Ciò dovrebbe far credere che qualche fatto nuovo

482 Il testo in arrivo reca per errore il n. 10535.

1 La Repubblica bavarese dei consigli, proclamata il 7 aprile 1919, era stata repressa nel sangue dai corpi franchi di von Epp, con l’occupazione di Monaco il 1° maggio. La Repubblica ungherese diBela Kun, proclamata il 21 marzo, sarebbe crollata il 1° agosto con le dimissioni del Governo, per effettodella grave crisi economica e sotto la pressione dell’avanzata romena.

intervenuto rende i nostri alleati più perplessi verso l’ipotesi del nostro malcontento, e si pone qui la questione se ci convenga forzare la mano in questo momento.

483 1 Si tratta della riunione di Orlando e Sonnino con il solo Lloyd George, argomento principalel’ipotesi di spartizione dell’Impero ottomano. Ne riferisce brevemente ALDROVANDI, pp. 337 sg., concludendo: «Lloyd George consiglia di preparare uno schema di mandato in questo senso». E quindi aggiunge: «Imperiali e De Martino, per ordine di Sonnino, hanno redatto un promemoria circa il mandato italiano in Anatolia. Esso è stato consegnato alle ore 15 a Kerr». Si veda qui D. 485.

484

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA

T. 6323 SP. RR. Parigi, 13 maggio 1919.

Governo francese ci ha comunicato l’invio del generale Humbert con l’incarico di fare una ispezione su tutte le truppe e comandi francesi d’oriente1. In questo compito è naturalmente inclusa anche Fiume, dove si trova la base navale di quel-l’armata. Non è certo se e quali altri scopi nasconda tale missione2, ma non può essere escluso che il suddetto generale finisca col fermarsi a Fiume, ponendo una sua autorità verso quella del generale Grazioli, a lui inferiore per grado.

È infatti da notare che il generale Humbert ha il grado di comandante di armata ed è di una anzianità superiore a quella di tutti i nostri generali compreso Robilant. Date queste circostanze, io ho creduto opportuno, di accordo col generale Diaz, di mandare alla nostra volta in missione S.E. il generale Caneva, che è l’unico nostro ufficiale generale superiore di grado all’Humbert. Prego, dunque V.E. di conferire in proposito con S.E. Caneva, e di pregarlo vivamente in nome del Governo e dell’interesse del paese di voler accettare tale incarico. Va da sé che la missione si propone precipuamente quello scopo, ed è quindi all’uopo opportuno che il generale Caneva non si rechi direttamente a Fiume, ma cominci con fare una gita, per esempio a Trieste, donde potrà anche tornare a Roma, salvo tenersi pronto intervenire immediatamente a Fiume, ove la situazione lo richiedesse. Prego sollecito riscontro3.

2 Con N. 6332 dello stesso giorno Cavallero comunicava per altro ulteriori informazioni sullamissione Humbert, che risultava limitata a compiti esclusivamente militari, e con istruzioni di evitareincidenti con gli italiani.

3 Con fonogramma 534 DGM del 15 maggio alla Sezione militare (per conoscenza allaPCM e al Gabinetto del MAE, con n. 6484 SP. del 16 maggio), Badoglio comunicava poi di aver disposto l’invio in missione a Fiume del generale Caneva, a partire dal 16 maggio, e per tutto il periododi soggiorno del generale Humbert in città.

484 1 Diaz ne aveva informato Orlando verbalmente l’11 maggio, aggiungendo ulteriori precisazioni con N. 6224 del 12.

485

L’AMBASCIATORE IMPERIALI E IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, LLOYD GEORGE

PROMEMORIA. Parigi, 13 maggio 1919.

Le but que l’Italie se propose en réclamant un mandat en Anatolie est basé sur l’établissement d’un Gouvernement et d’une Administration nationale turque puisant son autorité dans le consentement de la population locale. Assurer une justice impartiale et égale pour tous, faciliter le développement économique du pays en suscitant et en encourageant les initiatives locales, favoriser la diffusion de l’instruction, mettre fin aux divisions trop longtemps exploitées par la politique de Stamboul, tel est le rôle que l’Italie revendique en Anatolie.

Au point de vue administratif il parait évident que l’action civilisatrice que l’Italie serait appelée à excercer comme Puissance mandataire, ne pourrait se développer pratiquement qu’à la condition d’être en mesure de faire valoir son influence auprès de l’administration centrale qui aura son siège dans la Capitale même, qui ne pourrait être que Broune, du nouvel Etat, à défaut de quoi, il s’en suivraient des confusions et des conflits de tout genre.

Par conséquent l’Italie devra être seule chargée de fournir des conseillers et des fonctionnaires avec le consentement du Gouvernement local, pour l’administration centrale aussi bien que pour les administrations des provinces.

Au point de vue économique, et conformément à l’application pratique de l’institution du mandat, l’Italie devra avoir un droit de priorité sur les entreprises et les emprunts locaux.

L’Italie s’engage à maintenir, par rapport au commerce international, le régime de la porte ouverte, réservant à des ententes spéciales avec les autres Gouvernements la détermination du régime douanier.

L’Italie possède déjà des droits acquis dans l’Anatolie méridionale, par suite d’accords passés directement avec le Gouvernement ottoman en 1913 et ’14 en ce qui concerne l’exploitation des ressources minières, forestales etc. et pour la construction de travaux d’utilité publique.

Ces privilèges devraient être étendus aux concessions existantes qui concernent l’assainissement de la plaine de Konia, les mines de charbon d’Héraclée, le port d’Héraclée et le chemin de fer Héraclée-Bolu-Adabazar (à construire), ainsi qu’à toute la concession avenir de forêts et d’irrigation.

Le Gouvernement turc devra être obligé, en force du Traité, de racheter, sur la demande de l’Italie, les concessions de tout genre qui ont été octroyées dans les régions en question, pour les mettre à la disposition du Gouvernement Italien; il

485 Il promemoria fu redatto da Imperiali e De Martino per incarico di Sonnino e consegnato aKerr (segretario di Lloyd George) il 13 maggio, come risulta da ALDROVANDI, p. 338 e come da un’annotazione manoscritta a margine: «Consegnato al Sig. Kerr dal Conte Aldrovandi, 13.5.19». Non è stato rinvenuto un testo italiano o inglese.

devra en outre mettre à la disposition de l’Italie les biens de liste civile, et les vakoufs sous des formes à déterminer.

L’Italie de son côté s’engagera à procurer des arrangements financiers pour rendre possible au Gouvernement local l’exécution de ce programme.

Les chemins de fer existants dans la région en question feront l’objet de négociations avec les Gouvernements intéressés lesquels faciliteront leur rachat par la Turquie lorsque le Gouvernement Italien présentera les plans financiers y afférant. Le Gouvernement Italien aura le droit de déterminer les modes d’exploitation, d’administration et de surveillance de ces chemins de fer.

La région de l’Anatolie envisagée manque d’un port constituant un débouché au trafic local et international, relié par chemin de fer avec l’intérieur. Par conséquent la baie de Scalanova doit être indispensablement assurée à l’Italie. En attendant que ce port soit construit avec son embranchement de chemin de fer, des stipulations spéciales avec la Grèce et la France seront établies par rapport à Smyrne, Mersina et Alexandrette, ainsi qu’avec la Puissance mandataire de Constantinople, par Haidar Pacha.

Les questions afférant à l’administration de la Dette Publique ottomane dans toutes les régions de l’ancien Empire Ottoman feront l’objet d’accords entre les Pussances intéressées.

486

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 522. Parigi, 14 maggio 1919.

(Per Roma) Ho telegrafato alla R. Ambasciata a Londra quanto segue:

(Per tutti) A telegramma 6731. Prego fare al Foreign Office seguente comunicazione: «Rivendicazione Cenacolo alla proprietà italiana usurpata è questione riflettente i diritti privati del re d’Italia quindi non questione politica2. Poiché detta proprietà è attualmente costituita a Vacuf la richiesta non poteva essere utilmente indirizzata che al sultano ed a Costantinopoli era utile dimostrare la infondatezza della leggenda musulmana3 e la conseguente legittimità delle rivendicazioni.

Il Governo italiano si è ritenuto e si ritiene anche in avvenire completamente libero di trattare direttamente con la Turchia qualunque questione non coinvolgente comunque interessi politici od altri delle potenze alleate. Governo italiano per puro

486 Del telegramma fu data notizia anche a Sforza con T. 523 delle ore 16 dello stesso giorno.

1 Vedi D. 417.

2 Nello stesso senso si era espresso Sforza con T. 1718/570 al MAE del 12 maggio.

3 La leggenda che collocava nel Cenacolo la tomba di re David aveva offerto ai musulmani ilpretesto per usurparne il possesso alla metà del XV secolo.

atto di cortesia aveva dato notizia al Governo inglese di quanto precede poiché, se fino a definitive disposizioni della Conferenza della pace autorità inglesi hanno direzione militare ed amministrativa in Palestina, situazione delle potenze alleate vi è alla pari poiché detta regione deve considerarsi internazionale come ne dà prova anche la presenza di truppe italiane. Il Governo italiano ha pertanto notato con vero rincrescimento che il Governo inglese non ha creduto di spendere una parola presso il Governo turco su questa questione alla quale da molti anni esso si interessava e la cui desiderata soluzione non ha relazione con la situazione politica e non può pregiudicare le decisioni che la Conferenza della pace potrà prendere in riguardo al regime definitivo della Palestina. Il Governo italiano confida pertanto che il Governo inglese vorrà riesaminare la questione col consueto spirito di amichevole alleato».

487

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1282/107. Vienna, 14 maggio 1919, ore 19,45 (perv. ore 12 del 15).

Ho avuto con ministro Allizé colloquio circa Ungheria che riferisco. Allizé parvemi assai poco corrente cose Ungheria circa cui ascoltò con grande interesse quanto gli narrai finendo per convenire meco necessità ristabilimento regime normale quel paese. Disse essere sua impressione che Intesa desideri pacifico ritiro Governo comunista. Lo convinsi impossibilità attualmente raggiungere tale scopo ed inutilità accogliere soluzione intermedia proposta consistente rimpasto governamentale che lascerebbe praticamente le cose invariate. Ed anche ammesso si potesse ottenere ritiro Governo comunista sarebbe pressoché impossibile trovare altro Governo serio per sostituirlo e quindi garantirgli pacifica esistenza finché comunisti dispongano forze armate: perciò necessaria occupazione militare per disarmarle e costituire regolari forze polizia e militari. Risposi mediante intervento potenza estera che ne riceva mandato da Conferenza Parigi. Allizé chiesemi se Italia accetterebbe o solleciterebbe tale mandato dichiarando che per Francia non vedeva interesse avere tale mandato ma che sarebbe felice appoggiarne proposta per Italia. Ho risposto non conosco al riguardo pensiero R. Governo ma che avrei sollecitato istruzioni. Allizé propose che quindi innanzi rappresentanti Francia, Inghilterra, Italia, America si riuniscano periodicamente per scambiarsi vedute per cose ungheresi. In vista tali riunioni prego darmi istruzioni di massima qualora Governo Sua Maestà intenda prendere considerazione possibilità intervento militare che sarebbe graditissimo ogni classe popolazione ungherese.

487 Copia del telegramma fu trasmessa da Aldrovandi per un parere alla Sezione militare dellaDICP, con foglio 1565 del 16 maggio. Cavallero rispose con telegramma a mano (urgente) n. 6560 SP. del 22 maggio, esprimendo avviso «che non convenga pensare ad una nostra spedizione in Ungheria».

488

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1283/108. Vienna, 14 maggio 1919, ore 19,45 (perv. ore 12,30 del 15).

Generale Segre informami aver trasmesso Comando Supremo testo accordo fra iugoslavi e czeco-slovacchi in forza del quale quest’ultima potenza impegnerebbesi garantire prima da ogni possibile attacco alle spalle in caso di guerra contro l’Italia1. Ritengo opportuno collegare questa minaccia con possibilità costituirci in Ungheria valida alleata mediante nostro intervento e ristabilimento regime normale con adeguate forze militari come nel telegramma odierno n. 1072.

489

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ORLANDO

T. RIS. PERS. Roma, 14 maggio 1919, ore 23,15.

Il Consiglio, circa le tattiche che tu mi hai prospettato1, ha discusso pro e contro l’una o l’altra; ma, in fondo, ha finito col concludere che arbitri a decidere, per seguire questa o quella tattica, siete voi soli. E, poiché la scelta è anche subordinata allo stato d’animo del paese, il Consiglio, attraverso tante disquisizioni, ha concluso: 1) che azione temporeggiatrice non potrebbe prolungarsi oltre giorno fissato per firma preliminari con la Germania; 2) che voi dovreste firmare i preliminari con la Germania, ma, contemporaneamente ed ufficialmente, con atto diplomatico, dovreste dagli alleati pretendere riconoscimento Patto di Londra, nella sua integrità, e conseguente applicazione; 3) gli alleati, poiché non possono fare onore ai loro impegni, ma, d’altro canto si trovano di fronte a Wilson, ed agli impegni con la Jugoslavia, tenteranno essi, cercheranno essi il componimento per Fiume. Formula scritta di Ciuffelli: temporeggiamento conciliabile con la viva attesa del paese e l’esecuzione sicura e tem

2 Vedi D. 487.

pestiva del Patto di Londra. Nel tuo telegramma2 mi dicevi di considerare se non era il caso di conferire con Sua Maestà. Attendo per farlo un altro tuo avviso, nella fiducia e speranza che in queste ventiquattro ore qualche fatto nuovo, a noi favorevole, si sia verificato.

488 1 La notizia fu ripetuta il 22 maggio in un telegramma dell’Ufficio informazioni della Venezia Giuliaal Comando supremo e poi, ai primi di giugno, da Borghese a Sonnino (T. 1652/31 RR., s.d.). Ma già il 29 maggio Lago (con T. 258.261) comunicava la sua impressione che l’informazione, data la scarsa attendibilità dellafonte (il ministro iugoslavo a Praga) fosse da considerare poco credibile.

489 1 In un telegramma delle ore 0,45 dello stesso giorno, Orlando aveva posto il problema delletattiche da seguire per la soluzione della questione di Fiume. Ed aveva sottolineato, da un lato i rischi diulteriori pressioni per una decisione immediata, che avrebbero potuto provocare la rottura con gli alleati,dall’altro la stanchezza del paese, poco disposto alle attese indefinite di una politica temporeggiatrice.

490

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 14 maggio 1919.

Ringrazio del telegramma di ieri1.

La giornata di oggi, salvo una riunione antimeridiana non importante, non hadato luogo ad alcun altro avvenimento notevole dal punto di vista ufficiale. È invece proceduto e si è anzi intensificato il lavorio di conversazioni sulla questione nostra e nel pomeriggio vi è stata una nuova riunione dei Tre. L’andamento di tali conversazioni nonché le notizie indirette confermano che questa volta vi è una vera buona volontà di arrivare ad una soluzione. Le stesse notizie americane sono migliori. Non sono per ora in grado di fare prognostici precisi. Credo di poter affermare che per ora alleati ed associati arrivano ad una soluzione media, la quale rappresenterebbe un notevole vantaggio sul memorandum Wilson, ma non potrebbe dirsi conforme alle aspirazioni italiane. Tale sarebbe di attribuire all’Italia tutta l’Istria e quasi tutte le isole del Patto di Londra, nonché Zara e Sebenico, mentre per Fiume si adotterebbe la formula media come quella della città libera o l’applicazione del sistema adottato per la Sarre, ecc. Naturalmente io lavoro in tutti i sensi per guadagnare quanto più si può relativamente a Fiume. Domani alle dieci vedrò Clemenceau e si potranno avere notizie più concrete. Nel pomeriggio ebbi pure un colloquio con Milner sulla questione coloniale. Malgrado alcune resistenze incontrate e qualche riserva fatta, sembrerebbe che il programma minimo proposto dal Ministero delle colonie verrebbe ad essere in gran parte accolto dall’Inghilterra2. Ricevo ora telegramma di Vostra Maestà di questa sera3 e ne La ringrazio. Per quanto riguarda notizie da dare con la «Stefa

490 Lo stesso testo fu inviato a Colosimo, a mezzo Petrozziello, con telegramma delle ore 0,30del 15 maggio, con una diversa conclusione.

1 Non pubblicato.

2 Nel testo per Colosimo da questo punto si legge invece: «De Martino ti telegraferà maggioriparticolari. Domai alle 11,30 vi è una riunione da Simon; ma Sonnino si rifiuta assolutamente di andarvi.Bisognerà che ci vada Crespi. Premesso tutto ciò, ti ringrazio del tuo telegramma di ieri sera sulla situazione del paese. Essa corrisponde al concetto che me ne ero fatto, e che conteneva non lievi preoccupazioni. Non solo trovo naturale, ma ti ringrazio vivamente dello sforzo che fai di tenermi al corrente dellasituazione interna, non solo in quanto ciò tocca i miei complessi doveri, ma anche per il nesso intimo chepassa tra la situazione di costà e la situazione di qua. Io ho fatto lunghe e gravi meditazioni, che nonpotrei certamente svolgere per telegrafo, né per corrispondenze, ed ho, quindi, pregato Paratore di partirequesta sera per Roma. Ti prego di fare in modo di vederlo venerdì mattina e di ascoltare con amichevoleattenzione le importanti cose che egli ti dirà».

3 Non rinvenuto.

ni», è inutile dire quanto io consenta nelle giuste considerazioni di Vostra Maestà, e farò quanto posso perché la nostra agenzia ufficiale cerchi di trasmettere notizie proprie e non riprodotte.

489 2 Il riferimento è ad un telegramma di Orlando a Colosimo dell’11 maggio, ore 20,20.

491

IL MINISTRO DELL’INDUSTRIA, COMMERCIO E LAVORO, CIUFFELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1559 RR. URG. Roma, 14 maggio 1919.

Il nostro addetto commerciale a Vienna mi comunica che per il tramite del Comando supremo la Commissione di armistizio ha inviato a codesto Ministero una esposizione di proposte economiche ad essa presentate da una commissione inviata dal Governo ungherese1.

Fra dette proposte alcune sarebbero di carattere commerciale ed avrebbero per oggetto il rifornimento di viveri e di generi diversi di vettovagliamento (tessuti, scarpe, ecc.) a cura di un sindacato da costituirsi in Italia con l’appoggio del Governo, e con aperture di credito, garantite da parte dell’Ungheria mediante deposito di valori esteri ed altre forme di cauzione.

Pur non disconoscendo, nelle incertezze della presente situazione per ciò che riguarda l’Ungheria, la difficoltà di concretare un accordo in proposito, ritengo che tuttavia non sia da lasciar cadere la proposta. Sarebbe però opportuno che le trattative venissero condotte sotto forma d’iniziativa privata, opportunamente dal Governo incoraggiata e facilitata.

Ad ogni modo, prima di promuovere tale iniziativa, prego V.E. di voler farmi conoscere, con la possibile sollecitudine, il suo pensiero al riguardo, con quelle indicazioni che dal rapporto della missione si possano desumere, onde meglio valutare l’attendibilità dell’accennata proposta2.

2 Annotazione manoscritta a margine: «La Dir. Gen. Aff. Pol. confermando quanto ebbe a direcirca la stessa proposta trasmessa da Vienna è d’accordo che possano incoraggiarsi non ufficialmente trattative private sull’argomento».

491 1 Vedi qui D. 322.

492

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 1736/710. Londra, 14 maggio 1919 (perv. il 15).

Mio telegramma n. 7091.

Poiché elementi fornitimi da V.E. non mi sembrano adeguati a smentire in modo efficace minutamente fatti denunziati vescovo Rodi impunemente2, meglio rinunziare smentita annunziata in predetto telegramma. A ciò mi convince pure silenzio serbato stamane in proposito da tutta stampa. Mi permetto però suggerire opportunità che qualche ministro cattolico od anglicano in Rodi risponda lettera vescovo.

493

IL VICECONSOLE A SMIRNE, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 200/453. Smirne, 14 maggio 1919 (perv. il 15).

In questo momento compagnie di sbarco inglese, francese, italiana, greca occupano forti ingresso golfo Smirne in attesa arrivo divisione truppe greche che dovrebbe avvenire domattina. Città per ora tranquilla.

492 1 Del 13 maggio. Non pubblicato. Dava notizie della pubblicazione sul «Times» del 13 maggio di una lettera di denuncia del vescovo di Rodi per i fatti del giorno di Pasqua.2 Sulla questione vedi anche D. 435.

494

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 3418 RIS. Roma, 14 maggio 1919.

PRONUNCIAMENTO MILITARE IN ADDIS-ABEBA

Comunico all’E.V. il telegramma n. 4691 che il governatore dell’Eritrea ha qui diretto in data 9 maggio corrente, circa un pronunciamento militare in Addis Abeba contro ras Apte Ghiorghìs.

Conformemente al nostro interesse e in base all’art. 2 dell’accordo a tre di Londra del 1906, dobbiamo rimanere estranei ad ogni competizione interna, e solo accordarci con Francia ed Inghilterra nel caso che, peggiorando gli avvenimenti, un intervento si rendesse necessario.

Intanto, il movimento militarista in Etiopia va attentamente vigilato, per l’eventualità che una malintesa affermazione di potenza militare possa prendere il sopravvento e degenerare in un regime di sopraffazione, con spirito di conquista, che potrebbe costituire un pericolo per le nostre colonie dell’Eritrea e della Somalia.

Tutto ciò indico all’E.V. pel caso credesse telegrafare istruzioni in tal senso al conte Colli.

495

IL CAPO DELL’UFFICIO STAMPA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA. Parigi, 14 maggio 1919.

L’Ufficio stampa ha l’onore di trasmettere a V.E. una relazione del ten. colonnello Finzi — capo I.T.O. della Venezia Giulia1 — venuto espressamente a Parigi per esporre la vera situazione interna del Regno S.H.S.

Le informazioni, dati e documenti, forniti dal colonnello Finzi, costituiscono, se non un fatto nuovo, per lo meno una precisione tale da considerare come attuabili nel nostro interesse le proposte che lo stesso colonnello formula nella relazione.

Tali proposte potrebbero facilmente essere secondate da questo Ufficio con un’energica pubblicità ed un’azione parallela sulla Camera francese e sulle Commissioni degli affari esteri.

Si domanda pertanto che l’E.V. voglia ricevere il colonnello Finzi.

T. 469, non pubblicato.495 1 Vedi Allegato.

ALLEGATO

IL CAPO DELL’UFFICIO I.T.O. DELLA VENEZIA GIULIA, FINZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 14 maggio 1919.

Oggetto: Regno S.H.S.

I popoli che dovrebbero concorrere a formarlo cercano ogni occasione per mostrare, malgrado il regime di guerra, il loro malcontento e la loro avversione.

Il Regno poggia oggi su un bluff: stampa estera interessata e stampa interna pagata, servizio di propaganda con larghi mezzi, interessi commerciali anglo-americani, politica di accerchiamento francese, sono gli elementi che gli danno vita.

L’infirmare il diritto degli attuali rappresentanti serbi a parlare in nome del Regno S.H.S., smontare il bluff serbo balcanico, è oggi, secondo me, visto che ne abbiamo gli elementi, la questione più importante.

CROAZIA

Dopo il tentativo rivoluzionario della fine di gennaio, soffocato nel sangue; dopo il Congresso di Zagabria del 3 febbraio c.a. dal quale venne lanciato, appoggiato da centomila voti, l’appello alla Conferenza della pace invocante la liberazione del territorio croato dalle truppe serbe; dopo che dal 10 al 25 marzo, in un estremo desiderio di usare solo la via legale, vennero raccolte le prime 115.000 firme, tutte sequestrate dall’autorità militare serba, che arrestò anche il 25 febbraio il capo del partito, on. Radiƒ, la Croazia intiera, reagendo in modo meraviglioso alle pressioni serbe, malgrado le bastonature, gli arresti, ricorse ancora con pazienza all’arma legale, la convinzione, e con un altro sforzo raccolse altre 160.000 firme, tutte invocanti la liberazione del territorio dai serbi, la formazione di una Repubblica croata (solo Croazia-Slavonia-Dalmazia) completamente neutra (alla Svizzera) indipendente.

A questo sforzo che i croati considerano decisivo, concorrono il partito dei contadini, il partito del diritto, il partito slavone, che formano ormai la grande maggioranza del paese.

Se si considera:

a) che la popolazione croata, col 40% di analfabeti, ha un totale di poco più di due milioni di abitanti;

b) che i serbi hanno sequestrato e distrutto un totale certo eguale ma forse superiore al numero di firme presentato;

c) che i serbi arrestano e bastonano, senza riguardi anche al ceto sociale, chi esprime idee contrarie al Regno S.H.S.;

d) che la raccolta di firme è stata fatta malgrado lo stato di guerra, malgrado le minacce e persecuzioni serbe;

appare in tutta la sua evidenza quale enorme importanza abbia per noi la petizione croata, appoggiata da 160.000 firme di persone al di sopra dei diciotto anni, tanto più che essa insiste per la formazione di una Croazia in Repubblica neutra, che serva da cuscinetto fra i tedeschi e gli italiani.

BOSNIA

Dopo due tentativi di minore importanza, è dai primi di maggio in completa aperta rivolta antiserba.

Il comando serbo, dopo aver proclamato lo stato di assedio nelle regioni di Sarajevo e di Mostar, tenta in un proclama riprodotto anche dalla nostra stampa di far passare questa rivolta per bolscevica. Le dimostrazioni sono però esclusivamente dirette contro comandi e Governo serbo, e non contro le proprietà o contro le classi sociali bosniache più elevate.

A Sarajevo è riunita una petizione appoggiata da 120.000 firme, pure invocante la liberazione della Bosnia dai serbi: spero riuscire ad averla nelle mani.

SLOVENIA

Di tutte le regioni slave, era la più attaccata all’idea dello Stato S.H.S., sperando di riuscire così ad ottenere Trieste e l’Istria.

Da tre mesi in evoluzione antiserba, attraversa attualmente una grave crisi di disagio e non si esagera dicendo che l’odio per i serbi aumenta ogni giorno.

L’avventura di Klagenfurt colla disillusione che ne è seguita, ha colmato la misura. La poca stampa ancora libera accusa apertamente i serbi di averla provocata (i primi trecento prigionieri presi dai carinziani, tra cui parecchi ufficiali, sono regolarizzati) e chiede ragione degli inutili sacrifici.

Vi sono state qua e là sporadiche rivolte di singoli o di piccoli reparti arruolati per forza: per ora però nessuna grave rivolta.

Ritengo ad ogni modo che attualmente, se si dovesse ricorrere in Slovenia ad un plebiscito pro o contro il Regno S.H.S., i risultati rappresenterebbero una grave disillusione per la commissione che rappresenta a Parigi tale regno.

Soggiungo ancora che le chiamate alle armi ordinate dal Governo provvisorio S.H.S. hanno risultato quasi negativo.

SLAVONIA

Senza avere mai avuto rivolte di carattere generale, da quando è stata occupata dai serbi ha però sempre mantenuto carattere battagliero, provocando continuamente incidenti di maggiore o minore importanza.

Il contegno della regione è sempre stato decisamente antiserbo e la stampa, quando non soffocata dalla censura militare, ha sostenuto sempre apertamente la tesi antiserba.

Esseg è il centro attivo del movimento separatista. Gli arresti in quella regione, per parte dell’autorità militare serba, sono continui.

CONCLUSIONE

Appoggiandomi sulla grande conoscenza dell’ambiente, sulle informazioni dettagliate che man mano mi giungono, e che fanno giungere il numero degli arrestati nelle quattro regioni ad un totale superiore alle tremila persone, appoggiandomi sulla petizione che porto, proporrei:

a) che il nostro Governo sposasse ufficialmente la questione croata (che ci interessa così davvicino), chiedendo l’immediata liberazione degli arrestati politici, e tra questi gli on. Radiƒ, Pazman, Prebeg, Macek, ed il diritto per la Croazia di mandare a Parigi la sua rappresentanza a simiglianza degli altri popoli liberati;

b) che di conseguenza il nostro Governo infirmasse il diritto arrogatosi dall’attuale Commissione S.H.S. a parlare in nome dei croati, sloveni, visto che essi, con un plebiscito così imponente, sconfessano e diffidano tale Commissione;

c) che la stessa diffida venisse fatta per tutelare la Bosnia, pur non essendo ancora nelle nostre mani i dati positivi (petizione colle firme);

d) che il nostro Governo chiedesse l’immediata formazione di commissioni internazionali d’inchiesta, onde constatare spassionatamente l’abuso serbo nella questione di Klagenfurt, l’abuso serbo nel modo come governa e sopprime la volontà della Croazia, della Slavonia, della Bosnia.

Mentre tento, per la terza volta, di riunire una delegazione croata che venga a Parigi per sostenere direttamente i propri diritti, credo doveroso avvertire che cercherò di ottenere dalla stessa, in anticipo, quelle rinunce che sono a noi necessarie.

L’ambiente croato ed il fatto che, malgrado i croati sapessero del precedente allontanamento della nostra Commissione da Parigi, si sono affidati a me, me ne dà affidamento.

494 1 Si tratta del T. 184 da Addis Abeba del 7 maggio trasmesso via Asmara il giorno 9, con

496

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE IN POLONIA, ROMEI LONGHENA, AL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO

L. 164 RIS. Varsavia, 14 maggio 1919.

Onoromi comunicare copia di parecchi telegrammi inviatimi dal maggiore Stabile rappresentante italiano nella sottocommissione interalleata di Posen1.

Circa il telegramma n. 96 del 12 corr. credo doveroso richiamare ancora una volta l’attenzione (il che ho già fatto parecchie volte nei miei telegrammi e rapporti inviati da Varsavia) sull’opera politica e militare che sta svolgendo la Francia in Boemia, Polonia e Romania. Gli eserciti di questi tre Stati sono ormai nelle mani esclusivamente della Francia. Il gen. Pellé è capo di Stato Maggiore dell’esercito czeco-slovacco; il gen. Henrys lo è dell’esercito polacco; il gen. Berthelot di quello romeno. Gli alti quadri e istruttori dei tre eserciti sono francesi.

Come risulta dalle comunicazioni verbali che ho fatto alla Sezione militare della Delegazione italiana (informazioni avute personalmente dal conte Skrzynski, sottosegretario di Stato al Ministero degli esteri polacco), la Francia sta ora svolgendo un attivissimo lavoro per concludere, sotto il suo patronato, una stretta alleanza fra Boemia, Polonia e Romania. Parecchie personalità polacche, fra cui il conte Skrzynski, si adoperano alacramente a tale intento.

Tale informazione mi è stata riconfermata anche dal signor Noulens, presidente della Commissione interalleata in Polonia.

496 Romei Longhena era tornato a Varsavia come capo di una missione militare istituita su suggerimento di Montagna (cfr. D. 77, nota 2).1 Si tratta dei telegrammi nn. 44, 93, 94, 96, 97, 98, 102, da Posen (non pubblicati).

Quale forza possa costituire nelle mani della Francia il blocco boemo-polaccoromeno, ubbidiente ai suoi voleri, ed i cui eserciti sono comandati da ufficiali francesi, è facile dedurre2.

497

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. RIS. PERS. Roma, 15 maggio 1919, ore 0,20.

La discussione in Consiglio, a proposito della sostituzione di Salandra, Salvago e Barzilai, ha assunto vero carattere politico. Decisione fondamentale: il Gabinetto, solidale con il suo presidente, accetta in massima la sostituzione con le persone designate. Ma la decisione appare grave, e potrebbe avere larga ripercussione in paese e forse all’estero, diminuendo all’interno la forza di coesione, screditandoci all’estero. Obiezione alla proposta sostituzione: 1) Essa sostituzione rappresenta una vera crisi di Gabinetto, perché Salandra e Barzilai furono nominati quando la crisi ministeriale portò quelle due designazioni ed all’entrata di Facta e Riccio1 dando ad esse importanza politica, perché l’uno era colui che aveva dichiarato la guerra e l’altro l’esponente della democrazia interventista. 2) Quali le ragioni delle dimissioni di Salandra, Barzilai e Salvago? Ciò il paese si chiederà e ne potrà portare impressione e parere che il dissenso di quei signori è fondamentale, che inficia la condotta dei negoziati così come è state esplicata e che ha portato alla decisione dei tre di staccare la loro responsabilità da quella del presidente del Consiglio e del ministro degli esteri. 3) Partendo per Parigi Ciuffelli e Stringher, diventa enorme la difficoltà del Gabinetto così mutilato per governare; senza aggiungere che si tolgono dall’interno tre perni essenziali per la soluzione dei problemi assillanti, come quello dei consumi che va a rotoli, quello del commercio che è di primaria importanza, e quello del tesoro sopra tutti gli altri preminente. Resterebbe un Gabinetto di amministrazione senza autorità né validità. Ad ogni modo, bisognerebbe provvedere con interim. 4) Ma l’allontanamento di Barzilai da Parigi, specialmente, segna nel pensiero del Consiglio dei ministri un passo politico dalle incalcolabili conseguenze, perché, dopo essere tornato a Parigi, se ne allontanerebbe di nuovo. Se tutte queste difficoltà possano farti giuoco, per provocare una crisi, decidila pure con ponderata coscienza; se non deve nemmeno discutersi questa ipotesi, non si accettino le dimissioni, oppure si lasci correre ancora e non si sostituiscano i dimissionari. Tutti i colleghi pieni di calda devota deferenza per te, che pel paese affronti difficoltà enormi e profondi tutte le tue energie e i tesori del tuo ingegno.

496 2 La nota fu comunicata a Sonnino, come risulta da annotazione manoscritta in calce. 497 1 18 gennaio 1919.

498

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO DELLA MARINA, DEL BONO

T. 528. Parigi, 15 maggio 1919, ore 10.

Con riferimento precedenti istruzioni circa nostre occupazioni Scalanova Makri Budrum e Marmaritza informo che ho richiesto Comando Supremo di dare opportuni ordini per rapida sostituzione truppe di terra a marinai. Quanto al numero di uomini da mettersi agli ordini generale Battistoni, pur lasciando al Comando supremo di fissarlo, ho fatto presente che si tratta di un atto politico che assume valore dalla presenza della nostre truppe e non dalla loro quantità. Occorre però dare ai reparti di sbarco mezzi adeguati di trasporto per eventuali rapidi spostamenti.

Prego V.E. mettersi d’accordo con Comando Supremo in merito a quanto precede.

499

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. Parigi, 15 maggio 1919, ore 13,15.

Ho avuto oggi una conversazione preliminare con lord Milner. De Martino era presente. Colloquio durò più di un’ora e fu cordialissimo. Ho premesso considerazione generale sul diritto dell’Italia di vedere riconosciuti e tutelati i suoi interessi Africa dopo sacrifici sostenuti nella guerra nonché in conseguenza del suo contributo militare in Africa mediante operazioni di guerra in Libia. Ho detto che qualora l’articolo tredici del Trattato di Londra dovesse essere interpretato a danno dell’Italia nella sistemazione generale, io vi rinunzierei: quello che domando ed esigo è un trattamento di uguaglianza di fronte agli alleati.

Siamo poi passati all’esame generico delle varie nostre richieste in applicazione dell’articolo tredici, sulla scorta della nota carta redatta dal tuo Ministero1:

1) Lord Milner non ha sollevato obiezione di massima alla rettifica tra Egitto e Cirenaica compreso il triangolo verso il Darfur. Ha rilevato l’importanza di quest’ultimo per le future vie di comunicazione nonché di Giarabub nei riguardi della Senussia.

2) Quanto al Somaliland britannico lord Milner ha detto che non poteva cedere nulla essendo di importanza essenziale per Aden dal punto di vista militare

nonché dell’(...) di quella piazza. Dopo discussione ha convenuto che ne potrà cedere una parte all’Italia.

3) Per Chisimaio e Giuba ha accettato in massima la cessione Italia facendo notare che il prospero avvenire che attende quella regione è il valore della concessione. Lord Milner accennò alla singolarità della situazione per cui solo l’Inghilterra si trova a far concessione all’Italia di qualche valore.

4) Circa Gibuti Milner ha detto che la Francia non lo cederà mai. A questo punto De Martino autorizzato da me ha prospettato in via di semplice ipotesi, osservando che manca il consenso del Ministero colonie, il modus procedendi di cui la relazione De Martino del 9 corrente2 e la nota del Ministero degli affari esteri del 7 febbraio 1917 n. 53.

Ho potuto notare il grande interesse di lord Milner a tale proposta, per cui ritengo che, qualora tu consenta, il negoziato possa procedere su tale base.

5) Circa la partecipazione ai mandati abbiamo affermato il diritto dell’Italia. Di fronte alla reale difficoltà di una favorevole soluzione, si è accennato in via d’ipotesi ad una soluzione parallela nel senso della nota del tuo Ministero a quello degli esteri in data quattro gennaio 1917 n. 804. Gradirei conoscere il tuo pensiero in proposito, osservando che forse potremmo trovare una via d’uscita in quel senso poiché, secondo notizie attendibili, il Belgio avrebbe sollevato pretese in quella stessa regione.

6) Sonnino ha fatto notare che sua partecipazione ai lavori della Commissione5 non è opportuna varie ragioni. Ho quindi deciso di affidare quell’incarico a Crespi che confido lo adempierà egregiamente assistito da De Martino.

499 1 Si tratta del memorandum redatto da Colosimo e trasmesso confidenzialmente il 30 ottobre 1918 a Sonnino, che lo consegnò ufficialmente a Balfour, in versione inglese, il 2 dicembre 1918. Vediserie sesta, vol. I, D. 436.

500

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 532 (GIÀ 2201). Parigi, 15 maggio 1919, ore 22,40.

Stamane al Ministero colonie francese si è riunita Commissione nominata da Consiglio supremo per applicazione articolo 13 Patto di Londra1. Presenti lord Milner, signor Simon, ministro Crespi, comm. De Martino, Piacentini segretario. Lord Milner eletto presidente.

D. 444, nota 4.

Crespi ha formulato riserva circa mancata partecipazione italiana distribuzione mandati. Simon ha osservato questione distribuzione mandati doversi considerare interamente definita avendo S.E. Orlando e S.E. Sonnino presenziato senza osservazioni seduta Consiglio dei quattro che deliberò assegnazioni mandati e nomina Commissione per applicazione a favore Italia articolo 13 Patto di Londra. Crespi ha mantenuto riserva. Ha poi esposto per sommi capi programma italiano comprendente noti seguenti punti:

1) Carovaniere Gadames Gat Tummo; 2) Oasi Giarabub e delimitazione frontiera sud ovest ed est Cirenaica; 3) Cessione Côte française Somalis; 4) Cessione Somaliland; 5) Cessione Chisimaio e Giubaland.

Lord Milner e Simon manifestato impressione che nostre richieste sorpassano notevolmente portata articolo 13, comprendendo non rettifiche frontiere bensì assorbimento intere colonie e facendo risaltare nostro vero scopo di porre sotto esclusiva influenza italiana l’Etiopia. Crespi ha replicato chiarendo testo e spirito articolo 132 affermante diritto Italia equi compensi e spiegando come parola notamment non debba servire a definire portata delle parole precedenti compensations équitables bensì a indicare che tra questi compensi debba essere compresa rettifica frontiere. Hanno pertanto preso nota nostre domande riservandosi esaminarle attentamente. Lord Milner ha quindi esposto sue prime impressioni in merito singole richieste dichiarando lato meno spinoso essere quello riguardante Libia. Circa Somaliland espresse impressione che Governo britannico difficilmente potrà accondiscendere abbandonare completamente costa sud del Golfo Aden; per Giubaland ha osservato trattarsi di uno dei migliori territori coloniali britannici potendo il Giuba definirsi piccolo Nilo.

Simon ha osservato per quanto riguarda Francia trovare non esagerate nostre richieste Libia. Circa Gibuti richiesta italiana equivale esclusione Francia da Mar Rosso e da via estremo Oriente. Simon ha concluso che se vero scopo Italia è impadronirsi di fatto dell’Etiopia questione diventa très grave.

Previe spiegazioni dettagli tecnici forniti da Piacentini, Crespi e De Martino hanno replicato illustrando noti motivi di vario ordine appoggianti nostre richieste tra cui principalmente equità compensi in relazione contributo Italia a guerra anche in Africa; necessità imprescindibile per Italia ottenere colonie redditizie che cooperino restaurazione patrimonio nazionale; necessità ottenere territori atti colonizzazione italiana. Milner ha poi rilevato come domande Italia implichino molto maggior sacrificio da parte Inghilterra che non da parte Francia. De Martino completato esposizione programma con richiesta isole Farsan e con proposta accordo con Inghilterra per

indipendenza Arabia sud occidentale. Milner e Simon hanno osservato argomento non rientrare nei limiti del mandato africano assegnato alla Commissione ma doversi piuttosto trattare in sede più propria discutendosi questioni turche.

Milner infine ha sollevato pregiudiziale3 che qualsiasi accordo si intende subordinato al mantenimento dei mandati così come furono decisi dai Quattro, seduta 7 corrente, pregiudiziale di cui non si poté disconoscere valore poiché è ammessa nello stesso articolo 13.

Impressione generale è che Inghilterra certamente non consentirà tutto quanto abbiamo chiesto onde Crespi invitato Milner domani colazione discutere privatamente circa eventuali compensi giusta modus procedendi proposta De Martino approvata da V.E.

Quanto Gibuti certamente battaglia sarà molto aspra difficile.

Prossima seduta lunedì.

499 2 Vedi D. 444, All. 3 Non pubblicata in serie quinta vol. VII. Il riferimento è all’ipotesi di un compenso per l’Inghilterra nella regione del lago Tana.4 Non pubblicata in serie quinta, vol. VII. Il riferimento sembra essere alla proposta di sfruttamento economico dell’Angola.5 Si tratta della Commissione per l’applicazione dell’art. 13 del Patto di Londra (vedi D. 441,nota 1).500 Cfr. CRESPI, pp. 562 sgg. Il verbale ufficiale della seduta è edito in SALATA, D. 5. 1 L’istituzione della Commissione era stata decisa dal Consiglio dei quattro il 7 maggio. Vedi

500 2 L’art. 13 del Patto di Londra reca testualmente: «Dans le cas où la France et la Grande-Bretagne augmenteraient leurs domaines coloniaux d’Afrique aux dépens de l’Allemagne, ces deux Puissances reconnaissent en principe que l’Italie pourrait réclamer quelques compensations équitables, notamment dans le règlement en sa faveur des questions concernant les frontières des colonies italiennesde l’Erythrée, de la Somalie et de la Lybie et des colonies voisines de la France et de la Grand-Bretagne». Vedi serie quinta, vol. III, D. 470.

501

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO E ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

T. GAB. 115. Roma, 15 maggio 1919.

Capo di S.M. della Marina comunica seguente telegramma del comandante Ciano: «Regina Elena», Scalanova, 14 maggio.

Seguito mio 936.

Operazioni Scalanova Ayasoluk Kuluk eseguite senza minimo incidente. Caimacan Scalanova protestato verbalmente. Contegno popolazione rispettoso. Ad Ayasoluk compagnia da sbarco e sezione mitragliatrici giunte dopo 4 ore di marcia. Durante ispezione sono stati fatti segno dimostrazione simpatia da parte popolazione, autorità e capo servizio quella stazione ferroviaria. A Kuluk tutto proceduto fra indifferenza generale. Caimacan Milan ha presentato protesta preparata in precedenza. Domani 15 arriva «Palasciano» a Scalanova, «A. Cappellini» a Kuluk con truppe1.

500 3 Con T. 533 del 16 maggio, su questo punto De Martino precisava: «Riserva generica di lordMilner di cui fine mio telegramma 2201 sarà riesaminata e discussa prossima seduta Commissione coloniale per ben definirne portata e valore».

501 1 Sollecitato da Sforza con T. 575 del 13 maggio, lo sbarco a Scalanova era stato già dispostoda Revel il 12 maggio, su richiesta di Sonnino (T. 205 del contrammiraglio Grassi a Revel e T. 46969dello stesso Revel a Grassi, entrambi del 12 maggio).

502

IL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1285/1129. Atene, 15 maggio 1919 (perv. ore 10 del 16).

La notizia dell’autorizzato sbarco di truppe greche a Smirne è stata accolta con manifestazioni di carattere ufficiale, ma con poco entusiasmo dalla parte realista che vi scorge il consolidamento del regime venizelista. Una dimostrazione condotta dal sindaco col Consiglio comunale in rappresentanza dei greci irredenti, ha visitato i rappresentanti delle potenze alleate ed è venuto anche a questa Legazione per ringraziare del voto favorevole dell’Italia in questa circostanza e per pregarmi di rendermi interprete presso Governo italiano dei sentimenti di riconoscenza senza dimenticare di esprimere anche speranze che con eguale benevolenza Italia vorrà collaborare con gli alleati per la realizzazione delle altre rivendicazioni elleniche. Il tono di questa stampa è il seguente: soddisfazione per l’atteggiamento dell’Italia nella questione di Smirne; fiducia che una eguale soluzione favorevole alla Grecia avrà luogo per il Dodecaneso e l’Epiro.

503

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1294/203. Parigi, 15 maggio 1919 (perv. il 16).

Dal colloquio che ebbi ieri col signor Tardieu e sul quale riferii verbalmente all’E.V. credo dover particolarmente notare, riassumendoli, i punti seguenti:

1) All’indicazione che gli feci dell’opportunità che i delegati austriaci non fossero oggetto d’un trattamento troppo più favorevole di quello usato ai tedeschi, il signor Tardieu, assicurandomi che così sarebbe, osservò sorridendo che lo stesso desiderio gli era stato espresso dai jugoslavi.

2) Avendo egli notato che la nostra causa non si avvantaggiava dell’atteggiamento a suo giudizio troppo freddo e risentito preso dai nostri plenipotenziari al loro ritorno da Roma, io gli risposi enumerando le non poche prove di scarsa benevolenza che ci erano venute dai nostri alleati durante la nostra assenza dalla Conferenza, come l’invito agli austro-ungheresi, l’esclusione del nome dell’Italia da tutti gli atti, la decisione circa le colonie presa la vigilia del nostro ritorno, ecc. A ciò Tardieu rispose che noi non sapevamo quanto il Governo francese aveva resistito alle pressioni che gli erano state fatte perché prendesse un atteggiamento ancora più energico a nostro riguardo.

3) Egli mi parlò dell’azione che da due giorni andava spiegando il signor Clemenceau per cercare una soluzione che ci potesse dare soddisfazione. Egli si mostrava molto ottimista ma non mi disse in termini precisi quale fosse la soluzione immaginata, solo compresi che egli pensava per Fiume a una delle solite formule già più volte messe innanzi, con Sebenico e Zara sotto un regime speciale. Due cose però aggiunse che hanno un interesse particolare, l’una che per le isole non vi saranno difficoltà essendo riuscito al colonnello House di persuadere Wilson dell’importanza strategica che le isole hanno per noi, l’altra che, se interviene per l’Adriatico una soluzione di reciproco gradimento, sarebbe facile per noi di ottenere Tarvis, il che a suo giudizio contribuirebbe a fare accettare la soluzione transazionale dall’opinione pubblica italiana.

504

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE IN TRANSCAUCASIA, GABBA, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 28. Tiflis, 15 maggio 1919.

Da Tiflis da parte della Missione militare italiana Transcaucasia. Riassunto impressioni distretto Batum direttamente governato da generale inglese medianti ufficiali. Paese relativamente tranquillo, sicurezza pubblica discreta, situazione alimentare difficile per sospensione completa vita economica commerciale, indubbio lavoro russofilo, questione profughi russi e armeni rimpatriati attraverso distretto grave. Ambienti poco favorevoli inglesi cui imputansi soverchia amicizia Denikin, disinteressamento ripresa vita distretto e recenti severe misure restrittive. Non potuto appurare se distretto Batum desideri unirsi Georgia; alcuni indizi provano contrario ma non vedo come potrebbe vivere isolato. Riassumo impressioni relative Stato georgiano: situazione confusa incerta nervosa, paese relativamente tranquillo, Governo procede con sistemi ultra avanzati e autoritari; sicurezza pubblica molto deficente, atti brigantaggio avvengono stessa Tiflis; ambiente sfavorevole inglesi cui riconoscesi astensione ingerenza affari locali ma imputansi disinteressamento benessere paese, politica troppo favorevole verso Denikin e mussulmani. Recente uccisione Tiflis ufficiale inglese ha teso rapporti e ufficiali ricevettero ordine girare armati. Situazione alimentare critica, Governo segnalami necessità 16400 tonnellate grano arrivare prossimo raccolto. Situazione finanziaria difficilissima causa svalutazione rublo locale unica moneta corrente valore centesimi 20 nostra moneta. Ferrovie funzionano abbastanza regolarmente ma sono insufficenti bisogni, scarsezza locomotive vagoni causa abusi e sospensioni riproduzione e riparazione. Telegrafi funzionano irregolarmente per continui danneggiamenti linee fatti da popolazioni. Inglesi hanno buono impianto servizio radiotelegrafico e efficenti due linee telegrafiche Costantinopoli e Bagdad. Nulle relazioni Ciscaucaso stante tensione rapporti con Denikin incidenti confine Suchum e poca sicurezza strada Vladikavkaz. Missione marina partita oggi Baku. Ieri occasione presentazione missione Governo georgiano avuto proficuo scambio idee e vedute. Rappresentante Armenia Tiflis comunicami che decisione inglese ritirare truppe distretto Kars e Erivan senza attendere sostituzione lasciandovi sola missione militare avrà gravissime conseguenze. In generale tutti rappresentano necessità che tra partenza inglesi e arrivo italiani non siavi interruzione. Notizia nostra venuta incontra generale favore. Recenti informazioni danno flottiglia bolscevica inattiva presso Astrachan e provvista due sottomarini. Bolscevichi avrebbero occupato Cerni Rinok ed intenderebbero fare offensiva verso Hislyar cento km. nord Petrovsk. Riservo informazioni circa Armenia e Azerbaigian dei quali ho già avvicinato delegazioni. Comando inglese e autorità locali mi facilitano ogni modo impossessarmi questione. Lavoro però alquanto intralciato dal riserbo che secondo mandato avuto debbo tener di fronte recisa dichiarazione ufficialmente fatta da comando inglese circa prossimo ritiro truppe inglesi e sostituzione con italiani. Senza anticipare giudizi ritengo che possibilità stabilire Transcaucasia situazione nostra preponderante attirando vantaggiosa penetrazione tutti campi siano grandissime però vastità e complessità problema richiederanno notevoli forze ma a mio credere ancor più largo impiego competenze tecniche capitali attività e mezzi ogni specie. Prego comunicare altri enti interessati e per mia tranquillità accusare ricevuta.

505

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

L. 1537. Parigi, 15 maggio 1919.

Mi pregio di presentare alla S.V. il maggiore Gibello Socco cav. Giuseppe latore della presente il quale si reca a Batum1 per una missione speciale di propaganda da svolgere nella Repubblica georgiana, secondo le istruzioni esposte nell’allegato promemoria2.

Prego V.S. di voler prendere col maggiore Gibello tutti gli accordi necessari, soprattutto per quanto riguarda il finanziamento e la corrispondenza e di volere appoggiare il predetto maggiore nell’adempimento della sua importante e delicata missione.

ALLEGATO

PROMEMORIA. Parigi, 13 maggio 1919.

Il maggiore Gibello a disposizione del Ministero del commercio si reca a Batum:

Incarico: accudire svolgimento delle operazioni di indole economica fra Banco Roma, Sindacato Coloniale Italiano e Gruppo Armeno a Damoff e Oghamesoff — questo è un gruppo finanziario-commerciale con lo scopo di importare materie prime in Italia dal Caucaso ed esportare dall’Italia prodotti manufatti italiani nel Caucaso.

Compito che gli affida il Ministero: Abboccarsi con Sforza ed informarlo delle intese corse col nostro ufficio le quali:

1) Osservare e riferire circa quanto fanno inglesi, francesi ed eventualmente americani od altri — di quale natura è la loro propaganda — quali affari hanno già fatti — quali si propongono fare — con quali mezzi, di chi si servono;

2) Quali i campi d’azione di immediato sfruttamento per noi;

3) Quali mezzi, agenti, istituti religiosi, stampa, diari di notizie, corruzione ecc.;

4) Quale l’orientamento politico dei nuovi Stati transcaucasici (bolscevismo?), relazioni col mondo musulmano (Turchia propriamente detta);

5) Invio periodico di un bollettino di notizie di cui ai numeri precedenti;

6) Suggerimenti circa l’azione nostra dal Centro;

7) Mezzi finanziari occorrenti per Lei e per quanti o quanto altro risultasse utile;

8) Prendere accordi per avere mezzi di corrispondenza sicuri;

9) Cifrario con noi;

10) Passaporto (darlo noi diplomatico oppure telegrafare a Sforza perché lo munisca di un documento equivalente?);

11) Informarci rapidamente se possiamo telegrafare da parte nostra;

12) Indirizzo del maggiore Gibello (per inoltro della corrispondenza) da concordarsi con Sforza. Intanto appoggiamo la corrispondenza all’ambasciata con indicazione di far seguire.

Il corriere della Marina parte ogni mercoledì con un piroscafo da Taranto a Costantinopoli-Batum.

Del presente è stato dato copia al maggiore Gibello.

505 1 La partenza era prevista per il 20 maggio, come da T. 2196 di Sonnino a Sforza anch’essodel 15 maggio.2 Vedi Allegato.

506

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 5491. Roma, 16 maggio 1919, ore 0,10 (perv. ore 13,20).

Ricevo tuo odierno1 circa tua conversazione preliminare con lord Milner e seguo con commosso ansioso interesse, che puoi pensare, tua personale rigorosa azione per tutela nostri interessi coloniali. Ti rispondo punto per punto.

Convengo pienamente con te che, se articolo 13 Patto di Londra, dopo enorme spostamento equilibrio africano avvenuto per effetto recenti ripartizioni mandati tra Francia e Inghilterra, dovesse essere interpretato senza nostro vantaggio, come appunto sarebbe se lo si volesse ridurre a semplici rettifiche di confini, converrebbe rinunziarvi. Questo, che vedo con piacere essere il tuo pensiero, io esponevo rudemente al barone Sonnino fin dal 21 febbraio ultimo con lettera n. 13252, lettera che ti prego di leggere. In essa concludevo: «sento di personalmente dichiarare all’E.V. che nella dannata ipotesi che il nostro programma non fosse integralmente accolto, non potrebbe in alcun modo essere da noi riconosciuto ed accettato come adempimento delle disposizioni dell’articolo 13 del Trattato di Londra l’offerta di rettifica di confine nel lato sud occidentale della Tripolitania da parte della Francia e verso la Somalia italiana da parte dell’Inghilterra, sia pure con tutta la cessione di tutto il Somaliland britannico che senza Gibuti costituirebbe per noi un danno. L’una e l’altra offerta staccate dallo integrale programma nostro non avrebbero per noi alcun valore e quindi non potrebbero essere accettate come equi compensi in adempimento delle clausole dell’articolo 13 del Trattato di Londra».

Primo: Sta bene per confine tra Egitto e Cirenaica.

Secondo: Per Somaliland britannico ti prego prendere conoscenza mia lettera a Sonnino del 24 febbraio ultimo n. 13673 dove fra l’altro dicevo: «Se Italia non avesse Gibuti l’aggiudicazione a noi del Somaliland britannico sarebbe per l’Italia una palla di piombo al piede». Riserve di lord Milner che tu mi riferisci accrescono mia preoccupazione poiché dubito che egli intenda proporci cessione della parte interna della regione. Conviene ricordare che di fronte irriducibile ribellione emulista Inghilterra abbandonò al Mullah spontaneamente tutto interno Somaliland britannico riducendosi a Bertera4 ed a qualche altro punto sulla costa. Acquisto Somaliland britannico senza Gibuti sarebbe dunque per noi dannoso e acquisto del solo interno del Somaliland senza costa ci metterebbe nella impossibilità tenerlo e sarebbe per noi non solo inutile e dannoso ma pericolosissimo. Quando avessimo Somalia francese con Gibuti

2 Recte T. Posta. Vedi serie sesta, vol. II, D. 433.

3 Vedi serie sesta, vol. II, D. 483.

4 Recte, evidentemente, Berbera.

il possesso integrale del Somaliland darebbe a noi la continuità di possesso da Ras Casar al Giuba e solo allora nostro dominio sarebbe organico e proficuo. Chiamo su questo punto tutta tua attenzione.

Terzo: Chisimaio e Giubaland sta bene nei termini ricordati al punto secondo del mio telegramma 3450 del 13 corrente5 a Sonnino in risposta alla relazione De Martino del 9 corrente6 riferendomi a quanto esposi nel mio foglio 5 febbraio ultimo7 e carta annessa al manifesto Salvago.

Quarto: Circa Gibuti e opportunità creare interesse pratico a Inghilterra per favorire concessione a noi di Gibuti stesso ho esposto chiaramente mio pensiero nel detto mio telegramma 3450 del 13 corrente a Sonnino. Da tua impressione vedo che proposta abilmente avanzata da De Martino per tua autorizzazione ha fatto effetto su lord Milner e confido te che sulla base di abili negoziati sulla questione del lago Tsana si possa condurre in porto questione Gibuti che per nostra situazione coloniale è di importanza massima ed anzi vitale.

Quinto: Per i mandati è per me di conforto vedere che, di fronte al fatto compiuto diplomatico avvenuto all’infuori di noi innanzi al quale ci siamo trovati, tu abbia preso in esame mia proposta circa Angola di cui nella mia lettera 4 gennaio n. 80000/50869 a Sonnino8. Non posso in proposito che riferirmi a quanto esponevo in quella lettera nella quale la questione è esaminata sotto tutti i suoi aspetti in tutte le possibili evenienze.

506 1 Si tratta del telegramma delle ore 13,15 del 15 maggio (qui D. 499). Il riferimento al «tuoodierno» si spiega con l’ora di stesura di questo 5491 trasmesso alle ore 0,10 del 16.

507

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 16 maggio 1919, ore 1.

Nelle ventiquattr’ore la discussione per un accomodamento delle questioni italiane è diventata sempre più attiva. Da parte americana sarebbe venuta la seguente proposta1: all’Italia tutta l’Istria sino a Fiume non compreso; Fiume città libera; Zara e Sebenico all’Italia e tutte le isole del Patto di Londra, meno Pago. Per tentare uno sforzo supremo al fine di ottenere annessione Fiume, americani hanno proposto di tentare un accordo diretto con i jugoslavi. All’uopo questa sera avrà luogo colloquio risolutivo all’Hotel Crillon, tra americani e jugoslavi. Io ho dichiarato che entro quarantot

6 Vedi D. 444, All.

7 T. 1274. Vedi serie sesta, vol. II, D. 242.

8 Non pubblicata in serie sesta, vol. I.

507 L’ora di partenza risulta dal preciso riferimento dello stesso Orlando in un telegramma a Vittorio Emanuele III del 17 maggio. Lo stesso telegramma era stato trasmesso a Petrozziello per Colosimoalle ore 23,50 del 15 maggio. Il testo è identico con la sola variante dell’ultimo periodo.

1 Si tratta della c.d. «Definitive solution» proposta da Miller. il 13 maggio. Vedi poi D. 514.

to ore mi occorre assolutamente una risoluzione e che interromperò ogni trattativa se ciò non avverrà. Il riavvicinamento con gli americani si accentua sempre più, e stamane Wilson ha usato verso di me forme specialmente cordiali. Stamane nel Consiglio dei quattro ebbe luogo una violenta disputa a proposito delle clausole militari con l’Austria, avendo l’Italia chiesto che un piano di riduzione di armamenti fosse anche esteso agli altri Stati sorti dalla Austria-Ungheria (Boemia, Jugoslavia, ecc.). Clemenceau si oppose con una forma estremamente violenta, ma la mia tesi fu accolta, specialmente per l’appoggio di Lloyd George e di Wilson. Per quanto riguarda i prognostici io dovrei dire che essi sono favorevoli se tutto quello che appare corrisponde ai sentimenti effettivi; ma purtroppo l’esperienza passata determina nel mio animo un invincibile scetticismo. Assicuro però che queste trattative non si trascineranno.

Ringrazio Vostra Maestà del telegramma relativo all’ordine del giorno pel 24 maggio2. È evidentemente difficile di redigerlo prima di sapere quale sia la situazione effettiva in cui quel giorno potrà trovarci. Bisognerà quindi attendere qualche giorno, ma non mancherò di ottemperare agli ordini della Maestà Vostra3.

506 5 Vedi D. 479.

508

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1310/599. Costantinopoli, 16 maggio 1919, ore 19,20 (perv. ore 19 del 17).

In relazione alla nuova situazione creatasi a Smirne con le occupazioni greche ho proposto nella riunione di ieri degli alti commissari la graduale soppressione dei controlli interalleati che funzionavano colà (navigazione, telegrafi, stampa, passaporti) cedendone l’eventuale continuazione al generale greco. Tale linea di condotta mi pare più conforme alla nostra dignità, tanto più che non trarremmo alcun vantaggio dagli inevitabili attriti che sorgerebbero permanendo i controlli. Per quanto concerne il controllo navigazione porti dogane che ci tocca più da vicino perché riservava parte preponderante all’Italia in tutta la zona da nord di Smirne ad Adalia e che per la natura stessa delle sue mansioni ci esporrebbe a maggiori attriti diretti coi greci, prego V.E. autorizzarmi d’urgenza dichiarare ai miei colleghi che, mentre il posto di Smirne seguirà la sorte generale degli altri blocchi, invece Budrum, Makri, e Adalia saranno sottratti alla direzione centrale interalleata e passeranno alla dipendenza delle

P. del 22 maggio, ore 11,35, Orlando ne diede incarico a Petrozziello, che provvide a inviare il testo con

T. 1543 P. delle ore 20,50 dello stesso giorno.

3 In luogo del riferimento all’ordine del giorno per il 24 maggio, il testo per Colosimo recanell’ultimo capoverso un apprezzamento per l’atteggiamento del Consiglio dei ministri sulla questionedella sostituzione dei delegati dimissionari. Vedi D. 497.

autorità italiane occupanti. Detti posti furono fin dall’inizio del controllo interamente disimpegnati dalla nostra missione doganale col concorso della R. Marina, e la loro presenza giovò non poco per la nostra occupazione. Se V.E. approva mia proposta1 prego interessare subito anche i Dicasteri delle finanze, della marina e della guerra per le disposizioni del caso. Mia proposta creerebbe per la zona Scalanova, Adalia la stessa situazione che i francesi hanno in Cilicia.

507 2 Con telegramma del 15 maggio il re pregava Orlando di redigere il testo di un ordine delgiorno all’Esercito e all’Armata per il 24 maggio, quarto anniversario dell’entrata in guerra. Con T. 1538

509

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1298/5514. Roma, 16 maggio 1919, ore 19,25 (perv. ore 20).

Stamane ambasciatore Inghilterra si è recato al mio Gabinetto delle colonie per chiedere al comm. Baccari qualche notizia circa un rumore (così egli si esprime) arrivato fino al suo Governo di concessioni che noi ci accingiamo a fare ai tripolini con rinunzia a nostri poteri sovrani. Ambasciatore ha subito aggiunto che egli personal-mente non ha creduto a tale rumore e ha pensato che possa trattarsi di concessioni di una autonomia amministrativa salvo facendo sovranità Italia come da legge dello Stato. Comm. Baccari non ha potuto che confermare sir Rennell Rodd in tale suo esatto apprezzamento1 e di ciò egli si è mostrato molto soddisfatto dicendo che se rumore corso avesse avuto un fondamento di vero la cosa avrebbe potuto avere dannosa ripercussione sui negoziati in corso a Parigi per i mandati e per la questione coloniale in genere.

509 1 Lo Statuto organico o Patto fondamentale della Tripolitania fu promulgato il 1° giugno con

R.D. 931 (vedi D. 664).

508 1 Sonnino diede la sua approvazione con T. 553 del 20 maggio.

510

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, E AL SOTTOSEGRETARIO PER GLI APPROVVIGIONAMENTI DELLE MATERIE PRIME, PARATORE

T. RR. PREC. ASS. Parigi, 16 maggio 1919, ore 22,50.

Fallito completamente tentativo accordo con jugoslavi per Fiume. Continua conversazione con americani sul programma telegrafato questa notte1, cui io ho proposto miglioramenti, tra i quali il principale è di consentire che la rappresentanza diplomatica di Fiume sia data all’Italia. Queste conversazioni non sono però pervenute ad una conclusione positiva, e rimane soprattutto riservata l’accettazione da parte di Wilson. In complesso, dunque, situazione dovrebbe dirsi stazionaria; ma il fatto stesso del prolungarsi rappresenta un peggioramento. D’altra parte, la dura esperienza già fatta non può non rendermi pessimista. Dissi già a Paratore che la decisione da prendere era in funzione di due elementi: internazionale ed interno. Il lato internazionale ve l’ho esposto brevemente ma chiaramente: non vi è ragione per disperare, maneppure per sperare. È stato di assoluta incertezza che forse potrebbe risolversi domani. In questa condizione di cose credo che bisogna dare la prevalenza assoluta allo elemento interno e fondare le decisioni su di esso. Me ne rimetto quindi completamente a voi. Avverto, bensì, che condizione assoluta per l’attuazione del programma portato da Paratore, è che eventuale crisi sia risoluta con tale rapidità, da fare in modo che qui a Parigi arrivi quasi contemporaneamente la notizia della risoluzione e della partenza dei nuovi delegati. Ciò non può ottenersi che predisponendo anticipatamente la soluzione; ciò potrà essere irregolare, ma eccezionalità del momento giustifica. Dovete ben considerare che nessun disastro sarebbe peggiore di quello che al momento della eventuale firma con la Germania non vi sia alcuno che abbia il potere per decidere. Tenete pure conto dello stato d’animo di Sonnino, cui allusi nel telegramma odierno2. Attendo con ansia vostre notizie il più rapidamente possibile.

510 Il telegramma fu trasmesso per mezzo di Petrozziello.1 Il riferimento è al telegramma delle ore 23,50 del 15 maggio per Colosimo e delle ore 1 del16 maggio per Vittorio Emanuele III, qui D. 507.

2 Con telegramma delle ore 14,20 a Petrozziello Orlando aveva comunicato come «avendooggi fatto allusione a Sonnino dei malumori esistenti fra i ministri, come capaci di determinare una crisi,egli mostrò di svalutare completamente tale evento, arrivando a dire che in tal caso io avrei dovuto sostituire subito i dimissionari».

511

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 16 maggio 1919, ore 22,50.

È giunto Paratore ed ho con lui conferito1. Subito dopo, per mantenere il più possibilmente segreta la riunione e lo scopo di essa, ho pregato di venire da me soltanto Ciuffelli, De Nava, Meda e Fera. Non è necessario, ai fini che ci proponiamo, confonderti facendoti l’esposizione minuta degli argomenti variissimi che si sono seguiti pro e contra la tesi fondamentale; se cioè le dimissioni del Gabinetto fossero necessità ineluttabile, per le condizioni interne del paese incapace a sopportare snervanti indugi di attesa, mentre d’altro canto la tattica più opportuna è riconosciuta la temporatrice.

Ma fra le osservazioni degne di nota, occorre esportene due: 1) che il paese forse potrebbe ancora attendere, se la venuta via di Barzilai, con relativa pubblicità e relative sue chiose sull’abbandono di Parigi, non desse la sensazione che coloro che restano a Parigi risulterebbero impari ad ottenere una soluzione capace di salvaguardare gli interessi del paese. Epperò mi si proponeva di chiederti, nel caso Barzilai si acconci a restare qualora fosse sicuro il ritorno di Salandra, di fare un passo presso il re perché ordini a Salandra di tornare; 2) l’altra osservazione (che soltanto voi altri a Parigi potete valutare), è se non crediate che il vostro allontanamento non possa, facendo difficile la situazione dei successori, peggiorare nei fini internazionali la situazione d’Italia, perché in tal caso sarebbero gravi le conseguenze e la responsabilità storica ricadrebbe essenzialmente su di te. A questa seconda parte tu hai risposto esaurientemente negli appunti che mi ha dati Paratore, ma che io non ho creduto prudente di comunicare ai colleghi.

Ma veniamo alla fondamentale osservazione che riguarda le condizioni del paese attuali, e quelle che si potrebbero formare in seguito ad una crisi extra parlamentare. Le condizioni attuali del paese tu le hai intuite, io ho cercato senza esagerazioni ma senza colpevoli ottimismi prospettarteli quasi giorno per giorno2. Ora bisognerebbe, per non aggravarle, che la crisi fosse fulminea ed il trapasso del potere fosse subitaneo. Ciò non è possibile: 1) bisogna conferire col re; 2) nel caso questi convenga nella linea, pensare al presidente del consiglio; 3) nel caso procedere alla formazione del Gabinetto; 4) impossibilità che questo avvenga in tre o quattro giorni senza che si sappia; e che i partiti, le tendenze, i militari in forma di arditi o di ambiziosi mascherati da generali o da preti, le classi organizzate, non prorompano in manifestazioni clamorose. Allora sarebbe la piazza ad entrare in scena, con conse

2 Con T. 1447 dell’11 maggio Colosimo aveva già evidenziato le difficoltà insorte nel paeseanche per il contegno dei militari, in particolare della Unione nazionale ufficiali e soldati (UNUS), guidata dal colonnello Douhet e dal generale Giardino. Ed aveva suggerito il richiamo di Giardino ad uncomando in zona di guerra o il suo invio «in missione lontana».

guenze da non potersi prevedere. Questo è il punto grave. Non c’è pronta una combinazione. Dove trovare il ministro degli esteri e quello dell’interno?

Di fronte a queste considerazioni bisogna andar cauti ed affrontarle solo quando inesorabilmente tu ritenga che non ci sia altra via di uscita. Finisco aggiungendo che alcuni colleghi ritengono che, avuto il Brennero, l’Istria, Sebenico, Zara, le isole, con un accomodamento meno peggio per Fiume e buone concessioni in Asia Minore, la maggioranza del paese sarebbe se non contenta, almeno paga.

511 1 Vedi D. 510.

512

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,

AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 536. Parigi, 16 maggio 1919, ore 24 (perv. il 17).

Oggi avuto luogo conversazione privata Crespi De Martino con lord Milner. Lord Milner ha confermato maggiore difficoltà consistere per questioni Gibuti e Somaliland mentre per Giubaland vi è maggiore possibilità intendersi avendo effettivamente Inghilterra acquistato altre colonie redditizie da mettere in valore. Lord Milner ritiene che anche per parte Francia cessione Gibuti rappresenti estrema difficoltà non tanto per questione ferrovia risolvibile con danaro quanto perché cessione implica per Francia abbandono fortunata politica etiopica.

Milner ha poi chiesto quali siano nostre vere intenzioni circa Etiopia. Crespi, De Martino hanno concordemente assicurato Italia fermamente decisa mantenere indipendenza Etiopia; volerla soltanto sfruttare commercialmente industrialmente costituendo essa solo campo ove attività coloniale italiana possa svolgersi in proporzioni vaste tali da portare reale beneficio madre patria.

Prospettatogli questione Lago Tsana termini indicati relazione De Martino1 cioè come ampliamento concessioni idrauliche Milner mostrò annettervi molta importanza in quanto necessità irrigazione Sudan possono trovarsi in contrasto coi «bisogni locali» menzionati nella convenzione del 1906.

Gli fu osservato da De Martino che eventuali accordi in proposito si intendono subordinati ad un regolamento soddisfacente per noi della questione etiopica e della Costa.

Accennatogli a possibilità di maggior larghezza da parte Italia a favore Inghilterra nell’esaminare questione statu quo Yemen Asir, Milner ha risposto con accentuata fermezza che direttiva politica cui Inghilterra intende assolutamente attenersi in Arabia è quella di mantenere Arabia indipendente e di sottrarla a qualsiasi dibattito politico diplomatico con altre potenze.

Crespi De Martino riassunto nuovamente essenziali ragioni nostre richieste insistendo per appoggio Milner in questione Gibuti caposaldo nostre rivendicazioni africane. Milner però ha continuato mostrarsi scettico dubbioso non soltanto per quanto riguarda Francia bensì anche per quanto riguarda Inghilterra che egli non si persuade vedere interamente esclusa da politica etiopica e allontanata da costa meridionale Golfo Aden. Fatto infine accenno ad Angola in base ad accordo con Francia Inghilterra per affidarne a Italia esclusività sfruttamento Milner ha soltanto obiettato che Portogallo chiederebbe certamente compensi che non si vede in che potrebbero consistere.

512 1 Vedi D. 444.

513

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 10903. Roma, 16 maggio 1919, ore 24.

Con telegramma n. 2172 dei primi di marzo1, il r. ministro a Berna chiedeva istruzioni circa la richiesta di quella missione ucraina di ottenere libera entrata nel Regno per una missione straordinaria diplomatica ucraina che avrebbe dovuto recarsi a Roma. Secondo le istruzioni di Vostra Eccellenza fu risposto che, conformemente alla nostra linea di condotta seguita nei riguardi dei diversi Governi formatisi in Russia, non ci era possibile accogliere la missione ucraina che intendeva stabilire presso il R. Governo rapporti diplomatici e commerciali.

I giornali di oggi («La Tribuna» ad esempio) recano la notizia dell’arrivo a Roma di una missione ufficiale del Governo repubblicano dell’Ucraina e affermano che «la missione ha per scopo principale di regolare la situazione dei prigionieri ucraini che si trovano in Italia» e inoltre «di gettare in Italia le basi per i futuri accordi, specialmente commerciali, fra il nostro paese e la Russia del sud». Concludono i giornali che «i delegati hanno avuto in questi giorni colloqui con parecchie personalità».

Sta di fatto che trovasi a Roma il signor Basil Mazourenko (che nel telegramma sopraricordato della R. Legazione a Berna era indicato come uno dei membri della missione Ucraina), col seguito. Non è però giunto il prof. Antonovic (indicato come il capo della missione).

Al signor Mazourenko, presentatosi al Ministero, fu subito fatto comprendere che non era il caso di parlare di «missione ufficiale ucraina», per le ragioni che a suo tempo gli erano state comunicate, e che la notizia data dai giornali sarebbe stata rettificata; ciò a cui si è già provveduto2.

Il signor Mazourenko ha presentato una lettera nella quale è detto che «il Direttorio della Repubblica popolare dell’Ucraina ha la speranza che il R. Governo italiano:

1) Riconoscerà l’indipendenza e la sovranità della Repubblica popolare ucraina;

2) Entrerà in rapporti ufficiali nel campo degli affari politici, economici e finanziari con la missione, finché non sarà istituita l’Ambasciata permanente;

3) Permetterà d’inviare corrieri diplomatici dall’Italia all’estero;

4) Concederà di entrare in rapporti con i prigionieri ucraini di guerra che sono in Italia».

Il signor Mazourenko ha chiesto altresì che sia autorizzata l’entrata nel Regno del prof. Antonovic al quale si riferiva il telegramma di quest’ufficio n. 3260, del 14 febbraio scorso3.

L’Ufficio prega Vostra Eccellenza di voler impartire istruzioni, sia per quanto riguarda i quattro punti della lettera sopra riportata, che per l’entrata nel Regno del prof. Antonovic.

L’ultimo rapporto arrivato all’ufficio sulla situazione politica nell’Ucraina occidentale è quello n. 8380 OP., del 10 corrente4 che il Comando Supremo ha in pari tempo inviato alla Delegazione pace Sezione militare5.

513 1 Non pubblicato in serie sesta vol. II.2 Vedi poi D. 661.

514

«PIANO MILLER»

Parigi, 16 maggio 1919.

Mister Miller’s Proposals:

1) For the Alps, the line of the Armistice from the Brenner till the boundary with Fiume;

2) Fiume (Corpus Separatum, following the thalweg of the «Fiumara» until the debouching to the sea) free and independent city and free port. The independence to be guaranteed by the League of Nations;

3) Zara and Sebenico to go to Italy;

4) The hinterland of Dalmatia to be neutralised;

5) The islands claimed by Italy to go to Italy with the exception of Pago which is to go to Yougo-slavia and will be neutralised;

4 Non pubblicato.

5 In pari data (con T. 1499) Colosimo chiedeva a Orlando disposizioni sull’opportunità di ricevere la delegazione ucraina, come sollecitato anche dall’on. Bissolati.

514 Si tratta di una versione leggermente modificata di quella «Definitive solution» di Millerche era stata discussa con Orlando e Cellere il 13 maggio e poi, presente anche House, la mattina del14 (cfr. D. 507). Fu consegnata da Cellere a Miller il 16 maggio, con le controproposte italiane preparate da Orlando e Sonnino. La questione fu ancora discussa infine nel pomeriggio del 16, in un incontro con gli iugoslavi, in stanze separate, con la mediazione di House, ma senza che si giungesse ad unaccordo.

6) Vallona to Italy. Should a mandate be established for Albania Italy to be entrusted with such a mandate.

Italian acceptances variations and additions:

1) Alpine frontier accepted;

2) Fiume to be left free to entrust Italy with its diplomatic representation. The task of the League of Nations will be limited to the guarantee of the independency and of the autonomy of Fiume without any other form or kind of control;

3) Accepted. An adeguate territory (for instance the political district) to be left to the cities of Zara and Sebenico;

4) Accepted;

5) Accepted;

6) Accepted.

The Italian Government trust that they may receive the friendly support of the American Government on the following questions:

A) That the Italians of the cities of Trau and Spalato may have the freedom of option for the Italian citizenship within a year, a reciprocal treatment being reserved for the Slavs of the cities of Zara and Sebenico;

B) That the two great railways lines between Trieste and Vienna (Pontebana and Transalpina) may run outside Yougo-Slav territory;

C) That all special custom clauses conducive to a special custom system among the territories and the states belonging to the former Austro-Hungarian Empire be eliminated;

D) That the decisions taken in regard the Adriatic tonnage be reconsidered;

E) That Italy should receive the mandate for the whole of Anatolia with the exception of the town of Smyrna and the part included in the mandate for Constantinople.

513 3 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

515

IL VICECONSOLE IN MISSIONE IN SIRIA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 46.24-B.2. Beirut, 16 maggio 1919.

Mi riferisco al mio rapporto 16/B21.

La soluzione del problema siriano con la costituzione di una Siria integrale su cui regnerebbe protetto dalla Francia l’emiro Faisal, soluzione che può essere ritenuta la più favorevole per la Siria e per la Francia, sembra che vada facendosi strada presso l’emiro e presso le autorità francesi. Mi si dice, ma non ho mezzi per controllare tale voce, che essa sia la soluzione vagheggiata nei suoi colloqui con l’emiro da S.E.

Clemenceau, il quale avrebbe a Beirut come suo uomo di fiducia il generale Hamelin, comandante le truppe di occupazione francesi, il quale durante la guerra ha prestato servizio al Ministero della guerra, di cui Clemenceau è titolare.

L’emiro Faisal infatti nel suo viaggio all’interno pure insistendo, con minor forza però, sull’idea della indipendenza siriana ha tenuto a dichiarare energicamente che ove egli fosse a capo del Governo i cristiani nulla avrebbero da temere e sarebbero parificati in diritto ai mussulmani. Da parte della autorità francese si parla con minore ostilità dei sceriffiani e l’alto commissario Picot è partito ieri per Damasco a rendere omaggio all’emiro.

Ciò come era da prevedersi ha sollevato il campo cristiano a rumore e più che ogni altro si agitano i maroniti. Non potendo essi opporre al principato mussulmano di Siria nessuna ragione essi si fanno forti del Libano ove sono maggioranza assoluta. La questione libanese, che la sconfitta turca e la liberazione della Siria hanno del tutto sorpassata, rinasce per volontà dei maroniti, i quali non potendo essere l’elemento dominante di tutta la Siria cercano di essere tale almeno in una parte della regione: questo è il fondamento della aspirazione che viene formulata sotto il nome di Grande Libano. Annettere al governatorato del Libano una parte del litorale della Siria (Saida, Beirut, Tripoli) era sotto il Governo turco una nota tendenza dei cattolici delle città e dei cattolici della Montagna: e poteva aver allora la ragione di sottrarre al diretto Governo turco una parte della Siria. Durante i famosi giorni del movimento arabo di decentralizzazione, dopo le guerre balcaniche, nel 1913, tale tendenza era aspramente combattuta dall’elemento arabo-musulmano che voleva, come oggi vuole, una Siria integrale.

L’aspirazione oggi risorge perché in questo grande Libano (comprenderebbe oltre il governatorato del Libano buona parte del vilayet di Beirut) i maroniti sono sicuri di aver con l’appoggio francese per loro tutti i posti di Governo e di amministrazione: l’interesse economico del gruppo religioso è l’unico fondamento sicuro delle aspirazioni dei gruppi siriani.

Allo scopo di intendersi su un programma di agitazione fu riunito giorni or sono il Consiglio amministrativo del Libano, i funzionari principali e molte notabilità libanesi, molti notabili cattolici di Beirut, e fu costituito un comitato di dodici membri per concretare il programma e presentarlo all’alto commissario francese Picot, il quale ha chiesto di formulare un memorandum per iscritto e di firmarlo. Avversi all’idea del Grande Libano i drusi si agitano: essi sono ed erano già minoranza (60 mila circa su 350 mila abitanti) nel governatorato del Libano ma lo statuto del Libano, redatto appunto dopo le lotte druso-maronite, e quando i drusi erano apertamente appoggiati dalla Inghilterra di cui sono clienti, concede loro molti più diritti di quelli che per il loro numero essi avrebbero avuto diritto allora, e ancor meno ne avrebbero oggi data la forte corrente di emigrazione che ha spostato nel-l’ultimo trentennio i drusi dal Libano all’Hauran, nel vilayet di Damasco. Il Grande Libano aggraverebbe ancora questa sproporzione fra essi e i maroniti in quanto che nelle città della costa e specialmente a Beirut vi sono maroniti ma non vi sono affatto drusi. Essi dichiarano desiderare che il Libano resti intatto nella sua vecchia autonomia o se qualcosa deve essere mutato essi preferiscono la Siria integrale ove l’elemento dominante sarebbe il mussulmano a loro affine per religione e non storicamente avverso come il maronita.

Superfluo aggiungere che l’elemento mussulmano delle città è apertamente ostile all’idea del Grande Libano. La Francia ad essa dovrebbe essere apertamente contraria dato che divide la Siria in due parti ed inasprisce contro di essa l’elemento mussulmano, che essa dovrebbe invece cercare di accattivarsi.

Nella Siria integrale sarà forse necessario oggi, per non creare troppi malumori fra i cristiani del paese, rispettare l’autonomia libanese, ma il Libano, negli antichi confini, potrebbe dipendere nominalmente dal principe di Siria come una volta per il suo statuto dipendeva dal sultano di Costantinopoli, vale a dire che sarebbe riservata al principe mussulmano soltanto la nomina del governatore che per statuto non può essere che cristiano.

Di tale soluzione i maroniti non si accontenteranno ma il Governo della Repubblica dovrebbe non troppo preoccuparsi di una agitazione verbale che andrà calmandosi appena che verranno offerti gli impieghi nel Governo e nell’amministrazione del paese. Quello che oggi non è ancora chiaro in paese è che questa agitazione per il Grande Libano, ossia per lo sdoppiamento della Siria in due parti, una ove predominerebbe l’elemento mussulmano ed una ove predominerebbe l’elemento maronita, è contraria agli interessi della Francia di cui i maroniti sono e si dichiarano i più sicuri clienti in Siria. Gli interessi francesi e maroniti in Siria sono quindi oggi in opposizione come lo erano del resto, ed era ancora meno evidente, sotto il Governo turco al tempo della penetrazione pacifica francese in Siria.

515 1 Si tratta più esattamente del rapporto 16.9.B2, del 7 maggio. Non pubblicato.

516

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. Posta 537. Parigi, 17 maggio 1919, ore 10,30.

Comitato blocco Parigi ha richiesto ai Governi alleati associati autorizzare propri rappresentanti paesi neutrali nord e Svizzera a presentare 19 corrente ai rispettivi Governi identica nota domandando se, nel caso circostanze rendano necessario per i Governi associati procedere ulteriori misure contro la Germania, Governi neutrali vogliano impegnarsi proibire ogni esportazione, riesportazione o transito merci da o attraverso rispettivi paesi e a o dalla Germania, eccetto il caso di consenso Governi associati. Nota dovrebbe informare che richiesta è fatta col desiderio evitare nella detta eventualità e nella misura più larga possibile, sconvenienze verso paesi neutrali.

Mentre di ciò non dovrà farsi diretto comunicato alla stampa, non è necessario che passo rimanga segreto.

Prego agire in conseguenza d’accordo colleghi alleati ed associati.

516 Il telegramma fu inviato per filo anche alle Legazioni a Cristiania, Stoccolma, Copenhaghen,L’Aia e Berna.

517

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 17 maggio 1919, ore 12.

Torno dall’aver conferito col re. Partendo dal principio che con una pace discreta, tirando quanto più si può per Fiume, il paese potrebbe rimanere abbastanza pago, e ritenendo che a tale conclusione possano giungere solo gli uomini che hanno cominciate e proseguite finora le trattative, Sua Maestà, in merito al cambiamento di Ministero ha osservato: 1) che qualunque crisi all’infuori del Parlamento farebbe nascere dei pasticci, per usare la sua frase; 2) impossibilità di costituire il Ministero in due o tre giorni, occorrendo consultare i presidenti della Camera e del Senato, poscia chiamare il predestinato all’investitura, quindi dare a questi il tempo materialmente necessario per formare la combinazione non scevra di difficoltà, perché possa formarsi; 3) dovere per gli uomini che sono a Parigi di fare la miglior pace possibile e dopo presentarsi al Parlamento; anche se allora la Camera rovesciasse il Ministero, sarebbe per gli uomini che lo compongono poco male, mentre ora darebbero con le dimissioni la impressione di una fuga; 4) si verrebbe con le dimissioni a frustrare il sindacato del Parlamento in una questione così grave e si eluderebbero le aspettative del paese.

Faccio partire subito questo dispaccio pregandoti di non far muovere Barzilai da Parigi. Per tener tranquilli colleghi Gabinetto, oggi li riunirò per comunicar loro le ultime notizie sulle trattative che mi hai mandato.

518

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1322/604. Costantinopoli, 17 maggio 1919, ore 12,45 (perv. ore 10 del 18).

Da parte inglese si mostra qui vivo interesse per sapere quando abbia luogo nostro intervento Caucaso che si considera decisione irrevocabile. D’altro lato mi è dato constatare un voluto accentuamento di simpatie inglesi verso Russia. Riferisco quanto precede in aggiunta mio telegramma Gab. n. 571 per confermare che la nostra andata costituirebbe un gravoso servizio nostro agli inglesi i quali vi guadagneranno anche l’eliminazione di una causa di frizione colla Russia. Tal causa di freddezza cadrebbe su noi con danno nostro tanto più grave quanto più appare oggi verosimile

la prossima ricostituzione di una Russia che riprenderà il suo spirito nazionale e che vorrà sottoposte a revisione tutte le decisioni che la concernono e che saranno state prese a Parigi senza di lei.

518 1 Vedi D. 232.

519

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1311/5587. Roma, 17 maggio 1919 (perv. ore 9 del 18).

Ricevo Suo 536 del 17 corrente1 circa conversazione privata Crespi De Martino con lord Milner e rispondo subito.

V.E. mi dice che De Martino ha osservato a Lord Milner circa nostre maggiori concessioni per lago Tsana che «eventuale accordo in proposito si intende subordinato ad un regolamento soddisfacente per noi della questione etiopica e della Costa».

Non so che cosa si voglia qui intendere per «regolamento soddisfacente»; ma devo dichiarare alla E.V. che io fermamente ritengo che il solo regolamento della questione etiopica e della Costa che Italia può accettare è la integrale cessione a noi di Gibuti e di tutto protettorato francese Costa Somali con esclusiva influenza italiana su Etiopia. Solamente allo scopo di facilitare ciò, mediante creazione di un interesse pratico per Inghilterra, io ho dato parere favorevole alla maggiore concessione ad Inghilterra lago Tsana, nei limiti ricordati nel mio telegramma a V.E. n. 3450 del 13 corrente2. Altrimenti no. A maggiore chiarimento ricordo che con mia lettera a V.E. primo giugno 1918 n. 32453, esaminando rapporto 5 aprile 1918 n. 284 del r. ministro in Addis Abeba circa dichiarazioni del suo collega britannico signor Thesiger, dicevo che se non fosse possibile ottenere passaggio diretto di Gibuti da Francia a Italia, converrebbe che Gibuti passi ad Inghilterra e questa lo riceda ad Italia mediante compensi nel regolamento della questione etiopica, con tacitazione della Inghilterra nella questione per essa vitale delle acque del bacino del Nilo, ma con Gibuti all’Italia. Tale obbligo di ricedere Gibuti all’Italia dovrebbe risultare da esplicito impegno scritto.

Non mi rendo conto della preoccupazione di Lord Milner che cessione Gibuti possa portare effettivamente ad intera esclusione anche della Inghilterra dalla politica etiopica. La esclusione della Francia sarebbe certo intera ed assoluta, ma non so come Inghilterra che ha così intimi e vasti rapporti di contiguità e di interessi con

519 Il testo in arrivo reca come data di partenza il 18 maggio, ore 2, e presenta alcune variantirispetto a quello in partenza.

1 Il T. 536 di Sonnino reca la data del 16 (h. 24) e pervenne a Roma il 17 (qui D. 512).

2 Vedi D. 479.

3 Non pubblicata in serie quinta, vol. XI.

4 N. 18 secondo il testo in arrivo. Non pubblicato in serie quinta, vol. X.

Etiopia possa sinceramente temere di essere tagliata fuori. Quello che deve premere, e infatti preme a Inghilterra non meno che a noi, è esclusione della Francia.

Riferisco a V.E. nella mia lettera primo dicembre 1918 n. 79835 che lo stesso ministro britannico in Etiopia dichiarava che se Italia e Inghilterra vogliono vivere tranquilli nelle loro colonie è necessaria la cessazione della influenza francese e del commercio delle armi.

Io vedo dunque i vantaggi e non vedo i danni per Inghilterra dal passaggio di Gibuti a noi; tanto più che potrebbe ricavarne anche l’inestimabile benefizio di un regolamento della questione dello Tsana che per Egitto è questione di vita o di morte, come si esprimeva marchese Imperiali nel telegramma Londra 6 novembre 19136, e che perciò non dobbiamo concedere senza quello adeguato compenso che può essere costituito per noi solamente dalla cessione di Gibuti che è anche essa per il nostro assetto coloniale questione di vita o di morte.

Qui del resto miei concetti si incontrano con quelli espressi da V.E. nella lettera

n. 5 del 7 febbraio 19177. Ad ogni modo ritornando alla preoccupazione di Lord Milner potrebbe non escludersi che, nel caso della cessione di Gibuti da Francia ad Inghilterra e da questa a noi, si possa regolare fra Inghilterra e Italia la questione di una determinata limitata influenza politica britannica. Certo ciò porterebbe un grave colpo alla situazione che noi vogliamo e dobbiamo cercare di assicurare alla Italia in Etiopia; ma se tale questione dovesse costituire ostacolo insormontabile non potremmo rifiutarci di prenderla in esame.

Per Somaliland britannico devo confermare quanto telegrafai al presidente del Consiglio il 15 corrente n. 54918 ripetendo ciò che scrissi a V.E. con lettera 1367 del 24 febbraio ultimo9; che cioè esso ci preme solo se abbiamo Gibuti, mentre senza Gibuti sarebbe per Italia una palla di piombo al piede. Anche per Somaliland britannico potremmo esaminare con Inghilterra, se assolutamente non evitabile, qualche garanzia nei riguardi di Aden, che però non leda nostro esclusivo possesso ed influenza, ma sempre nel caso di cessione a noi di Gibuti.

Per Arabia la sua indipendenza preme a noi non meno che ad Inghilterra; ma a noi preme anche che tutto il territorio di essa e specialmente quello al versante del Mar Rosso rimangano aperti alla nostra azione economica.

Nei riguardi della Francia devo dire chiaramente a V.E. il mio pensiero. Se non dovessimo avere Gibuti, non dovremmo accettare la rettifica del confine occidentale della Tripolitania come «compensations équitables» mentre non ha valore alcuno né per il terreno desertico né per il possesso di carovaniere il cui traffico è stato oramai interamente dedicato10 dalla Francia a proprio profitto da carovaniere parallele stabilite nel proprio territorio. Accettare ciò dalla Francia come adempimento dell’articolo 13 del Patto di Londra sarebbe accettare una irrisione ed aggiungere al danno la beffa.

6 Non pubblicato in DDI.

7 Non pubblicata in serie quinta, vol. VII.

8 Trasmesso ad ore 0,10 del 16 maggio, vedi D. 506.

9 Più esattamente T. Posta 1367. Vedi serie sesta, vol. II, D. 483.

10 Il testo in arrivo reca «deviato».

Il comm. De Martino ricorderà che il 29 marzo 1916 si era già riuscito a far riconoscere dal Governo francese rappresentato da Cambon e da de Margerie nostra richiesta carovaniere Gadames-Gat; e che poi accordo già concluso fu sospeso. Evidentemente si premeditò fino da allora la opportunità di riservare tale concessione per servirsene nel caso che la Francia si fosse trovata nella necessità di darci un qualche compenso in Africa.

519 5 Vedi serie sesta, vol. I, D. 427.

520

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 11030 URG. SEGR. Roma, 17 maggio 1919.

Ahmed Dino bey mi comunica che i rappresentanti delle personalità politiche turche che si trovano in Svizzera sono giunti a Roma.

Essi hanno incarico speciale di manifestare riconoscenza al R. Governo per la benevolenza dimostrata verso la loro patria. Riferiscono inoltre che le predette personalità sono d’accordo per la formazione di un Gabinetto sotto la presidenza del principe Sabaheddin1 di cui però non conosco ancora il definitivo atteggiamento; sanno che egli non vorrebbe Mukhtar pascià e che il portafoglio dell’Interno sarebbe affidato al fratello di Dino bey. Ad ogni modo prima di decidere circa la formazione del Governo il principe desidererebbe sapere fino a qual punto il R. Governo è disposto a prestare la sua assistenza e se faciliterebbe il loro ritorno Costantinopoli. Dino bey aggiunge che un Governo così formato sarebbe il più popolare in Turchia e sinceramente ligio all’Italia.

Ahmed Dino partirà tra tre giorni per la Svizzera. Egli desidera avere al più presto possibile, o qui prima di partire, o in Svizzera, la risposta e qualche nostra direttiva per il seguito della sua azione.

La risposta potrebbe essergli data dal Guisi2.

2 Su richiesta di Sonnino (T. 562 del 22 maggio) Sforza interveniva poi sulla questione con T. 638del 23 maggio, evidenziando la pratica impossibilità di realizzazione dell’ipotesi avanzata, contro la volontàinglese, e immaginava come ammissibile solo «un’azione del Comitato azione e progresso fuori delle vielegali ed esclusivamente nelle province non qui [i.e. Costantinopoli] ove forza inglese è predominante».

520 1 Ferid pascià si era dimesso a seguito delle decisioni delle potenze per Smirne (T. 608 di Sforza del 17 maggio). Ma il 20 maggio il Gabinetto fu ricostituito con Ferid ancora gran visir e ministrodegli esteri (T. 621 di Sforza del 20 maggio).

521

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1785/141. Belgrado, 17 maggio 1919 (perv. il 18).

Presidenza del Consiglio rispondendo ad una interrogazione alla Camera sui fatti di Carinzia accennò alla voce che anche truppe italiane avrebbero preso parte ai combattimenti. Ad ogni modo — ha aggiunto — vi sono dati secondo i quali si può con sufficiente sicurezza stabilire che un vagone di munizioni è stato inviato ai tedeschi da una località da cui gli italiani avrebbero potuto impedirlo. Dichiarazioni presidente del Consiglio hanno provocato al Parlamento nazionale grida contro l’Italia e violenti articoli nella stampa locale. In base ad un telegramma Agenzia «Stefani» a firma Aldrovandi pervenutomi giorni sono sulle voci messe in circolazione da Vienna, dopo aver fatta analoga dichiarazione orale a questo Ministero affari esteri, ho inviato ai giornali seguente comunicato: «Legazione d’Italia è autorizzata smentire nel modo più categorico che truppe o elementi italiani abbiano direttamente partecipato ai combattimenti di Carinzia. Voce tendenziosa proveniente da Vienna è stata lanciata dal nemico per i suoi propri fini e non merita neppure di essere raccolta».

522

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA GAB. 1320/206. Parigi, 17 maggio 1919 (perv. il 18).

Con riferimento al mio telegramma di Gabinetto n. 1991 mi pregio d’inviare all’E.V. qui allegata copia della lettera colla quale il signor Pichon risponde a quella che gli scrissi per chiamare la di lui attenzione sulle voci che correvano intorno alla missione abissina in Francia. Sarebbe opportuno che della smentita data alle voci stesse si desse qualche diffusione nella stampa italiana, una parte della quale ha preso argomento anche da quelle per attaccare i nostri alleati. Credo opportuno di cogliere questa occasione per segnalare all’E.V., i pericoli dell’atteggiamento preso in questi ultimi giorni da buona parte della nostra stampa. Quali si siano i torti indiscutibili dei nostri alleati non è savio e non è prudente attaccarli tutti insieme e sarebbe opportuno usare verso di loro una certa misura di linguaggio sopratutto mentre pende il nostro principale dissidio con l’America. Non vi è dubbio che un linguaggio un po’ risentito

della nostra stampa può giovare a far sentire ai nostri alleati che essi si pongono sopra una falsa strada rifiutandoci il loro appoggio in quel dissidio o appoggiandoci troppo tiepidamente; ma gli eccessi di linguaggio vanno oltre il segno e sarebbe indispensabile frenarli perché non vengano a complicare, con la reazione che non mancheranno di provocare in Inghilterra, dei negoziati già di per se stessi difficilissimi.

P.S.: Ricevo in questo momento il telegramma dell’E.V. n. 015522. La lettera del signor Pichon rispondendo esaurientemente alle giuste preoccupazioni manifestate dal R. Ministero delle colonie in seguito alla voce riportata dal «Matin», prego l’E.V. di voler dare comunicazione della lettera stessa a S.E. il ministro Colosimo.

Paris, le 15 Mai 1919.

Mon cher Ambassadeur,

La nouvelle inexacte donnée par le «Matin» du 10 mai avait attiré mon attention comme la vôtre. Les ordres nécessaires ont été aussitôt donnés pour qu’elle fût démentie dans la presse française et en Italie où elle avait été télégraphiée.

Les journaux français ont depuis publié des notes exposant le seul but du voyage de la mission abyssine qui est d’apporter au Gouvernement de la République les félicitations du Gouvernement Abyssin pour la victoire des Alliés. Rien ne permet de supposer que les Abyssins aient le désir de renoncer à leur indépendance.

Pichon

522 1 Non rinvenuto.

523

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1321/207. Parigi, 17 maggio 1919 (perv. il 18).

In una conversazione che ebbi ieri con il signor Clémentel, ministro del commercio, mentre si parlava della questione dell’Austria Tedesca e dell’interesse che l’Italia aveva che non si riformasse una nuova grande potenza danubiana sotto forma di una federazione dei nuovi Stati sorti sulle rovine dell’antico impero, egli mi disse che era però necessaria una unione doganale dell’Austria Tedesca con alcuni di quegli Stati, in difetto della quale l’Austria non potrebbe sussistere.

522 2 Non rinvenuto.

524

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 17 maggio 1919.

RIUNIONE DEL 17 MAGGIO 1919 PRESSO IL PRESIDENTE WILSON

Sono presenti: il presidente Wilson, il sig. Lloyd George, il sig. Clemenceau, il sig. Orlando, due segretari ed il sig. Mantoux.

Clemenceau avverte che si sta facendo battere a macchina una carta che riguarda gli sbarchi che hanno fatto recentemente gli italiani in Anatolia e nella quale si domandano delle spiegazioni all’Italia perché essa li abbia fatti senza preavvertirne gli alleati e senza nessun motivo1. Coglie l’occasione per avvertire che nello sbarco greco a Smirne i turchi hanno avuto 300 morti ed i greci 100.

Orlando — Quando voi mi avete annunziato l’altro giorno la decisione di consentire lo sbarco di Smirne, mi avete già domandato la ragione di questi sbarchi italiani in Asia Minore. Io ho risposto che non ero informato e che avrei chiesto a Sonnino. Lo stesso giorno riparlammo della cosa, Sonnino ed io, col sig. Lloyd George e Sonnino spiegò che questi sbarchi erano avvenuti in seguito a disordini locali. Successivamente, nella seduta dei Quattro e quando io detti la risposta circa lo sbarco dei greci a Smirne che era già stato deciso dagli altri alleati, non si riparlò più degli sbarchi avvenuti, che il sig. Lloyd George aveva detto erano avvenuti a Scalanova, Makri, Budrum e Marmarizza.

Lloyd George — Io avevo sentito dire che a Scalanova vi era stato un piccolo sbarco di italiani, ma era piuttosto per fare una ricognizione che uno sbarco effettivo, il quale invece era avvenuto il 14. A Scalanova gli italiani sono sbarcati in numero notevole, circa 500, hanno occupato la dogana e hanno innalzato la bandiera italiana. A Marmarizza essi mandarono la flotta. Ritengo che questa sia una cosa molto seria, specialmente perché le tre potenze qui rappresentate erano contrarie a porre Scalano-va sotto la sfera d’influenza dell’Italia. Mentre ciò era ancora oggetto di discussione, ha avuto luogo questo sbarco. Ciò rende ancora più difficile il decidere sulle questioni in Asia Minore. Considerate come la cosa potrebbe essere grave se noi o i francesi agissimo in un modo analogo in territori contestati e per i quali non è ancora intervenuta una decisione fra di noi. Potrebbero derivarne le più serie conseguenze. Ciò che è avvenuto a Scalanova per parte degli italiani mi dispiace molto, perché pregiudica la discussione, mentre io avevo l’impressione che le cose procedessero bene. Debbo proprio far presente che ho considerato come una cosa molto pregiudizievole quello che è stato fatto. Quando lo seppi ieri sera, ciò mi fece una pessima impressione. Questo vuol dire forzare la mano mentre la discussione è ancora in corso.

524 Riunione p.m. del 17 maggio del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 360 sgg.FRUS, vol. V, pp. 686 sgg., MANTOUX, vol. II, pp. 96 sgg. e RAC, n. 498. 1 Si tratta del Memorandum Regarding Landing of Italian Forces on the Coast of Asia Minor (vedi Allegato). Edito in FRUS, vol. V, pp. 688 sg. e, in versione italiana, in ALDROVANDI, p. 360.

Orlando — Comprendo i sentimenti del sig. Lloyd George data l’interpretazione che egli vi dà; ma io lo assicuro nel modo più assoluto che questo sbarco non ha affatto l’intenzione che egli deplora. D’altronde, lo ripeto, egli stesso aveva già accennato l’altro giorno ad un nostro sbarco già avvenuto a Scalanova. Ignoro questi dettagli che egli ha portato qui, di occupazione di dogana o di bandiera italiana. L’impressione che avevo io era che si trattasse di uno sbarco come tutti gli altri senza intenzioni di pregiudicare le decisioni future. Questo doveva e deve essere osservato anche da noi, come è stato stabilito lo sia per i greci. Ad ogni modo prenderò in esame il documento che mi si annunzia e darò le disposizioni del caso.

Lloyd George — Quello che è avvenuto mi dispiace, tanto più che noi avevamo escluso l’occupazione di Scalanova da parte dei greci benché quando pensammo ad un’occupazione greca noi considerassimo che Scalanova doveva considerarsi come rientrante nella loro sfera d’influenza. Noi facemmo ciò perché credevamo di non fare una cosa giusta verso l’Italia se avessimo fatto diversamente.

ALLEGATO

MEMORANDUM REGARDING LANDING OF ITALIAN FORCES ON THE COAST OF ASIA MINOR

17th may 1919.

The President of the United States and the Prime Ministers of France and Great Britain have been told that Italian troops have occupied Scala Nova, landing sailors and marines, taking charge of the customs house, and hoisting the Italian colours. They would be very much obliged if the Prime Minister of Italy would inform them as to whether this statement is correct and if so as to the reasons which have influenced him in taking this action without giving his colleagues any previous intimation of the intentions of the Italian Government. They are the more anxious as this landing has been preceded by other landings at Adalia, Marmorice, and Budrim, about which they have also not been consulted. They would point out that they have never taken any action in Turkey without previous consultation with their Italian colleague. In the case of the recent Greek landing at Smyrna they discussed the proposal with him before orders were given for a single Greek detachment to leave the shores of Greece and that Signor Orlando himself agreed to the expedition and to a joint Allied landing to secure the forts. They also feel bound to express their astonishment at the action of the Italian Authorities, if it is true, in view of the fact that M. Clemenceau had informed Signor Orlando on Thursday last that, in the opinion of the majority of his colleagues on the Council of Four, Scala Nova ought not to be included in an Italian sphere of influence in Asia Minor. They would be much obliged if Signor Orlando could give them full information as soon as possible in regard to this matter as they feel it is impossible for the Council of Four to attempt to deal with the problems of the near East if one of its members persistently takes action on its own account without previously consulting the other members.

525

PROMEMORIA DELL’ESPERTO TECNICO, VANNUTELLI REY

[Parigi], 17 maggio 1919.

La Conferenza ha riconosciuto e già applicato (v. delimitazione dei confini tra Germania e Polonia, tra Ungheria e Czecoslovacchia, tra Ungheria e Romania) il principio che ogni ferrovia indispensabile alla vita economica ed alla sicurezza strategica di un paese deve necessariamente essere compresa entro il territorio del medesimo, anche se attraversi, su un tratto del percorso, una zona abitata da popolazioni allogene.

In nome di questo principio la Delegazione italiana sostiene che le ferrovie Pontebbana (Villach-Tarvis-Udine) e Transalpina (Villach-Assling-Trieste) debbono passare direttamente dal territorio dell’Austria Tedesca in territorio italiano senza essere tagliate da un piccolo e acuto triangolo di territorio iugoslavo che alla sua base (Radmansdorf) è largo appena 25 chilometri.

Ammesso anche che il detto triangolo sia popolato in prevalenza da sloveni, devesi tener presente che l’interesse di quelle poche decine di migliaia di montanari

(30.000 al massimo) ad esser riuniti alla patria jugoslava non può certamente paragonarsi alla somma degli interessi incalcolabili che per due grandi Stati, quali l’Italia e l’Austria, rappresenta il traffico diretto di quelle due linee, vere arterie massime, specialmente la Transalpina, fra l’Europa centrale ed il Mediterraneo. La Delegazione italiana può produrre documenti numerosi del movimento che sta sviluppandosi in Austria per salvaguardare questo traffico diretto.

A parte ogni considerazione d’ordine politico sullo scarso rispetto che gli jugoslavi hanno dimostrato per la libertà del traffico internazionale, la Delegazione italiana è in grado di provare:

A) Gli inconvenienti di ordine tecnico e pratico che deriverebbero dall’interposizione di una sottile striscia di territorio jugoslavo fra Italia e Austria lungo il percorso delle due ferrovie suddette.

1. Su un tratto di pochi chilometri si avrebbero due passaggi di confine, l’uno a Podbrdo, l’altro fra Rosenbach e Villach. Ogni passaggio di confine comporta due dogane internazionali, sosta prolungata dei treni, controllo doganale, sanitario, eventualmente di polizia, e, al caso, scambio di materiale rotabile e del personale viaggiante.

Ogni sosta vuol dire perdere circa 2 ore per i passeggeri e molto di più per le merci.

Ciò eliminerebbe uno dei principali vantaggi della Transalpina: quello cioè d’abbreviare il percorso e mettere l’Adriatico in comunicazione più diretta colla Germania meridionale e colla Svizzera.

2. Sullo stesso piccolo tratto si avrebbero differenti sistemi di esercizio, complicati carteggi per le spedizioni delle merci, difficoltà maggiori negli accordi per gli orari, le tariffe, la ripartizione delle tasse ecc. Le varie tendenze delle singole ammi

525 Del promemoria esistono diverse versioni, a partire dal 1° aprile, sostanzialmente analoghenel contenuto. Sulla questione si vedano anche i DD. 54 e 850.

nistrazioni neutralizzerebbero completamente tutti gli sforzi fatti per dare continuità ed unità al traffico adriatico e andrebbero a vantaggio di porti concorrenti germanici.

3. Un eventuale esercizio internazionale della linea non eliminerebbe questi inconvenienti, dovendosi aver riguardo ai diritti di sovranità, per cui il ritardo ai due confini sarebbe sempre sensibilissimo.

B) La impossibilità che la Pontebbana, a causa della sua scarsa potenzialità, possa servire al tempo stesso il traffico normale tra Italia e Austria e quello, assai più vasto, dell’intero retroterra del porto di Trieste (Ungheria compresa), che implica la necessità della Transalpina, necessità sentita dalla stessa Austria che la costruì.

1.- La Pontebbana, serve all’Udinese ed a Venezia, la Transalpina a Trieste; la Pontebbana non sarebbe quindi in grado di assorbire anche il traffico triestino proveniente da un hinterland differente. 2.- Sulla Pontebbana circolavano nel 1917 otto coppie di treni viaggiatori, compresi quelli di lusso, e non meno di quattro coppie di treni merci (movimento per Venezia, l’Udinese e l’Austria); tutte assieme 12 coppie.

Sulla Transalpina circolavano 10 coppie di treni viaggiatori (movimento per Trieste e l’Austria alpina, la Boemia, la Germania meridionale e la Svizzera, linee dirette per Monaco, Francia e Inghilterra). La Transalpina aveva poi 10 coppie di treni merci al giorno in media.

Data l’irregolarità del traffico, in certi mesi si avevano 12 coppie di treni merci,

o in complesso 22 coppie di treni, il massimo possibile su una linea a forti pendenze e con un binario solo.

Accentrando tutto sulla Pontebbana si avrebbero al giorno 32 coppie di treni, aumentabili ancora con riguardo al successivo sviluppo del traffico. La Pontebbana, che è pure a un solo binario, a completa e massima utilizzazione militare non poté sviluppare mai più di 27 treni al giorno contro 64 che ora sarebbero necessari.

Anche volendo migliorare la linea non si arriverebbe mai a questa potenzialità.

3.- Colla Pontebbana si deve salire fino a 800 metri, mentre il culmine della Transalpina è a circa 630 metri. 4.- La Pontebbana rappresenta per Trieste un giro vizioso di 217 km, contro 176 della Transalpina (Trieste-Villach), quindi 41 km in più. Ciò significa un ora di percorso maggiore per i viaggiatori, e per le merci parecchie ore di perdita di tempo e una maggiore spesa di trasporto di circa 1 lira al quintale, quando la concorrenza delle tariffe in competizione verte su 10-20 centesimi al quintale. 5. -Anche costruendo una nuova linea per il Predil (S. Lucia-Tarvis), sul tratto Tarvis-Villach dovrebbesi sempre usare la Pontebbana e quindi si verificherebbero gli stessi inconveniente esposti sub. 2.

Riassumendo:

La linea Udine-Pontebba non basta ad assicurare il traffico di Trieste verso l’Austria ed il Nord, anzitutto a causa della sua capacità limitata ed in secondo luogo a motivo della sua maggior lunghezza che aumenta il costo dei trasporti. Per conseguenza l’uso assolutamente libero della linea Gorizia-Assling-Rosenbach è indispensabile alla vita di Trieste, giacché il raccordo progettato fra Tolmino e Tarvis per il Passo del Predil è irrealizzabile per molto tempo e questo ritardo nuocerebbe gravemente al traffico di Trieste.

Ora, se una parte anche piccola della linea Gorizia-Assling-Rosenbach passasse per il territorio jugoslavo, il traffico di Trieste soggiacerebbe all’inconveniente di una doppia frontiera doganale su di un percorso limitato, a parte gli altri rischi che potranno risultare da difficoltà provocate dagli jugoslavi.

Da ultimo va tenuto conto degli interessi militari.

La ferrovia in questione non costituisce alcuna minaccia contro l’Italia da parte di chi l’attaccasse dal lato nord, giacché da questo lato l’attacco sarebbe forzosamente limitato a quel solo punto.

Viceversa essa costituisce una minaccia delle più serie qualora sia lasciata in mano a popoli che attaccherebbero l’Italia dall’est e che disporrebbero di un sistema di comunicazioni molto sviluppato sopra un terreno più aperto e tale da compromettere all’ala sinistra la saldezza del nostro schieramento difensivo dalle sorgenti dell’Isonzo fino al Quarnero1.

La triste esperienza dell’ottobre 1917 lo ha ampiamente dimostrato.

526

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 6461 SP. Parigi, 17 maggio 1919.

Fin dal novembre u.s. il Comando supremo richiamava l’attenzione di V.E. sulla dicitura adottata nel Patto di Londra per la descrizione sommaria della nostra frontiera alpina; dicitura la quale pecca di grave indeterminatezza causa l’adozione di una nomenclatura che non corrisponde a quella né della geografia scientifica, né della geografia militare.

Cosi è detto ad esempio nell’articolo 4: «la frontière en suite se dirigera vers le sud, traversera le mont Toblac et rejoindra la frontière actuelle des Alpes Carniques. Elle suivra cette frontière jusqu’au mont Tarvis, et après le mont Tarvis la ligne de partage des eaux des Alpes Juliennes par le col Prédil, le mont Manhart etc. ...».

Debbo anzitutto far rilevare che i termini «mont Toblac» e «mont Tarvis» non esistono in alcuna carta topografica né trattato di geografia; cosiché manca una base qualsiasi su cui fondare l’interpretazione di essi.

In secondo luogo osservo che la frase relativa all’andamento del nuovo confine che dovrebbe: «suivre cette frontière», cioè l’antica sino al «mont Tarvis», se letteralmente interpretata condurrebbe a far scendere la linea di confine nella valle Pontebbana rescin

526 Il documento fu inviato, per conoscenza, anche a Orlando e al C.S. Ufficio operazioni.

dendo la val Fella, come è messo in evidenza nell’accluso schizzo1, anziché seguire la cresta delle Alpi Carniche che costituisce la vera frontiera geografica naturale.

Allo scopo di togliere ogni incertezza nella interpretazione di tali diciture, quando si trattò di dare ad esse valore praticamente esecutivo (e cioè in occasione della stipulazione dell’armistizio di Villa Giusti) si sentì la necessità di concretare un apposito articolo del protocollo annesso, nel quale fu stabilito che: «le denominazioni di monte Toblac e monte Tarvis vogliono indicare i gruppi di monti che dominano la sella di Toblac e quella di Tarvis come risulta dallo schizzo al 500.000 annesso a titolo di chiarimento».

Lo schizzo stesso debitamente firmato da tutti i plenipotenziari costituì parte integrale del trattato d’armistizio e venne così anche a creare un documento ufficiale della interpretazione da darsi al Patto di Londra, in tale punto impreciso, tenuto conto che la descrizione del confine introdotta nell’armistizio è il testo esatto della descrizione contenuta nel Patto di Londra.

Ora io ritengo necessario, in tesi generale, che non si affidi la determinazione della nostra linea di confine nell’importantissimo tratto che dal Brennero giunge oltre la conca di Tarvis fino al monte Mangart, ad una più o meno benevola od elasticainterpretazione di una nomenclatura fondamentalmente errata. È necessario, a mio avviso, che le espressioni erronee vengano corrette e le espressioni dubbie siano chiarite, in modo da presentare per le decisioni definitive un testo che non ammetta equivoci di interpretazione. Tale è la descrizione del confine trasmessa all’E.V. con elenco n. 6361 del 14 corrente e della quale qui trasmetto copia2.

In particolare richiamo l’attenzione del R. Governo sulla questione di Tarvis.

La conca di Tarvis costituisce, come è noto, una vera breccia aperta a nord est nella muraglia alpina che forma il nostro limite naturale.

Ed invero dalla conca di Tarvis per la facile sella di Predil (rotabile) un esercito nemico può scendere direttamente nella conca di Plezzo aggirando in tal modo tutte le difese della nostra futura fronte orientale, e proseguire poscia, per Saga e Caporetto, verso la pianura friulana; mentre dalla stessa conca di Tarvis, per l’ampia sella di Saifnitz (rotabile e ferroviaria) e per le minori di Samdogna e Nevea (rotabili) si scende direttamente in Carnia aggirando così di un sol colpo tutte le difese che si fossero stabilite ad oriente del Tagliamento.

Il possesso della conca di Tarvis è dunque indispensabile alla nostra difesa, per non lasciare esposti al primo impeto del nemico che avesse l’iniziativa delle operazioni, gli importanti accessi alla conca di Plezzo ed alla Carnia. La conca di Tarvis può essere considerata come il cardine della difesa del nostro confine orientale, ed è pertanto indispensabile che essa ci sia attribuita in tutta la sua estensione come appunto venne fatto in occasione dell’applicazione dell’armistizio di Villa Giusti.

Invece nell’«annesso A» al processo verbale della conversazione tenuta presso il sig. Pichon il 10 maggio, pagina 4, si legge la seguente frase: «Le district de Tarvis

2 Non si pubblica. Si tratta della Descrizione sintetica dell’andamento della frontiera orientale d’Italia (Alpi Retiche, Alpi Carniche, Alpi Giulie) trasmessa il 14 maggio a Sonnino dalla Sezione militare della DICP. Fu poi sostituita con altra versione, riveduta, in data 20 maggio.

et la zone au sud est que la Délégation italienne propose d’attribuer à l’Autriche». E poiché l’annesso di cui si tratta rappresenta la conclusione della Commissione degli affari jugoslavi in seno alla quale ritengo che anche l’Italia sia stata rappresentata, così mi sorge il dubbio che questa frase non solo sia stata da noi accettata senza riserve, ma corrisponda addirittura ad una nostra proposta; fatto questo contro il quale io dovrei protestare con ogni mia forza, inquantoché la questione di Tarvis, vitale per la difesa della nostra frontiera, sarebbe stata così compromessa molto gravemente forse in modo irrimediabile. Chiedo su questo punto un esplicito chiarimento.

Debbo anche richiamare l’attenzione del R. Governo sulla questione del Brennero. Da troppe parti giungono notizie che la questione dell’Alto Adige, oggi non ancora risolta, risorgerà dopo la definizione di quella adriatica, e che il nostro diritto alla linea del Brennero ci verrà fortemente contestato, perché io non senta imperioso il dovere di ripetere ancora una volta che il possesso del Brennero è condizione essenziale della nostra sicurezza militare.

Solo avendo in nostre mani la linea della cerchia alpina che passa pei colli di Reschen e del Brennero potremo difendere con poche forze la frontiera settentrionale e provvedere adeguatamente alla difesa della frontiera orientale, dove, qualunque siano le conclusioni della Conferenza, rimarrà pur sempre una vasta porta aperta in direzione di Trieste. Ed io non potrei associarmi a nessuna soluzione del problema delle nostre frontiere nella quale la integrità della linea del Brennero non fosse rigorosamente rispettata.

525 1 Con due successivi telegrammi (T. 5445 PM del 31 maggio e T. 5519 del 6 giugno 1919)anche il governatore della Venezia Giulia, tenente generale Petitti di Roreto, doveva sottolineare in proposito l’assoluta necessità di impedire agli iugoslavi l’occupazione degli importanti nodi di comunicazione di Villach e di Klagenfurt e di riaprire la linea di Piedicolle, unico rapido collegamento tra l’Italia e laCecoslovacchia.

526 1 Non si pubblica.

527

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA. Roma, 17 maggio 1919.

Avendomi il conte Senni riferito che Sua Eminenza il card. Gasparri, col quale era legato da antica conoscenza, gli aveva fatto sapere pel tramite del custode di Terra Santa che lo avrebbe volentieri ricevuto, consigliai il predetto funzionario a aderire all’invito, che aveva del resto carattere esclusivamente privato.

Il conte Senni mi riferisce che, nel lungo e cordiale colloquio avuto col cardinal Gasparri, questi ha dimostrato particolare interesse alle questioni di Terra Santa rilevando il benevolo atteggiamento assunto dal R. Governo nell’argomento. Sua Eminenza gli ha fatto sapere che sir Drummond aveva dichiarato al custode di Terra Santa che il Governo di Londra era pienamente disposto, ove l’Inghilterra ricevesse dalla Conferenza il mandato per la Palestina, ad accogliere i seguenti punti:

1) abolizione di qualsiasi protettorato speciale; 2) riconoscimento dello stato di possesso dei Santuari; 3) nomina di una commissione speciale per l’esame delle rivendicazioni latine.

Il conte Senni ha creduto di far rilevare a Sua Eminenza come tali punti potessero ascondere il fine di assoggettare incondizionatamente la Custodia e servire così al piano di esclusivo dominio vagheggiato dall’Inghilterra in Terra Santa. Egli ha inoltre espresso il dubbio che un riconoscimento ufficiale dello stato di possesso dei santuari potesse costituire pretesto e strumento maggiore di opposizione in mano degli attuali usurpatori e detentori ed ha concluso che, prescindendo da ogni considerazione strettamente politica e tenuto conto del carattere internazionale della Custodia e delle manifeste simpatie della chiesa anglicana per l’ortodossia greca, la commissione per l’esame delle rivendicazioni latine avrebbe dovuto, per offrire la necessaria garanzia, avere ad ogni modo carattere internazionale.

Su questo ultimo punto Sua Eminenza dichiarò che avrebbe subito richiamato la speciale attenzione del padre custode.

Il cardinal Gasparri, passando all’argomento del Santuario del Cenacolo da noi rivendicato, volle sapere se l’eventuale ulteriore consegna del Santuario stesso ai pp. francescani sarebbe stata subordinata a speciali condizioni da parte del R. Governo. Il conte Senni rispose subito essere suo convincimento che Sua Maestà il re avrebbe in animo di rinnovare l’antica magnanima donazione dei reali di Napoli, reintegrando senz’altro la Custodia nel possesso del santuario; ma che il R. Governo avrebbe avuto ragione di attendere in compenso il riconoscimento ufficiale e perpetuo degli speciali diritti dell’Italia in seno alla Custodia.

Il colloquio si protrasse sull’esame della natura giuridica e sulla procedura del riscatto nei riguardi della legge musulmana e della situazione speciale creata dall’occupazione della Palestina: ed il cardinale finì per spiegare tale speciale suo interessamento alla questione anche col fatto ch’egli intendeva valersi della nostra esperienza per un progetto analogo che il Vaticano era sul punto di tradurre in atto.

Egli non esitò infatti ad esporre che la Santa Sede, edotta delle trattative svolgentisi a Londra per la cessione ai greci ortodossi di Santa Sofia a Costantinopoli, aveva cercato di prevenire ogni eventuale impegno in materia da parte dei Governi alleati preparando a sua volta il terreno per rivendicare invece Santa Sofia alla chiesa cattolica orientale, nell’eventualità che Costantinopoli dovesse essere abbandonata dai turchi. Egli aggiunse che aveva fatto preparare sull’argomento uno studio storico-giuridico che volentieri avrebbe comunicato al conte Senni; e che il delegato apostolico di Costantinopoli mons. Dolci aveva già ricevuto istruzioni di avviare colà, sin d’ora se possibile, opportuni passi per un favorevole esito della richiesta da muoversi al momento opportuno.

Dichiarò che la Santa Sede non avrebbe lesinato sacrifici economici di qualsiasi portata pur di raggiungere lo scopo. Parve al conte Senni di dover rilevare l’opportunità di far precedere trattative con i Governi delle potenze che occupano Costantinopoli; e di poter dichiarare che, a suo giudizio affatto personale, il R. Governo non sarebbe stato alieno dal favorire le vedute della Santa Sede. Egli aveva infatti presente nel dir ciò la grave ripercussione che avrebbe avuto in tutto l’Oriente l’eventuale cessione di Santa Sofia ai greci, e la conseguente diminuzione che ne avrebbero sofferto le importanti istituzioni latine del Levante cui si rannodano reali e considerevoli interessi nostri.

Il cardinale passò quindi a trattare della penosa situazione fatta agli interessi cattolici in Anatolia dall’incerto futuro assetto di quelle terre. Si mostrò gravemente preoccupato dal pericolo di un dominio greco sia pur limitato a Smirne; espresse il timore, condiviso egli disse da persone di indiscutibile competenza ed esperienza, che l’antagonismo fra turchi e greci potesse risolversi, specie in caso di occupazione greca, in aperte lotte di sangue; e finì col fare, senza più riserva, insistenti voti perché l’Italia riuscisse ad ottenere il mandato esclusivo per l’Anatolia.

***

Per quanto concerne la questione di Santa Sofia il conte Senni, il quale recandosi a giorni a Smirne dovrà passare per Costantinopoli, potrà, ove V.E. ne lo autorizzi, spiegar egli stesso la cosa al conte Sforza, riferirgli che il R. Governo vedrebbe di buon grado favoriti i voti della Santa Sede e domandargli di esprimere a V.E. il suo pensiero sul da farsi1.

Ove V.E. credesse di dover ciò approvare, si dovrebbe d’altra parte tener conto delle difficoltà, cui può esporci col Governo d’Atene un’azione intesa a facilitare le rivendicazioni cattoliche in opposizione a quelle dell’ortodossia, e chiarire in precedenza come a tali difficoltà il R. Governo intenda piegarsi solo in considerazione di veder soddisfatte legittime sue aspirazioni nei riguardi della politica religiosa in Oriente. Queste potrebbero essere la designazione e la indubbia conservazione di prelati italiani alle sedi vescovili di Alessandria d’Egitto, Beirut, Smirne e Costantinopoli ed il riconoscimento all’Italia, per quanto concerne la protezione delle istituzioni religiose patrie, delle stesse prerogative di cui ha goduto fin qui la Francia2.

Qualora la questione di Santa Sofia non potesse, per l’opposizione della maggioranza, esser vinta per la Chiesa cattolica orientale, sembra che converrebbe farlo francamente sapere al Vaticano per accordarsi nel senso di sostenere malgrado ciò questa tesi per farne base pel più agevole conseguimento dei diritti dei latini cattolici pei santuari di Terra Santa.

Il conte Senni sarà il 24 maggio a Costantinopoli. Prego perciò V.E. di volergli inviare dirette istruzioni telegrafiche colà.

528

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1327/11048. Roma, 18 maggio 1919, ore 1,20 (perv. ore 10 del 19).

Comunicato Agenzia «Stefani» relativo Smirne pubblicato iersera tardi è stato commentato solo oggi. L’ultima frase1 lascia incredula la stampa, la quale considera Smirne come perduta per l’Italia, attacca Francia e Inghilterra per essere venute meno

impegno di S. Giovanni di Moriana2 e lamenta Italia non abbia avuto contemporaneamente adeguato compenso. La questione è esaminata diffusamente ed il linguaggio è più

o meno aspro secondo le tendenze del giornale ma concorde in modo impressionante.

527 1 Sulla questione di Santa Sofia Sonnino provvide a informare Sforza, per richiederne il parere, con T. 561 del 22 maggio, che in parte riprende questa lettera di Manzoni.2 Correzione manoscritta autografa: godrà qualsiasi altro Governo più favorito.

528 1 Il comunicato «Stefani» del 16 maggio, dopo aver dato notizia dello sbarco, avvenuto aSmirne il 14 pomeriggio, di contingenti internazionali e di truppe greche, così concludeva: «Tale occupazione non pregiudica in nessun modo le decisioni finali della Conferenza nei riguardi di quella regione».

529

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1335/116. Vienna, 18 maggio 1919, ore 15,10 (perv. ore 8 del 19).

Governo nazionale ungherese trasferitosi da Arad a Szegedin ha avuto adesione elementi Szetleri, ed ungheresi che trovansi con truppe rumene con a capo Ugrofe1, ed Urmanczy. Pare che numerosi volontari si raccolgano attorno nuovo Governo per costituire nerbo truppe. Nuova residenza lascia temere Governo nazionale ungherese sarà oggetto intrighi jugoslavi e francesi intesi riesumare forse progetto unione Ungheria con Jugoslavia.

530

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 18 maggio 1919.

Situazione tra ieri e oggi appare nel tempo stesso migliorata e peggiorata. È peggiorata in quanto dopo il mio ultimo colloquio di ieri mattina con House, gli americani non si sono fatti più vivi, il che dimostrerebbe che anche sulle nostre estreme concessioni Wilson mantiene una attitudine di resistenza. Ciò sarebbe confermato da altri segni. Situazione appare invece migliorata in quanto si è delineato un intervento dei due Governi alleati per cooperare attivamente ad una via di soluzione. Ieri Clemenceau mi fece chiare allusioni su ciò. Stamane ebbi un lungo colloquio con Lloyd George1 e questi manifestò l’opinione che il piano da noi proposto possa essere accolto da Wilson e si impegnò di agire in tale senso.

Nel suo complesso la situazione rimane estremamente difficile, poiché finché Wilson manterrà la sua attuale attitudine non soltanto non potranno soddisfacente

mente risolversi le fondamentali questioni italiane, ma noi saremo esposti ad inevitabili insuccessi sulle questioni particolari. Così è accaduto per la questione del tonnellaggio adriatico, per la questione di Smirne ecc. Chiunque comprenda tutta l’asprezza della lotta che noi combattiamo contro un uomo onnipossente, potrà di ciò addolorarsi ma non sorprendersi. Ma l’opinione pubblica procede più per sentimento che per raziocinio e si è venuto così accumulando uno stato di irritazione di cui io mi rendo conto senza potere, d’altra parte, trovare alcun rimedio. Moltiplico quanto posso le mie energie per concretare la necessità di questa estrema resistenza con tutto quel tatto e quella prudenza che giovino ad evitare peggiori disastri. E poiché non è possibile escludere che allo stato d’irritazione di Wilson contribuisce ormai un elemento personale, era questa sola ragione che, nell’interesse del paese, mi faceva pensare a quella eventualità di cui Colosimo ebbe a intrattenere Vostra Maestà2.

528 2 Al Convegno di S. Giovanni di Moriana (19-20 aprile 1917) si era discusso tra l’altro il problema dell’Asia Minore in relazione ai diritti italiani previsti dal Patto di Londra del 1915, riconoscendosiall’Italia piena sovranità sui vilayet di Konya e di Smirne. I conseguenti protocolli del 18-22 agosto eranostati però denunciati dal Governo inglese e da quello francese per mancanza del previsto consenso russo.

529 1 Recte, forse, Ugron.

530 1 Vedi D. 533.

531

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1329/210. Parigi, 18 maggio 1919 (perv. il 19).

Ho incontrato iersera il signor Bratianu il quale mi parlò con molta amarezza della situazione fatta nella Conferenza alle potenze secondarie. Non si era mai visto, egli diceva, stabilire due categorie di Stati a una delle quali si negava ogni soddisfazione formale ed ogni facoltà di decidere sulle cose che più li tocca da vicino. Egli non risparmiava critiche al signor Clemenceau. Mi disse che la Romania contava assai sull’appoggio dell’Italia e ci consigliava di agevolare per quanto da noi dipendesse le aspirazioni della Polonia in Galizia contro le tendenze delle due potenze anglo-sassoni di attribuire all’Ucraina i territori galiziani più ricchi dove si trovano i giacimenti petroliferi. Soltanto la Romania e la Polonia, egli conchiudeva, possono costituire un blocco orientale il quale faccia equilibrio all’agglomerazione slava che peserà sul nostro confine orientale.

530 2 Il riferimento è all’ipotesi di dimissioni del Governo, vedi D. 517.

532

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE CLEMENCEAU, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO LLOYD GEORGE, E AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON

NOTA. Parigi, 18 maggio 1919.

The landings of Italian troops in Asia Minor, concerning which the President of the United States and the Premiers of France and Great Britain have asked for informations1, were determined by imperative reasons of public order and carried out without giving rise to any conflicts such as occurred in the case of the Greek landing at Smyrna.

For nearly a month before the Italian occupation, the province of Adalia have been a prey to anarchy. The further occupations are purely military in character as are the others effected by the Allied Powers in Turkey, and will in no way affect the ultimate decision as to the final disposal of the various territories belonging to the Ottoman Empire.

Furthermore, and although the final settlement of those territories is not now in question, the Italian Prime Minister cannot but draw the attention of the Prime Ministers of France and Great Britain to the provision of article 9 of the Treaty of London of April 26th, 1915, and the rights which, on the basis of this articles, were recognized to Italy.

As to the remark that such action was taken without previous consultation with his colleagues, Signor Orlando wishes to point out in his turn that the very cause and the conditions of such landings made any previous consultation impossible. On the other hand it was entirely without Signor Orlando’s knowledge that Greece was invited to partecipate with her troops in the occupation of Smyrna. This action prejudiced «de facto» if not «de jure» the final settlement to be arrived at in the case of this city, concerning which and in accordance with the wishes of the Allied Powers there had been — between the Italian and Greek Governments — conversations which were still pending and showed all the conciliatory spirit by which the Italian Government was animated in the matter.

Likewise, no previous notice was given to the Italian Premier of the occupation of Heraclea by French forces.

The Italian Prime Minister wishes to assure the President of the United States and the Premiers of France and Great Britain that he is no less anxious than they are to arrive at a friendly understanding with his colleagues for the final settlement of the Mediterranean problem in a way which, by fulfilling in their letter and their spirit the agreements which determined Italy’s entrance into the war, may give Italy, also on this point, the satisfaction the Italian people rightly expect.

532 Edito in FRUS, vol. V, p. 726 e, nel testo italiano, in ALDROVANDI, pp. 364 sg. Il documentopreparato da Imperiali, e modificato da Orlando e Sonnino in una riunione del 18 maggio, fu consegnatoda Sonnino ai Tre, nel pomeriggio del 19 maggio. Vedi ALDROVANDI, p. 369. Non è stata rinvenuta unaversione francese.

1 Vedi D. 524, All.

533

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 18 maggio 1919.

Nota circa una conversazione avvenuta tra il presidente del consiglio Orlando ed il signor Lloyd George il giorno 18 maggio 1919 alle ore 12,30.

Si cominciò a parlare dapprima di quei passi circa un accomodamento per la risoluzione della questione adriatica dei quali si è interessato il colonnello House.

Il sig. Lloyd George si mostrò informato della cosa, o più esattamente si mostrò informato di quelle conversazioni indirette coi jugoslavi che avevano avuto luogo avant’ieri, ma non di quel seguito che esse avevano avuto successivamente l’altra sera e ieri mattina.

Ciò dimostra che non vi è stata alcuna comunicazione tra House e Lloyd George, contrariamente a quanto ci era stato annunciato.

Per quanto riguarda lo sbarco di Scalanova il sig. Lloyd George ha detto che la protesta è dovuta al presidente Wilson. Lloyd George disse precisamente: «Non so perché il presidente Wilson abbia preso tanto a cuore la questione di Scalanova».

Il sig. Lloyd George lesse l’elenco delle condizioni che ci erano state presentate dal sig. Milner1 e le controproposte presentate dall’Italia. In tali controproposte il sig. Orlando aveva però tolto quella che si riferiva alla revisione del tonnellaggio nell’Adriatico e l’accenno alla lega doganale.

Lloyd George manifestò un punto di vista ottimistico sulla risoluzione della questione adriatica. Egli disse che riteneva poter influire con Clemenceau sul presidente Wilson per farlo cedere.

Parlando poi dell’Anatolia, disse che la soluzione è assai difficile, perché la Francia non vuol cedere sopra la parte settentrionale. Clemenceau sarebbe forse disposto, ma il Quai D’Orsay è di differente parere ed ha fatto insistenze in questo senso su Clemenceau.

Lloyd George disse di avere l’impressione che la Francia assorbe troppo e che difficilmente potrà digerire tutto quello che acquista in questa guerra.

Il sig. Lloyd George ha poi accennato che si preoccupava molto della questione dei maomettani e che in Anatolia si potrà parlare di sfera d’influenza, ma non di togliere ogni diritto al sultano.

Lloyd George — Perché tenete tanto ad avere l’Anatolia?

Orlando — Voi intendete bene che per far accettare una pace al mio paese che non gli dia intera soddisfazione in Adriatico, mi occorre fargli ottenere soddisfazione in altre zone.

Lloyd George — Se avete detto che Fiume è una questione nazionale, come potete credere che soddisfazioni altrove costituiscano un compenso?

533 Gli appunti furono redatti da Aldrovandi, su resoconto di Orlando, reduce dalla conversazione con Lloyd George. Editi in ALDROVANDI, pp. 365 sgg.1 Evidentemente errato per Miller (cfr. D. 514).

Orlando — Riconosco che non si tratterà di un compenso, ma si tratterà di una specie di consolazione.

Lloyd George — Sicché non insistereste per avere tutta l’Anatolia se avete Fiume.

Orlando — Certo non vi insisterei. Dandomi Fiume sarebbe un’altra cosa.

Lloyd George — Questa questione di Fiume è una questione che è stata gonfiata e non ne vale la pena. So che i jugoslavi non ci tengono. Trumbic è un uomo ostinato e ci tiene ma Pasic non ci tiene.

Orlando — Fatemi avere Fiume e il mio punto di vista generale cambierà. Se invece Fiume rimane città libera, non so come potrò riuscire a fare accettare la pace in Italia.

Vi debbo dire anche un’altra cosa che mi sta molto a cuore. Firmando la pace colla Germania, risulterà che gli altri paesi si troveranno praticamente in pace e l’Italia no. Ora voi capite quale situazione difficile sarà questa per l’Italia. Ma oltre a ciò bisogna considerare la clausola della Lega delle Nazioni. Io non potrò firmare il trattato colla Germania, che contiene il Patto della Lega delle Nazioni, senza fare una dichiarazione che provveda efficacemente a non legare l’Italia mentre l’Italia non ha ancora ottenuto i territori che le spettano.

Lloyd George — Riconosco che la cosa è molto grave, ma mi sembra necessario evitare che voi facciate una dichiarazione pubblica. Bisognerebbe piuttosto considerare se non sarebbe il caso che si concordasse tra i Quattro una dichiarazione che vi desse soddisfazione.

Orlando — Se la concorderemo a quattro potrò fare a meno di fare una dichiarazione in pubblico.

Ritornando alle questioni territoriali italiane, se non si giunge ad un compromesso conciliativo, non rimane che l’applicazione del Patto di Londra. Che cosa pensate che potrà succedere? Quale sarà il modo pratico per arrivare ad una conclusione?

Lloyd George — Avverrà questo, che l’America in forma pubblica vi dirà cheessa crede che dobbiate sgombrare taluni territori. È naturale che allora Francia ed Inghilterra dichiareranno che voi avete diritto a mantenere i territori compresi dal Patto di Londra, ma naturalmente escluderanno da tali territori Fiume.

534

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 18 maggio 1919.

Note di una conversazione tra il presidente del consiglio Orlando ed il signor Kelley, vescovo di Chicago, avvenuta alle ore 17 del giorno 18 maggio 1919.

Mons. Kelley cominciò dicendo che ormai l’Italia è la sola grande potenza cristiana che esista, essendo avvenuto lo smembramento dell’Austria, ed essendo

534 Il colloquio avvenne nell’appartamento del consigliere di legazione Brambilla (all’HotelRitz) il quale servì da interprete. Queste note furono redatte sulla base della narrazione di Orlando aidelegati italiani. Edito in ALDROVANDI, pp. 367 sg. In una relazione presentata da Brambilla a Tittoni il 28luglio successivo il colloquio è collocato al 19 maggio.

la Francia assolutamente atea. Egli ritiene che l’Italia potrebbe approfittare di questa situazione per affermarsi nel mondo, giovandosi di tutti i mezzi che possiede la Chiesa cattolica. Egli riteneva che si dovesse prendere una decisione con molta urgenza.

Orlando — Che cosa intendete dire? Io non posso prendere alcuna decisione senza interrogare il re ed il Parlamento.

Kelley — La decisione è urgente perché si presenta la circostanza della possibilità dell’ammissione del papa nella Lega delle Nazioni.

Orlando — L’ammissione del papa nella Lega delle Nazioni non la vedo che come una conseguenza della conciliazione coll’Italia, perché non potrei concepire un’ammissione della Santa Sede in qualsiasi luogo in contrasto coll’Italia. Se una rappresentanza del papa entrasse in una stanza, all’Italia non resterebbe che uscirne. Fra l’Italia e la Santa Sede si ritornerebbe così ad una lotta a coltello.

Kelley — Sì, infatti l’idea del papa è di non ottenere l’ingresso nella Lega delle Nazioni malgrado voi e contro di voi.

Ora osservo che la situazione del presidente Wilson agli Stati Uniti è molto scossa. Egli non sarà rieletto. Ma oltre alla sua persona è in giuoco agli Stati Uniti l’interesse del suo partito. Egli ha contro di sé gli irlandesi, perché egli non ha sostenuto come aveva loro promesso i loro diritti alla Conferenza; avrà contro di sé gli italiani, perché ne ha scontentato le aspirazioni; avrà di conseguenza contro di sé tutta la massa cattolica degli Stati Uniti. Egli non vede che un modo per ricomporre queste divergenze, cioè quello di sostenere il papa.

535

IL REGGENTE IL CONSOLATO A VLADIVOSTOK, GASCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1813/19. Vladivostok, 19 maggio 1919, ore 6,30 (perv. ore 7,20 del 20).

Questi rappresentanti interalleati, compresi americano e giapponese, sono ormai concordi su opportunità riconoscimento Governo Kolciak. Lo si vorrebbe subordinare a formale impegno di orientazione ultraliberale che gli concili massimo suffragio partiti. Abile organizzazione ex novo truppe siberiane vittoriose ora contro i massimalisti, opera legislativa feconda già di saggi provvedimenti, cresciuti (...) dovuti al concorso personalità politiche Russia europea, serietà dei suoi intendimenti offrono garanzie che superando difficoltà, riconosciuto Governo, assistito moralmente materialmente da alleati, potrà assolvere, meglio di qualsiasi altro, compito urgente di rimediare attuale pericolosa crisi economica finanziaria ed appianare via alla convocazione della Costituente, per decisione Governo nazionale. Stimo che qualsiasi azione del R. Governo verso sollecito riconoscimento sarà favorevolmente accolta da quanti hanno a cuore rigenerazione Russia, mentre ulteriore attesa potrebbe pregiudicare situazione politica minacciata sempre più da problema economico finanziario insolubile da Governo siberiano abbandonato a sé stesso.

536

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1363/609. Costantinopoli, 19 maggio 1919, ore 11,40 (perv. ore 9 del 21).

Ricevo una nota Sublime Porta di cui riproduco i passaggi essenziali. Dopo dei complimenti a mio indirizzo, nota dice: «all’arrivo dei militari italiani in Turchia il popolo ha profondamente apprezzato attitudine degna e corretta che le vostre truppe hanno adottato a suo riguardo». Riaffermato desiderio vivissimo di intendersi in tutto cogli alti commissari, nota prosegue: «Governo ottomano ha appreso con profondo rammarico occupazione truppe italiane di Mugla, Budrum, Fethiye, dove bandiera italiana è stata issata sui locali ove dette truppe sono alloggiate. Secondo telegramma pervenuto vi sono indizi di una prossima occupazione di certe altre località marittime del vilayet di Aidin. Queste occupazioni, che hanno seguito da presso quelle di Adalia, sarebbero intraprese secondo i comandanti delle truppe sbarcate in seguito alla mancanza di sicurezza delle località occupate».

Nota afferma che la tranquillità vi è perfetta, completa ed esprime la speranza che, ciò chiarito, le truppe si ritirino. Nota è firmata semplicemente dal sottosegretario di Stato per affari esteri ed è il primo cenno che mi viene fatto delle nuove nostre occupazioni. Non risponderò né a questa nota né ad una eventuale nuova nota per Scalanova1.

537

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. RR. Parigi, 19 maggio 1919, ore 14 (perv. ore 17).

Poiché evento firma pace Germania si approssima, allo scopo di impedire che qui la Delegazione rimanga solo di due membri, è necessario integrare la Delegazione stessa con la maggiore rapidità possibile. Se Salandra persiste nel rifiuto, anche Barzilai si ritiene dimissionario e bisogna quindi nominare tre altri. Date tutte le considerazioni dei precedenti telegrammi, nomina dovrebbe riguardare Crespi e gli ambasciatori Imperiali e Cellere. Se Salandra accettasse1, bisognerebbe sostituire il

solo Salvago Raggi, e all’uopo potrebbe indicarsi il Crespi. Bisogna che tale decisione sia presa nelle ventiquattro ore e che le credenziali siano spedite qui subito, col prossimo corriere2.

536 1 Un altro comunicato di protesta del Ministero degli esteri ottomano fu emesso dopo i nuovisbarchi a Marmariza e Macri. Ne diede notizia Sforza con T. 625 del 20 maggio.

537 1 Con telegramma a mezzo Petrozziello, dello stesso giorno (ore 0,45), Orlando aveva chiestoa Colosimo di rinnovare le pressioni su Salandra, anche con l’intervento del re. Con telegramma delle ore19,15 Colosimo dava poi notizia della posizione irremovibile di Salandra.

538

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. PREC. ASS. Parigi, 19 maggio 1919, ore 16,20 (perv. ore 17,35).

In relazione alle gravi decisioni che occorrerà prendere per l’ipotesi che le nostre questioni non siano regolate prima della pace con la Germania, si rende indispensabile uno scambio più largo di idee tra ministri. Potrebbe scegliersi come punto di ritrovo un luogo compreso tra Modane e Torino1, in guisa da consentire una conversazione di qualche ora, riducendo nel tempo stesso al minimo la mia assenza da Parigi. Mi rendo conto della inopportunità di fare spostare tutti i ministri da Roma; ma potreste in una previa riunione determinare la scelta di cinque o sei tra voi, che dovrebbero portare e riportare il pensiero collettivo. Nell’ipotesi che mi fosse impossibile, anche per breve tempo, di allontanarmi da Parigi, anche in tal caso crederei opportuno che una rappresentanza del Gabinetto (tre o quattro) venga a Parigi. Si tratta infatti di decidere le questioni seguenti: 1) dato che non si venga prima ad una soluzione conciliativa, bisogna firmare la pace con la Germania? 2) nell’affermativa, quale attitudine tenere in seguito? Bisogna persistere in una attitudine di resistenza passiva sulla base del Patto di Londra, o bisogna passare ad una attitudine di contro attacco, come sarebbe la dichiarazione di annessione dei territori compresi nel Pattodi Londra? È impossibile che una decisione di tanta gravità sia presa senza qualche preventivo scambio di idee. Rispondi con grande sollecitudine.

1 Il convegno fu poi fissato a Oulx per il 21 maggio (vedi D. 571).

537 2 Nella stessa giornata si discussero anche ipotesi diverse (vedi anche D. 541).538 Il telegramma fu trasmesso a mezzo Petrozziello.

539

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL CAPO DI GABINETTO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, PETROZZIELLO

T. Parigi, 19 maggio 1919, ore 16,35 (perv. ore 17,50).

Lo scatenamento della stampa in tutti i sensi mostra chiaramente che la censura ne ha completamente perduta la direzione; di ciò mi rendo conto fino a un certo punto. Ma mi domando se non sia ora il caso di tentare di riprendere il controllo con una azione di intervento più rigorosa e più decisa. Sopra tutto ciò dovrebbe esercitarsi nel senso di reprimere le forme più violente di attacchi contro gli alleati e specialmente le ingiurie personali contro Wilson continuano. Bisogna dare istruzioni energiche in tal senso e desidero qualche notizia in proposito1.

540

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO, BIANCHERI

T. 202/551. Parigi, 19 maggio 1919, ore 21,40 (perv. ore 0,15 del 20).

Nel Consiglio dei quattro di oggi è stato permesso ai greci di occupare caza di Aivali ed il sanjak di Smirne fino ad Ayasoluk con obbligo ai greci di non scendere a sud di Ayasoluk e di Aidin, e ciò per permettere ai profughi greci di rientrare alle loro case. I greci potranno altresì, in caso di massacri nell’interno, occupare ulteriori località purché non al sud di Aidin, ma ottenendo previo consenso dall’ammiraglio superiore comandante le forze a Smirne.

È stato quindi dato ordine alle nostre truppe di non procedere ad occupazioni nei luoghi riservati ai greci e di ritirarsi eventualmente da quelle che avessero già occupate se ciò non fosse in conformità alla suddetta decisione1. S’intende che nostre truppe debbono rimanere a Scalanova.

Prego V.S. comunicare quanto precede a Costantinopoli, Atene, Marina e Guerra.

539 1 Orlando ritornò sulla questione con successivo telegramma delle ore 19,15 pregando «faresercitare un’azione diretta servendosi di tutti gli amici che possono avere qualche influenza», parlandone «anche a Colosimo e Paratore ed a quanti più potrà».

540 1 Si tratta di un contrordine. Appena 36 ore prima, con T. 543 delle 11,30 del 18 maggio, Sonnino aveva comunicato a Biancheri «Non vedo ragione perché nostri reparti siano stati ritirati da Ayasoluk dove già si trovavano, in vista appunto di prevenire arrivo truppe greche colà. Se ancora possibilesenza conflitti prego dare disposizioni perché questo scopo sia raggiunto al più presto». A sua volta ilgenerale Battistoni, con T. 313 del 21 al Comando Supremo, faceva osservare che il ritiro da Ayasolukavrebbe recato danno al nostro prestigio presso i turchi, infirmando anche il valore di Scalanova, e chiedeva l’autorizzazione al mantenimento di Sokia e all’occupazione di Magnesia.

541

IL CAPO DI GABINETTO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, PETROZZIELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 19 maggio 1919, ore 21,50.

D’accordo con Paratore sembrami che Delegazione come si vorrebbe integrarla con Crespi e due ambasciatori dia la sensazione di una debolezza estrema, dando la impressione che nessun uomo politico voglia più assumersi tale responsabilità. Ci permettiamo segnalarLe Luzzatti, Cavasola o Maggiorino Ferraris. Comprendiamo che soprattutto pel primo ci possano essere difficoltà da parte di Sonnino; ma occorrerebbe a ogni costo superarle. Anch’egli deve convincersi che questo richiede il supremo interesse del paese. InformoLa che Consiglio ministri è fissato per domattina alle 10,30; quindi occorrerebbe qualche Sua comunicazione prima di tale ora1.

542

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 11120. Roma, 19 maggio 1919, ore 23.

In questi giorni sono tornati a Roma il comandante Levi Bianchini ed il tenente Antongini.

Dalle notizie recate si deduce:

a) che il pericolo di tumulti, massacri anti-ebrei in Palestina è per ora scomparso;

b) che il sionismo è in Palestina in grande ribasso; l’impressione generale è che l’Inghilterra lo abbia sfruttato a proprio vantaggio;

c) che l’autorità inglese agisce in Palestina come se destinata ad avere stabilmente il Governo della regione;

d) che la popolazione musulmana di Palestina è di sentimenti anti-inglesi e che nella regione oltre Giordano è armata e potrebbe esservi colà per gli inglesi una difficile situazione;

e) che tra gli alti funzionari inglesi ora in Palestina non ve n’è uno avente la capacità da dominare la situazione (lo Storrs, il Clayton sono i più capaci, ma non all’altezza di situazioni veramente difficili);

f) che la popolazione musulmana conta molto sull’opera della commissione che la Delegazione della pace ha deciso inviare in Oriente.

541 Annotazione ms. a margine: «trasmesso per telefono ore 21,50 del 19 maggio 1919». 1 Sulla questione si veda D. 537. Finalmente, avendo Barzilai deciso di rientrare, la Delegazione fu integrata con Crespi e Imperiali con R.D. 23 maggio 1919.

Il tenente Antongini ha cessato di far parte della missione Soragna, essendo stato smobilitato.

Il comandante Levi Bianchini, appena regolate alcune sue faccende al Ministero della marina, andrà a Parigi ove si presenterà al comm. De Martino.

L’ufficio scrivente esprime l’avviso che la missione Levi Bianchini in Palestina in relazione al sionismo sia da considerarsi terminata, e che la attività del Levi Bianchini nelle sfere ebraiche abbia a prender altro indirizzo: venir cioè utilizzata al collegamento dei centri ebraici italiani nel Mediterraneo coll’Associazione centrale ebraica italiana per la costituzione della quale già dal dicembre u.s. questo Ufficio, dopo ottenuta l’autorizzazione verbale di V.E., ha disposto i necessari passi.

543

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 1514. Parigi, 19 maggio 1919, ore 23,40 (perv. ore 2,50 del 20).

Una indisposizione mi ha trattenuto tutta la giornata a letto. Trattasi di un disturbo gastrico non grave, e tutto fa ritenere che domani potrò alzarmi.

Ho del resto potuto occuparmi di affari tutta la giornata. Avendo avvisato di ciò gli altri tre, mi fu detto che la seduta non avrebbe avuto luogo. I tre tuttavia si riunirono ugualmente e fecero sapere che nel pomeriggio desideravano l’intervento di Sonnino per la questione dell’Asia Minore. Questa riunione fu soprattutto diretta ad accentuare una vivace protesta contro il nostro sbarco di Scalanova.

Sonnino dice che Wilson dimostrò una decisa ostilità, aiutato dai colleghi.

Si evitò la conclusione nel senso di imporci di ritirarci; ma le formule conclusive adottate suonano una disapprovazione del nostro atto e escludono che esso possa creare in noi alcun diritto. Per quanto ciò sia spiacevole pure, data la situazione, poteva anche capitare di peggio e non è certo escluso che la questione possa essere ripresa in nostro danno.

Maggiore importanza di quanto possa averne l’argomento specifico, io attribuisco al fatto del persistente inasprimento di Wilson. Se ciò si collega al rallentamento (che è quasi un abbandono) delle iniziate conversazioni circa la forma conciliativa telegrafata, deve ritenersi che Wilson non intende prestare il suo consenso a quel minimo.

[Nel complesso dunque la situazione apparisce alquanto peggiorata. Insisto nella opportunità di una intervista coi colleghi, secondo quanto ti telegrafai oggi1; e ti

543 Il telegramma fu trasmesso a mezzo Petrozziello. Lo stesso testo fu inviato in pari data a Vittorio Emanuele III, ma con omissione dell’ultimo periodo, qui posto tra parentesi quadre.1 Vedi D. 538.

prego di darmi su di ciò il riscontro più sollecito possibile. Dal lato politico interno poi la questione si aggrava, in quanto Barzilai insiste nel volere allontanarsi pur senza dare alcun motivo politico. Peggio ancora si diporta Crespi, che mi ha oggi diretto una ignobile lettera2 piena di recriminazioni fantastiche e che conclude dichiarando che il Gabinetto deve dare le sue dimissioni. In via di disciplina patriottica io mi rassegnai alle decisioni di Sua Maestà e al tuo punto di vista per ciò che concerne il progetto Paratore; ma gli eventi sembrano dare ragione al mio primitivo punto di vista, ciò che mi accade purtroppo spesso].

544

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 3694 AOP. Abano, 19 maggio 1919.

Trasmettesi seguente telegramma proveniente Missione Vienna, esprimendo parere favorevole.

Risulta che fra commissari austriaci recatasi a Parigi sono appositi delegati tecnici per combattere con ogni energia nostre rivendicazioni storiche artistiche. Occorre perciò intensificare contro azione al riguardo e prego vivamente codesto Comando voler inviare urgenza direttamente a Parigi prof. Fogolari, direttore RR. Gallerie Venezia, allo scopo di informare esattamente commendatore Modigliani, delegato Ministero istruzione pubblica dette trattative, di quanto questa missione ha compiuto all’estero, prendendo accordi necessari circa quanto dovrà essere fatto.

545

IL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1801/137. Atene, 19 maggio 1919 (perv. stesso giorno).

Telegramma di V.E. n. 1211.

La continuata pubblicazione da parte di alcuni giornali delle indegne calunnie contro il nostro esercito per i noti fatti di Rodi del giorno di Pasqua in contraddizione

544 Il telegramma fu ritrasmesso con n. 6783 SP. alla Commissione riparazione danni di guerra eper conoscenza alla PCM e al MAE («con preghiera di voler chiamare a Parigi, con l’urgenza che la circostanza richiede, il prof. Fogolari»).

con le assicurazioni più volte verbalmente datemi dal sig. Diomid2, che erano stati impartiti ordini alla censura allo scopo farle cessare, mi ha obbligato a protestare nuovamente presso questo ministro degli affari esteri rilevando che i suoi affidamenti non avevano avuto esecuzione.

In seguito a questo mio nuovo passo è stato destituito l’impiegato dell’ufficio di censura al quale si attribuiva di non aver fatto osservare gli ordini ricevuti al riguardo. La campagna circa l’incidente del Dodecanneso si è calmata per ordine Governo in seguito alla occupazione di Smirne fatta anche col nostro consenso e dopo aver recato tutto il malefico effetto che si proponeva in Francia Inghilterra e America. Continuo a far pratiche per ottenere dal Governo ellenico una sconfessione delle accuse che hanno lasciato pubblicare contro di noi.

543 2 Vedi D. 548.

545 1 Errato. Si tratta molto probabilmente del T. 128 del 16 febbraio (vedi serie sesta, vol. II, D. 360).

546

IL CONSOLE A CAPETOWN, LABIA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1800/8. Capetown, 19 maggio 1919 (perv. stesso giorno).

Mi si assicura in Angola scoperta ricchissimi pozzi petrolio qualità ottima. Conseguentemente si sarebbero formati sindacati iniziativa sotto il nome tale Camera portoghese. Ove ne sia il caso prego V.E. comunicare quanto precede Dicasteri o Istituti interessati prima intervento altre potenze per partecipazione nostra detto affare importante per noi anche dal punto di vista politico.

547

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 741. Londra, 19 maggio 1919.

Telegramma di V.E. n. 39021.

Foreign Office comunicami che oggetto della nota presentata a suo tempo da marchese Imperiali2 (cioè necessità pronta cessazione blocco sulla costa araba) non è stato perduto di vista, ma che Governo britannico non crede consigliabile di portare nel presente momento alcuna alterazione allo stato di cose colà esistenti.

545 2 Si tratta di Alexandros Diomidis, ministro degli esteri ellenico ad interim, in sostituzione del ministro Nikolaos Politis, delegato alla Conferenza della pace.547 1 Non rinvenuto. 2 Sulla questione si vedano i DD. 38 e 142.

548

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. Parigi, 19 maggio 1919.

È pur troppo assai noto a quanti si occupano della vita pubblica, che fra voi due è sempre esistito un profondo dissidio, dovuto forse più a diversità di temperamento che a sostanziali divergenze sui singoli problemi. Tale dissidio ha impedito e impedisce ogni proficua collaborazione, ogni proficuo lavoro fra voi due.

Era perciò fatale che posti nella aspra contesa di una conferenza internazionale di pace, di fronte a rappresentanze solidali di interessi opposti ai nostri, voi due vi doveste trovare in condizione di inferiorità.

Fu errore comune a tutti i ministri responsabili, me compreso, di portare l’Italia alla Conferenza della pace in cosifatta congenita posizione di debolezza. Ma tutti avevamo fede nella bontà della nostra causa a tal punto, da farci ritenere possibile comunque il successo; la fatalità volle d’altronde che un vostro distacco fosse sempre considerato come male maggiore al continuato tentativo della vostra comune collaborazione.

Fu errore però vostro, lasciatemelo francamente dire, di non porre i colleghi di Governo né quelli della Delegazione qui inviata, a conoscenza di fatti di suprema gravità, e di assumervi da soli responsabilità anche sorpassanti il mandato che vi fu conferito.

Così ad esempio, io, che ho la responsabilità della parte economica del trattato di pace, sono sempre stato tenuto all’oscuro di tutti i problemi politici e territoriali che coi problemi economici hanno la più stretta colleganza e decisiva influenza; fui sempre tenuto all’oscuro dei trattati internazionali che hanno pure clausole economiche sostanziali, a cominciare dal Trattato di Londra del 26 aprile 1915.

Solo dai giornali appresi, fra altri gravissimi avvenimenti, che l’America aveva ottenuto il mandato su Costantinopoli, che Smirne era stata data alla Grecia. Questi due fatti, uniti all’azione che si lascia compiere alla Francia in Romania ed altrove, possono costituire un immenso improvviso disastro per tutte le industrie e per tutti i commerci italiani. Dai vostri discorsi, e specialmente da dichiarazioni di Sonnino, mi sono formato la convinzione che di tale disastro economico non avete sufficiente cognizione.

Ho ora appreso che voi avete nella seduta 7 maggio, immediatamente dopo il vostro ritorno dall’Italia, rinunciato a qualsiasi compartecipazione nei mandati, senza alcuna efficace riserva a tutela dei diritti italiani.

Ho ora appreso che il trattato del 17 agosto 1917 garantiva Smirne all’Italia, e che voi avete annullato tale trattato senza consultare, né avvertire comunque alcuno dei vostri colleghi di Delegazione o di Governo.

548 Edita in SONNINO, Carteggio, D. 454. Una lettera di identico tenore fu inviata in pari data daCrespi a Diaz (cfr. CRESPI, p. 579).

Tale vostra azione vi rende soli responsabili, e supera, a mio parere, il potere conferitovi; poiché un trattato internazionale, che costituiva impegno di Governo, non può essere, a mio avviso, disdetto da due soli ministri.

Risulta poi evidente e ne avete ormai voi stessi la chiara coscienza, che la vostra personalità, in dipendenza del vostro disaccordo, e nonostante i caratteri elevatissimi di ingegno e di patriottismo di cui è formata, è divenuta ostacolo alle trattative fra l’Italia e i suoi alleati e associati. Quanto alla fiducia del paese, essa è ormai manifestatamente perduta.

In simili circostanze, io ritengo, che sia doveroso per tutti noi di presentare subito a Sua Maestà il re le nostre dimissioni.

Io ritengo che sia opportuno, per quanto possa essere pericoloso, mettere ancora una volta gli alleati direttamente di fronte al paese. Questo ormai non si può più fare altrimenti che col ritiro del Gabinetto Orlando.

Il paese è forte ed unito; noi siamo deboli e divisi.

Il paese ha sempre saputo salvare se stesso sotto l’alta guida del suo re, duce supremo nei supremi momenti.

Il paese salverà ancora i suoi più sacri e vitali interessi, il frutto della sua vittoria.

Uomini nuovi possono trovare o formare una posizione nuova.

Non mi pare dunque possa esservi dubbio nella scelta della via conforme agli interessi supremi d’Italia.

Vi prego, qualunque siano le vostre risoluzioni, di darmi atto di questa mia lettera.

Da voi due io ebbi molte prove di affetto e con profondo affetto io vi ricambio. Vogliate dunque attribuire questo mio atto soltanto a quel profondo ed illimitato senso di dovere per cui un italiano sa tutto sacrificare al bene della Patria.

549

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 1516. Parigi, 20 maggio 1919, ore 0,30 (perv. ore 3,20).

Stamane ho telegrafato due volte a Petrozziello1 circa la necessità di evitare gli attacchi della stampa, specialmente contro la Francia. La cosa ha una importanza politicamente straordinaria, ed è perciò che alla preghiera indiretta che ti trasmisi aggiungo la più viva e diretta premura. Sarebbe anche bene se su qualche giornale che capisce le situazioni (come per esempio «l’Epoca», la «Tribuna» ecc.) potesse addirittura venire fuori qualche articolo che protesti contro questi eccessi e che dica

una parola a favore della Francia la cui opinione pubblica è stata effettivamente ispirata a simpatia verso noi. Occupatene con la maggiore attività.

549 1 I due telegrammi a Petrozziello di «stamane» devono essere quelli delle 16,35 e delle 19,10del 19 maggio. Questo T. 1516 partito alle ore 0,30 del 20 maggio è stato infatti, con ogni evidenza, stesonella notte tra il 19 e il 20.

550

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,

AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 552. Parigi, 20 maggio 1919, ore 0,55.

Oggi1 ha avuto luogo seconda riunione Commissione colonie. De Martino, leggendosi verbale seduta precedente, insiste perché vi vengano inserite parole che durante seduta Consiglio dei quattro del 7 maggio, nella quale si distribuirono mandati africani,

S.E. Orlando ha pronunziato circa partecipazione Italia mandati2. Dichiarazione De Martino è inserita verbale. Crespi De Martino chiedono schiarimenti circa riserva espressa fine seduta precedente da lord Milner sulla dipendenza del presente accordo con Italia dall’effettiva e definitiva assegnazione a Francia e Inghilterra dei mandati coloniali stabiliti il 7 maggio3. Lord Milner spiega che se Francia e Inghilterra avranno meno di quanto fu loro assegnato il 7 maggio accordo con Italia dovrà subire proporzionali riduzioni. Esaurito verbale seduta precedente Simon dichiara che Francia accetta cedere territori compresi tra Gadames Gat e Tummo secondo andamento carovaniere principali da fissarsi. Francia rifiuta però nettamente cessione Gibuti e Costa francese dei Somali. Milner accetta domanda italiana per Giarabub e confine Cirenaica Egitto da Ras Gebel Sollum seguendo 25 e 20 meridiano est Greenwich sino a incontro con 16° parallelo. Accetta cessione a Italia porto Kisimaio, con passaggio a Inghilterra diritti transito, ecc sino a oggi concessi da Inghilterra a Italia. In più Milner offre territorio Giubaland coprente estensione 31099 miglia inglesi quadrate pari circa 83000 chilometri quadrati compreso tra seguenti punti indicati nella «Carta del territorio da Ras Casar alle foci del Giuba» edita nel 1906 dall’Istituto geografico militare: Dolo-Mando-El Mali-41° meridiano sino al fiume Lakdera, di qui obliquando sino a incontro equatore con meridiano 41 e 30 dove trovasi palude Bisahu-Hamu, di qui al mare in località Porto Kuagiama. Palude Bisahu-Hamu resterebbe divisa metà da nuova frontiera. Italia dovrebbe indennizzare coloni inglesi che emigrassero parte est Africa che rimarrà inglese. Per Somaliland Milner si dichiara disposto cederlo Italia tranne parte comprendente porti Berbera Zeila. È però incerto se subordinare tale cessione a cessione Gibuti ritenendo ingiusto che solo Inghilterra faccia le spese dell’accordo.

Crespi rispiega nuovamente lettera spirito Patto di Londra articolo 13 ricordandone data 1915 in confronto con durata guerra e sacrifici maggiori imposti Italia e

550 Il verbale ufficiale della seduta è edito in SALATA, D. 6.

1 Il riferimento è al 19 maggio. Il telegramma, partito alle ore 0,55 del 20, era stato preparatola sera precedente.

2 Vedi D. 427 e cfr. FRUS, vol. V, p. 507.

3 Vedi D. 500.

facendo confronti con vantaggi enormi raggiunti da Francia e Inghilterra anche in Africa. Conferma chiave programma italiano organico leale essere Gibuti. Spiega come obbiezioni Simon circa ferrovia e scalo carbonifero siano prive valore, essendo Italia pronta riscatto ferrovia e concessione ampio spazio destinato punto franco carbone per navigazione francese Estremo Oriente e Madagascar. Dichiara essere assurdo pensare che Francia possa ritenere di compensare equamente Italia con la carovaniera desertica di Gat e Gadames. In conseguenza, di fronte a rifiuto Francia sul punto sostanziale programma italiano, Crespi deve da parte sua categoricamente rifiutare altre concessioni Francia assolutamente inadeguate. Simon conferma impossibilità cedere Gibuti affermando non ritenere serio discutere parziale cessione della Côte des Somalis già di per sé così piccola colonia. Ripete che vero scopo programma italiano è «chasser» Francia da Etiopia. A questo punto Simon deve dichiarare che, se anche Francia aderisse a cessione Gibuti, Lord Milner per Inghilterra si opporrebbe. Milner smentisce affermazione Simon dicendo che Inghilterra è pronta a concessioni a Italia e sarebbe pronta anche a maggiori se Francia cedesse Gibuti. Crespi fa rilevare smentita Milner a Simon. Visto disaccordo fondamentale Milner propone rinvio questione a Consiglio dei quattro. Crespi prega specialmente Simon riflettere su gravità rifiuto Francia e propone altra riunione che viene fissata per giovedì 22 corrente.

Degno di rilievo durante seduta breve cortese incidente tra Milner e Simon: Milner affermando Togo e Camerun dover considerarsi come mandati o quantomeno questione non essere ancora definita. Simon invece sostenendo fermamente essere intervenuta intesa tra Francia e Inghilterra perché Togo e Camerun passino a dette potenze in diretto dominio.

Ieri sera giunto Solari. Si è concordato tra lui e De Martino che avrebbe avvicinato Alfonso Costa ex presidente Portogallo attualmente Parigi capo Delegazione portoghese nell’intento di tastare il terreno per accordo italo-portoghese circa Angola. Portogallo cederebbe a compagnia italiana sotto controllo Governo italiano sfruttamento integrale Angola con esclusione qualsiasi attività Francia Inghilterra con le quali nazioni si concluderebbe speciale accordo in tal senso. Solari visto stamane Augusto Soares ex ministro esteri portoghese oggi Parigi delegato Portogallo. Espostogli progetto, Soares lo ha accolto con molto favore riservandosi far incontrare domani Solari con Costa oggi assente da Parigi.

551

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1355/5670. Roma, 20 maggio 1919, ore 12,40 (perv. ore 15).

Agenzia «Stefani» riproduce dal «Petit Parisien» un elenco di domande che l’Italia avrebbe presentato in base all’accordo di Londra per le questioni coloniali. Al numero due di detto elenco si afferma che sulla costa del Mar Rosso Italia chiede completo collegamento delle due sue colonie dell’Eritrea e della Somalia attraverso la colonia francese di Gibuti e attraverso la Somalia britannica. Non posso attribuire nessun valore a tali espressioni del giornale francese non potendo evidentemente in nessun modo, non dico accettare, ma neppure prendere in esame una siffatta irrisoria soluzione del nostro programma di giuste e necessarie rivendicazioni africane, programma che V.E. ben sa essere già minimo.

552

L’AGENTE DIPLOMATICO AL CAIRO, NEGROTTO CAMBIASO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1371/164. Il Cairo, 20 maggio 1919, ore 13 (perv. ore 9 del 21).

Ricevuto telegrammi di V.E. 548 e 5491.

È assolutamente falso che colonia italiana abbia fomentato recenti torbidi. È bensì vero che essa al pari della colonia francese ha simpatizzato con movimento nazionalista per ragioni sentimentali e per malcontento derivante da metodi inglesi come ho esposto nel rapporto n. 151 in data 7 decorso2. Soltanto pochissimi hanno tenuto attitudine non troppo corretta; due ufficiali in congedo Cairo che si trovarono presenti dimostrazione giubilo per liberazione capi nazionalisti furono rinviati in Italia a cura r. addetto militare con rapporto ad autorità superiori. Da parte mia ho fatto tutto il possibile, ricorrendo anche minacce gravi provvedimenti, tenere in freno connazionali più esaltati come pure ho impedito progettato comizio pro-Fiume cui nazionalisti egiziani intendevano profittare per fare manifestazioni. Inglesi sono rimasti stupiti ed irritati mancanza solidarietà morale colonie estere e tentano gettare su di esse responsabilità fenomeni loro politica.

552 Il telegramma fu comunicato a Preziosi da Aldrovandi «per opportuna conoscenza ed eventuale norma di linguaggio», con T. Posta 1666 del 23 maggio.

1 Non pubblicati. Con i due telegrammi, del 19 maggio, Sonnino aveva chiesto informazionisulle voci, correnti nei circoli ufficiali britannici, di una parziale responsibilità italiana nei moti antibritannici in Egitto.

2 Non rinvenuto.

553

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1366/5730. Roma, 20 maggio 1919, ore 23 (perv. ore 9 del 21).

Oggi ambasciatore Inghilterra è venuto Ministero colonie per chiedere di controllare con nostre eventuali informazioni alcune notizie giunte a Londra circa torbidi nell’Etiopia. Ha conferito con comm. Baccari che ho autorizzato fornire indicazioni1 richieste.

Conversando con Baccari sir J. Rennell Rodd ha detto essere sua impressione che da parte britannica non vi saranno difficoltà accedere nostra richiesta, ma che Francia si mantiene irremovibile per Gibuti, trincerandosi dietro necessità avere scalo carbonifero sulla via dell’Estremo Oriente e del Madagascar.

Comm. Baccari ha fatto notare come torbidi etiopici di cui ambasciatore si mostra preoccupato possono diventare pericolosi per potenze confinanti solo per armi, munizioni che entrano da Gibuti; e ciò sir Rennell Rodd ha ammesso aggiungendo essere sua opinione che sino a questo momento traffico armi e munizioni da Gibuti non deve essere stato ripreso almeno in proporzioni notevoli, ma che si deve temere una ripresa prossima. La conversazione è continuata sul tema di tale preoccupazione comune, e quindi della necessità di una azione comune per giungere all’allontanamento della Francia dal Mar Rosso con la cessione di Gibuti all’Italia. Insistendo ambasciatore su difficoltà trovare per Francia altro scalo carbonifero, comm. Baccari ha ricordato isola Socotra la quale, se non un vero porto, offre un ottimo approdo interamente riparato dal monsone, che pei fini di stazione carbonifera si presterebbe bene.

Ambasciatore ha mostrato di riflettere e di approvare e poi ha portato discorso su questione libero deflusso acque Nilo, dicendo trattarsi interesse vitale per Inghilterra. Comm. Baccari ha sfiorato argomento senza entrare in discussione; limitandosi a dire che, fatte le debite proporzioni, questione Gibuti è vitale per noi come è quella della sicura irrigazione dell’Egitto per Inghilterra; e che egli ha ragione di credere che, di fronte ad un attivo efficace appoggio diplomatico e ad un concorso materiale dell’Inghilterra nella risoluzione in favore nostro e pure nel comune interesse della questione di Gibuti, nostro Governo non sarebbe alieno dal prendere in esame con spirito amichevole la questione del Lago Tsana. Anche a questo punto sir Rennell Rodd ha mostrato di riflettere a lungo; ma non ha manifestato il suo pensiero.

L’ambasciatore ha poi detto esplicitamente che, mentre Inghilterra è disposta a seguirci nelle nostre richieste, non può dirsi lo stesso della Francia che praticamente non vuole concederci nulla. Ha parlato scherzosamente delle concessioni al confine occidentale [e meridionale]2 della Tripolitania che Francia vorrebbe far credere di

grande valore ma che si sa bene che cosa valgono come territorio e come vie di comunicazione, cioè nulla. Ha parlato scherzosamente anche di Giarabub che ha definito quattro palme piantate nel deserto, senza nemmeno acqua, che deve esservi portata da Siva coi cammelli.

L’ambasciatore ha mostrato di non rendersi conto della importanza politica che ha per noi, rispetto alla Cirenaica, Giarabub come culla e luogo santo della Senussia; ma naturalmente comm. Baccari non ha ricordato questa speciale importanza, per la quale appunto Inghilterra aveva finora strenuamente difeso appartenenza Giarabub ad Egitto mostrandosi per ciò irreducibile quasi quanto ora Francia per Gibuti.

553 1 Il testo in arrivo reca «pubblicazioni».2 Manca nel testo in arrivo.

554

IL MINISTRO A PECHINO, GARBASSO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1817/61. Pechino, 20 maggio 1919 (perv. il 3 giugno).

Mio telegramma n. 291.

Secondo telegramma da Parigi pubblicato da questi giornali si sta per concludere colà accordo per prestito internazionale alla Cina tra Francia Giappone Inghilterra e Stati Uniti2. Belgio preparerebbesi a far parte del prestito anche dopo la conclusione dell’accordo fra le potenze maggiori. Nessun accenno all’Italia. Se banche italiane sono d’avviso di partecipare al prestito esse potrebbero assicurarsi fin d’ora il consenso del Consorzio a entrare più tardi nel gruppo. Giova ricordarsi immensa importanza partecipare a prestito per non restare esclusi da eventuali concessioni e per potersi qui affermare commercialmente3.

3 Nel riferire a Sonnino questo telegramma con T. 12581 del 5 giugno, Manzoni riportava,concordando, l’avviso espresso in questi termini dal Ministero del tesoro: «Pur essendo impossibile perora l’intervento di nostre banche nelle operazioni di prestiti alla Cina, a causa delle estreme difficoltà dicambi in cui si trova il nostro paese, sarebbe utile il riservarci la possibilità di intervenire non appena lenostre condizioni ce lo permettessero. Anzi io raccomando di far opera efficace perché ci sia riservata unatale possibilità». E aggiungeva: «È da tenersi presente che la nostra partecipazione al prestito agevolerebbe certamente la nostra espansione commerciale in Cina, rimuovendo le difficoltà già incontrate nel passato appunto per il fatto che l’Italia non figurava nel gruppo potenze sovventrici del detto paese».

554 1 Non rinvenuto. 2 Se ne era già parlato in aprile, come dai TT. Posta 8159 dell’11 aprile e 8521 del 16 aprile,della Direzione generale degli affari politici.

555

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1382/187. Sofia, 20 maggio 1919 (perv. ore 9 del 22).

Secondo notizie provenienti da generale Franchet d’Esperey pare che egli voglia ridurre le truppe bulgare ad un effettivo di tre divisioni sole mentre greci e serbi stanno concentrando ingenti forze alla frontiera. Tutti questi preparativi sarebbero intesi imporre decisione Conferenza e specialmente mutilazione della Bulgaria impedendone una resistenza qualsiasi. L’esperienza del passato basta per prevedere che al momento in cui con simili mezzi si cercherebbe consumare la mutilazione della nazione bulgara ne deriverebbero sconvolgimenti politici nonché interni con esodo e massacro di contingenti che compongono la totalità della popolazione delle provincie cedute ai serbi greci.

Da cose dettemi da presidente del Consiglio appare chiaro che questo Governo, pure desideroso di consentire alla prevedibile domanda del disarmo quasi completo, non giustificato affatto dalle circostanze, è preoccupato dal grave pensiero di disordini interni più che dal serio pericolo esterno ove gli effettivi dell’esercito fossero ridotti molto al di sotto del minimo attuale. Riferendomi miei precedenti telegrammi circa la delicata situazione in cui si troverà questo nostro corpo spedizione ritengo col generale Mombelli che sarebbe opportuno per evitare incidenti nonché grave scapito al nostro prestigio che le nostre truppe vengano ritirate a tempo secondo progetto già presentato da Comando Supremo. Per formare questo parere hanno pure contribuito rumori pervenuti al nostro Comando per cui generale Franchet d’Esperey dovrebbe fare venire a Sofia una divisione francese relegando truppe italiane in qualche settore di secondaria importanza.

556

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1373/5731. Roma, 21 maggio 1919, ore 14 (perv. ore 18).

Nel telegramma 552 del 20 corrente1 di V.E. si parla di spiegazioni date da Crespi a Simon, su obiezioni di questi circa importanza Gibuti per Francia come scalo carbonifero. Dal testo giuntomi del telegramma parrebbe che si intenda riservare a Francia

556 Edito in SALATA, pp. 226 sg. 1 Vedi D. 550.

nel porto Gibuti, ove esso passi ad Italia, concessione ampio spazio destinato punto franco. Se veramente a ciò si fosse pensato dovrei vivamente pregare V.E. evitare in modo assoluto siffatta concessione che manterrebbe fermamente nel nostro fianco la spina della presenza francese con tutti gli inconvenienti ed i pericoli che ne deriverebbero. Smentita di Lord Milner a Simon dice oramai chiaramente come sia grande anche per Inghilterra interesse allontanare Francia da qualsiasi contatto con Etiopia. Dovremmo quindi ottenere che Inghilterra che lo può dia a Francia altra acconcia località per scalo carbonifero; e noi sapremmo dare ad Inghilterra adeguato compenso nel regolare questione lago Tsana. Una qualsiasi soluzione che consenta il permanere di un sia pur minimo interesse francese in Gibuti e quindi influenza in Etiopia avrebbe inevitabilmente in sé il germe di difficoltà e di danno per noi. Occorre una soluzione netta.

557

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1379/855. Vienna, 21 maggio 1919, ore 21,45 (perv. ore 10 del 22).

Ministro degli Affari Esteri Bauer mi ha detto che se non sarà consentita unione Austria Tedesca alla Germania sarà inevitabile che sorgano degli stretti vincoli prima economici e poi politici fra Austria Tedesca ed altri Stati ex monarchia, Austria Tedesca non potendo vivere isolata negli angusti limiti assegnatile1. Non sa quale attitudine tenga di fronte tale progetto Jugoslavia, mentre ogni propaganda in proposito è necessariamente sospesa in Ungheria.

Ma nella Czeco-Slovacchia si lavora per tale progetto che incontra favore sopratutto nel ceto commerciale, industriale, bancario. Czeco-Slovacchia sarebbe infatti maggiore beneficiaria progetto, sopratutto perché Galizia cesserà essere campo importazione industriale della Boemia se Polonia avrà Slesia. Austria Tedesca diverrebbe invece Stato vassallo della Czeco-Slovacchia. Bauer mi fece comprendere sperare azione energica dell’Italia in favore unione Austria Tedesca alla Germania e rinnovò preghiera si faccia il possibile per contatto diretto fra Delegazione italiana ed austriaca. Bauer da me interpellato circa dichiarazione colonnello Cunningham di cui telegrammi questo ufficio n. 806 e 8212 mi dichiarò che si trattava di una conversa

2 Si tratta dei telegrammi da Vienna 1304/806 del 16 maggio e 1315/821 del 17, entrambi afirma di Tacoli. Il riferimento è alle dichiarazioni del capo della missione militare inglese colonnelloCunningham (riportate dalla «Reichspost» del 15 maggio) circa le condizioni di pace per l’Austria Tedesca che, rinunziando all’unione con la Germania, avrebbe ottenuto il Tirolo meridionale, l’Ungheria occidentale e parti della Boemia, della Moravia e della Carinzia.

zione amichevole nella quale Cunningham avrebbe manifestato sua opinione personale. Mi riservo ad ogni modo interpellare Cunningham al suo ritorno.

557 1 L’ipotesi di una unione doganale (Zollverein) fra gli Stati già facenti parte della monarchiaasburgica era stata già discussa, su proposta della Gran Bretagna, nel Comitato per il riassetto generaledell’Europa nominato dal Consiglio supremo economico, nelle sedute del 15 e 16 aprile. Ed era stataaggiornata a seguito di un battagliero intervento contrario del rappresentante italiano, Crespi (cfr. CRESPI, pp. 567 e sgg.).

558

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1378/11318. Roma, 21 maggio 1919, ore 22 (perv. ore 9 del 22).

Mio telegramma posta 10299 del 9 corrente1.

Ministero della guerra comunica che per impellenti esigenze ordine morale e su conforme parere S.E. Diaz ha deciso rimpatrio nostri contingenti Siberia rimandando a secondo tempo ritiro nostri Murmania.

559

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI

T. 1637. Parigi, 21 maggio 1919.

S.E. De Nava, cui fu comunicato un pro-memoria del comm. Attolico circa assegnazione di piroscafi ex austro-ungarici alle linee di navigazione facenti capo a Trieste, insiste nella necessità che almeno una parte di tali vapori venga liberata per riprendere traffici che ci vanno togliendo inglesi e francesi.

La questione è di massima importanza per noi e specialmente urge che sia ripreso il traffico fra Trieste e l’Oriente e che la nostra bandiera si affermi sulle coste del-l’Asia Minore, lungo le quali servizio greco è stato riattivato. Epperò raccomando la cosa a V.E. perché sia tentato ogni mezzo che renda possibile adibire qualche vapore a tali servizi.

558 1 Non pubblicato. Si veda il D. 369.

560

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1458/711. Berna, 21 maggio 1919 (perv. il 28).

L’ex presidente bulgaro Guechoff è venuto oggi a riparlarmi della questione della Tracia pregandomi di raccomandare nuovamente a V.E. la difesa degli interessi bulgari.

«Senza la Tracia», egli mi ha detto, «il nostro paese non conterebbe più nulla nell’equilibrio balcanico. La Grecia tende con queste pretese e coll’appoggio della Francia ad avvicinarsi il più possibile a Costantinopoli che è il sogno dorato dell’Ellade. Noi bulgari desideriamo che questa città resti alla Turchia. Anche nei momenti per noi più propizi, se abbiamo pensato ad entrare a Costantinopoli per soddisfare la megalomania del nostro re, posso assicurarvi (io ero presidente del Consiglio) che mai abbiamo pensato ad annettere quella capitale: anche l’ex zar Ferdinando non lo voleva. Occorre adesso rinforzare la Turchia e vedo con piacere che in tale questione, come in tante altre, la politica dell’Italia sia identica a quella della Bulgaria. Se le mie informazioni sono esatte, il punto di vista italiano parrebbe trionfare alla Conferenza. Noi appoggeremo in tutto e per tutto l’Italia ma, lo ripeto, senza la Tracia saremo un corpo morto dal quale sarebbe inutile attendere il minimo contributo. Prevedo che se le mali arti del Venizelos trionfassero e la nostra provincia fosse perduta, vi sarebbero gravissime perturbazioni in Bulgaria».

Passando ad altro, il Guechoff m’ha chiesto se era esatto ciò che gli era pervenuto da Parigi circa una prossima occupazione di Fiume da parte delle truppe angloamericane. Gli ho risposto che nulla di simile mi era giunto all’orecchio.

561

L’INCARICATO D’AFFARI A BUCAREST, AURITI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 212. Bucarest, 21 maggio 1919.

Prego comunicare Ministero commercio seguente telegramma: «(...) importante colloquio avuto con Baicoianu direttore della Banca nazionale romena dichiarommi America Inghilterra Francia offronsi fornire Romania ogni genere merce aprendo crediti necessari. Esportazione italiana sarà soffocata se non interverrà azione Governo. Necessita iniziativa italiana per determinare accordo grandi banche concretare offerta Romania conforme (...) esportazione nostri prodotti. Romania può esportare petrolio qualora Italia fornisca tre quattro vapori cisterna necessari trasporto. Invoco interessamento V.E. onde prevenire irreparabile conseguenza futuro sviluppo commercio italiano romeno. Delegato commerciale Paleani».

562

IL VICECONSOLE A SMIRNE, INDELLI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1839/475. Smirne, 21 maggio 1919 (perv. il 26).

Da quasi tutte le città interne vilayet giungono a quest’ufficio telegrammi protesta minacciosa contro occupazione greca eventualmente invocando immediata tutela occupazione Italia. Per incoraggiare resistenza turchi, capi promettono prossimo arrivo truppe italiane. Contemporaneamente propaganda americana va rapidamente intensificandosi facendo numerosi proseliti. Agenti americani, che dispongono larghi mezzi onde venire soccorso popolazione musulmana Smirne e dintorni, invitato turchi inalberare bandiera americana Aidin e Magnesia e organizzare anche Smirne pubbliche dimostrazioni protesta invocando protezione Stati Uniti. Da Magnesia, che sembra destinata essere centro principale azione, mi vengono fatte per mezzo di Nury bey vive premure conoscere d’urgenza occupazione [?] R. Governo per regolare conseguenze. Popolazione musulmana intero vilayet ancora oggi ha occhi rivolti a noi, ma nostro ritardo far sentire efficacia appoggio potrebbe indurla rivolgersi altri, principalmente Stati Uniti. Occorre che questo ufficio sia tenuto al corrente nostra azione specialmente attività americana, e provvisto fondi necessari per mantenerci almeno al pari di quelli alleati per le opere di soccorso musulmani1. Giunti da Atene emissari che diconsi incaricati avvicinamento italo-greco. Metropolita Smirne chiestomi recarsi a bordo r. nave «Duilio» ringraziare a nome colonia italiana Smirne. Telegramma felicitazioni re d’Inghilterra per occupazione Smirne prodotta pessima impressione.

Comunico quanto precede R. Ministero affari esteri.

563

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 3732 RIS. Roma, 21 maggio 1919.

Comunico all’E.V. il telegramma n. 25561 qui diretto dal governatore dell’Eritrea in data 12 maggio corrente per informare che gli è stato presentato un memoriale dall’elemento arabo più influente e più notevole di Massaua sul danno gravissimo

che deriva al commercio locale dal mantenimento del blocco sulla costa araba del Mar Rosso.

Su tale incresciosa questione non posso che riferirmi a tutta la precedente mia corrispondenza con l’E.V. ed in ultimo al mio telegramma posta n. 2776, del 24 aprile u.s.2.

Le autorità britanniche di Aden prima addussero che il blocco era necessario per impedire il contrabbando di guerra a favore delle truppe turche e, concedendo a stento che soltanto cinque sambuchi andassero mensilmente al solo porto di Gizan, con limitazione però delle merci da trasportare, paralizzarono i traffici naturali dell’Eritrea con l’altra sponda del Mar Rosso; e poscia, quando il blocco non era più giustificabile nei riguardi della Turchia e delle truppe turche che avevano deposto le armi nella regione, presero a pretesto l’anormale stato interno dell’Egitto per impedire che la nostra influenza commerciale si svolga dall’Eritrea verso la costa araba.

Debbo ripetere che tutto ciò è profondamente penoso e dannoso. Il governatore dell’Eritrea avverte che al divieto non sottostanno né Aden, né Gibuti, e ci induce a protestare nel modo più energico contro un procedimento che è patente violazione del nostro diritto.

Non possiamo andare incontro alla completa perdita dei mercati della costa araba, che furono sempre dell’Eritrea, e non possiamo consentire che la nostra autorità scapiti completamente di fronte ai nostri sudditi eritrei e specialmente ai notabili e commercianti indigeni di Massaua che sono un elemento vitale per i traffici della colonia.

Se il Governo britannico o le autorità britanniche di Cairo e di Aden, preoccupate dei casi di Egitto, credono sinceramente di adottare ancora misure precauzionali, non hanno che a dircelo lealmente per procedere d’accordo ad una buona guardia da terra e da mare, conforme esposi all’E.V. con telegramma-posta n. 27973 avanti ricordato, lasciando libero il commercio tra i porti dell’Eritrea e gli scali dell’opposta sponda. Altrimenti, non essendo più giustificato il blocco nei riguardi della Turchia, dovremmo considerare se, come il governatore dell’Eritrea propone nell’ultima parte del qui unito telegramma, convenga prenderci una certa libertà d’azione, sebbene io sia riluttante a incoraggiare una linea di condotta che non sia basata sugli accordi e sui reciproci consensi.

Comunicazione dell’E.V. mi riusciranno tanto più gradite, quanto più presto mi perverranno, per poter dare al governatore dell’Eritrea una risposta che sia di rassicurazione per i commercianti arabi di Massaua.

562 1 Con T. 2943 del 3 giugno, Sonnino dispose in conseguenza l’accreditamento di L. 50.000«da prelevarsi su nota fondo guerra».

563 1 Non rinvenuto.

563 2 Si tratta in realtà del T. Posta 2796 del 24 aprile (qui D. 295). 3 Recte: n. 2796.

564

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 6877 SP. Parigi, 21 maggio 1919.

Trasmetto a codesto Ministero l’acclusa relazione del generale Segre1, della quale non posso non rilevare l’importanza e non condividere — di massima — gli apprezzamenti.

L’azione del generale Segre a Vienna — caratterizzata da una decisa e ferma linea di condotta a salvaguardia dei nostri interessi — è evidentemente svalutata dal-l’arrivo colà della missione Allizé, anche per le maggiori iniziative che sono a questi consentite dal suo rango e dalla sua posizione.

Pertanto, più che integrare la nostra rappresentanza militare di Vienna, come si era tempo addietro proposto, mi pare che oggi convenga, allo stato attuale delle cose, inviare addirittura a Vienna un ministro plenipotenziario di rango uguale a quello del sig. Allizé e di pronta capacità ed energia2.

ALLEGATO

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE PER L’ARMISTIZIO A VIENNA, SEGRE, AL COMANDO SUPREMO

RELAZIONE N. 10 RIS. PERS. Vienna, 12 maggio 1919.

Non può essere sfuggito a codesto Supremo Comando che, sin dal primo giungere a Vienna, ho risolto ogni mio sforzo ad assicurare alla missione tale prestigio sia presso le autorità governative, sia fra la popolazione di ogni ceto e di ogni razza, quale era azzardato ripromettersi per la rappresentanza di uno Stato nemico anzi, del nemico ereditario; e il risultato ottenuto, al cui conseguimento mi sono dedicato con appassionato fervore, è tanto più importante, se si consideri che, a malgrado della mirabile prova di virilità data dal nostro popolo durante la guerra di redenzione e dei vasti successi ottenuti nell’ultimo anno, la considerazione dell’italiano in tutta l’Austria non andava molto di là dal proverbiale mandolinista o del Katzelmacher, noto nomignolo imposto per dileggio al nostro combattente.

La via non era, però, allora irta di grandi inciampi: chi poteva contendermi il primato era soltanto il ten. col. Cunningham, rappresentante del Governo inglese; ma questi, già addetto militare a Vienna e molto in favore fra l’aristocrazia, non godeva di grande influenza presso

564 La nota fu inviata per conoscenza alla PCM.

1 Vedi Allegato.

2 Con n. 1679 del 23 maggio, Sonnino informava poi Diaz di disposizioni in corso «per un sollecito invio a Vienna di un funzionario di rango pari a quello del signor Allizé». In questa linea sarebbepoi stato trasferito da Budapest l’inviato straordinario e ministro plenipotenziario Livio Borghese (vediqui D. 717).

il nuovo Governo popolare. Egli, d’altra parte, si occupava soltanto di questioni politiche, avendo avuto ordini dal suo Governo di deferire a me le militari.

Ma, come già accennai con lettera n. 8030 S. del 5 corrente3 le cose cambiarono d’aspetto un mese fa circa, quando, come incaricato d’affari della Repubblica francese, fu destinato a Vienna il signor Allizé, accompagnato da una missione militare con a capo il generale Hallier.

In mie precedenti comunicazioni, ho già accennato alla vasta azione politica svolta dalla missione francese con alacre perseveranza, tanto che le sfere politiche ne furono subito influenzate e la stampa ne ebbe una profonda ripercussione. L’ampia iniziativa, di cui il ministro stesso sembra munito, doveva portare all’inevitabile, cioè che il posto preminente in Vienna che, con tanta costanza di sforzi m’ero procacciato, sta passando, e forse è già passato, dalla rappresentanza italiana a quella francese.

A parte ogni questione di persone, fattore principale di tale mutamento è che il sig. Allizé, nella sua qualità di ministro plenipotenziario, ha diretta comunicazione con Parigi, donde è tenuto al corrente nei più minuti particolari dell’intricata situazione politica in quest’ora. Anzi, forse perché i plenipotenziari italiani lasciarono temporaneamente la Conferenza della pace, l’Intesa si rivolge solo a lui per tutto quanto concerne l’Austria Tedesca e l’Ungheria: e le sue dichiarazioni, e le interviste, velate od aperte, nella stampa, si spargono per ogni dove in una con la sua influenza. Prova ne sia che la delegazione della Repubblica austro tedesca alla Conferenza della pace sarà accompagnata da un funzionario della missione francese; e che mi è stato impossibile di farvi viaggiare assieme il nostro cav. Alberti (della commissione interalleata del finanziamento), sebbene egli si rechi a Parigi nello stesso tempo e conosca parecchi di quella delegazione.

E ancora aggiungerò che, ad un pranzo offertogli la sera del 9 corrente dal sig. Allizé, questi mi chiese se intendessi opporre qualche veto alla composizione della delegazione suddetta, il che mi conferma che egli si è ingerito anche della scelta dei delegati; particolare, questo, molto edificante sull’attività, la libertà d’azione ed il prestigio dell’incaricato d’affari francese.

D’altronde, anche il ten. col. Cunningham riceve continue informazioni e direttive dal suo Governo e con esso corrisponde direttamente; e, come pel sig. Allizé, la sua azione ha quindi forte eco nella stampa e nei circoli governativi.

Di fronte a quell’attività politica, condotta dagli alleati col vigore che è loro solito e che, del resto, richiede il delicato momento che si attraversa, temo che la nostra opera avvizzisca, perché nulla di essenziale la vivifica. Non solo manco di comunicazioni dirette, ma anche indirette, poiché le mie richieste, le mie proposte, prima che giungano all’autorità che solo può decidere, debbono passare tale trafila che, ben spesso, non hanno seguito reale. E, del resto, neppure il comm. Macchioro, commissario politico per l’Austria Tedesca e il marchese Tacoli, commissario politico per l’Ungheria, sono per lo più in grado di tenermi al corrente della situazione politica.

In quest’atmosfera di ignoranza e, conseguentemente, di indecisione, sento venir meno il nostro prestigio, mentre ingigantisce quello degli alleati; e me ne preoccupo per il primo posto, che già ottenni all’Italia, e che dobbiamo qui continuare ad avere, anche per nostro interesse prossimo futuro.

Il destinare a Vienna, al posto del commissario politico, facente parte di questa missione, un ministro plenipotenziario cioè un elemento di posizione equivalente a quella del sig. Allizé, è a mio parere, il provvedimento più urgente per toglierci dalla penosa condizione di inferiorità nella quale ci troviamo di fronte ai francesi. Beninteso, con la naturale clausola che egli abbia pari iniziativa e riceva dal Governo direttive analoghe a quelle dell’incaricato d’affari francese.

Codesto Comando supremo ricorda come non abbia sotto qualsiasi forma sollecitato di essere destinato a capo di questa missione e che fui qui invitato [?] per impulso proprio di codesto Comando stesso. Per tale lusinghiero attestato non saprei esprimere sufficientemente la mia riconoscenza: ma se, per raggiungere una conveniente soluzione, si ritenga che la mia persona, la mia carica possano essere di qualche intralcio, si voglia disporre di me, come meglio si stimerà opportuno.

Perché la mia esposizione sia completa, debbo però, d’altra parte, fare presente come il sopprimere questo organico che così bene rende la missione, la quale ormai non è affatto più strettamente militare, sarebbe di grande, vero danno; e chiunque ripensi ai continui risultati tangibili che esso ottiene deve convenirne, anche se, lontano, non può ben rilevare né l’organizzazione, né il lavoro, né l’autorità.

E debbo, altresì, con franchezza, aggiungere che mutarne in questo momento il capo sarebbe probabilmente di danno non minore all’influenza nostra, perché quanto qui si è fatto e si continua a fare, è in misura predominante opera personale mia, di esplicazione e di integrazione, spesso di iniziativa, delle direttive di codesto Comando supremo, opera la cui importanza o il cui sviluppo hanno la prima base nel prestigio che ho qui saputo conseguire.

Prima di tutto, come ho già avuto da far presente, ciò deriva essenzialmente dal fatto che, all’indomani di una guerra di così lunga durata e vaste proporzioni, vi è tale concatenamento fra le questioni politiche e militari, che esse vanno, si può dire, di pari passo; onde avviene di sovente che trattando pratiche esclusivamente militari si invada, senza volerlo, il campo politico.

Ma poi — a parte ogni considerazione relativa alle persone — devesi altresì ricordare che il comm. Macchioro Vivalba, delegato del Ministero degli esteri, è commissario politico soltanto per la Repubblica austro tedesca, così come il marchese Tacoli lo è per l’Ungheria: onde qualsiasi questione che riguardi altri paesi del disciolto impero esula dalle sue competenze. Occorrendo quindi ai nuovi Stati, ove non esistono nostri rappresentanti, mettersi in relazione con noi — il che avviene di frequente — non resta loro che far capo a me o alle mie delegazioni.

Infine il mio grado, la mia autorità e una certa considerazione nei circoli pubblici di tutto l’ex Impero, porta molti uomini politici a rivolgersi direttamente a me.

Anche in questa comunicazione l’esposizione del mio pensiero può forse apparire improntata ad alquanta rudezza di forma. Codesto Comando supremo sa quanto sia profondo e radicato il mio ossequio alle autorità superiori; appunto perciò — pur di manifestare le mie opinioni con tutta l’esattezza che deve informarle e senza che ombra di dubbio possa sussistere, in modo che si possa giudicare su elementi chiari — preferisco rinunciare alle blandizie di uno stile meno deciso, ma, appunto per questo, meno intellegibile.

564 3 Non rinvenuta.

565

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 21 maggio 1919.

È ormai constata[ta] l’ostilità ed il partito preso dei rappresentanti alleati e americano contro gli interessi italiani nelle tre questioni principali: Adriatico, Asia Minore, Africa. Questo partito preso si viene ogni giorno accentuando non solo nelle commissioni ma specialmente, per quanto io posso saperne, nel Consiglio superiore. Nulla fa oggi prevedere che tale stato di cose sia per modificarsi. Esaminiamone le conseguenze col proposito di tracciare una possibile linea di condotta, di fronte al seguente speciale quesito:

Se si arriva al momento di firmare la pace con la prospettiva di soluzioni pessime, conviene o no all’Italia, pur firmando la pace generale, dichiarare che non si associa per una data questione che per essa rimane così aperta?

1) Adriatico. Per la questione adriatica, io sono d’avviso che conviene firmare ad ogni modo, qualunque sia la soluzione. Motivi:

a) La questione adriatica aperta costituirebbe tale una palla al piede da intralciare qualunque azione diplomatica avvenire. La diplomazia italiana resterebbe «handicapped» in ogni campo di attività e sempre soccombente.

b) La questione adriatica è così intimamente connessa con l’assetto generale europeo, che non firmare sarebbe equivalente a «uscire dalla pace». Non potremmo legittimamente opporci al dilemma: o tutto o niente.

2) Asia Minore. Le ipotesi sono tre:

I — Mandato all’Italia nell’Anatolia dalla zona di Adalia al Mar Nero (Eraclea) con limiti Armenia, Stato di Costantinopoli, Smirne greca. Questa eventualità fu prospettata da Lloyd George nello scorso febbraio e fu prospettata da Venizelos che offrì il suo concorso. Essa si contiene anche in embrione nell’attitudine della Delegazione italiana di fronte a Venizelos. Dopo i colloqui di Venizelos con S.E. Sonnino e S.E. Orlando, io fui mandato da Venizelos con lo scopo di ben precisargli quanto appresso (7 febbraio scorso): «La eventuale nostra rinuncia a Smirne in favore dei greci dipende da compensi che non sono in possesso della Grecia e per noi, piuttosto che rinuncia, si tratta di scambio contro altri vantaggi, altrimenti sarebbe distrutto il principio della equità e proporzionalità». Venizelos ne convenne e la discussione rimase sospesa solo circa la nota linea di Hypsiti (Scalanova) che io gli avevo posto come limite irrevocabile. Inoltre nella lettera del 6 febbraio che, per ordine del presidente del Consiglio e di V. E., io scrissi a Lord Hardinge è riaffermato il principio, senza però nominare Smirne, che eventuali nostre rinunce a favore della Grecia in Asia Minore, debbono comportare altri compensi in Asia Minore a favore dell’Italia.

565 Edita in SONNINO, Carteggio, D. 455.

Dopo di allora, come è noto, i plenipotenziari italiani decisero si dovessero trattare successivamente l’una dopo l’altra le tre questioni: Adriatica, Asia Minore, Africa e ciò per evitare abbinamenti. Quindi caddero gli scambi d’idee con Venizelos nonché le aperture di Lloyd George (progetto di lettera a Lloyd George del 13 marzo).

Ora, è possibile riprendere il negoziato sulla base stessa dello scorso febbraio? Io non credo, in quanto è ormai intervenuto il fatto compiuto greco a Smirne. Per noi Smirne non è più negoziabile.

Potremo, nonostante ciò, ottenere il mandato «Adalia-Mar Nero»? Ogni sforzo deve tendere a tale soluzione. Vi osta la nuova pretesa francese sull’Anatolia settentrionale in compenso di Adana. Quindi siamo in concorrenza con la Francia per la stessa regione, ma la Francia ha su noi il vantaggio del fatto compiuto nella regione da scambiare: essa occupa militarmente Adana.

II — Se, malauguratamente, dovesse cadere la suddetta soluzione, se ne affaccia una seconda e cioè che l’Italia abbia il mandato su tutta la zona dell’accordo agosto 1917 meno Smirne, cioè zona di Adalia, Konia e la Valle del Meandro con la ferrovia Smirne-Aidin e Scalanova (linea di Hypsiti).

Questa soluzione sarebbe a mio avviso accettabile. Vi sarebbe sempre il grave danno del sacrificio di Smirne senza compenso, e la perdita di Eraclea e del ricco vilayet di Kastamouni, ma il rimanente, specie la valle del Meandro con la ferrovia, costituirebbe un utile campo di sfruttamento. La valle del Meandro potrebbe, in tempo utile, negoziarsi contro nostre cessioni di isole del Dodecaneso.

III — Cioè mandato sulla zona di Adalia più Konia senza Meandro, ferrovia e Scalanova. (Del resto Scalanova senza la valle del Meandro perde ogni valore pratico).

Poiché i greci hanno ora ottenuto di occupare il Meandro e la ferrovia, ci troviamo di fronte ad un altro fatto compiuto. L’ipotesi suddetta diventa quindi probabile. Non esito a dichiararla inaccettabile. La zona di Adalia era già acquisita per effetto della guerra libica e formò oggetto di accordi con Inghilterra e Turchia. Si otterrebbe ora in più solamente Konia che ha un valore meschinissimo dal punto di vista economico. Cioè niente, in confronto dello statu quo ante bellum. Il valore di Konia è principalmente ferroviario, ma a condizione di avere un congruo tratto di ferrovia, ciò che non sarebbe il caso.

In questa ipotesi, a mio modesto avviso, converrebbe trovare un modo per lasciare, nei riguardi nostri, la questione d’Asia Minore aperta e impregiudicata dichiarando di attenerci alle nostre posizioni anteriori e rifiutando Konia.

Dirò in appresso quali prospettive con tale modus procedendi potrebbero forse presentarsi in avvenire.

3) Africa: la Francia ci nega nettamente Gibuti. L’Inghilterra sembra contraria a cedere la Somalia, se persiste il rifiuto di Gibuti da parte della Francia, e, del resto, la Somalia inglese, che val niente intrinsecamente, non ha valore alcuno, riguardo il problema abissino, se non abbia anche Gibuti.

Giarabub e la carovaniera Gadames-Ghat-Tummo non hanno valore apprezzabile.

Resta il Giubaland, che ha un significato intrinseco. Ma esso perde ogni valore se dovesse considerarsi come la soluzione del problema africano italiano in conseguenza della guerra. Il punto centrale del programma coloniale italiano consiste nel-l’accaparramento politico ed economico dell’Abissinia. Se questo viene a mancare, solamente una partecipazione proporzionale pei mandati sulle colonie tedesche potrebbe compensare. Qualunque combinazione economica al Portogallo riguardo l’Angola non avrebbe più valore.

Pertanto, se tale ipotesi si verificasse, io riterrei convenga, come per l’Asia Minore, che l’Italia, pur firmando la pace generale, dichiarasse impregiudicata nei suoi riguardi la questione africana sia rispetto all’articolo 13 del Trattato di Londra, sia rispetto ai mandati sulle colonie tedesche. Circa queste ultime, la riserva espressa da S.E. Orlando nella seduta del Consiglio superiore del 7 corrente offre utile punto di appoggio1.

***

Una decisione di lasciare aperte le questioni d’Asia Minore e d’Africa deve fon-darsi sopra una previsione dell’avvenire, e deve dipendere dall’apprezzamento d’una probabilità in base ai calcoli che si possono fare oggi. In altri termini, si può oggi prevedere che la pace quale è preparata sarà duratura? Si può prevedere che in tempo prossimo la Germania, sola od insieme ad alcuno degli attuali alleati ed associati nostri, riapra la questione delle sue ex colonie nonché la questione di Turchia da cui rimane ora esclusa?

Se a tali quesiti la previsione dei nostri dirigenti rispondesse in senso affermativo, allora non vi è dubbio che a noi convenga di seguire il modo di procedere suggerito.

***

Aggiungo alcune osservazioni in relazione a quanto sopra:

1) La clausola approvata mentre i delegati italiani erano a Roma che stabilisce la validità del trattato di pace con la firma di solo tre potenze maggiori fu commentata recentemente dal «Times» nel senso che con essa si mira all’Italia che potrebbe non firmare. Ciò significa che tale attitudine italiana è preveduta.

2) La spedizione nel Caucaso fu saggiamente decisa, ma da essa potremo in avvenire attenderci solo la stipulazione di qualche concessione mineraria e petrolifera,in quanto il risorgere della Russia ci impedirà verosimilmente di stabilire interessi politici in quella regione. Quindi il Caucaso non deve entrare in conto di compenso per Asia Minore.

3) Va tenuta presente la possibilità che anche la Rumania (questione del Banato e della Bessarabia) non firmi la pace. Sarebbe utile stabilire stretti contatti col Governo rumeno.

4) Nell’ultima seduta del Comitato per le colonie, Lord Milner volle subordinare l’accordo coll’Italia per l’articolo 13 al conseguimento definitivo dei mandati quale fu stabilito nel Consiglio superiore del 4 corrente. All’osservazione del ministro Simon che ormai è cosa fatta, Lord Milner ebbe un gesto come per dire che tutto è possibile e rispose: «La paix n’est pas encore signée». Ne deduco che gli inglesi stessi non escludono la possibilità di nuovi assestamenti coloniali di fronte alla Germania.

565 1 Vedi D. 427.

566

IL MINISTRO DEGLI ESTERI DELLA REPUBBLICA

DEL CAUCASO DEL NORD, BAMMATE,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. Parigi, 21 maggio 1919.

Immédiatement après la révolution russe, les peuples du Nord du Caucase et du Daghestan, ayant exprimé librement leur volonté à l’Assemblée générale de Wladicaucase (Mai 1917) formèrent une Union politique.

Lorsque la révolution bolcheviste a éclaté à Pétrograd (novembre 1917) cette Union a refusé de reconnaître le nouveau Gouvernement Russe, a rompu virtuellement toutes les relations avec les centres russes, et entra en guerre contre les bolcheviks.

Dès ce moment, les peuples du Caucase du Nord formèrent un état, créèrent un Parlement et un Gouvernement et existent tout à fait indépendants.

Le 11 Mai 1918, l’indépendance du nouvel état fut notifiée à toutes les puissances.

Les Alliés ont reconnu de fait l’existence du Gouvernement Nord-Caucasien par une lettre du Général Thomson, Commandant les troupes britanniques au Caucase, et représentant des Alliés, datée du 27 novembre 1918, et adressée au Président de mon Gouvernement. Une mission spéciale sous la conduite du Colonel Rolandson1, du service britannique, était accréditée auprès de mon Gouvernement à Temir-Khan-Choura.

Dans la lettre mentionnée ci-dessus, indiquant la reconnaissance formelle de l’existence de notre état, il était dit que la situation internationale de notre état, et toutes les questions litigieuses avec nos voisins (la Transcaucasie, les Cosaques et le Général Denikine au Nord) seraient réglées par la Conférence de la Paix et le Général Thomson nous demandait de collaborer avec les Cosaques et le Général Denikine contre l’ennemi commun, le bolchevisme.

En même temps, le Général Thomson, au nom des Alliés nous a donné l’assurance que le Général Denikine ne s’immiscera pas dans les affaires de la République Nord-Caucasienne, et il a particulièrement demandé à mon Gouvernement de permettre au Général Denikine de communiquer à travers notre territoire avec le Commandement Anglais à Bakou.

Après avoir reçu les assurances réitérées du représentant des Alliés, en ce qui touche Denikine, mon Gouvernement a concentré tous ses efforts pour lutter contre les bolcheviks.

Successivement les grandes villes de Wladicaucase et de Grozny qui étaient en possession des bolcheviks, après des combats acharnés, étaient prises (les derniers jours de Janvier) par les troupes Nord-Caucasiennes, sans aucune aide de la part de Denikine ou de tout autre Gouvernement.

Le 10 Février 1919, par une lettre adressée au représentant de notre Gouvernement dans le canton des Ingouches qui ont pris la plus grande part dans la bataille de Wladicaucase, le Général Thomson en exprimait ces félicitations et sa reconnaissan

ce pour le sauvetage des officiers britanniques qui étaient tombés entre les mains des bolcheviks, confirmait une fois de plus que le Général Denikine a pour but unique la lutte contre les bolcheviks et demandait à nouveau notre aide pour cette lutte et assurait qu’il n’y avait lieu à aucun malentendu entre les peuples Nord-Caucasiens et le Général Denikine.

Cependant la conduite du Général Denikine était en contradiction flagrante avec les assurances du représentant britannique et des alliés. Ses troupes qui étaient dirigées contre Wladicaucase et qui sont venues après la prise de la ville par les troupes du Gouvernement Nord-Caucasien, ont commencé les hostilités contre les troupes d’occupation de mon Gouvernernent.

Le Général Denikine a exigé par un ultimatum: le désarmement du peuple ingouche, la cession de Grozny (centre pétrolifère) à son Gouvernement, l’enrôlement des peuples Caucasiens dans l’Armée Volontaire, le paiement d’une contribution de 120 millions de roubles par le canton des Ingouches et de 30 millions de roubles par celui des Ossètes.

Les troupes de Denikine ont procédé sur le territoire de la République Nord-Caucasienne aux réquisitions forcées du bétail et des produits alimentaires. Enfin le Général Liakhof, nommé Général Gouverneur de la province du Terek et du Daghestan par Denikine a notifié formellement à mon Gouvernement l’ordre de se dissoudre.

En présence de ces faits inouis de violation du droit des gens et de l’abus commis par le Général Denikine dans la confiance que la République du Caucase avait dans les paroles du représentant des Alliés, le Général Thomson, mon Gouvernement avant de recourir à la force des armes a protesté plusieurs fois auprès de lui à Bakou et a demandé son intervention pour éloigner les armées de Denikine du territoire de la République du Caucase du Nord. Toutes ses demandes auprès du Général Thomson sont restées sans suite et sans effet.

Entre temps, tous les Gouvernements voisins, notamment de la Géorgie, de 1’Arménie et de 1’Azerbaidjan, qui ont pris connaissance des évènements du Nord du Caucase ont également protesté auprès du Commandement anglais, représentant les Alliés.

Le Parlement et le Gouvernement d’Azerbaidjan ont résolu de prêter à mon Gouvernement leur aide morale et matérielle sans réserve.

Le 27 Mars, trois bourgs non loin de la ville de Grozny étaient attaqués par les troupes du Général Denikine, détruits et saccagés. Les femmes et les enfants étaient abominablement massacrés.

Etant obligé de se défendre contre l’agresseur, mon Gouvernement a lancé un nouvel appel au général Thomson et ordonné les hostilités.

Les troupes Nord-Caucasiennes ont infligé une sanglante défaite aux troupes des Volontaires et le Général Denikine était obligé de demander un armistice.

L’action de Denikine, dont les armées ont été organisées par les Alliés et surtout par l’Angleterre pour combattre le bolchevisme, contre notre république est un attentat à notre indépendance et aux principes de liberté, de justice et de libre disposition des peuples, principes pour lesquels les puissances alliées et associées ont combattu pendant quatre ans; en même temps son action contre nous, constitue une trahison dans la lutte que tous les alliés, d’accord avec nous, ont entreprise contre le bolchevisme.

Par conséquent, Excellence, au nom de mon Gouvernement, je proteste de la façon la plus énergique contre l’attentat du Général Denikine à l’égard de notre pays, et nous demandons au Gouvernement Italien, au représentant duquel le Gouvernement de notre pays a fait crédit de confiance en vue de la collaboration commune avec Denikine contre les bolchevistes, d’ordonner au dit Général, afin que celui-ci retire ses armées de notre territoire et qu’il répare les immenses dégâts qu’il nous a causés.

Je me permets d’autre part, de porter à la connaissance de Votre Excellence, que tout concours militaire ou financier accordé aux anciens serviteurs des Czars qui ont si mal gouverné l’ancien empire Russe et qui ont laissé dans la mémoire de tous les peuples de ces contrées de très lugubres souvenirs, fortifie automatiquement et logiquement la situation des Bolchevistes.

D’un autre côté, l’action de Denikine contre la République de l’Union a produit dans toutes les républiques de la Transcaucasie une pénible impression et a soulevé l’indignation des populations qui considèrent l’attentat à l’indépendance de la République de l’Union des Peuples du Caucase du Nord, comme un attentat à leur propre indépendance, car l’histoire et la stratégie leur enseignent que le Maître du Nord du Caucase peut dominer incontestablement la Transcaucasie et les autres pays du Sud.

Il résulte clairement des derniers évènements que tout concours accordé, de la part des Alliés, au Général Denikine, qui travaille à la restauration de la grande Russie une et indivisible dans ses limites d’avant 1914, produit des effets nuisibles aux intérêts supérieurs des Alliés et porte atteinte à leur prestige moral, dans cette partie du monde.

Pour ces considérations de la plus haute importance, nous croyons que le Gouvernement Italien refusera dorénavant tout crédit et tout concours militaire à Denikine qui abuse de sa confiance et qu’au contraire il soutiendra mon Gouvernement dans notre lutte pour notre indépendance et contre l’anarchie du bolchevisme.

566 1 Recte Rowlandson.

567

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1399/755 PERS. RR. Londra, 22 maggio 1919, ore 10,20 (perv. ore 12 del 23).

Re Giorgio ha ricevuto stamane nostro antico e nuovo addetto militare1. Sua Maestà ha fatto gravi dichiarazioni che riassumo scrupolosamente sotto forma discorso, quale mi è stato riferito due generali:

«Questione Fiume è tutt’altro che prossima risolversi. Parlare di altri compensi altrove si sposta completamente base complessa problema generale. Io non so come andrà a finire. Personalmente temo che finiremo per combattere tra noi alleati. E ad ogni modo i tedeschi credo che non firmeranno pace. E se non firmano che

cosa faremo noi? È un peccato che essi non siano stati subito ammessi Conferenza pace. Forse a quest’ora tutto sarebbe stato risoluto. Come è inconcepibile che essi siano tenuti fuori Lega se alla Lega si deve credere: io non ne vedo possibilità allo stato delle cose».

Candidamente permettomi riferire V.E. che discorso del re acuisce un dubbio sortomi in questi ultimi giorni e cioè se assolutamente ci convenga affrettare definizione nostro problema pace. Mio dubbio si è formato in seguito: 1) Delineantesi nervosismo circa eventualità rifiuto Germania firmare trattato pace; 2) Unione partito laborista con liberali dissidenti (mio telegramma 742)2 per emendamenti al trattato stesso; 3) Minore resistenza da parte gruppi finora a noi ostili a ricevere nostre delucidazioni ed obiezioni circa problema adriatico; 4) Più aperto appoggio al medesimo problema da parte partito conservatore (circa cui mi riservo riferire); 5) Questioni oriente (mio telegramma 754)3 che si prospettano qui sotto un punto di vista sempre più destinato a produrre nuove complicazioni anche fra altri alleati; 6) Favorevole disposizione britannica a riconoscere Governo nazionalista russo (mio telegramma 754), eventualità che produrrà possibilmente dissenso tra Wilson e Lloyd George; 7) Impressione prodottami da un lungo discorso confidenziale di Tyrrell incline a credere quasi impossibile raggiungimento pace a causa attuale tendenza e direttive prevalenti a Parigi specie in Delegazione inglese. Devo confessare per altro a V.E. mio timore che influenze predetti sintomi su eventuali nostre convenienze a temporeggiare sia (...) in certo modo dai (...) per noi nel riconoscimento ed ammissione Russia nazionalista al Congresso pace. In ogni modo eventuale temporeggiamento in soluzione nostra questione dovrebbe apparire esclusivamente, più di quanto la realtà non sia, prodotto da persistenti difficoltà interalleate circa nostra questione specifica.

567 1 Si tratta del generale Armando Mola e del generale Ippolito Perelli, che lo sostituiva.

568

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 9297 G. Abano, 22 maggio 1919, ore 16.

Console austro tedesco Hoffinger delegato Ministero esteri Austria Tedesca presso il Governo provinciale Carinzia ha rimesso al comando divisione militare Tarvis una richiesta diretta a questo Comando, intesa ottenere occupazione della Carinzia da parte truppe italiane scopo impedire ripresa ostilità da parte jugoslavi che intendono rioccupare posizioni perdute dopo combattimenti 28 e 29 aprile u.s. e scopo garantire trasporti ferroviari per vettovagliamento Austria Tedesca et Czeco-Slovacchia. Locali

3 Con il T. 754, di pari data, Preziosi aveva segnalato una propensione inglese per il prontoriconoscimento del Governo nazionalista di Kolciak, e d’altro canto un movimento per la preservazionedella Turchia musulmana sotto protezione inglese.

568 Il telegramma fu inviato per conoscenza al MAE, a Diaz a Torino e alla DICP Sezione militare.

tà che Governo austro tedesco propone occupare sono: Arnoldstein, Furnitz, Villach, St. Yakobi, R. Ferlach, Eberndorf, Pravaliz, Miess Dorf e Lavamund con sede comando Klagenfurt. Mentre si invia subito a codesta presidenza testo della richiesta inoltrata1, si fa presente con riferimento a quanto si ebbe prospettato con telegramma n. 19275 G.M. del 3 corr.2: I) Nel caso venisse decisa l’occupazione è indispensabile poter disporre di quattro brigate attualmente in paese a disposizione Ministero della guerra per ordine pubblico. II) Questo Comando si riserverebbe di determinare una conveniente dislocazione del corpo d’occupazione in Carinzia che pur rispondendo alle necessità militari eviti soverchio disseminamento delle truppe3.

567 2 Del 20 maggio. Non pubblicato.

569

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. 563. Parigi, 22 maggio 1919, ore 17.

A telegramma posta n. 86551.

Approvo invio telegramma proposto al punto 1. Concordo con parere Ministero colonie circa punto 2. Circa punto 3 non è il caso di inserire speciale clausola trattato pace essendo di nostro pieno diritto consentire o meno ritorno in Libia di Sidi Ahmed. Conte Sforza potrà far conoscere a Sublime Porta di tale nostra decisione perché ne avverta Sidi Ahmed.

570

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO

T. 375. Roma, 22 maggio 1919, ore 21.

Don Livio Borghese comunicando da Budapest1 arrivo colà marchese Tacoli e missione militare comandata da tenente colonnello Murari cui generale Segre avrebbe dato attribuzioni rappresentante Regio Governo, esprime timore che tale missione (a meno che non abbia scopo pratico definito) possa dare impressione nostro riconoscimento e appoggio attuale Governo. In ogni modo egli ha espresso opinione che

2 Non rinvenuto.

3 Vedi D. 604.

avere tre persone che con veste differente trattano separatamente con quel Governo possa dar luogo inconvenienti e diminuire efficacia serietà trattative. Pertanto, allo scopo di coordinare e unificare azione nostra rappresentanza Budapest, S.E. Sonnino propone a V.E. di definire attribuzioni tenente colonnello Murari il quale dovrebbe limitarsi trattare come emissario Commissione Vienna questioni relative esecuzione clausole militari armistizio, rimanendo questioni politiche affidate nostro funzionario diplomatico anche lui con veste emissario Commissione Vienna. Tale funzionario sarà principe Borghese2. Tacoli ha ricevuto ordine rimpatriare. Prego V.E. voler impartire opportune istruzioni generale Segre e tenente colonnello Murari dandomi cortese assicurazione.

568 1 Non si pubblica. La richiesta, a firma del delegato austro-tedesco presso il Governo provinciale della Carinzia console Hoffinger, è del 21 maggio. Un ulteriore sollecito fu presentato da Hoffingeril 23 maggio.

569 1 Vedi D. 229.

570 1 Vedi D. 416.

571

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 22 maggio 1919.

Rinnovo l’espressione di scuse presso Vostra Maestà per non aver telegrafato ieri l’altro sera e ieri, e ciò perché fu omesso di portare il cifrario speciale. Il Consiglio dei ministri di ieri1 riconfermò la solidarietà del Gabinetto. Tutti i colleghi riconobbero che la situazione era sempre assai grave, ma che d’altra parte la linea che si era seguita e si intendeva seguire era la sola possibile. Fu anche considerata l’utilità nell’interesse del paese di determinare una crisi ministeriale. Tutti i colleghi furono d’accordo nell’escludere ciò, meno Crespi, il quale si riservò il suo giudizio. Spero che egli non insista in una azione individuale estremamente dannosa al paese, in tanto più in quanto Barzilai ha avuto il grande patriottismo di riassumere la sua funzione di delegato. Qui nelle ultime quarantotto ore vi è stato un attivissimo movimento per cercare una soluzione del problema italiano: ciò deriva da una grande quantità di indizi concordanti.

Evidentemente per riassumere siffatto movimento, stamane il colonnello House aveva chiesto di vedermi ma successivamente ha disdetto l’appuntamento. Evidentemente è sorta qualche nuova difficoltà. La mia prognosi rimane estremamente riservata. Per ciò che riguarda messaggio all’esercito2 ho fatto in modo che domattina possa essere trasmesso a Vostra Maestà.

2 Vedi D. 507, nota 2.

570 2 Notizia di queste disposizioni fu data a Borghese, in pari data e ora, con T. 374 di Borsarelli. 571 1 Si tratta del Consiglio dei ministri ristretto tenuto a Oulx il 21 maggio.

572

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 1546. Parigi, 22 maggio 1919, ore 22,50 (perv. il 23).

Seduta antimeridiana dei Quattro destinata risposte ai delegati tedeschi. Seduta pomeriggio fu occupata dalla questione riparazioni da includere nella pace con Austria. Nel complesso le soluzioni adottate ci sono molto favorevoli salvo purtroppo la questione del tonnellaggio adriatico. [Tuttavia anche per questa ultima fu accettato che un accordo interalleato avesse studiato tutti i modi che possano attenuare il danno dei porti Adriatico]. Vi è quindi ragione di sperare che qualche rimedio si trovi. Wilson cercò di risollevare la questione di esoneri nuovi Stati dell’Austria Ungheria di concorrere nelle riparazioni: ma questo principio non prevalse e si mantenne il principio opposto. In complesso dunque per questa parte economica la soluzione deve apparire soddisfacente.

573

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 11508. Roma, 22 maggio 1919, ore 24.

RELAZIONI COMMERCIALI ED ECONOMICHE ITALO-GERMANICHE

Comunico, per opportuna notizia di Vostra Eccellenza, il seguente telegramma del Comando supremo dell’esercito (Segretariato generale degli affari civili):

«Per incarico Comando supremo esercito germanico, capitano Viebahn ha consegnato personalmente al capo missione italiana armistizio Vienna un memoriale che, tradotto, ha seguente tenore:

“Riferendomi ai motivi già esposti a voce alla S.V, il 3 aprile, sono stato oggi incaricato espressamente dal Comando supremo dell’Esercito di cooperare all’istradamento delle relazioni commerciali ed economiche fra Italia e Germania dal punto di vista delle necessità e opportunità. Questo incarico lo adempio riferendomi alla situazione politica.

Le trattative in Parigi indicano che la Francia è disposta a raggiungere ad ogni costo, e prima di tutti, il suo scopo, rovinando se è possibile la Germania. Questo

572 Lo stesso testo fu inviato a Vittorio Emanuele III, in pari data, con l’esclusione del periodorelativo all’ipotesi di un accordo interalleato per il tonnellaggio adriatico (qui tra parentesi quadre).

può, se sopra tutto avverrà, essere raggiunto solo in questo momento e, considerato dal punto di vista francese, non sembra ingiustificato. Pertanto in Germania si propaga la corrente bolscevica. Ma nello stesso tempo anche l’Europa latina verrà coinvolta; e, poiché questo pericolo senza dubbio è minaccioso, non viene preso a parere nostro, buoni conoscitori del bolscevismo, troppo in considerazione dalla Francia.

Le nazioni dell’Intesa possono trarre un utile solo da una Germania commerciale capace, prima di tutto l’Italia con la quale la Germania fu sempre nelle più strette relazioni commerciali; a questo riguardo anche la guerra mondiale nulla ha cambiato. Anche il presidente Wilson ha la ferma intenzione di appoggiare la Germania per creare una barriera solida contro il pericolo asiatico. Questo scopo, dato l’essere bolscevico e il carattere dei tedeschi, è solo da raggiungersi con l’introduzione di viveri e per conseguenza con il lavoro.

La Germania sarà salva, ed allora vi è la possibilità che anche gli altri popoli d’Europa siano conservati liberi. Da questa riflessione il Comando supremo dell’esercito è venuto alla persuasione che il Governo italiano otterrà un grande merito contribuendo al benessere dell’avvenire. A prescindere da questi grandi punti di vista, la ripresa del commercio italiano d’esportazione è un impulso al quale bisogna particolarmente riferirsi. Pertanto è indubitabile che, date le misere condizioni attuali dei mezzi di trasporto, data la lunga guerra, in una parola a circostanze cambiate, dovranno essere intavolate delle lunghe trattative prima di addivenire ad uno scambio propriamente detto.

La mia intenzione è pertanto quella di incominciare le trattative già adesso e condurle fino a tanto che alla conclusione della pace il primo vagone possa partire da ambo le parti. Sopra tutto intendo far notare che con il principio delle trattative commerciali non venga per nulla menomata l’attività ed i diritti delle commissioni di Parigi. Per questo motivo anche l’Ufficio tedesco per gli esteri si è occupato della faccenda.

Prego la Signoria Vostra di voler comunicare per incarico del Comando supremo dell’esercito quanto sopra esposto al Comando supremo italiano, e di farmi recapitare a suo tempo una risposta scritta.

Se come semplice capitano sono stato incaricato della rappresentanza del Comando supremo dell’esercito e provveduto delle necessarie autorizzazioni, prego la Signoria Vostra di volerne ricercare la ragione solo nel fatto che per ora la Germania, date le condizioni attuali, non crede opportuno inviare una rappresentanza di maggior valore. Georg von Viebahn”.

Nell’illustrare verbalmente considerazioni contenute nel memoriale, capitano Viebahn ha tenuto a significare, in risposta ad analoga obbiezione fattagli dal generale Segre, che in Germania impulso direttivo a tutte le relazioni con estero parte sempre dal Comando supremo e che il Governo segue in ciò questo fedelmente. Non appena da parte dell’Italia venisse acconsentito a conversazioni preparatorie, verrebbe destinato rappresentante Governo germanico a trattare con uno di quello italiano e incontro potrebbe avvenire a Vienna presso Missione o altrove a nostra scelta.

Generale Segre, con lettera 18 corrente, n. 779 A.C.1, chiede istruzioni ponendo in evidenza necessità di non arrivare ultimi.

Pregasi comunicazione al riguardo».

Ho risposto al telegramma suddetto pregando il Comando supremo di far comunicare al capitano dell’esercito tedesco von Viebahn di rivolgersi all’uopo alla missione militare italiana in Berlino.

573 1 Non rinvenuta.

574

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 121.41. Roma, 22 maggio 1919.

Capo di Stato maggiore della Marina comunica seguente telegramma da Smirne:

«Smirne 18 maggio — Situazione città relativamente calma. Nostra colonia niente di nuovo. Con sentenza Corte marziale istituita mantenimento ordine pubblico fucilato un soldato greco un civile greco per saccheggi. Invece situazione dintorni va facendosi grave per saccheggi incendi massacri mentre preparasi reazione turca. Pare verso Magnesia, Soma, Alascirafi, Unkaraisar stanno organizzando bande turche che disporrebbero molti uomini fucili cannoni munizioni. Generali previsioni qui sono vadasi incontro condizioni difficili. Seguito accordi nave ammiraglia inglese distaccamenti interalleati ritirati forti che sono stati ceduti greci. Duilio».

575

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE PER L’ARMISTIZIO A VIENNA, SEGRE, AL COMANDO SUPREMO

T. 9542 S. Vienna, 22 maggio 1919.

Ieri sera questo Ministero degli affari esteri presentommi nota con la quale mi comunica seguente proposta fatta a Klagenfurt 16 corrente dai delegati austro-tedeschi a quelli jugoslavi prima della loro partenza: delegato austro-tedesco propone che

575 Il telegramma fu trasmesso per conoscenza dal Comando Supremo per corriere al primo aiutante di campo del re, alla PCM, al Ministero della guerra, al MAE Gabinetto nonché alla DICP Sezionemilitare, con T. 9275 dello stesso giorno. Sul testo in arrivo alla Sezione militare annotazioni ms. di DeMartino del 24 maggio: «È necessario che in questa controversia la Delegazione italiana prenda essa tuttele iniziative. Non c’è motivo di lasciarla ai francesi o ad altri. Ciò anche per l’armistizio di Villa Giusti.Mi pare quindi come prima cosa i tre ambasciatori ne potrebbero intrattenere i tre Governi. E mi pare cheuna volta fatta la proposta non c’è che raccomandarla in relazione alla questione di Assling». A margine:«Comunicare S.E. Orlando». Sul testo a MAE Gabinetto altra annotazione ms. di De Martino del 3 giugno: «Vannutelli. Sarebbe utile se i nostri plenipotenziari avessero pronti tutti gli elementi per poter prendere la direzione di questa questione quando sarà discussa nei 4, 5, 8 o 10».

ambo contendenti preghino Consiglio delle quattro grandi potenze di fare regolare provvisoriamente situazione militare in Carinzia da tribunale di arbitri o da altri mezzi ritenuti migliori in attesa trattato pace.

Colla stessa nota che invio col primo corriere sono pregato di raccomandare di urgenza suddette proposte al Governo italiano.

576

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. A MANO 6560 SP. URG. Parigi, 22 maggio 1919.

In risposta al foglio 01565 del 16 corrente1 si esprime parere che non convenga pensare ad una nostra spedizione in Ungheria.

577

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 6918 SP. Parigi, 22 maggio 1919 (perv. il 23).

Compiuti gli sbarchi previsti in Asia Minore, considerazioni d’indole militare consigliano di dare al nostro corpo di spedizione forze e mezzi proporzionati ai compiti che gli saranno affidati.

Pregasi pertanto compiacersi indicare:

1) Quale sarà la vera portata della nostra occupazione in Anatolia. 2) Se le nostre truppe dovranno limitarsi ad una occupazione costiera. 3) Se è prevedibile l’eventuale occupazione d’altre località.

Il Comando supremo chiede d’urgenza tali comunicazioni.

577 Il foglio fu inviato per conoscenza al Comando supremo, Ufficio operazioni.

576 1 Non rinvenuto.

578

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE, TACOLI

T. 566. Parigi, 23 maggio 1919 (perv. ore 12).

Suo telegramma n. 1141.

È consigliabile proseguire e perfezionare trattative commerciali con Ungheria e preparare per spedizioni viveri. Non sarà possibile però dare esecuzione alle suddette trattative ed effettuare spedizione sinché non si sarà costituito Governo ungherese responsabile. Non esistono però restrizioni per territori ungheresi non sottoposti al Governo bolscevico ed è importante dal punto di vista politico che viveri siano spediti a Budapest non appena sarà costituitosi Governo responsabile.

579

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 1560 P. Parigi, 23 maggio 1919, ore 19,45 (perv. ore 21,15).

Nel pomeriggio di oggi Clemenceau mi ha parlato di incidenti accaduti in Italia contro Francia più particolarmente alludendo ad insulti ad ufficiali francesi e al fatto che la Marsigliese sarebbe stata fischiata. Questi fatti sarebbero accaduti sopratutto a Milano ma anche a Torino e Genova. Il fatto che tu non me ne hai dato comunicazione dovrebbe farmi credere che gli incidenti non abbiano gravità. Tuttavia Clemenceau ha insistito nel dichiarare essere nello interesse di tutti di evitare che simili casi si ripetano ed ha quindi fatto allusione esplicita al completo ritiro dall’Italia delle truppe francesi che ancora vi risiedono. Alluse pure ad un passo che in tal senso avrebbe fatto Barrère presso di te1. Non ho ancora ricevuto da te comunicazione di tale passo ma l’attendo. Io debbo dare domani una risposta a Clemenceau circa la sua

578 Commissario politico a Budapest dal 5 maggio, Tacoli aveva ricevuto ordine di rimpatrio il22 e si trovava a Vienna, sulla via del ritorno (vedi poi D. 817, nota 1).1 Del 17 maggio. Non pubblicato.

precisa domanda concernente il ritiro delle truppe francesi dall’Italia. A parte quindi quanto tu sarai per comunicarmi nel telegramma che mi attendo richiamo la tua attenzione su questo punto specifico intorno al quale desidero di avere da te una risposta ugualmente precisa.

579 1 Resoconto del passo di Barrère è in un telegramma delle ore 19,10 di Colosimo, evidentemente ancora non pervenuto ad Orlando alle ore 19,45. Colosimo ne riparla comunque nel T. 1564 P. delle ore 23,55, aggiungendo altre notizie sulla situazione dell’opinione pubblica e sostanzialmente minimizzando gli incidenti antifrancesi, e poi più dettagliatamente in un altro telegramma, delle ore 20,30 del25 maggio.

580

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1437/639. Costantinopoli, 23 maggio 1919, ore 20 (perv. ore 9 del 26).

Ho segnalato accrescimento della influenza britannica. Se sorge una nuova formula di Costantinopoli ed Anatolia allo Stato turco il nostro mandato può venire posto in discussione perché sarebbe il solo ad intaccare la massa turca, mentre si può fingere di credere greca Smirne. Di un siffatto stato di spirito mi sembra vedere germi in questi circoli britannici. Nella decisione l’opinione turca non avrà influenza; comunque, malgrado le apparenze di simpatia italiana, la inclinazione sarebbe quella più forte. Se la forma di uno Stato turco senza espressi mandati venisse ad imporsi, il che equivarrebbe all’egemonia inglese qua, è chiaro che qualsiasi compenso coloniale sarebbe insufficiente di fronte a ciò ed alle acquisizioni arabe di Inghilterra e diFrancia. È fuori discussione il Caucaso che può per noi costituire un disastro. Mi domando se una soluzione non potrebbe trovarsi in un nostro mandato per l’Armenia con cessione a noi di Adana che ne costituirebbe lo sbocco e che riuniremmo ad Adalia a nostro titolo fuori dalla forma Armenia. Francia potrebbe compensarsi coi vilayet semi arabi del retroterra Siria.

581

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1410/886. Vienna, 23 maggio 1919, ore 22 (perv. ore 13 del 24).

Mio telegramma n. 881 di ieri1.

Ho parlato con von Pflügl, sottosegretario esteri, il quale mi ha assicurato che Allizé non sarebbe stato a Innsbruck. Von Pflügl si è anzi lamentato della missione francese che fa molte promesse senza sapere se sarà in grado di mantenerle. Accennandomi ad alcuni notevoli articoli comparsi recentemente nella stampa locale, nei

quali è detto che il progetto francese di una futura federazione danubiana si risolve nel fare dell’Austria-Tedesca uno degli Stati vassalli degli czecoslovacchi e degli jugoslavi, mi disse che Governo austro-tedesco condivide tale modo di vedere. Ritiene che per ora sarà difficile ottenere unione Austria-Tedesca alla Germania. Egli è invece personalmente favorevole ad un altro progetto che non incontrerebbe opposizione Francia e toglierebbe ogni preoccupazione all’Italia di vedere sorgere una federazione danubiana, quello cioè di costituire una confederazione fra Austria-Tedesca e Baviera nonché altri Stati della Germania meridionale staccandosi dalla Prussia. Disse che in Baviera esiste un forte partito che lavora in questo senso e fonda grande speranza nel principe ereditario Ruprecht.

581 1 Non pubblicato. Dava notizia della possibile presenza di Allizé a Innsbruck il 19 o il 20 maggio e di una intervista politica sulla questione dell’Alto Adige.

582

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 23 maggio 1919.

Nella riunione antimeridiana si trattò la questione della restituzione dei prigionieri, ed io riuscii ad evitare di fare approvare una deliberazione preparata dai tecnici, secondo cui l’Italia avrebbe dovuto restituire immediatamente i prigionieri di tutte le nazionalità che non fossero austro-tedeschi ed ungheresi. La discussione delle condizioni militari rimise in questione il disarmo generale di tutti i popoli dell’ex monarchia e si deliberò un rinvio ad ulteriore discussione che avverrà non più fra i tecnici ma fra i capi di Governo. Nella riunione pomeridiana si esaminarono questioni non interessanti per noi. Bensì Clemenceau richiamò la mia attenzione sugli incidenti avvenuti in Italia contro ufficiali francesi1, e mi chiese se non fosse il caso di ritirare tutte le truppe francesi che ancora sono in Italia, per evitare il ripetersi di tali incidenti. L’intonazione di Clemenceau relativamente al suo carattere ed alla gravità del-l’argomento fu abbastanza moderata. Risposi che non avevo relazioni precise su tali incidenti e che me ne sarei informato. Rilevai che effettivamente esiste in Italia uno stato di vera esasperazione giustificata dalla sospensione delle vitali questioni nazionali, e aggiunsi che ciò spiega l’esplosione del sentimento pubblico in forme che io certamente deploravo. Veramente solenne e unanime fu la odierna manifestazione del Senato e della Camera francese per l’Italia. Per tutto il resto non si ha nessuna novità. Questa mancanza di notizie basterebbe per far credere che la transazione proposta da House si è fermata per via, di fronte all’intransigenza di Wilson specialmente relativa alla Liburnia. Una conversazione avvenuta oggi fra il senatore Marconi e il presidente Wilson confermerebbe tale sgradevole constatazione. Stamane Lloyd George mi disse che egli ritiene fra due o tre giorni la nostra questione debba essere coraggiosamente affrontata e risoluta nel miglior modo possibile. Tuttavia, dopo la dura esperienza, io non fo assegnamento su tali assicurazioni. Credo che fallendo la possibilità

di mezzi conciliativi, a noi non resti che rimanere nella linea difensiva del Patto di Londra. Una tale attitudine finirebbe con determinare una soluzione buona per noi, ma purtroppo l’attuale stato di animo del popolo italiano (per altro pienamente giustificabile) rende molto dubbiosi circa il sapere se potrà serbare la calma che occorre per l’attuazione di quel programma. Ciò corrisponde all’autorevole impressione manifestata da Vostra Maestà nel telegramma odierno2, di cui La ringrazio. Vostra Maestà vede bene come io fo il possibile per sollecitare una soluzione; ma mi è impossibile discendere al di sotto di limiti veramente insorpassabili.

582 1 Vedi D. 579.

583

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1846/71. Addis Abeba, 23 maggio 1919 (perv. ore 24 del 26).

Mi riferisco suo telegramma 10528 del 13 maggio1 ricevuto solo oggi. Credo poter smentire tassativamente notizia del «Matin» circa incarico affidato missione etiopica in Francia presentarsi Conferenza pace per chiedere protettorato Francia su Abissinia. Agirò presso il ras degiac Tafari nel senso ordinatomi da V.E.2.

584

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1403/216. Parigi, 23 maggio 1919 (perv. il 24).

Facendo seguito al mio telegramma n. 1691 mi affretto a trasmettere in copia all’E.V. una nota che ho testé ricevuta dal signor Pichon sulla questione dello sgombero del Montenegro.

Come l’E.V. vedrà il Governo francese afferma il principio che le nostre truppe in quello Stato, quindi anche il presidio italiano d’Antivari, si trovano sotto il comando dell’Esercito d’Oriente. Prego V.E. di volermi porre in grado di far conoscere al signor Pichon quale è a tale proposito il modo di vedere del Governo del re.

583 Il telegramma fu trasmesso via Asmara il 25 maggio.

1 Non pubblicato.

2 Vedi poi D. 605.

«Monsieur l’ambassadeur,

Par une note du 22 avril V.E. m’a fait savoir que la situation s’était modifiée au Monténégro et que le Gouvernement Italien n’était plus, dès lors, favorable à une évacuation de ce pays par les troupes alliées. A la suite de cette communication, le Gouvernement de la République, entrant dans les vues du Gouvernement Royal, a fait modifier les instructions qui avaient été données au Général Commandant en Chef les armées d’Orient en vue de l’évacuation du Monténégro. Cependant, le Général Franchet d’Esperey vient de rendre compte au Maréchal Foch que le Lieutenant-Colonel Chiesa a écrit, le 10 mai, au Général Commandant les troupes alliées au Monténégro, que le détachement italien d’Antivari dépendait uniquement des autorités supérieures italiennes.

J’ai l’honneur de demander à V.E. de vouloir bien porter cet incident à la connaissance du Gouvernement Royal, afin que le Commandant des troupes italiennes au Monténégro soit avisé que, ce pays demeurant soumis à l’occupation militaire interalliée, les troupes d’occupation demeurent placées sous les ordres du Général français. Pichon, Paris, le 22 mai 1919».

582 2 Non pubblicato.

584 1 Del 22 aprile. Non pubblicato. Vedi D. 252, nota 1.

585

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. POSTA 1659. Parigi, 23 maggio 1919.

Rispondo al foglio n. 6300 SP. del 21 maggio1.

Governo francese col quale venne condotta pratica circa sgombero truppe serbe da territori albanesi entro confine 1913 ha recentemente dato a Regia Ambasciata Parigi risposta scritta comunicando l’assicurazione che il generale Franchet d’Esperey aveva ricevuto dal voivoda serbo Micic che le truppe serbe avevano ordine formale di non varcare frontiera orientale albanese e che dovunque questi ordini erano stati rispettati. Il generale Piacentini al quale avevo chiesto informazioni al riguardo mi rispondeva con suo telegramma n. 3980 OP.2, segnalando tre nuclei di truppe serbe entro frontiera albanese. Ho pertanto incaricato il regio ambasciatore in Parigi di attirare attenzione del signor Pichon sulla contraddizione fra le assicurazioni del voivoda Micic e lo stato di fatto.

È da prevedere che da parte serba si continuerà a tirare le cose per le lunghe forse creando equivoco sulla frontiera albanese per la quale, mentre noi designiamo quella stabilita a Londra nel 1913, i serbi fingeranno intendere quella da essi tracciata sulla carta annessa alle richieste territoriali presentate attualmente al Congresso. Prego pertanto volermi informare se in conformità precedente progetto di occupazione intero territorio albanese sia già avvenuta istituzione di nuovi distaccamenti italia

2 Non rinvenuto.

ni nelle regioni occupate dai serbi e nel caso contrario volermi dire se preparazione per tale occupazione sia completa.

A questo proposito, mi richiamo al foglio di cotesta Sezione militare n. 3870 in data 7 aprile u.s.3 e mio telegramma risposta n. 1183 del giorno 11 successivo4.

Altre comunicazioni non sono state fatte al Comando supremo al quale prego di voler partecipare quanto sopra.

585 1 Non rinvenuto.

586

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO

T. A MANO 1664. Parigi, 23 maggio 1919.

In risposta ai fogli nn. 6918 SP.1 e 70202 informo che per ora non mi è possibile di dare un’esauriente risposta alle tre domande fatte nella prima delle suddette note, e che per conseguenza mi è pure impossibile precisare le richieste direttive. Tuttavia debbo aggiungere che è nostro desiderio di mantenere le occupazioni fatte e che sarà pure consigliabile che le rr. autorità militari tengano sempre prontamente disponibile una certa quantità di truppe per il caso in cui o disordini locali ovvero insistenti richieste delle popolazioni rendano necessarie ulteriori occupazioni interne. Comunque queste non potranno dal lato occidentale spingersi al nord di Ayasoluk ed Aidin, rimanendo inteso che queste due località non debbano essere occupate dai nostri.

587

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 3107 SEGR. Roma, 23 maggio 1919 (perv. stesso giorno).

Al telegr. espresso n. 7521 del 25 aprile scorso1.

Il Governo di Bengasi, richiesto del parere sulle ripercussioni che un eventuale arresto del sayed Ahmed esh Sherif potrebbe avere in quel territorio, non ha dissimu

4 Vedi D. 173.

2 Del 23 maggio. Non pubblicato.

lato che, nell’attuale momento, esse potrebbero essere gravi, e solo in via subordinata ha considerato come meno grave tale eventualità nel solo caso che l’arresto potesse ben chiaramente apparire determinato da altra potenza e non da noi. Anche in tal caso, però, secondo il Governo di Bengasi, bisognerebbe poter assicurare l’arresto di tutto l’entourage del sayed o quanto meno aver modo di garantirsi che nessuno dei componenti lo stesso avesse modo di tornare in Cirenaica.

Il Governo di Tripoli, del pari interpellato, è stato anche più reciso nel senso negativo, dichiarando che l’arresto potrebbe avere «conseguenze gravi non del tutto prevedibili e in ogni caso più dannose che utili».

Dietro queste considerazioni, sono d’avviso che, da parte nostra, non convenga farci attivi per conseguire o determinare l’arresto del sayed Ahmed esh Sherif, ed aggiungo anzi qualche cosa di più: che lo stato di apparente libertà di vita e di movimenti del sayed potrà esserci di giovamento, per la indiretta pressione che ne deriverà sull’animo di Idris ad essere conciliante verso di noi nelle pratiche relative alla definitiva sistemazione della Senussia, in quanto può sempre temere intrighi dal cugino per ritornare alla direzione della confraternita, intrighi che sarebbero finiti col suo arresto, che gli eliminerebbe l’unico possibile concorrente.

Tutto questo considerato, mi sembra siano da strettamente mantenere i capisaldi che ci hanno ispirato sin qui nell’azione verso il sayed Ahmed esh Sherif e che qui riassumo:

1) Non rompere i contatti con lui, senza però mai lusingarlo né fargli neanche balenare la speranza di nostri appoggi alle sue pretese; lusinghe e appoggi che sarebbero contrari alla nostra lealtà di azione verso Idris, e, in qualche modo, ai nostri accordi segreti con l’Inghilterra circa il riconoscimento di Idris come capo della confraternita;

2) Profittare dei detti contatti e di ogni altro possibile mezzo per evitare il dannosissimo evento di un ritorno del sayed Ahmed esh Sherif e di suoi emissari in Cirenaica;

3) Vigilarne assiduamente le mosse;

4) Astenersi dal favorire l’arresto del sayed che, se per ipotesi e per ragioni ora non previste dovesse avvenire, occorre risulti chiaramente voluto da altri e non da noi. Nella detta ipotesi, bisognerebbe assicurarsi che pari sorte fosse fatta subire al suo entourage locale.

Sarà grato se, convenendo V.E. in tali criteri, vorrà impartire adatte istruzioni al conte Sforza.

585 3 Non pubblicato.

586 1 Vedi D. 577.

587 1 Non rinvenuto.

588

RELAZIONE DEL PROFESSORE GALLAVRESI

Parigi, 23 maggio 1919.

CONVERSAZIONE CONFIDENZIALE COL SIGNOR FRAZIER1

Il signor Frazier cominciò dal ripetere che il malcontento dell’Italia, per la mancanza di riconoscimento dei sacrifici da essa sopportati coraggiosamente durante una guerra così lunga e gravosa, è giustificato. Lo stesso presidente Wilson è il primo ad ammetterlo, per quanto sia stato ferito da talune manifestazioni eccessive dirette contro di lui dopo il suo «statement». Più ancora lo ha dolorosamente sorpreso quanto gli ha raccontato il signor Nelson Page di un allontanamento del popolo italiano dall’americano, verificatosi in tale proporzione che dopo la pubblicazione dello «statement» il signor Nelson Page non ricevette più alcuna visita di italiani, salvo che per ragioni d’ufficio.

Al presidente Wilson è parso non equo dimenticare quanto l’America aveva fatto finanziariamente e sopratutto colla Croce Rossa, per alleviare le sofferenze dell’Italia.

Alla mia osservazione che il contributo americano era assai minore a vantaggio dell’Italia di quello che fosse stato per esempio in Francia, ove la vittoria militare ha dipeso dal concorso americano, il signor Frazier lo ammise, e disse aver sempre deplorato la cecità francese che non volle portare la guerra principalmente sul fronte italiano, abbreviandola. Il signor Frazier non ebbe difficoltà a riconoscere che l’atteggiamento degli alleati — Francia ed Inghilterra — verso l’Italia, fu ed è improntato da un grande egoismo, e che perciò l’Italia ha un titolo innegabile a farsi pagare i compensi pattuiti nel 1915, quando l’intervento dell’Italia salvò l’Intesa. Soltanto, poiché il presidente Wilson ritiene la forma di tale contratto discordante dai suoi principi perché annette all’Italia popolazioni riluttanti, sarebbe desiderabile, nell’interesse generale, che questa parte difettosa, a suo avviso, del Patto di Londra, fosse sostituita da vantaggi assai più effettivi, come concessioni ad Eraclea, l’escludere gli alleati dalla partecipazione al riparto del bottino marittimo adriatico, forniture permanenti di carbone, agevolezze all’emigrazione, ed altri simili vantaggi, da garantire all’Italia.

Alla mia obbiezione, che l’Italia difficilmente potrebbe mai consentire, salvo soggiacendo ad una vera violenza, quale purtroppo le è minacciata, ad abbandonare suoi connazionali, come i fiumani, il signor Frazier entrò in una minuta contestazione circa il numero degli italiani nell’agglomerazione Fiume-Susak (di cui tendeva ad estendere soverchiamente i confini), circa il vantaggio di un regime di concorrenza tra i porti dell’Adriatico, e fu anche indotto a lasciar comprendere che, secondo il pensiero del presidente, a Fiume mancava la contiguità territoriale coll’Italia, non potendo essere attribuita a questa la Liburnia, prevalentemente slava. Gli obbiettai minutamente e replicatamente, richiamandomi alle statistiche delle elezioni municipali, alle tradizioni del patriarcato di Aquileia, alla testimonianza del Tommaseo, e sovratutto a

ragioni economico-geografiche, che l’Istria costituisce un tutto indivisibile, e che le statistiche jugoslave accolte dai periti americani peccano di unilateralità, facendo maggior conto di zone quasi desertiche, coprenti un’estensione ragguardevole, ed abitate da jugoslavi, che di centri urbani importanti, poco visibili sulle carte, e racchiudenti compatte popolazioni italiane. Del resto, soggiunsi, le opinioni dei periti non sono decisive per il presidente Wilson, se questi si è lasciato convincere dal signor Venizelos ad attribuire ai greci, contro il parere di quegli stessi tecnici, territori in Asia Minore che sono e vogliono rimanere più turchi che greci. Il signor Frazier riconobbe che questo è il punto di maggiore ed insanabile dissenso fra la Delegazione italiana e le altre alleate ed associate, giacché gli italiani citano, come facevo io, esempi di arrendevolezze a favore di alleati (greci, rumeni, czeco-slovacchi) contro nemici (turchi, ungheresi), quando si tratta di transazioni a danno di jugoslavi, che America, Francia ed Inghilterra considerano alleati benemeriti, e l’Italia invece vuol considerare nemici. Riconobbi subito il dissenso, affermandolo scandaloso, per l’aiuto recato all’Austria dai soldati di Boroevic e per la persistenza dell’eredità austriaca fra gli jugoslavi, della quale i nostri alleati si accorgeranno fra breve a loro spese. Il signor Frazier tentò una diversione, sostenendo che l’on. Orlando e S.M. il re avevano pur considerato il signor Trumbic come un alleato nella primavera 1918, al che obbiettai che effettivamente l’attitudine di alcuni emigrati jugoslavi contro l’Austria e la Germania aveva potuto far nascere delle illusioni, che dopo un’esperienza dolorosa, sui campi di battaglia, e sopratutto per l’escamotage della flotta, si erano chiarite non sostenibili di fronte all’italofobia dell’immensa maggioranza degli jugoslavi, almeno di quelli investiti di qualche potere. Il signor Frazier ritornò a dire che la salvezza stava in un accordo diretto fra italiani e jugoslavi e che, quando questo accordo fosse stato raggiunto sotto gli auspici dell’America, essa avrebbe potuto imporre agli alleati che nicchiassero, di soddisfare adeguatamente l’Italia. Ne presi motivo per chiedere quale sarebbe stato l’atteggiamento degli Stati Uniti nel caso in cui, non riuscito, come prevedevo, alcun accordo diretto, gli alleati dovessero pure eseguire integralmente il Patto di Londra, anche nei punti dolorosi per gli italiani, come Fiume, ma al tempo stesso in tutti quelli contrastanti, ad esempio in Dalmazia, con lo «statement» di Wilson. Il signor Frazier divenne pensieroso e disse che quella era la peggiore ipotesi, perché avrebbe fatto molto torto all’Italia nell’opinione americana, che avrebbe probabilmente reso necessario per il presidente Wilson di porre in pubblico tutti i negoziati di quest’inverno, non fatti per cattivare simpatia all’Italia. Risposi che pur non conoscendone tutti i dettagli, non potevo assolutamente ammettere un giudizio di tale natura, e che avevo ragione di credere l’Italia avesse peccato piuttosto di ingenuità, non vedendo che il lato idealistico della politica americana che aveva appena una vernice in tal senso, in molti casi, ed in sostanza un contenuto pratico. Il signor Frazier mi domandò ironicamente se mi fondassi sulla lettera del signor Herron2, e mi disse che se ero amico dell’on. Orlando lo dovessi porre in guardia contro le suggestioni di un uomo così poco serio. Replicai che nondimeno il presidente Wilson lo aveva scelto a rappresentare l’America nel convegno di Prinkipo. «Bel convegno» rispose Frazier, ed insistette nel dire che tali insinuazioni fanno torto all’Italia e non sono veritiere.

Concludendo, il signor Frazier riconobbe che la situazione è ancora complicatissima e non matura, e che converrebbe rinviare alla Società delle Nazioni, possibilmente prevedendo un plebiscito una volta calmati gli animi, il fissare il destino di Fiume e della Dalmazia, e fors’anche della Liburnia. Replicai che non credevo alcun Governo italiano potesse far accettare un simile programma dal popolo, e che ero sorpreso potesse ancora sollevare la questione della Liburnia. Del resto, soggiunsi, anche per la Dalmazia le vostre informazioni sono errate: gli italiani e gli italianizzanti vi sono assai più numerosi che non credete. E allora perché avete bisogno di deportare gli abitanti? mi replicò. Tornai a dirgli che si trattava di una colossale montatura, e lo lasciai osservando che gli avevo parlato a cuore aperto, che deploravo l’amarezza deposta nel cuore degli italiani, specialmente dal Governo degli Stati Uniti, e che capivo dalle sue parole come in tali sfere governative non ci si rendesse adeguato conto delle condizioni d’animo degli italiani, così bistrattati dopo una guerra vittoriosa e gravosa.

588 1 Si tratta probabilmente della conversazione telefonica del 22 maggio di cui in CRESPI, p. 593.

588 2 Vedi D. 199.

589

L’ESPERTO TECNICO, MOSCHENI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. Parigi, 23 maggio 1919.

Dal signor direttore Popper consulente della missione italiana a Praga, ricevo delle informazioni sull’andamento delle trattative politico-commerciali colla Cecoslovacchia, sulle quali il signor commendatore Lago dovrebbe aver già riferito a Roma e a Parigi1.

Nell’Allegato2 mi sono permesso d’illustrare brevemente i vari punti delle trattative e d’aggiungere qualche proposta circa il loro ulteriore svolgimento.

Sarò grato a V.S. Ill. se vorrà sollecitare le decisioni del Governo in merito a questi accordi che sono oltremodo urgenti3, se si vuol sistemare a tempo il traffico di Trieste col suo retroterra. Se V.S. Ill. lo ritenesse opportuno potrei tenermi in contatto col signor direttore Popper per informarlo sullo svolgimento avuto dalle singole questioni, ma quello che più preme si è che la delegazione italiana a Praga abbia delle direttive precise e pronte.

Comunque, mi tengo agli ordini della S.V. Ill. per tutti quegli ulteriori chiarimenti che fossero desiderati.

589 Manoscritto autografo.

1 Vedi D. 310.

2 Si tratta di un lungo pro-memoria datato 22 maggio 1919, dal titolo «Accordo politico-commerciale fra l’Italia e la Cecoslovacchia». Esso contiene: a) le proposte italiane; b) le proposte cecoslovacche; c) il raffronto tra le due serie di proposte; d) le osservazioni sulle proposte italiane; e) le osservazioni alle proposte cecoslovacche; f) le conclusioni sui problemi principali. Si riporta in Allegato il paragrafo con le conclusioni.

3 Un trattato di commercio e di navigazione fra l’Italia e la Cecoslovacchia doveva però esserefirmato solo il 23 marzo 1921.

ALLEGATO

ACCORDO POLITICO-COMMERCIALE FRA L’ITALIA E LA CECOSLOVACCHIA

PROMEMORIA. Parigi, 22 maggio 1919.

[Conclusioni].

In conclusione i punti principali si riducono a 5: servizi ferroviari, servizio portuale, servizi marittimi, dazi differenziali e riconoscimento delle compagnie triestine di assicurazione nella Czecoslovacchia.

Sarebbe urgente che il R. Governo s’esprima sul progetto presentato dal Governo czeco e come sopra illustrato. Approvato il progetto in massima, si dovrebbero avviare quanto prima le ulteriori pratiche nelle seguenti direzioni:

Il problema più urgente è quello tariffario perché oggi il costo per il trasporto di cotone da Trieste al Nord Boemia risulta essere di 20 Kr. al quintale contro 2/3 Kr. prima della guerra, e 3/4 Kr. da Amburgo.

Se non vi si porta subito riparo, il traffico di Trieste è rovinato. Per regolare la questione tariffaria occorre l’adesione della Jugoslavia, dell’Austria Tedesca e Czecoslovacchia e rispettivamente della Südbahn. All’uopo sarà indispensabile la conferenza tariffaria come sopra proposta, e un previo accordo fra Italia e Czecoslovacchia faciliterebbe e solleciterebbe tale convocazione.

Il ministro italiano a Praga e il sig. Popper dovrebbero essere invitati rispettivamente a insistere specialmente sulla pronta regolazione di questa partita. Se non si potesse trattare oggi colla Jugoslavia, resterebbe sempre la via di Trieste-Pontebba-Villach che non passa per territori jugoslavi. La base dello accordo dovrebbe essere la concorrenza con Amburgo (Elba); sipotrebbe accordarsi sul mantenimento delle vecchie tariffe adriatiche (Österreichisch-adriatischer Eisenbahnverband-fascicolo 3) aumentate di una data percentuale.

A Praga potrà essere rilevato facilmente l’esatto costo del trasporto da Amburgo, per poter limitare l’aumento delle vecchie tariffe ad una misura che renda possibile ancora la concorrenza.

Il problema portuale sta in un certo nesso col servizio del Relief che deve avere la precedenza. La direzione dei Magazzini generali di Trieste potrebbe esser incaricata, previe informazioni più concrete da parte della Delegazione italiana a Praga, di trattare colla Delegazione czeca a Trieste.

Si potrà concedere senz’altro parità di trattamento con uso della zona franca e quelle garanzie di spazio che sono compatibili colle esigenze del Relief.

Nulla osterebbe di concedere subito l’attivazione di una espositura doganale czeca a Trieste. Circa i servizi marittimi, il ministro italiano a Praga potrebbe entrare in trattative concrete, appoggiandosi ad armatori triestini (sig. Oscar Comlich).

Il trattamento delle compagnie triestine di assicurazione e i dazi differenziali sono argomenti che vanno discussi a Parigi, nella commissione per i nuovi Stati, ma che potranno essere agevolati da un’adesione di massima del Governo di Praga.

Per non frazionare l’accordo, occorrerà fare un junctin [sic] fra le varie questioni che dovrebbero essere risolte, almeno in massima, contemporaneamente.

Sulla base del suesposto, mi onoro di proporre che il R. Governo voglia impartire d’urgenza le necessarie direttive alla Delegazione italiana a Praga; affinché sia reso con ciò possibile la sollecita formulazione degli accordi concreti.

Aggiungo infine che l’intensificarsi della concorrenza estera nel retroterra di Trieste dà a questi accordi un carattere di estrema urgenza, ove si voglia evitare ai porti adriatici un danno irreparabile.

590

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, MAYOR DES PLANCHES, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

L. Roma, 23 maggio 1919.

Mi è stato, per ragione di competenza, trasmesso dal Ministero degli affari esteri il rapporto di Vostra Eccellenza in data 22 aprile, n. 2046/4031, nonché il suo telegramma del 9 maggio n. 2732.

L’esame del controprogetto francese, che era annesso a detto rapporto, ha condotto a questa conclusione:

la prima parte, che sarebbe di immediata applicazione, va ad esclusivo beneficio della Francia;

la seconda parte, da cui i nostri emigrati trarrebbero qualche vantaggio, non potrebbe, per dichiarazione del signor Pichon, andare in vigore se non fra due anni.

Per questo primo motivo generico, non vi sarebbe più per noi ragione di sollecitare i negoziati, mentre l’altezza dei salari in Italia trattiene ancora la massa di coloro che, in altre circostanze, cercherebbero lavoro all’estero.

La nostra situazione, per negoziare, sarà migliore fra qualche tempo, poiché oltre alla legge sugli infortuni agricoli entrata in vigore con questo 1° maggio, potremo far valere anche la legge di assicurazione contro le malattie, che abbiamo in preparazione.

Altro motivo per non negoziare subito ci è parsa, altresì, l’incertezza politica del momento, poiché saremo forzatamente in urto coi francesi, e non sembra esservi convenienza ad aggiungere un motivo di disaccordo e d’irritazione a quelli già esistenti.

Avverto che il signor Barrère si è espresso nel senso che, contrariamente a quanto la precedente corrispondenza lasciava supporre, il negoziato dovrebbe avviarsi a Roma anziché a Parigi. Egli sarebbe il negoziatore, assistito dal signor Arthur Fontaine. Sarei tenuto a Vostra Eccellenza se potesse scoprire il motivo di cotale mossa, che si assicura dovuta al signor Barrère stesso e che avrebbe, agli occhi nostri, lo svantaggio di fare della eventuale convenzione un atto più che altro amministrativo.

590 1 Non rinvenuto. 2 Con T. 273 del 9 maggio Bonin aveva sollecitato l’avvio del negoziato per il trattato di lavoro con la Francia.

591

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 9460 OP. Abano, 24 maggio 1919, ore 3,15

Da informazioni pervenute da varie fonti risulterebbe in corso aumento forze serbe zona Zagabria e Lubiana e Agulin-Karlstadt. Per quanto tale aumento notevole in Carniola possa avere scopo ripresa azione militare contro Austria-Tedesca, non è da escludere che dette forze possano essere eventualmente rivolte verso nostro fronte. Sembra necessario venga chiarito in via diplomatica motivo agglomeramento truppe serbe perché ove sussistesse anche solo dubbio che tale raccolta è diretta contro noi sarebbe necessaria tempestiva occupazione di località importanti oltre linea armistizio meglio rispondenti ad assicurare nostra difesa. Con l’occasione si reputa opportuno richiamare attenzione su circostanza che nei territori ex monarchia austro-ungarica e ora facenti parte Jugoslavia risulta esservi costituite complessivamente otto divisioni jugoslave mentre che quota parte spettante tali territori, limitazione contenuta armistizio Villa Giusti, sarebbe complessivamente di due divisioni.

592

IL CAPO DELL’UFFICIO REVISIONE STAMPA DI MILANO, DE FRANCESCO, AL CAPO DI GABINETTO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, PETROZZIELLO

FON. 2938. Milano, 24 maggio 1919, ore 6 (perv. ore 6,20).

Segnalo seguenti notizie che meritano massima attenzione:

1) Benito Mussolini, deputato Gasparotto, Libero Tancredi a Fiume prendevano accordi con elementi locali e in particolare con sindaco Vio perché una commissione si recasse subito a Parigi per chiedere applicazione integrale Patto di Londra e abbandono questione Fiume che dovrebbe essere risolta dalla città1. Nello stesso tempo Olivani e compagni garantivano ai dirigenti fiumani centomila volontari suffi

591 Il telegramma fu inviato per conoscenza al MAE Gabinetto, Ministero della guerra, Divisione Stato maggiore e DICP Sezione militare.

(T. 2801 del 28 maggio) ogni incontro di Mussolini con le citate personalità.

cienti ad assicurare alla città raggiungimento suo programma con le armi. Stasera a Milano si è deciso cominciare ad aprire arruolamenti volontari.

2) Colonnello Finzi, conoscitore della Jugoslavia, va compiendo per incarico Comando supremo vasta azione intesa sollevare popolazioni Croazia. Sembra che a questa si facciano pervenire armi per la via dell’Austria.

3) Comandante Terza Armata2 pare abbia lasciato comprendere che egli è disposto far marciare, occorrendo, suoi soldati indipendentemente ordini Governo.

Queste notizie, messe in rapporto fra loro, possono avere un significato abbastanza serio; molti parlano di un’attività del Comando supremo e del Ministero guerra all’insaputa e in contrasto con quella del Governo e del suo capo. Qualche giornale finirà col fare qualche chiaro accenno alla cosa.

592 1 In risposta a richiesta di Colosimo (T. 15003 del 27 maggio) Grazioli doveva poi smentire

593

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI

T. 569. Parigi, 24 maggio 1919, ore 10,30.

Rispondo suo telegramma n. 1851.

In precedenti miei telegrammi ho più volte chiaramente accennato alla mancanza di benevolenza che causa bulgara trovava al Congresso. Soltanto delegazione italiana ha portato nell’esame varie questioni spirito equanime ottenendo per talune maggiore moderazione e formulando per altre raccomandazioni o riserve annesse ai verbali. Circa Tracia con mio precedente telegramma 246 del 10 marzo2 accennavo a necessità chiarire equivoco nel quale persistevano rimanere cotesti interessati. Espressioni generiche di simpatia personale di taluni rappresentanti potenze costà crea negli ambienti ufficiali bulgari impressioni in contraddizione completa colla linea di condotta che viene seguita da rispettivi Governi e delegazioni al Congresso ed alimenta stato d’animo e speranze che daranno luogo a pericolose delusioni. Per opera nostra delegazione soltanto rimane ancora aperta qualche possibilità migliorare per talune questioni le proposte sostenute da altre potenze.

2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 752.

592 2 Il comandante della III Armata era Emanuele Filiberto di Savoia, duca d’Aosta. 593 1 Del 19 maggio. Non pubblicato.

594

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 570. Parigi, 24 maggio 1919, ore 12,30.

Rispondo telegramma di V.E. n. 110841.

Signor Agob Tcherbetijan venne ricevuto da commendatore De Martino e colonnello Castoldi. Gli furono fornite indicazioni necessarie formarsi criterio esatto condizione attuale questione Tracia orientale ed occidentale. Scriverà per mettere al corrente cotesta delegazione e far cessare inconveniente grave divergenza vedute che sono ingiustificabili in questo momento e circostanze. Tendenza è non sanzionare in modo alcuno in regioni europee predominio mussulmani su cristiani. D’altra parte nella commissione per studio richieste elleniche prevalsero correnti favorevoli Grecia. Soltanto per opera nostra delegazione rimane ancora aperta qualche possibilità migliorare proposte sostenute da altre potenze. Occorre da parte cotesti signori assoluta concordia e senso pratico nell’esame della questione e scelta scopo loro attività che può soltanto essere conservare stato anteriore guerra. Confermo avere rinnovato incarico Regia Ambasciata interessare Governo francese per nulla osta venuta Parigi dei delegati Tracia.

595

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 9354 OP. Abano, 24 maggio 1919, ore 20 (perv. ore 10 del 25).

Riferimento telegramma codesta Delegazione 3584 del 2 maggio1 circa indipendenza reparto italiano Konya da comando britannico Milne. Tenente colonnello Vitelli comunica in data 21 corrente da Costantinopoli che capo di Stato Maggiore del comando Franchet d’Esperey gli ha espresso sua sorpresa perché nostro reparto Konya è stato posto per impiego alle dipendenze generale Milne. C.A.A. [?] attribuisce categorica importanza al fatto perché sottostare predetto comando potrebbe significare da parte italiani riconoscimento supremazia inglese su Asia Minore che comando francese non vuole assolutamente riconoscere. Capo di Stato Maggiore ha aggiunto di non aver ricevuto da Parigi nessuna comunicazione in proposito. Pregasi portare quanto sopra a conoscenza Ministero affari esteri.

595 1 Non rinvenuto.

594 1 Non rinvenuto.

596

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 24 maggio 1919.

Grazie suo telegramma1.

Qualche giornale riferisce che sarebbe in discussione il nostro possesso di Idria che è nel bacino dell’Isonzo. Voglio sperare sicuramente che ciò non sia vero. A quanto mi ricordo il cosiddetto Patto di Londra si esprime in modo che Volosca potrebbe essere compresa entro confini italiani. Sembra che in generale pubblico trovi insufficienti i compensi che gli alleati ci darebbero in Asia ed in Africa.

597

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 24 maggio 1919.

Nella seduta antimeridiana furono approvate condizioni economiche pace con Austria, senza nessun incidente notevole. Nel pomeriggio si parlò di questioni russe. Noi premiamo i nostri alleati perché la nostra questione sia nettamente risoluta sulla base del Trattato di Londra. Alleati cercano guadagnar tempo allo scopo di evitare immancabili conflitti col presidente Wilson. Questa loro attitudine conferma la necessità da parte nostra di tenerci fermi su quel terreno. Ciò costituisce l’unica nostra risorsa per raggiungere un risultato soddisfacente. L’unico inconveniente consiste nella necessità di pazientare di fronte ai mezzi dilatori dei nostri alleati, il che irrita sempre più la nostra opinione pubblica, giustamente ansiosa. D’altra parte si tratta di una legge di ferrea necessità, a cui non è possibile sottrarsi senza incorrere in pericolo e in danni di gran lunga maggiori.

597 Analogo telegramma fu inviato a Petrozziello per Colosimo alle ore 22,40 dello stesso giorno (T. 1583 P.).

596 1 Vedi D. 582.

598

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

APPUNTO. Parigi, 24 maggio 1919.

Conforme istruzioni di V.E. ho domandato al signor Tardieu di convocare la Commissione degli affari jugoslavi allo scopo di trattare nuovamente le questioni di Assling e Tarvis. All’obiezione che il Consiglio dei cinque aveva accettato la linea di frontiera provvisoria per l’Austria, secondo la proposta inglese, ho obiettato che dopo di allora era intervenuto un fatto nuovo, cioè le proposte jugoslave, le quali comportano rinuncia da parte jugoslava a Tarvis e modificano la situazione riguardo le ferrovie del noto triangolo Assling ecc.

Tardieu ne convenne, pur esprimendo il timore che perderemo per niente una mattinata e la convocazione restò fissata per martedì alle ore 10, non potendosi lunedì. Tardieu aggiunse che la difficoltà consiste nell’intenzione degli Alleati e di Wilson di trattare queste questioni in blocco con le altre che ci interessano.

Risposi che precisamente a questo abbinamento io ho istruzione di oppormi. Si tratta ora delle frontiere dell’Austria, ed è cosa urgente; è assurdo lasciare in sospeso questioni territoriali austriache con l’espediente di una linea provvisoria. Osservai che ormai la questione di Tarvis concerne esclusivamente l’Italia e l’Austria, essendo fuori discussione i jugoslavi; nessuno discute la qualità di nemico dell’Austria; ciò stante sarebbe strano che gli Alleati esitassero fra i due, cavillando sopra un’inesattezza geografica del Trattato di Londra. Quanto al triangolo Assling ecc. sta ora in fatto che i jugoslavi rinunciano a Villach. Presentare agli austriaci una frontiera provvisoria offre troppi ed evidenti inconvenienti. La ferrovia transalpina forma un vitale interesse italiano. Lasciare in sospeso se attribuire Assling all’Italia, all’Austria o ai jugoslavi equivale ad ammettere che si tratti di un interesse italiano coi nemici; gli interessi italiani debbono essere definiti di fronte ai nemici al momento della presentazione del trattato; così fu fatto fra Francia e Germania. Del resto noi non domandiamo Assling, vogliamo che vada all’Austria.

Tardieu rispose che il pericolo sta in ciò che un giorno Assling potrebbe trovarsi in possesso non dell’Austria, ma della Germania, insieme al tunnel delle Karavanchen ed aggiunse confidenzialmente che gli inglesi vorrebbero attribuire quel territorio non all’Austria, per il detto motivo, non ai jugoslavi, stante gl’interessi ferroviari italiani, ma all’Italia stessa. Egli osservò subito che in questo caso dovrebbe applicarsi il principio seguito in altre circostanze analoghe: mettere in bilancia le due ferrovie, la transalpina e quella Fiume-Lubiana (che forma il principale ostacolo alla sistemazione adriatica) ed attribuire una delle due all’Italia ed una agli jugoslavi.

Io risposi che la Delegazione italiana si rifiuta a tale abbinamento.

***

Quindi il colloquio con Tardieu passò alla questione adriatica. Ne accenno i punti salienti. Tardieu mi chiese a che punto siamo. Risposi che ritenevo l’ostacolo principale fosse la zona traversata dalla ferrovia Fiume-Lubiana. Dissi che non comprendo come la Francia non si renda conto del suo interesse di prendere in mano la questione e patrocinare una soluzione favorevole all’Italia; è necessario che i nostri due paesi si trovino sopra una base di fiducia e cordialità sulla soglia stessa della pace; se si aspetta a lavorare dopo, sarà tanto più difficile ecc. Se la Francia lascia l’iniziativa all’America questa ne prenderà tutto il merito di fronte all’opinione pubblica italiana.

Tardieu rispose che è essenziale lavorare a questo scopo, ma che, quanto a prendere iniziative, ciò fu impedito dalla stessa attitudine italiana perché, a cagione della richiesta di Fiume, gli Alleati avrebbero dovuto impostare la loro iniziativa sopra menomazioni del Patto di Londra, con effetto disastroso nell’opinione pubblica italiana. Del resto, soggiunse, voi non avete mai presentato una formula definita. Risposi che ciò non è esatto. La nostra formula fu: Trattato di Londra e autodecisione per Fiume, facendo qualche concessione sul Trattato di Londra.

Tardieu replicò che questa formula è vaga ed impedisce qualsiasi azione.

Replicai a Tardieu che dalle sue parole deducevo il suggerimento che il Governo italiano potesse impostare il suo postulato sulla base esclusiva del Trattato di Londra; e lo informai del recente messaggio del Consiglio nazionale di Fiume (Fiume farà da se). E chiesi a Tardieu: se il Governo italiano chiedesse senz’altro agli alleati l’esecuzione del Trattato di Londra, che previsione fate? Tardieu rispose: «il est à prévoir une forte pression des Alliés sur Wilson». Soggiunse però che a questo partito avremmo potuto utilmente attenerci prima d’ora.

***

Nel colloquio con Tardieu si fece anche un cenno all’Asia Minore. Gli chiesi se sapeva nulla del nuovo piano di mantenere l’unità ottomana. Rispose che per ora non v’è altro che l’esposizione degli indiani al Consiglio dei quattro, e poi la «lettera di Balfour» (?). Egli ritiene che anche mantenendosi l’unità ottomana si possa far luogo ad una divisione di zone fra le potenze interessate, servendosi dei consueti espedienti: consiglieri, controlli ecc.

Chiesi a Tardieu se è vero, come scrisse l’«Echo de Paris», che gli inglesi contestano il trattato del 1916. Rispose negativamente. Gli inglesi chiesero Mossul e i pozzi di petrolio per loro ed in cambio ammisero che Damasco passasse dalla zona francese d’influenza in quella d’amministrazione. Ma successivamente ciò fu contestato, e da ciò provengono le discussioni. Dissi a Tardieu che il trattato del 1916 fu incorporato in quello del 1917 con l’Italia, ciò che egli sembrò ignorare.

Spiegai a Tardieu che se l’Italia perdesse Smirne, dovrà avere un’equivalente compenso, cioè Eraclea col Nord dell’Anatolia (mancanza di carbone ecc.). E soggiunsi che sarebbe veramente «jouer de malheur» se anche in Asia Minore ci trovassimo in conflitto con la Francia per l’Anatolia del Nord qualora la Francia vi aspirasse in seguito alle aspirazioni armeno-americane su Adana. Perché non prevenire simile conflitto prima che giunga davanti il Consiglio dei quattro, che sinora ha sempre inasprito le questioni?

Tardieu non era molto al corrente delle cose dell’Anatolia e disse che certamente sarebbe utile di «causer» di tutto ciò fra italiani e francesi per prevenire nuove cause di attriti.

599

RELAZIONE DELL’ESPERTO TECNICO, CASTOLDI

Parigi, 24 maggio 1919.

Il colonnello Castoldi ebbe la mattina del giorno 24 maggio una lunga conversazione col dottor Vaida-Voevod ministro di Stato rumeno. L’abboccamento era stato preparato dal generale Iliescu e si svolse sullo stesso argomento trattato con quest’ultimo (ved. precedente relazione)1.

Il ministro Vaida espresse chiaramente la sua opinione favorevole ad una transazione circa la Dobrugia per giungere a conciliazione con la Bulgaria ed aggiunse che per quanto gli constava anche Bratianu era di questo parere, ma disse di ritenere il momento non favorevole per le seguenti ragioni:

«Politica interna. L’attuale Governo, per opposizione al programma di Take Ionescu, sostiene le rivendicazioni nazionali integrali;

Congresso. La Dobrugia è una carta da giocare contro il Banato».

Ci sono già stati per tale materia in Svizzera approcci diretti fra bulgari e rumeni. È cosa che si potrà fare a suo tempo.

Il colonnello Castoldi fece notare che circostanze varie agevolavano ora il prendere una decisione poiché dal Congresso stesso partiva il suggerimento di trovare una via d’accordo con che venivano evitate difficoltà varie per intese di tal genere da parte di Governo parlamentare e con Governo di paese nemico.

Il ministro Vaida rispose che un momento più favorevole ancora potrà presentarsi quando circostanze nuove che oggi non si possono prevedere né valutare manderanno all’aria il Congresso o ne renderanno inattuabili i deliberati.

La Romania non può accettare la soluzione prevista per il Banato e nemmeno le decisioni prese nel campo finanziario ed economico. Non firmerà il trattato di pace. In tale decisione ritiene che non si troverà sola. Forse molti degli altri Stati eredi del-l’Austria faranno lo stesso.

Il colonnello Castoldi fece presente che potrebbe essere seguito procedimento analogo a quello che ora la Francia propugna di fronte alla Germania e cioè di allettare taluni Stati ad accettare.

Il ministro Vaida rispose che se mediante trattamento di favore la Francia riuscisse a persuadere qualche Stato a firmare, questo non avrebbe turbato la Romania. L’esercito è in ottime condizioni. Verso la Russia può resistere ancora un anno contro i bolscevichi. Verso l’Ungheria possono essere trovati ripieghi. Il raccolto è promettentissimo, col grano già in spiga e quindi pronto fra cinque o sei settimane. Si conta di avere grano in esuberanza e con buon margine per l’esportazione. In quanto

a materiale da guerra si troverà sempre chi troverà conveniente di rifornirne. I principî non impediscono oggi all’America di venderne a serbi ed a greci.

La Romania non comprende la condotta della Francia. Costruisce sul vuoto colla Jugoslavia mentre avrebbe tutto l’interesse a favorire una unione rumenoungherese2 che darebbe affidamenti antigermanici ben più saldi e maggiori. L’Ungheria non potrà sussistere da sola. Giorni sono Benes parlava di possibilità di unione colla Boemia. Può invece essere agevolata una unione colla Rumania. Gli ungheresi preferirebbero unione colla Jugoslavia ma si dovrebbe lavorare abilmente a creare dissidi fra di esse. Per esempio l’Italia lo potrebbe fare aderendo alle richieste serbe di annettersi larghe zone magiare.

Il colonnello Castoldi richiese se ci fossero in Ungheria fautori di tale unione.

Il ministro Vaida rispose che in talune regioni la corrente è già nata. Ad esempio il vescovo di Debreczen e le popolazioni dei distretti occupati da truppe rumene hanno manifestato chiaramente il desiderio di unirsi alla Romania ed hanno mandato a tale scopo una deputazione a Bucarest. La Francia si regola secondo una visione ristretta dei suoi futuri interessi. Il raggiungimento di risultati pratici immediati l’ha portata a mettersi a rimorchio dell’Inghilterra e degli Stati Uniti. La sua missione avrebbe invece dovuto essere quella di raggruppare intorno a sé le nazioni che avevano bisogno di patrocinio al Congresso.

L’Italia dovrebbe prendere il posto della Francia in questo compito. Se né l’una né l’altra si decideranno in questo senso, non è escluso che la Germania riesca ad approfittarne per formare blocco contro il Congresso.

Il colonnello Castoldi chiese quale ripercussione interna avrebbe potuto avere in Romania la decisione di non firmare e se un Governo di nuova formazione avrebbe accettato quanto il Gabinetto Bratianu ritiene inaccettabile.

Il ministro Vaida rispose che soltanto da Take Jonescu ci si potrebbe aspettare l’accettazione, dato i noti impegni da lui assunti verso Pasiƒ e Venizelos, ma un suo ritorno al potere è da escludere.

Il re non potrebbe, neppure volendo, affidare il Governo al gruppo Take Ionescu ed Averescu. Oggi in Romania prevale il partito transilvano. A Bratianu dovrebbe succedere il gruppo Maniu-Vaida il che significherebbe accentuazione del programma integrale nazionale.

Circa le aspirazioni dei macedo-rumeni il ministro Vaida si dichiarò favorevole. Il Governo rumeno ritiene conveniente per ragioni di politica interna di non agire palesemente. Gli si muoverebbe appunto di occuparsi di problemi secondari invece che concentrarsi su quelli principali. Egli personalmente è del parere di fare ogni possibile perché quei preziosi elementi della latinità non vadano perduti. Anche per essi la porta rimane aperta alle circostanze che ora non si possono prevedere.

Il ministro Vaida infine espresse il suo convincimento che Romania ed Italia stringano maggiori legami per la loro azione durante e dopo il Congresso. Affermò che in ogni modo si deve escludere nel modo più reciso che la Romania possa comunque trovarsi in opposizione coll’Italia per quanto concerne le questioni degli jugoslavi. Disse essere il problema jugoslavo un problema politico comune con l’Italia. In materia militare disse poter affermare che le forze attuali jugoslave non presentano efficienza tale da essere seriamente considerate. Nel futuro la Jugoslavia avrà questioni interne che l’occuperanno almeno per cinquanta anni.

La Romania segue ora con maggiore attenzione quanto accade in Russia ed Ungheria. In Russia le risulta che il Governo Kolciak non ha consistenza; si tratta di una montatura. In Ungheria non vuole prestarsi al gioco dei peggiori elementi che desiderano ristabilire il vecchio regime. La Francia è alle prese con una specie di Coblenza di nuovo genere. Da parte nostra invece desideriamo che ci si aiuti ad arrivare a Budapest di dove soltanto potranno essere prese le decisioni atte a costituire un Governo veramente democratico che dia affidamento di buona vicinanza.

599 1 È del 22 maggio. Vi si riferiva di un lungo colloquio avuto la sera del 21 con il generale Iliescu, già comandante supremo dell’esercito romeno. A fronte dello scarso appoggio offerto alla Romaniada parte della Francia, i due avevano convenuto circa i vantaggi di una collaborazione stabile con l’Italiain un gruppo balcanico comprendente anche l’Albania, la Macedonia e la Bulgaria.

599 2 In calce ad una informativa del Comando supremo (n. 2602 S. del 24 maggio) — su notiziadell’ufficio ITO del Governatorato della Venezia Giulia — circa manovre di elementi del Governo provvisorio ungherese per un accordo con i serbi tramite elementi francesi, De Martino annotava in data 27maggio «Vannutelli. L’interesse nostro è che gli ungheresi si accordino coi romeni e non coi serbi. Risultada varii telegrammi che esiste un complesso lavoro nel primo senso. A ottenere questo risultato dovremmo dare opera a Vienna, Pest e Bucarest nonché a Parigi colla delegazione romena. Però occorrono istruzioni del ministro».

600

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 5919. Roma, 25 maggio 1919, ore 12,40 (perv. ore 14,45).

È giunto da Parigi il cav. Piacentini inviato da Crespi, e ieri l’ho ricevuto. Egli è il segretario della Commissione per la trattazione delle questioni coloniali fra alleati inbase all’art. 13 Trattato di Londra. È venuto a munirsi di documenti cartografici pel Giubaland; e poteva risparmiarsi, per ciò, un così lungo viaggio. Ma in fondo suppongo sia venuto nella fiducia di potermi decidere ad una adesione ed approvazione al risultato negativo che l’Italia in materia coloniale ricaverà dalla Conferenza della pace. Pare che niente è più da sperare, meno la rettifica dei confini nell’Africa settentrionale; le cessione di una parte del Somaliland inglese che sarebbe un grave errore accettare1, perché senza Gibuti ci apporterebbe oneri e non benefici; e la definizione di Chisimaio. Mandati non ce ne furono assegnati. Insomma la questione coloniale, di così alta importanza per l’Italia, sarà per risolversi in un disinganno. Ultima speranza è nella tua azione nelle prossime discussioni in seno ai Quattro. Per quanto sia superfluo, conoscendo i tuoi sentimenti, l’efficacia della tua azione, i mezzi poderosi del tuo ingegno, pure invoco ancora una volta tutte queste tue virtù, perché siano messe a profitto della nostra questione coloniale e dal profondo del cuore te ne ringrazio.

T. 552 del 20 maggio di Sonnino, qui D. 550) soprattutto per i limiti allo sviluppo economico dellaSomalia verso la zona etiopica, con la conservazione di Moyale in mano britannica.

600 1 Con T. 5923 delle ore 19 dello stesso giorno, indirizzato a Sonnino, Colosimo commentavapiù particolarmente la insufficienza delle proposte avanzate da Lord Milner per il Giubaland (di cui al

601

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 1854. Parigi, 25 maggio 1919, ore 23,50.

A Suo telegramma n. 59191.

Mi rendo perfettamente conto del tuo sentimento di protesta e vi partecipo pienamente. Converrai tuttavia che le mie previsioni iniziali non sono state mai grandemente ottimiste. Questa mia previsione dipendeva dal fatto che, le nostre condizioni di pace essendo regolate da un trattato, questo nel tempo stesso che ci garantisce, ci limita. Se dunque non favorevole era la mia previsione originaria, tanto meno può esserlo ora, dato lo stato di fierissima lotta diplomatica in cui ci troviamo. Io spero che i colleghi ti abbiano comunicato la lunga esposizione della situazione che io feci loro ad Oulx2. Io dissi che la situazione di combattimento in cui l’Italia si era per necessità messa, nei rapporti col presidente Wilson, doveva prepararci ad ogni sorta di insuccessi particolari.

Nella questione delle colonie, Francia e Inghilterra hanno spontaneamente interessi contrastanti coi nostri; tu puoi immaginare se il presidente Wilson sia disposto ad appoggiarci contro di esse: io non ho partecipato al negoziato ed ho vivamente desiderato che il tuo Ministero vi partecipasse con la più grande autorità possibile ma debbo per lealtà riconoscere che, data la situazione, nessun altro negoziatore avrebbe ottenuto risultati migliori. Né posso fare assegnamento sui Quattro, a meno che la situazione generale non cambi.

In questo senso l’unica cosa desiderabile è di far rinviare più che sia possibile la risoluzione per guadagnare tempo.

602

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 25 maggio 1919.

Grazie del telegramma di ieri sera1.

Risulta effettivamente che le miniere di Idria sono comprese nei limiti del Patto di Londra, sebbene all’estremità di essi. Risulta altresì che si fanno tentativi per sottrarcele. Così pure è fuori di dubbio che Volosca è compresa nel Patto di Londra con una dichiarazione espressa. D’altra parte il territorio del Patto di Londra non arriva al confine immediato con Fiume e ne resta lontano di pochissimi chilometri.

2 Vedi D. 571.

601 1 Vedi D. 600.

602 1 Vedi D. 596.

603

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 25 maggio 1919.

Stamattina mi ero recato da Clemenceau per conferire a proposito degli incidenti avvenuti in Italia contro francesi1. Egli aveva ricevuto in quel momento un telegramma di Barrère che insisteva vivamente sugli incidenti stessi. La conversazione fu tempestosa. Clemenceau arrivò a dire che l’animo dell’Italia era sempre quello dell’antica alleata della Germania. Gli risposi con molta calma, con dignità e con fermezza. Gli feci osservare che l’importanza di quegli incidenti appariva esagerata, ma non disconobbi che lo stato dello spirito pubblico in Italia è oltremodo turbato per l’ansietà in cui esso si trova data la irrisoluzione dei problemi italiani. Clemenceau mi ripeté che egli era sempre pronto alla applicazione del Patto di Londra: al che replicai che ciò bastava bene, ma che bisognava l’adesione di Wilson. Ad ogni modo, siccome Clemenceau mi aveva detto che avrebbe portato domani in Consiglio dei quattro la questione degli incidenti italo-francesi, io replicai che alla mia volta avrei fatto osservare quanto su ciò influisse lo stato d’animo del popolo. Nella ultima parte della conversazione il tono violento di essa si era alquanto attenuato.

604

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 1848/9534 OP. Abano, 25 maggio 1919 (perv. il 26).

Riferimento elenco 9374 OP. del 23 corrente di questo Comando1.

Generale Segre ha conferito con ministro Deutsch e comunica che predetto ministro, dopo avere avvertito che console Hoffinger ha parlato per conto Governo provinciale Carinzia ma non Governo centrale, ha confermato intenzione Governo centrale chiedere intervento generico Intesa e non specificò Italia2. Segue per corriere telegramma generale Segre3.

604 Il telegramma fu inviato per conoscenza al MAE, Roma.

1 Non rinvenuto. Per i precedenti si vedano comunque i DD. 364 e 568.

2 Con T. 9415 OP. del 23 maggio Badoglio aveva per altro dato parere negativo circa l’opportunità militare di una occupazione della Carinzia.

3 Si tratta del T. 9850 S. delle ore 14,45 del 24 maggio da Vienna.

603 1 Vedi D. 579.

605

IL MINISTRO AD ADDISI ABEBA, COLLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1857/63. Addis Abeba, 25 maggio 1919 (perv. il 28).

Mi riferisco suo telegramma 105281 e mio telegramma n. 612.

Ho conferito con ras degiac Seium in merito al preteso incarico attribuito dal «Matin» alla missione etiopica in Francia3. Ras degiac Seium si è mostrato sorpreso delle intenzioni attribuite al Governo etiopico di voler chiedere protettorato Francia e mi [ha] dichiarato ritenere si possa smentire tassativamente notizia. Ho cercato sapere da ras degiac Seium quali istruzioni precise fossero state date alla missione etiopica Francia e su questo punto egli è stato più reticente ma in seguito alle mie insistenze ha finito per dichiarare che la missione etiopica per la Francia era partita da Addis Abeba con il preciso incarico affidato alle missioni per Inghilterra ed Italia, ossia quello di complimentare singoli Governi per la riportata vittoria, ma che, dopo suo arrivo Parigi, missione etiopica ha trasmesso a questo Governo tre telegrammi con proposte di carattere politico. Questo Governo non ha finora preso alcuna decisione ma potrebbe provocare da parte sua speciali istruzioni alla missione di Parigi. Egli hasoggiunto non poter per ora aggiungere altro. È evidente che proposte trasmesse dalla missione etiopica in Francia al suo Governo vennero concordate dal Governo francese ed io ho motivo di credere che questo mio collega di Francia che si trova appunto a Parigi colla missione etiopica stia continuando colà azione già svolta ad Addis Abeba per indurre Governo etiopico a cercare patrocinio Francia e Conferenza pace, in ispecie contro aspirazioni coloniali Italia delle quali Francia dovrebbe fare le spese, facendole apparire contrarie agli interessi ed ai desideri Abissinia. Ma anche se tale mia opinione non fosse perfettamente fondata parmi ugualmente che la condotta subdola del Governo francese nei riguardi coll’Abissinia, già ripetutamente da me segnalata, sia contraria spirito accordo a tre Etiopia4.

605 Il telegramma fu trasmesso via Asmara in data 26 maggio. Lo stesso telegramma n. 63 (conlievissime varianti) fu inviato da Asmara per conoscenza al Ministero delle colonie con T. 150 del 27maggio. In tale testo tuttavia, invece di ras degiac Seium si legge ras degiac Tafari.

1 Non pubblicato. 2 Potrebbe trattarsi del telegramma del 23 maggio, pervenuto con il n. 71. 3 Vedi DD. 456 e 522. 4 Vedi poi anche D. 612.

606

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, LLOYD GEORGE

L. CONFID. Parigi, 25 maggio 1919.

You will please consider this letter as an entirely unofficial and confidential communication from one friend to another. I write instead of having a talk with you as my ignorance of English makes it necessary for us to talk through an interpreter; anyhow, what I wish to say does not require an exchange of views: all I wish is to call your attention to a situation already dangerous and which might lead to an irremediable catastrophe.

I refer to the Italian situation. Public opinion in Italy, already irritated by the unusual public statement which President Wilson saw fit to make, has been more and more exasperated by the neglect in which it feels it is left and by the failure to come to any decision on the most important problems which concern it.

The italian public believes that it has the right to be relieved from this situation of absolute uncertainty, which not only affects its vital interests, but also its dignity and its right to enjoy that peace and security which it has made such great sacrifices to conquer.

It is this feeling of neglect which most deeply wounds public opinion in Italy at this time. I have every reason to believe that if the anxiety and tension now prevalent in Italy are not soon relieved, the consequences may be of incalculable gravity.

Were Italy to be the sole sufferer from all this I feel sure that even then the situation would claim your earnest attention and that you would do all in your power to avert the consequences. I know the friendship you profess for my country, and I also know that that friendship is in accordance with the traditional policy of Great Britain. But speaking to a statesman of your calibre I feel sure that you cannot fail to realise the absolutely intolerable situation which would arise in Europe if the peace which is about to be concluded were to give rise in the Italian people to the impression that its position is that of a conquered rather than of a victorious nation.

As it is, I cannot look forward without grave apprehensions to the future of continental Europe; the German longing for revenge must be considered in conjunction with the Russian incognita. We can thus see even now that the settlement to be arrived at will lack the assent of more than half the population of the European continent. If we detach from the block on which the new European system will have to rely for support forty millions Italians, and force them into the ranks of the malcontents, do you think that the new order will rest on a firm basis? Do you not think that a dreadful period of absolute international anarchy will dawn for continental Europe?

606 La minuta italiana è senza data, mentre una prima bozza della versione inglese reca la datadel 24 maggio, ma il testo definitivo inglese è del 25. Il testo italiano è edito in ORLANDO, pp. 534 sgg.,sotto la data del 24 maggio. Il testo inglese corrisponde all’appendice II del C.F. 37 A, ma non è pubblicato in FRUS, vol. VI.

You are an eminent statesman, the representative of a noble and powerful nation with a great political tradition. I am confident that you will fully appreciate the gravity of this appeal, and that the extraordinary resourcefulness which characterises you, will enable you to find an adequate and rapid solution, such as will avoid the realisation of events pregnant with terrible possibilities.

Let me repeat once more, this letter is in no wise to be taken as an official utterance; it is merely personal, and does not even call for an answer1. My only wish is to acquaint you with my views, in this hour fraught with such grave difficulties and dangers.

607

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,

AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. GAB. 578. Parigi, 26 maggio 1919, ore 12,30.

Il delegato plenipotenziario del Portogallo Norton de Matos, alto commissario delle colonie dell’Africa occidentale, ha ricevuto stamane il comm. De Martino e il marchese Solari per progetto Angola. Ha confermato favorevoli disposizioni di concretare accordo per larghe concessioni agricole minerarie nello altipiano Benguela. Si è riservato esaminare progetto di massima presentato da Solari in via privata e ha dichiarato che entro pochi giorni formulerà sue controproposte d’accordo con legislazione portoghese aggiungendo che in seguito trattative verranno condotte in via diplomatica.

Circa attuazione altre parti del programma massimo indicato nella lettera di Vostra Eccellenza in data 4 gennaio 1917 numero 801 non posso ancora stabilire quale sarà momento più favorevole per iniziare trattative con Inghilterra e con Francia. In ogni caso ritengo opportuno che trattative con suddetti Governi siano precedute da accordo con Portogallo. Segue rapporto2.

607 Il telegramma fu indirizzato a Biancheri con preghiera di comunicazione a Colosimo.1 Non pubblicata in serie quinta, vol. VII. 2 Non rinvenuto.

606 1 La risposta di Lloyd George è in data 28 maggio (qui D. 639).

608

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 579. Parigi, 26 maggio 1919, ore 13.

Telegramma di V.E. n. 113181.

In considerazione della nuova situazione che sembra si vada creando in Russia tanto in Siberia e al di qua degli Urali quanto nella regione vicino a Pietrogrado e che anche dal punto di vista militare è così in stretto rapporto con Murmansk ed Arcangelo, sono d’avviso che per il momento è opportuno soprassedere al ritiro dei nostri contingenti in Siberia e Murmania.

Le ragioni addotte da codesto Ministero2 per il ritiro dei contingenti in parola hanno certamente un grande valore, ma sembra a questo Ministero che la questione potrebbe essere risolta con una progressiva sostituzione dei contingenti.

Con la corrispondenza già intervenuta fra questo Ministero e quello della guerra si era giunti all’intesa di procedere appunto alla sostituzione dei contingenti in Siberia.

I recenti avvenimenti, la possibilità che la questione russa entri in una nuova fase consiglia per il momento di mantenere la decisione presa di sostituire i contingenti italiani in Russia piuttosto che cambiare oggi radicalmente nostra attitudine e procedere ritiro.

Per queste considerazioni sarò grato a V.E. se vorrà riesaminare la questione e farmi conoscere sua maniera di vedere3.

609

IL MINISTRO A STOCCOLMA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1459/423 RIS. Stoccolma, 26 maggio 1919, ore 18,35 (perv. ore 20 del 27).

Stamane si è iniziata qui conferenza interministeriale scandinava che durerà due giorni. Ministri esteri sono ospiti S.M. il re che stasera darà pranzo in loro onore. Due argomenti principali all’ordine del giorno sono adesione tre Stati scandinavi alla Lega Nazioni e recente passo dell’Intesa per impedire ogni scambio commerciale fra i neutri e Germania qualora questa si rifiuti firmare preliminari di pace1. Da confi

2 Si riferisce evidentemente al parere del Ministero della guerra, la cui decisione di ritirare icontingenti italiani in Siberia era stata comunicata a Sonnino da Borsarelli con il T. 11318 del 21 maggiosopra menzionato (D. 558 cit.).

3 Sulla questione si vedano poi i DD. 801 e 811.

denziali informazioni mi risulta prima impressione dello scambio d’idee avvenuto stamane su questi punti fra i delegati è che Stati scandinavi rendonsi conto necessità piegarsi alle domande dell’Intesa ma che lo farebbero protestando. Sono specialmente Danimarca e qui in Svezia presidente Consiglio dei ministri che sollevano maggiore opposizione contro domande Intesa. Stesso Branting trova queste domande troppo forti. Non mancano delegati i quali, ritenendo che a una firma dei preliminari di pace si addivenga in un modo o nell’altro, consigliano colleghi a non avere furia nel rispondere all’Intesa.

608 1 Vedi D. 558.

609 1 Vedi D. 516.

610

IL CAPO DI GABINETTO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, PETROZZIELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. RIS. Roma, 26 maggio 1919, ore 19,15 (perv. ore 19,40).

Spedisco col corriere di Gabinetto di questa sera una proposta1, che mi viene dall’ambiente italo-americano di qui, che fa capo all’ambasciatore Nelson Page e al professor Thompson. Si proporrebbe per la Asia Minore un mandato comune degli Stati Uniti e della Italia. Mi si assicura che analoga proposta viene da quest’Ambasciata degli Stati Uniti inviata a Wilson e al prof. Dominion, capo della Commissione americana che studia costà le questioni concernenti Asia Minore. Qualora a Lei sembri che la proposta possa essere accettabile e abbia buona probabilità di giungere in porto, il prof. Thompson si dichiara disposto a rifare un viaggio per sostenerla come meglio può.

611

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 26 maggio 1919.

Nella seduta antimeridiana, a proposito della maniera di comunicare agli austriaci le condizioni di pace, Clemenceau risollevò la questione di cui nel colloquio di ieri1. Già il fatto stesso di non portarla in sede propria ma occasionalmente, indica

va una notevole attenuazione: debbo aggiungere che la forma fu assai più temperata. In un certo senso debbo anzi dire che Clemenceau trasse argomento dagli incidenti italiani per fare dichiarazioni utili alla nostra causa, almeno sotto il punto di vista del metodo. Egli disse con la sua solita energia che assolutamente la questione italiana deve risolversi. Dichiarai che non domandavo di meglio e che non era colpa mia se a nessuna soluzione si era giunti. La discussione rimase per allora in sospeso; ma nel pomeriggio fu ripresa largamente, anche questa volta per iniziativa di Clemenceau. Discussione durò più di due ore. Io dichiarai che avevo sempre cercato una soluzione conciliativa, ma che in mancanza di essa ero obbligato ad attenermi al Patto di Londra. Wilson fece un lungo discorso per dire che egli non poteva consentire al Patto di Londra, al che controreplicai in guisa da non perdere terreno nel campo dialettico. Wilson mi domandò se avessi accettato di sottoporre a plebiscito tutti i territori contestati (quelli cioè non compresi nel suo memorandum). Spiegai le ragioni per cui non potevo accettare. Wilson mi pregò di conferire con la mia delegazione per cercare altre vie di conciliazione; Clemenceau insistette anche vivamente in tale senso. Dichiarai che mi sarei attenuto alla proposta House, comunicata a V.M. col mio telegramma del 162 ed a cui feci seguire controproposte pure comunicate a V.M.; e ritengo che oramai quella proposta stessa sarà discussa. Le ultime parole di Wilson lascerebbero sperare, ma il fatto che egli non ha consentito con House nella sua proposta mi fa credere che egli non si piegherà. Ad ogni modo è bene che la questione sia stata nuovamente rimessa all’ordine del giorno.

610 1 Non rinvenuta. 611 1 Vedi D. 603.

612

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1868/64. Addis Abeba, 26 maggio 1919 (perv. il 29).

Suo telegramma 11311 del 21 corrente1, pervenutomi oggi.

Le informazioni pubblicate nel «Temps» sulla missione etiopica in Francia concordano pienamente con quelle contenute nel mio telegramma 632 e le considerazioni che V.E. ne deduce confermano quanto espressi nello stesso mio telegramma. È difatti evidente che non solo mio collega di Francia ma lo stesso Governo francese prosegue da tempo in Abissinia un’azione isolata tendente esercitare su di essa uno speciale patrocinio morale a pregiudizio delle altre potenze: tale azione è palesemente contraria accordo a tre del 1906. Azione Governo francese è tanto più deleteria in quanto

612 Trasmesso via Asmara in data 28 maggio.

1 Non rinvenuto.

2 Vedi D. 605.

che, fingendo ignorare vera condizione attuale Etiopia, ne rafforza opposizione e resistenza ad ogni riforma civile. Nel caso speciale della missione etiopica in Francia, non è dubbio che le proposte da essa inviate al suo Governo si riferiscono alla opportunità per parte del Governo etiopico di fare in Francia i passi necessari, sia coll’invio Parigi nuova missione sia affidando a quella che già vi si trova poteri necessari, onde chiedere ed ottenere nuove garanzie per integrità indipendenza etiopica e sua ammissione Lega Nazioni; ed è evidente che tali proposte vennero suggerite dal Governo francese. Io mi adopero onde contrastare manovre francesi benché esse siano tentanti per Abissinia e le soddisfino il suo amor proprio. Per quanto forse prematuro, mi permetto aggiungere che eventuale ammissione Abissinia nella Lega Nazioni, nelle condizioni in cui Abissinia si trova, costituirebbe una stridente contraddizione con i principî sui quali la Lega si basa.

611 2 Vedi D. 507.

613

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1553/742. Berna, 26 maggio 1919 (perv. il 2 giugno).

Una delegazione ucraina, avente alla testa il signor Antonovic, è venuta a parlarmi della necessità di allacciare legami economici tra quel paese e l’Italia. Essere necessario di cessare di ripetere all’Ucraina il rimprovero di aver accettato nel 1918 il Governo germanofilo dell’Hetman. Ciò che fece allora la violenza fu disfatto poi dalla volontà del popolo, le cui tendenze intesofile sono rappresentate dall’attuale direttorio. Questo direttorio, che spera di essere presto riconosciuto dal Congresso della pace, vorrebbe intanto entrare in rapporti con noi, mentre gli altri Stati dell’Intesa non stanno perdendo tempo. La grande produzione di grano che tra due mesi avrà l’Ucraina, sarebbe venduta a noi di preferenza che ai polacchi ed ai russi, ed i cereali dell’Ucraina sono ben superiori agli argentini. Anche la campagna saccarifera si annuncia buonissima, e l’Italia potrebbe profittarne. Così pure per altri prodotti e agricoli e pastorizi e pei minerali il nostro paese potrebbe studiare 1a convenienza di un accordo con l’Ucraina.

Il signor Antonovic mi ha detto che a Roma si trova già una missione diplomatica ucraina1, ma egli desidererebbe che il nostro Governo uscisse dall’attitudine ostensibilmente passiva che ha avuto fin qui e che l’Ucraina, senza pretendere naturalmente il riconoscimento ufficiale, sentisse di aver nel popolo italiano e nel suo Governo un sostegno e nel presente e nel futuro.

Ho risposto alla delegazione che la regione ucraina non poteva dubitare delle simpatie storiche del nostro paese cui era unita dalle antiche colonie nostre nel Mar

Nero, e ch’io mi sarei affrettato di trasmettere a V.E. i voti espressimi perché le relazioni fra i due popoli divenissero più intime e cordiali.

613 1 Vedi D. 513.

614

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 3544. Roma, 26 maggio 1919.

POLITICA DEGLI ALLEATI IN ABISSINIA

Ho ricevuto il telegramma posta. n. 8885 del 13 corrente1, con il quale V.E. mi ha fatto conoscere la risposta del r. ambasciatore a Parigi2 alla comunicazione fattagli da V.E. della mia lettera n. 2585 dell’11 aprile u.s.3.

A questa lettera nulla ho da mutare, poiché il mio apprezzamento, che il r. ambasciatore ritiene soverchiamente pessimista, discende in linea retta dalle precise notizie e dagli espliciti commenti del r. ministro in Addis Abeba; il quale dobbiamo supporre che non a caso nel telegramma al suo ministro si esprimeva con la frase contro la quale insorge il r. ambasciatore che, cioè, la locale Legazione francese «sta facendo una tale campagna per sollevare contro di noi la diffidenza e il sospetto dell’Abissinia quale non fu mai fatto nemmeno dalla Legazione di Germania durante la guerra».

Io non so quale giudizio V.E. porti sull’atteggiamento del r. ambasciatore che preoccupato di prevedere evitare e giustificare i risentimenti e le suscettibilità del Governo presso il quale è accreditato, non pensa che forse è più utile e pratica una energica azione in un momento così decisivo mentre egli stesso dice di non aver dubbio che la rappresentanza francese in Addis Abeba «lavori quanto più può a scalzare la nostra influenza».

Per la mia parte, pur col vivissimo rammarico di dover far simili constatazioni, continuerò certo, poiché tale è il mio preciso dovere, a indicare alla E.V. quanto mi sembra necessario alla tutela degli interessi che mi sono affidati e sui quali ho sempre vigilato e non mancherò di vigilare con la maggiore e più gelosa cura; fermandomi necessariamente là dove alla mia azione deve, per ragione di competenza, subentrare quella di altri ministeri come, nel caso speciale, quello degli affari esteri.

614 1 Non pubblicato.2 Vedi D. 237. 3 Vedi D. 168.

615

IL DELEGATO PRESSO IL RE NICOLA I DEL MONTENEGRO A PARIGI, MONTAGLIARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 9 CONFID. Parigi, 26 maggio 1919.

Sua Maestà re Nicola è partito iersera per Genova e Rapallo. Il re viaggia incognito ed è solo accompagnato da proprio aiutante di campo colonnello Metscherinov, russo, e dal comandante Létang, ufficiale francese addetto alla di lui persona. All’ultimo momento si decise che anche la principessa Vera accompagnerebbe il re. Onde dar l’impressione che la partenza di Sua Maestà è solo provvisoria e per poco tempo e quindi evitare complicazioni col Governo francese, la regina e la principessa Xenia rimangono qui. D’altra parte, a meno che lo svolgersi degli avvenimenti non richieda il di lui ritorno a Parigi, il re parte deciso a non tornare più in Francia dove ha dovuto sopportare troppe penose umiliazioni: senza contare quelle inflitte-gli dalla Conferenza, basti ricordare che alle lettere dirette ai presidenti Wilson e Poincaré per chiedere udienze non ebbe neanche una risposta. La sua intenzione è di aspettare in Italia il momento opportuno per tornare al Montenegro onde mettersi alla testa degli insorti. Una insurrezione generale che dovrebbe scoppiare nel corso della primavera gli dovrebbe facilitare l’impresa nella quale ha piena, forse esagerata fiducia. Quando sarà venuto il momento spera che, così mi disse prima di partire, il Governo italiano gli fornirà i denari necessari all’impresa, gli faciliterà i mezzi di trasporto attraverso l’Adriatico per lui ed i montenegrini riuniti a Gaeta e gli darà un certo numero di fucili austriaci colle relative munizioni onde armare gli insorti. Egli ha piena fiducia che, una volta sbarcato al Montenegro, i serbi non gli potranno tener testa e che colla liberazione del Montenegro egli darebbe l’ultima scossa che farebbe crollare l’edificio panserbo edificato dal signor Patchitch, rendendo così possibile la formazione di una confederazione jugoslava in cui ogni componente manterrebbe la propria indipendenza. Qui da lontano non sono in grado di pronunciarmi sulla possibilità di riuscita di un simile progetto il quale potrebbe anche essere coronato di successo se si tiene conto del desiderio dei montenegrini di liberarsi dell’odiata oppressione dei serbi.

D’altre parte si capisce il desiderio del vecchio sovrano di tornare nella sua patria dalla quale gli Alleati, con promesse che mai mantengono, lo tengono lontano. La politica montenegrina avrà avute le sue colpe, dovute più che altro alla indecisione del re influenzato in vario senso da consiglieri non sempre sinceri, ma la ingiustizia con cui si agisce verso il Montenegro, che pure ha versato il suo sangue e sofferto atrocemente per l’Intesa, è flagrante.

Il re ha anche insistito con me sull’utilità per l’Italia che il Montenegro sia indipendente e sulla convenienza per noi che le Bocche di Cattaro siano date al Montene

615 Il rapporto fu trasmesso in copia da Sonnino a Vittorio Emanuele III con nota dello stesso 26 maggio.

gro perché quel porto più che qualsiasi altro della costa adriatica sarebbe un pericolo costante per noi se fosse in mano dei serbi o dei jugoslavi.

Dopo un soggiorno di pochi giorni a Genova e a Rapallo per rivedere le granduchesse sue figlie, il re pensa recarsi a Salsomaggiore o in qualche altra stazione termale. Non conta di recarsi a Roma.

616

IL COMANDANTE IN ALBANIA, S. PIACENTINI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 4908 OP. [Valona], 26 maggio 1919 (perv. il 31).

LO SPIRITO DELLA POPOLAZIONE ALBANESE E IL PROTETTORATO AMERICANO SULL’ALBANIA.

Col foglio n. 4433 OP. del 12 corrente1 questo Comando espose fatti e notizie intorno alla voce, ormai di pubblica ragione, relativa ad un possibile protettorato degli Stati Uniti d’America sull’Albania. Quelle notizie si riferivano più specialmente al contegno degli americani presenti in questa regione.

Conviene ora accennare allo spirito pubblico in Albania, e al contegno di questa di fronte alla voce sopradetta.

Il popolo albanese non costituisce oggi (a prescindere dalle occupazioni militari) un blocco unico di nazione; ma possiede tutti i requisiti per diventarlo.

In generale si ritiene che esso sia essenzialmente diviso per motivi di religione.Ciò non è completamente esatto. È esatto invece che l’argomento religioso è largamente sfruttato dai popoli contermini dell’Albania, specialmente il greco, per dimostrare incapacità di questa a potersi costituire in nazione compatta ed omogenea.

In Albania la religione non appassiona il popolo; e, pur essendo questo fedele seguace delle rispettive confessioni, è tollerantissimo e rispettosissimo delle credenze altrui. La religione non si oppone affatto all’unione politica degli albanesi; e se questi sono tuttora divisi da odi e rancori inveterati non è tanto fra i seguaci di religioni diverse che tali divisioni si debbono ricercare, quanto forse fra quelli della stessa religione.

Nell’Albania meridionale, il mussulmano, memore delle sopraffazioni e delle stragi operate dai greci, non odia l’ortodosso ma odia il greco, e quelli fra gli ortodossi albanesi che simpatizzano pei greci, dai quali naturalmente è riodiato e temuto.

Nell’Albania settentrionale, mussulmani e cattolici, benché vivano in gruppi separati, non sono ostili fra loro; mentre fra i cattolici, specie fra quelli del piano e quelli della montagna, esistono rancori e vendette implacabili.

La ragione essenziale per cui il popolo albanese non costituisce oggi un blocco unico di nazione, non deve ricercarsi dunque nella religione ma nella storia.

616 La nota fu inviata per conoscenza al Comando Supremo, Ufficio operazioni. 1 Non rinvenuto.

Due fatti contribuirono a tenere il popolo albanese diviso e disgregato.

Primo: Il fatto di aver dovuto seguire sempre il destino dei dominatori stranieri, che impedirono ognora agli albanesi di poter condurre, anche per breve tempo, vita nazionale in comune.

Secondo: Il fatto che nessuna potenza straniera, tranne forse Roma, poté esercitare dominio incontrastato su tutta l’Albania. L’incoercibile spirito d’indipendenza del suo popolo fece sì che molti gruppi di esso, specie fra le montagne, non subissero mai l’imposizione dello straniero, ma si conservassero allo stato di tribù indipendenti con ordinamento prettamente feudale. Di qui gare e contese secolari fra tribù e tribù e loro signorotti, che dettero a danno dell’Albania il suo aspetto eterogeneo e disgregato.

Ma sarebbe errore il credere che nel popolo albanese non esista una coscienza nazionale, per quanto contrastata dai domini stranieri, attutita dalle rivalità di famiglie e confusa dalle differenze di religione.

I fattori che testimoniano di quest’aspirazione collettiva verso un’unità di nazione, mai smarriti nel corso dei secoli, e riconoscibili a prima vista ovunque, nel nord e nel sud, nella pianura e nella montagna, sono i seguenti:

Primo: «L’unità di linguaggio», che sebbene differentemente variegato dalla molteplicità dei dialetti e delle infiltrazioni straniere, è da per tutto riconoscibile e saldo, tanto da aver potuto resistere e trionfare per secoli, pur mancando di qualsiasi letteratura, di linguaggi ben più complessi e sviluppati dell’albanese, quali: il latino nell’antichità; il greco (bizantino), il serbo e l’italiano (veneziano) nel medio evo, ed il turco nell’evo moderno. Sarebbe assurdo non ammettere che un tale linguaggio non attesti in modo indiscusso dell’unità indistruttibile della nazione albanese.

Secondo: «Il costume tradizionale», mantenutosi inalterato, non solo di fronte al millenario dominio straniero che spense ogni libertà politica, ma altresì di fronte alla conquista religiosa che insidiò la compagine delle famiglie. Il popolo albanese, musulmano, ortodosso o cattolico che sia, mantenne e mantiene incrollabilmente i suoi costumi tradizionali, così negli atteggiamenti della vita domestica, come nelle relazioni sociali. Tali ad esempio: la monogamia, i matrimoni misti, la sicurezza accordata alla donna ed ai fanciulli, il rispetto alla proprietà entro la propria tribù, la vendetta del sangue, la fedeltà alla (...). È quasi con orgoglio che gli albanesi colti ricordano oggi allo straniero, che non molti secoli addietro tutti gli albanesi erano cristiani, e che solo le necessità della vita li obbligarono ad abbracciare l’islamismo.

Terzo: Il «sentimento dell’indipendenza», che può dirsi un istinto nell’albanese. La storia frammentaria e tormentata dell’Albania è tutta intessuta di guerre e di rivoluzioni per l’indipendenza delle tribù e dei signorotti ed oggi, mentre il montanaro ignorante e semiselvaggio manifesta il suo sentimento d’indipendenza con un culto appassionato per il proprio fucile che non abbandona mai né di giorno né di notte, l’albanese colto, ma che non è mai uscito dal suo paese, manifesta il sentimento d’indipendenza col puerile convincimento che l’Albania basti a se stessa, e che sia sufficiente pronunciare per essa la grande parola, perché diventi prospera e felice.

Che la coscienza nazionale albanese, sia una realtà e non una chimera è dimostrato poi dagli avvenimenti dell’ultimo decennio e specialmente da quelli odierni.

Ottenebrata per tanti secoli dal dominio straniero, tale coscienza si ridestò come per incanto, allorché l’urto dei popoli balcanici infranse l’inerzia fatalistica della dominazione turca, e si sviluppò in modo sorprendente, allorché l’urto dei popoli europei spezzò ogni idea di predominio di una razza sull’altra e fece trionfare i principi di nazionalità, di uguaglianza e di giustizia.

Gli odierni voti e memoriali alla Conferenza della pace; la riscossa contro il dominio serbo e montenegrino ingiustamente imposto a talune province albanesi dal trattato di Londra (1913)2; la costituzione di un Governo provvisorio quasi ovunque riconosciuto; e soprattutto il comportamento serio, disciplinato, scevro da ogni eccesso, malgrado gli intrighi, e l’avidità delle potenze balcaniche — e le non poche defezioni — sono la prova manifesta della rinascita della coscienza nazionale albanese, e della possibilità per l’Albania di costituirsi in unità politica indipendente, quale elemento di sicurezza e di quiete sulle coste orientali del basso Adriatico.

Se l’Italia avrà l’incarico di svolgere liberamente e senza competizioni il compito che si è assunto in queste regioni, essa può essere sicura di raggiungere il sopra-detto risultato, perché gode fiducia e riscuote le maggiori simpatie e la maggiore stima da parte dell’Albania. Ma questa è minacciata da due pericoli, contro i quali bisogna vigilare ed agire con fermezza, se non si vogliono perdere i frutti delle fatiche, delle spese e del sangue italiano qui prodigati.

Essi sono: il pericolo delle cupidigie territoriali delle piccole potenze balcaniche; quello della sete di speculazione di taluna delle grandi potenze europee ed extra europee.

Lo spirito della popolazione albanese si ribellerebbe certamente contro il primo di tali pericoli e penserebbe la popolazione stessa a farsi ragione da sé, rinnovando i disordini passati qualora la Conferenza della pace commettesse l’errore di sanzionare gli appetiti territoriali della Grecia e della Jugoslavia e riconoscesse l’aborrito Governo di Essad Pascià. È da sperare che questo pericolo non si avveri.

Il secondo pericolo invece è molto più serio, perché troverebbe non ostile l’Albania, per le seguenti ragioni: l’Italia non può competere con altre potenze sul terreno delle speculazioni. L’argomento della sua povertà è abilmente sfruttato dai nostri avversari, per scalzare agli occhi degli albanesi la nostra posizione ed il nostro prestigio. Dinanzi alla prospettiva di illusori guadagni economici, l’Albania dimenticherebbe facilmente il bene fattole dall’Italia e rivolgerebbe le sue aspirazioni verso altri più ricchi di noi. Costoro sarebbero certamente in grado coi loro capitali e coi loro mezzi potenti di sfruttare questo paese ai loro fini di speculazione; ma non saranno mai in grado, anche per ragioni di distanza, di prodigargli l’assistenza fraterna in ogni campo che gli ha già data e potrà continuare a dargli l’Italia.

Il popolo albanese, convien dirlo, è venale, perché è stato corrotto dai sistemi del Governo turco, dalle competizioni a base di favori e di danaro delle potenze europee prima della guerra, e perché è povero e manca di tutto. L’idea del guadagno lo suggestiona e lo converte.

Di più l’Italia, che non ha grandi capitali, ha per contro molte braccia. È questo un altro argomento di cui si valgono i nostri avversari per tener dubbioso e sospettoso il popolo albanese, già incline per se stesso a diffidare di noi, perché in tutto vede il pericolo che si voglia fare dell’Albania una colonia italiana. Questo pensiero lo turba sia dal punto di vista morale, che da quello materiale; moralmente gli fa supporre di poter essere messo alla pari degli indigeni africani; materialmente gli fa temere di vedere le proprie terre coltivate da braccia straniere. Supposizione e timore completamente infondati, perché nulla autorizza l’Albania a credere che la si voglia trattare come una colonia, e perché il suo territorio è così vasto, da poter far vivere una popolazione almeno cinque volte maggiore di quella che l’abita oggi3.

Su questo substrato di sentimenti e di aspirazioni albanesi, hanno potuto attecchire, sia le arti subdole dei nostri avversari, sia le celate iniziative degli americani qui residenti, per un possibile protettorato, rafforzate dai racconti e dai discorsi dei numerosi emigranti, che giornalmente tornano dall’America.

Le minuziose inchieste qui fatte dal console americano sig. Haven e la sua lunga permanenza in Albania, non sono l’ultima causa del presente stato d’animo del popolo albanese. Il risultato è che oggi non pochi albanesi dimostrano apertamente di desiderare il protettorato degli Stati Uniti d’America.

A documentare quest’assetto, cito:

Un esposto contro le pretese greche diretto al presidente Wilson, redatto dal sig. Spiro Koleka, ricco, colto e abbastanza influente ortodosso chimariato, residente a Valona.

In esso non si nomina nemmeno l’Italia, ma s’invoca l’America con queste parole: «La certezza che gli Stati Uniti d’America sono gli unici protettori disinteressati dei popoli c’incoraggia a presentare a V.E. il presente memoriale, ed implorare modestamente di compiacersi sostenere i diritti della nazione albanese».

Scritti di questo genere debbono esserne stati compilati parecchi in Albania, forse a Elbassan, a Durazzo, a Valona, a Berat, taluno anche di carattere violento contro l’Italia, come a Pekinj, di cui però non si conoscono i testi.

Una richiesta esplicita di protettorato americano venne verbalmente rivolta al sig. console Haven, da una commissione di notabili ortodossi di Argirocastro, condotta dall’avv. sig. Dilio (ho visto io stesso un appunto della cosa nelle mani del sig. Haven).

Naturalmente ciò che si scrive in Albania è, per ragioni facili a comprendersi, poca cosa e tenuta entro i limiti discreti; s’invoca l’America ma non si dice male del-l’Italia. Indubbiamente si pensa e si parla però assai più di quello che non si scriva; e quale possa essere il contenuto di tali pensieri e discorsi si può apprendere dalla stampa estera — non quella greca di Janina, Atene e Corfù o franco-jugoslava-albanese di Scutari, che non è rispettabile — ma quella che si pubblica a Parigi. «Le Pays» del 19 aprile scorso pubblicava ad esempio: «La delegazione albanese (non si

sa quale) ieri ha presentato alla Conferenza un exposé dove prova e dice quanto danno sarebbe, specialmente per gli albanesi, e per tutti i popoli balcanici, il possesso di Valona nelle mani dell’Italia, e qualunque ingerenza italiana non chiamata in Albania. La delegazione albanese, per assicurare una pace durevole nella penisola, propone di far dare agli Stati Uniti d’America un mandato col quale gli Stati Uniti aiuterebbero l’Albania nei primi passi della sua vita politica. Se poi gli Stati Uniti non volessero sobbarcarsi a questo mandato, allora propone ch’esso venga dato ad un’altra potenza che non ha interessi diretti nell’Albania e nei Balcani (!). Tutte le delegazioni delle colonie albanesi, sparse per il mondo, che si trovano a Parigi, si sono unite a questa proposta».

Disgraziatamente a questa campagna intesa a dare il mandato per l’Albania ad altre potenze, all’infuori dell’Italia, contribuisce indirettamente e in non piccola parte anche la stampa italiana, molto letta ed assai ben compresa fra gli albanesi. La nostra stampa non ha una linea di condotta ben definita, riguardo alla questione albanese. Essa non fa che richiamarsi al Trattato di Londra, per far apparire l’Albania, o come già in parte assegnata all’Italia, o peggio come terra da scambiare con altro per soddisfare alle sue mire politiche. Ciò umilia gli albanesi e ce li rende ostili.

Si leggono ad es.: nel «Giornale d’Italia» del 15 maggio, i seguenti passi:

«Per quanto riguarda la questione adriatica, il Trattato di Londra non contempla l’attribuzione di Fiume all’Italia, ma le assegna tutta l’Istria ed una metà circa della Dalmazia, oltre ad una gran parte dell’Albania». Ed altrove:

«Il Trattato di Londra contiene altre clausole che si giudicano oggi di difficile attuazione, ma la cui applicazione diventerebbe inevitabile, qualora s’insistesse a voler applicare a danno dell’Italia la clausola che esclude Fiume. Svanirebbe perciò la possibilità per la Grecia di ottenere il Dodecanneso e l’Epiro settentrionale».

Leggendo siffatte cose, non è da meravigliarsi che presso i nazionalisti più accesi d’Albania, si faccia strada l’idea che la salvezza di essa risieda nel protettorato americano.

Si è creduto opportuno di esporre le idee sopraccennate intorno allo stato attuale dello spirito degli albanesi e al loro modo di vedere, per quanto li riflette, le questioni; del protettorato da affidarsi ad altra potenza che non sia l’Italia; e di ulteriori smembramenti dopo quelli subiti col Trattato di Londra del 1913; perché, ove lo si creda, se ne possa tener conto nelle risoluzioni che si dovranno prendere alla Conferenza della pace.

616 2 È il trattato del 30 maggio 1913 che pose fine alla prima guerra balcanica e stabilì, tra l’altro,l’indipendenza dell’Albania, sia pure entro confini molto ridotti.

616 3 Nota di Piacentini: «Per quanto gli albanesi sono contrari all’idea, da nessuno mai concepita,di vedersi ridotti allo stato di colonia, per altrettanto taluni di essi, fra i più colti, sarebbero desiderosi edanzi onorati di essere francamente annessi all’Italia e diventare cittadini italiani. Non è ora il caso di soffermarsi su tale argomento, che potrebbe essere ripreso, se del caso, a momento più opportuno».

617

IL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, E AL COMMISSARIO A BUDAPEST, BORGHESE

T. 581. Parigi, 27 maggio 1919, ore 9.

Pervengono seguenti informazioni: «Ungheresi Vienna sono diffidenti contro Italia ritenendola favorevole Governo comunista per averlo amico in caso conflitto con Jugoslavia»1.

618

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 19742 G.M. UFF. OP. Abano, 27 maggio 1919, ore 14.

S.E. Grazioli informa che giovani fiumani hanno deciso costituirsi in battaglione volontari fiumani fondendo in esso le già esistenti società sportive locali ed altre associazioni patriottiche. Egli vede molto volentieri tale iniziativa sia perché colorisce ferma volontà di Fiume di difendere in ogni caso proprio diritto di autodecisione, sia perché gli permetterà disciplinare meglio elementi giovani di idee ultra italiane,ma alquanto turbolenti. Egli, salvo diverso avviso Governo, appoggerà attuazione tale nobile idea sotto forma concessione richiesta autorizzazione e facilitazione esercitazioni e propone che battaglione potrebbe costituirsi in occasione prossima festa Statuto. Trattandosi di questione di carattere prevalentemente politico si sottopone decisione V.E.1.

1 Vedi D. 634.

617 1 Ne aveva riferito anche Tacoli in un T. 117 da Budapest del 21 maggio. Si veda poi D. 677. 618 Il telegramma fu inviato per conoscenza a Sonnino e alla Sezione militare della DICP.

619

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 583. Parigi, 27 maggio 1919, ore 15,30.

A telegramma n. 6251.

Approvo linguaggio V.S. Mantenimento sovranità ed integrità ottomana è nei nostri fini. Occupazioni militari mirano solo a salvaguardare nostri particolari interessi in conformità azione potenze alleate ma non intendono affatto menomare autorità prestigio turco.

620

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI

T. 585. Parigi, 27 maggio 1919, ore 15,30.

Rispondo suo telegramma n. 1941.

Notizia circa trattazione questione macedone al Congresso pace non è esatta. Si occupano di essa persone varie ma finora senza essere riuscite assicurare appoggio centri ufficiali. Ad essa venne fatto apertamente accenno da parte italiana in seno commissione per richieste greche ma non si ebbe seguito.

Delegazione italiana porta alla questione suo interessamento ma finora solo lato pratico prevedibile è quello relativo garanzie da assicurare alle minoranze. Prego volermi informare fonte notizia riferita a V.S. dal signor Theodoroff.

619 1 Con T. 625 del 20 maggio Sforza, a proposito di un comunicato del Ministero degli esteriottomano sugli sbarchi italiani in Anatolia, osservava: «Comunque non ne parlerò col gran visir. Ognimio sforzo è invece rivolto a persuadere i capi della pubblica opinione che Italia preferirebbe una Turchiaintegra e libera come abbiamo provato adoperandoci per Tracia, ma che se tutti occupano anche noi dobbiamo occupare. Questo mio linguaggio franco è finora apprezzato e approvato».

620 1 Del 23 maggio (non pubblicato). Riferiva di un presunto atteggiamento di Sonnino al Congresso di Parigi, in favore dell’indipendenza o dell’autonomia della Macedonia.

621

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, E AL COMMISSARIO A BUDAPEST, BORGHESE

T. 590. Parigi, 27 maggio 1919, ore 16,30.

Pervengono seguenti informazioni: «Lavori francesi per unione Austria-Ungheria e restaurazione Carlo si intensificano. Francesi chiamano raccolta Vienna spiccate personalità ungheresi per indurle aderire Governo Szeged ed indirizzarli verso accettazione tale programma».

Successivamente notizie dicono che francesi, deciso appoggio Governo Szeged sulla base intesa con jugoslavi ed eventualmente accordo militare, chiedono uscita dal Governo del ministro Bornemisza; vorrebbero farvi entrare uomini partito Andrassy. Prego assumere e telegrafarmi notizie al riguardo.

622

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 27 maggio 1919.

Ringrazio del telegramma del pomeriggio di oggi1.

Circa intenzioni Wilson per quanto concerne confine istriano, è veramente strano che l’opinione pubblica se ne accorga ora, come risulta dal telegramma di Vostra Maestà nonché da altre notizie che ricevo. La verità è che tale sua intenzione, Wilson dichiarò nettamente col suo memorandum2, ed io non mancai di mettere in rilievo alla Camera la gravità di tale contestazione. Come ho anzi avvertito Vostra Maestà la ragione pregiudiziale per cui cessarono le recenti conversazioni col colonnello House dipese precisamente da ciò. Aggiungo che è sempre la questione del confine istriano che per ora rappresenta la massima difficoltà dell’accordo, data la ostinazione di Wilson e data la impossibilità da parte nostra di cedere. Ripeto che tutto ciò è estremamente penoso, ma non è punto una novità essendo corrispondente alla dichiarazione pubblicata da Wilson il 23 aprile3. Nella riunione antimeridiana di oggi furono definite clausole finanziarie con Austria e riuscimmo a salvare un interesse italiano di circa un miliardo. Nel pomeriggio si discusse questione confine jugoslavo-austriaco in prossimità del territorio italiano. Per Klagenfurt fu deciso che confine segua linea dei

2 Vedi D. 194, All. II.

3 Vedi D. 280, All.

monti lasciando quindi Klagenfurt agli austriaci. Quanto al triangolo di Assling noi sostenemmo che fosse dato agli austriaci perché la linea di comunicazione Trieste-Vienna non fosse interrotta da territorio jugoslavo. Wilson dichiarò di non dare importanza a questo genere di ragioni e di voler attribuire quel territorio ai jugoslavi perché abitato da sloveni. Lloyd George rilevò che, data la connessione intima tra la questione ed il generale regolamento delle questioni italiane, convenisse rinviarla. Così fu stabilito. Lloyd George ebbe poi un lungo colloquio confidenziale con Wilson, evidentemente sulla nostra questione, e mi invitò a recarmi domattina da lui per conferire in proposito.

Ho la netta sensazione che la nostra questione si avvicini ad un momento critico, ma i prognostici sulla soluzione non possono essere favorevoli, data precisamente l’ostinazione di Wilson su quanto concerne il confine istriano. Noi non possiamo assolutamente cedere su questo punto: primo, perché avremmo una linea strategica pessima; secondo, perché perderemmo l’immediato contatto con Fiume e poco ci gioverebbe la dichiarazione di indipendenza della città.

622 1 Non pubblicato.

623

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1855/... Belgrado, 27 maggio 1919 (perv. il 28).

Telegramma di V.E. 22 corrente senza numero1.

Situazione politica non influenza questo mercato che è impaziente riprendere normali relazioni commerciali coll’Italia. Poiché nella pratica si verificano deroghe al divieto d’importazione via Fiume e accomodamenti sembrano possibili circa applicazione trattato di commercio reputo utilissima presenza qui addetto commerciale. Non così urgente mi sembra invece istituzione dell’Agenzia commerciale di cui al telegramma posta di V.E. n. 70062.

623 1 Non rinvenuto. 2 Non rinvenuto.

624

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 1860/... Belgrado, 27 maggio 1919 (perv. il 28).

Telegramma di V.E. n. 105361.

Davanti al testo delle note scambiate a Roma e che non avrebbe conosciuto finora nella loro integrità, questo Governo non ha potuto rifiutare riconoscere avvenuta proroga trattato di commercio. Esso però dichiara che, visto nostro diniego estendere trattato nuovi territori, non può permettere importazione a tariffa convenzionale attraverso regioni jugoslave ma solo via Salonicco2. Ho protestato per questa limitazione che nella pratica viene a rendere illusorio effetto riconoscimento, non esistendo attualmente comunicazioni ferroviarie fra Salonicco e Belgrado. Misura potrebbe al più avere effetto per regioni macedoni Uskub-Monastir. Per trattare ulteriormente questione sarebbe utile io conoscessi punto di vista del R. Governo circa regime che dovrebbe applicarsi alle regioni jugoslave già facenti parte impero austro-ungarico. Prego telegrafare inoltre se per facilitare soluzione potrei essere autorizzato a dare verbali assicurazioni che il R. Governo non protesterà per l’estensione di fatto del regime doganale serbo a tutto il nuovo territorio. Le altre potenze avrebbero già tacitamente aderito non sollevando obbiezioni al riguardo.

625

IL COMANDANTE LA STAZIONE NAVALE DEL DODECANNESO, CIANO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL

T. ..., 27 maggio 1919.

Il desiderio dell’occupazione italiana nei mussulmani aumenta di intensità e portata man mano che dalla costa si va all’interno. L’elemento greco a noi ostile nel Dodecanneso e nelle località costiere lo è molto meno nell’interno Anatolia. All’occupazione greca mussulmani preferiscono qualunque altra. Queste condizioni attuali per noi favorevoli potranno essere mantenute se all’occupazione nostra seguiranno tangibili effetti benefici. Il problema è grandioso e, mentre occorreran

137.56 del 31 maggio a firma di Biancheri. La stazione navale del Dodecanneso era stata istituita il 16marzo 1919 ed affidata al capitano di vascello Alessandro Ciano, comandante della nave «Regina Elena».

no studi e provvedimenti di Governo per mettere in valore e sfruttare ricchezza della regione, in primo tempo riusciranno utili iniziative private commerciali purché siano sotto controllo enti governativi onde evitare prezzi eccessivi e purché siano sollecitamente attuate.

624 1 Vedi D. 475. 2 La presa di posizione venne confermata dal Ministero degli esteri jugoslavo con un promemoria in data 28 maggio (T. 112 del 28 maggio di Galanti).625 Il telegramma fu comunicato da Revel al MAE e quindi dal MAE alla DICP con T. Gab.

626

IL SEGRETARIO GENERALE PER GLI AFFARI CIVILI DEL COMANDO SUPREMO, D’ADAMO, ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

NOTA 11467/I. [Abano], 27 maggio 1919.

Il capo della missione italiana per l’armistizio in Vienna ha trasmesso due relazioni, che si accludono in copia1, sulle condizioni politiche, economiche e commerciali nei centri principali del nuovo regno polacco e precisamente a Cracovia, Leopoli e Varsavia.

Risulta dalle stesse quanto poco sia stato fatto finora per far conoscere l’Italia e la sua produzione fra quei popoli, per allacciare relazioni commerciali e per cercare di accaparrarci quelle piazze.

È stato inviato dal generale Segre a Varsavia, con missione temporanea, il tenente Guerrini-Maraldi sig. Agostino, il quale è già a conoscenza delle principali questioni commerciali della Polonia. Non si ritiene però che con ciò sia esaurito il compito, circa le relazioni commerciali con la Polonia, per assolvere il quale occorrerà inviare persone competenti, scelte possibilmente fra il ceto dei commercianti, e munite di precise direttive.

Si segnala pertanto la proposta con preghiera di farla oggetto di speciale esame e di comunicare i provvedimenti che si riterrà opportuno adottare o suggerire.

626 Il telegramma fu inviato contestualmente ai Ministeri degli esteri, dell’industria, commercioe lavoro, dei trasporti marittimi e ferroviari, del tesoro e degli approvvigionamenti e consumi alimentari eal Commissariato generale dell’emigrazione.

1 Non si pubblicano.

627

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, CACCIA DOMINIONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 4442.206 RIS. Tunisi, 27 maggio 1919 (perv. il 2 giugno).

Sono in grado di comunicare a V.E., sebbene non dubito che per altra via sia a conoscenza di codesto Ministero, nella copia qui acclusa, uno dei più importanti indirizzi inviati dai mussulmani di Tunisia alla Conferenza della pace1.

L’indirizzo è stato pubblicato dal «Populaire» di Parigi, del 27 marzo 1919, ma l’introduzione in Tunisia di tale giornale è stata rigorosamente proibita. Tuttavia nelle sfere indigene il documento non è sconosciuto e la sua conoscenza si va propagando con quella rapidità e discrezione che sono caratteristiche della solidarietà islamica. Posso aggiungere, per quanto mi consta da informazioni confidenziali, che l’indirizzo è stato trasmesso per mezzo di questo console degli Stati Uniti, al quale si è fatto ricorso dopo che fu dal Governo francese vietato ad una commissione di arabi tunisini di recarsi a Parigi per portare alla Conferenza i loro voti. Era stato anche proposto che questo e altri indirizzi fossero presentati, per l’inoltro ai rispettivi Governi, a tutti i consoli alleati e neutrali, ma prevalse, per prudenza, il consiglio di rimetterlo solo al console americano.

Aggiungo che lo stato d’animo dei mussulmani di Tunisia è degno della più alta attenzione, specialmente nei nostri riguardi. Il crollo degli imperi centrali e della Turchia, che raccoglievano le simpatie e le speranze degli arabi tunisini tendenti al nazionalismo mussulmano, determinò una grave depressione ed un grande scoraggiamento. Ma le difficoltà sorte nella Conferenza hanno contribuito a risuscitare speranze ed aspirazioni sulle quali due fattori hanno ultimamente esercitato un’influenza decisiva: la sollevazione dell’Egitto e la notizia della tendenza liberale inaugurata dall’Italia in Libia.

In quanto alla prima, i competenti del paese ricordano che i movimenti islamici di Egitto hanno sempre avuto una ripercussione in Tunisia: ultimo esempio i moti detti del Djellaz del 1911. In quell’epoca la nostra guerra con la Turchia fece sì che l’impenitente turcofilia araba rivolgesse le maggiori manifestazioni di rancore contro l’Italia. Ma oggi la situazione è radicalmente mutata. L’Italia è certamente in uno dei periodi della massima sua popolarità presso gli indigeni mussulmani di qui pel fatto che si è divulgata con sorprendente diffusione, producendo grande sensazione, la notizia dell’elevazione che l’Italia intende dare agli arabi nella Libia.

La solidarietà italo-araba che il residente generale — nella sua incauta politica di francesizzazione violenta — ha lasciato sorgere in occasione dello sciopero dei tramvieri (vedi mio rapporto n. 164 del 1° corrente)2 ha dato un nuovo impulso a

questa corrente di simpatia. Infatti le sottoscrizioni a favore dei tranvieri scioperanti hanno dato i migliori risultati nella colonia italiana e negli ambienti mussulmani.

D’altra parte il sordo fermento antifrancese determinato dal complesso di questi fatti dilaga e dà qualche prova della sua potenzialità, come il boicottaggio che fu organizzato da parte del pubblico mussulmano del servizio tranviario ridotto durante la prima fase dello sciopero, per simpatia verso gli scioperanti, che sono in massima parte italiani e in secondo luogo indigeni.

In conclusione, senza poter prevedere manifestazioni più o meno imminenti, posso segnalare a V.E. che la situazione della Tunisia dal punto di vista mussulmano è delicatissima e che non è certo un uomo inesperto come il Flandin la persona nella quale si può fidare per sistemarla.

627 1 Si tratta del proclama «Vers la liberté des Peuples. Une protestation des Musulmans Tunisiens». Non si pubblica.2 Non rinvenuto.

628

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA

T. 595. Parigi, 28 maggio 1919, ore 13.

Suo telegramma n. 916 del 26 corrente1.

Articolo «Journal des Débats» completamente infondato. Programma costante Delegazione italiana, conforme V.S. fu a suo tempo informata, fu sempre quello di assicurare comunicazione diretta fra Italia e Austria per mezzo ferrovie Pontebbana e Transalpina senza interposizione di territori jugoslavi. Delegazione italiana ha perciò insistito tenacemente perché intero bacino di Klagenfurt e di Villach nonché distretti di Kronau e di Radmansdorf in Carniola siano attribuiti all’Austria. Prego portare quanto precede senza indugio a cognizione di codesto Governo con preghiera d’informare delegazione austriaca di St. Germain2.

2 Sonnino doveva ancora sollecitare questo intervento con T. 625 del 1° giugno. Ma Macchioro aveva già provveduto a parlarne con Bauer, che ne aveva informato immediatamente la delegazioneaustriaca a St. Germain (T. 957 del 29 maggio e T. 988 del 2 giugno di Macchioro a Sonnino).

628 1 Non pubblicato. Riferiva notizie di stampa, originate dal «Journal des débats», circa presuntepretese italiane al possesso delle vie d’accesso ai porti adriatici, specificatamente alle vallate della Dravae della Sava, con Villach.

629

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMANDO SUPREMO

T. 599. Parigi, 28 maggio 1919, ore 18.

A telegramma 9570 OP.1.

Credo opportuno chiarire che con mio telegramma 5242 non intendevo suggerire immediata occupazione Alaya ma solo consigliare possibile invio temporaneo di qualche distaccamento da Adalia qualora le comunicazioni lo consentissero agevolmente. È pure da tenere presente che se noi intendessimo presidiare con notevoli forze qualunque centro anche di scarsa importanza ne verrebbe un dispendio di energia non necessario e non proporzionato ai fini che vogliamo raggiungere. Se occupazioni permanenti e con nuclei importanti devonsi estendere è preferibile farlo nella zona a sud di Aidin dove può esservi eventuale pericolo ulteriore occupazione greca.

È invece oltremodo consigliabile che truppe facciano ricognizioni quanto possibile estese scopo far sentire a popolazioni nostra presenza ed è a tal fine che si è fatta presente opportunità inviare a nostri reparti larghi mezzi logistici.

630

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMANDO SUPREMO

T. 600. Parigi, 28 maggio 1919.

Dato estendersi nostre occupazioni Asia Minore e nel richiamare le direttive generali di condotta contenute nel mio telegramma n. 409 del 12 aprile1 riterrei utile che da parte dei comandi superiori fossero ricordate ai comandi inferiori, e specie ai distaccamenti isolati, le direttive stesse e fosse a tutti raccomandata la maggiore prudenza e cautela di linguaggio ad evitare malevole e dannose interpretazioni dei nostri intendimenti. Per norma di linguaggio può essere fatto presente che sta nei nostri fini mantenimento della sovranità turca e che nostre occupazioni, mirando a cautelare i nostri particolari interessi in armonia alla azione delle altre potenze, non vogliono affatto menomare prestigio ed autorità turca.

629 Il telegramma fu inviato per conoscenza alla DICP, Sezione militare.

1 Non rinvenuto.

2 Del 14 maggio. Non pubblicato.

630 Il telegramma fu inviato inoltre per conoscenza alla PCM, a Sforza, alla Sezione militaredella DICP, alle Ambasciate a Parigi e a Londra, ed a Cellere.1 Vedi D. 179.

631

IL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA

T. 603. Parigi, 28 maggio 1919, ore 20.

Informo V.S. che a mia richiesta il presidente del Consiglio ha fatto assegnare dai fondi del Ministero della guerra lire centomila per le spese necessarie per far meglio conoscere lo sforzo sostenuto dall’Italia per approvvigionare l’Austria Tedesca. Tale importo sarà messo a disposizione di V.S. che ne vorrà disporre nel modo che ne riterrà più opportuno intendendosi a tale scopo anche con delegati italiani per gli approvvigionamenti a Vienna cavaliere Trovati e al suo ritorno costì col delegato finanziario Alberti. L’opera di propaganda deve essere iniziata immediatamente eessere svolta con energia sopratutto nei prossimi otto giorni. È assolutamente necessario che di tale propaganda italiana non si abbia pubblico sentore. Pertanto si tratta di evitare la diramazione di comunicati di carattere uniforme mentre invece converrà provocare commenti spontanei dei giornali redatti in forme diverse nei quali si metta in giusto rilievo l’entità del soccorso italiano e si accenni anche alla collaborazione inglese. Per i contatti con opinione pubblica gioverà servirsi preferibilmente di elementi austriaci evitando in tal modo di dare nell’occhio. V.S. troverà costì certamente gli uomini necessari. Uno di essi potrebbe eventualmente essere il signor Hellmuth già direttore della «Triester Wochenpost». Altri potrebbero essere il dottor Mattheusche e il dottor Brosch del Lloyd. È utile far mettere nella dovuta evidenza il fatto che Italia è stata la prima a prestare assistenza alimentare all’Austria Tedesca. Oltre i tre quarti dei rifornimenti viveri all’Austria Tedesca sono di provenienza italiana. Il resto è stato dato dagli inglesi. I francesi nulla ancora inviarono. La commissione francese del bilancio rifiutò i crediti per le forniture di viveri all’Austria Tedesca. Per modificare tale rifiuto commissione francese al bilancio chiede l’impegno da parte del Governo austriaco di requisire e consegnare tutti gli oggetti di oro e gioielli appartenenti ai privati. Di requisire e consegnare tutti i titoli esteri appartenenti ai privati. Di cedere tutto il provento monetario dalla vendita del legname all’estero e di iscrivere una ipoteca sui boschi dello Stato degli enti e privati. Di ipotecare tutte le proprietà e aziende comunali delle città con più di cinquantamila abitanti. Naturalmente queste condizioni chieste come garanzia per la Commissione francese bilancio non possono essere rese di pubblica ragione a meno che ciò non sia fatto dallo stesso Governo austriaco cui sono già state notificate. Voglia V.S., far leggere presente telegramma a cav. Trovati per sua norma. Gradirei che V.S. mi confermasse di aver subito iniziato l’opera di propaganda dello sforzo italiano in favore dell’Austria Tedesca.

631 1 Il telegramma è controfirmato da Sonnino.

632

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 28 maggio 1919.

Ho comunicato a Sua Maestà. Come egli stesso ti telegraferà direttamente1 pensa che dato non si possa proprio ottenere di più, se il nostro confine segue la linea displuviale dalla Svizzera fino al Nevoso sembrerebbe anche accettabile la proposta telegrafata. Però se non né Zara né Sebenico né la massima parte delle isole del Patto di Londra qui probabilmente proveranno una delusione. Resta inteso che non si avrà alcuna novità per Valona. Il tuo telegramma2 parla di questione del-l’ammiragliato Alo epperò non un motto del confine fino all’ammiragliato che si deve ritenere concordato secondo il Patto di Londra. Sua Maestà il re si preoccupa di Tolmino e di Idria che ritiene le chiavi della difesa di Trieste e senza delle quali noi ci troveremmo in inferiorità strategica. Ma io ritengo che le preoccupazioni sparse siano basate sulla mancanza di notizie precise sulle deliberazioni riguardanti il patto3 quarto del Patto di Londra in cui non dovrebbe cadere discussione. Sua Maestà il re soggiunge che da sue informazioni lo spirito di Wilson è sensibilmente modificato e ne spera bene per quanto riguarda trattative per Zara e Sebenico. Fa rilevare che la questione delle isole deve essere ben seguita perché potrebbero formare base di offesa ad una nazione qualunque che vi si insediasse. Le mie impressioni sono che salvando Zara e Sebenico la maggior parte delle isole e Valona, l’accomodamento per Fiume è accettabile ed il paese pure di uscirne respirerebbe. Il re mi ha parlato di sorprese militari che i serbi vorrebbero effettuare su Fiume nel caso che la Conferenza decidesse in senso a loro contrario. Penserai tu da Parigi a dare opportune disposizioni al Comando Supremo.

2 Non rinvenuto.

3 Evidentemente errato, per «punto». L’art. 4 del Patto di Londra è quello relativo a Trentino,Tirolo, Trieste e Istria (vedi serie quarta, vol. III, D. 470).

632 1 Il telegramma del re a Orlando, dello stesso giorno, sottolineava appunto il rischio di gravedelusione in caso di mancata assegnazione all’Italia di Zara e Sebenico e delle isole dalmate.

633

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 1755. Parigi, 28 maggio 1919.

Risposta a foglio 6641 di Prot. S.P.1.

Sospensione evacuazione del Montenegro fu decisa da autorità militari francesi perché, nessun accordo definitivo essendo stato preso con noi, distaccamento italiano ebbe ordini di rimanere nelle località che occupava.

634

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO

T. 1756. Parigi, 28 maggio 1919.

A tel. 19742 G.M. Uff. OP.1.

Nulla osta a che generale Grazioli appoggi costituzione battaglione volontari fiumani purché tutto sia fatto con tatto ed in modo da non suscitare recriminazioni degli Alleati.

635

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1869/59. Addis Abeba, 28 maggio 1919 (perv. il 30).

Gli ultimi avvenimenti di Addis Abeba (pronunciamento contro fitaurari Apte Ghiorghìs) che non ebbero per se stessi grande importanza né conseguenze gravi e dei quali ho riferito per mezzo del Governo dell’Eritrea, hanno lasciato uno strascico che non mancherà di avere conseguenze più gravi in un prossimo avvenire. Gli avvenimenti suddetti hanno difatti rivelato che il dissidio fra la imperatrice e ras Tafari è più grave e insanabile di quanto era lecito supporre e che la posizione di ras Tafari

635 Trasmesso da Asmara al MAE e, con leggere varianti, al Ministero delle colonie con T. 574del 29 maggio.

quale reggente Governo ed erede trono etiopico sta diventando assai incerta e pericolante. Il pronunciamento diretto contro Apte Ghiorghìs, che è fallito per l’intervento a suo favore dell’imperatrice e dei vecchi capi e soldati di Menelik, ha sollevato fra le orde un movimento, non ancora palese, ma molto esteso, contro ras Tafari al quale si rivolge l’accusa di avere egli provocato, condotto pronunciamento contro Apte Ghiorghìs, come già aveva provocato quello contro i ministri, allo scopo di sbarazzare il terreno dall’autorità ingombrante di uno fra i maggiori capi (...). Che tali siano i propositi di ras Tafari io ne sono perfettamente convinto, ma sono ugualmente convinto che egli non abbia né capacità né forze per dominare tale partito per la qual cosa egli sembra fare assegnamento sul consenso e sull’appoggio delle tre potenze e in primo luogo della Francia. Pel momento il risultato tangibile di questo atteggiamento di ras Tafari è quello di creare nell’impero e specialmente allo Scioa uno stato di anarchia e di agitazione, che minaccia travolgere il ras prima che le tre potenze abbiano concretato un piano di condotta comune nei riguardi dell’Etiopia. Io ho creduto che tanto il Governo francese che il Governo inglese siano propensi sostenere eventualmente ras Tafari, ma per parte mia, pur riconoscendo in lui maggior attitudine ad accogliere ed attuare un programma di riforme in Abissinia, quale è nel desiderio dei tre Governi, ritengo sarebbe inopportuno e pericoloso spingerlo e sostenerlo ora nell’atteggiamento da lui assunto e nel quale ha poca probabilità di riuscita e che minaccia condurre Abissinia ad uno stato di maggiore anarchia.

633 1 Con il T. 8562 del 17 maggio alla Sezione militare (trasmesso al MAE, Gabinetto con T. 6641del 26 maggio) Badoglio aveva chiesto chiarimenti circa la riassunzione del comando delle truppe alleatein Montenegro da parte del generale Tahon.

634 1 Vedi D. 618.

636

APPUNTI DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

Parigi, 28 maggio 1919.

Il signor Lloyd George illustra le proposte che egli aveva pregato il signor Orlando di prendere in considerazione1, e precisamente:

Uno Stato di Fiume da crearsi sotto l’impero della Lega delle Nazioni e da amministrarsi da una commissione costituita come segue:

Due membri nominati dal Governo italiano

Un membro nominato dagli jugoslavi

Un membro nominato dallo Stato di Fiume

Un membro nominato dalla Lega delle Nazioni.

636 Seduta p.m. del 28 maggio 1919 del Consiglio dei quattro. Cfr. ALDROVANDI, pp. 435 sgg.,FRUS, vol. VI, pp. 89 sgg., e MANTOUX, vol. II, pp. 242 sgg.

1 Si tratta del c.d. «piano Tardieu» nato dai colloqui tenuti da Crespi e Tardieu il 26 maggio eproseguiti, con la presenza di Loucheur e di Clémentel, il 27 maggio. Portato in Consiglio dei quattro il28 maggio, vi fu a lungo discusso ma senza alcun risultato positivo. Cfr. CRESPI, pp. 602 sgg. Il testo italiano del piano Tardieu è in ALDROVANDI, pp. 430 sg. Una versione inglese è in FRUS, vol. VI, p. 81 sg. Vedi qui Allegato.

Il delegato della Lega delle Nazioni dovrebbe avere un voto decisivo. In capo a quindici anni dovrebbe aver luogo un plebiscito. Fin qui egli credeva che il signor Orlando potrebbe accettare. C’erano tuttavia due difficoltà, vale a dire le isole e le città di Zara e Sebenico. Il Governo italiano era pronto a rinunciare alla Dalmazia purché Zara e Sebenico fossero cedute all’Italia ovvero poste sotto mandato italiano come il signor Orlando aveva suggerito in antecedenza. Il signor Orlando era anche pronto a rinunziare alle tre isole più grandi del gruppo meridionale, il restante non essendo se non rocce inabitate, e così pure all’isola di Pago. Il signor Orlando insisteva tuttavia sul fatto che l’isola di Cherso è una continuazione della penisola istriana e deve essere assegnata all’Italia. Egli dichiarò che la maggioranza della popolazione dell’isola è italiana e chiede che sia assegnata all’Italia; tuttavia le informazioni del presidente Wilson su questo punto sono, a quanto sembra, diverse.

Il signor Clemenceau chiede quale sarebbe la lingua ufficiale a Fiume.

Il signor Lloyd George risponde che lo Stato di Fiume deciderà in merito.

Il presidente Wilson dice che il signor Orlando si renderà conto come egli riconosca che il Governo degli Stati Uniti non ha diritto di assegnare territori ad alcuno: egli si limita soltanto ad attenersi al principio sul quale si fonda la rimanente sistemazione. Egli è pronto ad accettare la proposta di un libero Stato di Fiume come base riconosciuta di una proposta agli jugoslavi, dall’accettazione della quale dipende la sistemazione intera della questione. Egli desidera di accertarsi se su queste linee sia possibile un accordo. Egli si rende ben conto del serio sforzo fatto dal signor Orlando per rinunziare ad una parte delle sue pretese primitive. Tuttavia prima di presentare la proposta agli jugoslavi egli amerebbe sapere se può attribuire a questi ultimi anche le isole di Veglia e di Cherso, eccettuato beninteso Lussin che è notoriamente italiana di nazionalità. Per quanto riguarda Cherso infatti, la sola parte settentrionale di essa è italiana secondo una carta etnografica italiana che egli presenta. Egli suggerirebbe inoltre che lo Stato di Fiume comprendesse il versante orientale dello spartiacque della penisola istriana e l’isola di Cherso, ma non quella di Lussin che verrebbe assegnata all’Italia. Lo scopo di questa proposta sarebbe quello di porre gli accessi di Fiume sotto il controllo dello Stato fiumano. Nel fare questa proposta egli non vuol dimenticare altresì che in occasione della sistemazione di Danzica è stato necessario garantire alla Polonia la massima libertà di accesso a quel porto, con le teste di linea ferroviarie e gli accessi ferroviari verso l’interno. Senza tali garanzie la libertà del porto non esisterebbe, e questo deve applicarsi ugualmente a Fiume. Per ciò se egli potesse disporre di queste garanzie a favore dello Stato di Fiume sotto il controllo delle potenze alleate ed associate le sue trattative sarebbero grandemente agevolate.

Il signor Orlando risponde di essere lieto che il presidente Wilson abbia riconosciuto lo spirito di rinunzia dell’Italia, ciò che gli è di conforto. Per quanto riguarda la libertà del porto di Fiume egli è in grado di parlare senza equivoci. Egli infatti non fa la minima obbiezione alla completa libertà del porto, ma, oltre a ciò, egli considera come suo dovere di provvedere alle comunicazioni indisturbate con l’interno. Gli accordi territoriali sono una delicatissima questione e bisogna evitare qualsiasi possibile malinteso. Egli ha ricevuto il documento presentato dal signor Tardieu e fatto ogni pressione perché la delegazione italiana lo accettasse, ma questo involve una considerevole rinuncia da parte dell’Italia. Egli ha telegrafato a Roma non appena lo ha ricevuto e nonostante le difficoltà egli dichiara di prendersi la responsabilità personale di accettarlo. Ma sarebbe molto difficile persuadere i suoi colleghi ad accettare riduzioni di questa riduzione. Egli ha fatto il possibile per rinunziare al maggior numero di isole. Per Lesina, Curzola e Meleda, le uniche importanti di quel gruppo, non ci sono difficoltà a rinunziare. Ma egli non può andar più lontano né fare alcuna ulteriore rinunzia sul documento presentato da Tardieu. Le isole dell’Istria debbono negoziarsi sopra una base diversa. Il documento del signor Tardieu riserva Zara e Sebenico all’Italia ed egli intende di accordare massima libertà a quei porti ed è pronto ad impegnarsi che non vi sarà costituita alcuna base militare offensiva. Egli accetta anche il criterio di composizione della Commissione per Fiume proposta dal presidente Wilson e precisamente due commissari per l’Italia, uno per Fiume uno per la Jugoslavia e uno per la Lega delle Nazioni. In conclusione, egli accetta il documento del signor Tardieu, riservandosi la seconda pagina conformemente gli è stato richiesto, con l’emendamento proposto dal presidente Wilson per la composizione della Commissione e con l’emendamento relativo all’abbandono delle tre grandi isole del gruppo Sud. Egli non vuol dire con ciò che ulteriori rinunzie siano impossibili, ma che sarà molto difficile per lui di presentarle ai suoi colleghi.

Il presidente Wilson dice che egli farà quanto potrà da buon amico di ambe le parti, valendosi di questa proposta come di una base accettabile e che agirà nella maniera più benevola.

ALLEGATO

«PIANO TARDIEU» BASES D’ARRANGEMENT

I. FIUME ET LE CHEMIN DE FER D’ISTRIE

Création d’un Etat indépendant sous la souveraineté de la Ligue des Nations, avec la frontière suivante:

à l’ouest, à partir de Volosca, la ligne suggérée par les délégués américains jusqu’au nord-ouest de Saint-Péter; au nord, de ce point jusqu’au Mont Nevoso

à l’est, la ligne demandée par le mémoire italien, le dit Etat comprenant Veglia.

Gouvernement par une commission de cinq membres nommés par la Société des Nations (deux Italiens, un Fiumain, un Jugo-Slave, une d’une autre puissance).

Autonomie municipale assurée au corpus separatum de Fiume, conformémént à sa constitution datant de Marie-Thérése.

Fiume port libre. Pas de service militaire. Pas d’autres impôts que les impôts locaux.

Plébiscite dans quinze ans.

II. DALMATIE.

Abandon aux Jougo-Slaves de touts la Dalmatie, moins Zara et Sébenico, avec leur circonscriptions administratives.

Neutralisation.

III. ILES.

Toutes les Iles du Traité de Londres à l’Italie, moins Pago (Veglia à la République de Fiume).

IV. ALBANIE.

Mandat albanais donné à l’Italie, dépuis la frontiére nord de l’Albanie telle qu’elle est actuellement, jusqu’a la frontiére sud telle qu’elle sera fixée par la Conference.

Chemin de fer à construire en Albanie, à raison de 40% du capital italien, 40% jugoslave, 20% d’autres pays.

V. REGION AU NORD DE LA FRONTIERE.

Tarvis à l’Italie, ainsi que le territoire de la région de Bistrica.

VI. AUTRES STIPULATIONS.

1) Acceptation de la demande italienne en ce qui concerne la flotte de l’Adriatique (Commission des réparations).

2) La triangle d’Assling à l’Austriche (sans fortifications).

RÈPERCUSSION DE L’ARRANGEMENT SUR LA SITUATION DES SLAVES

Par ses clauses propres et par ses conséquences sur d’autres points de la frontière, la solution considerée a pour résultat de soustraire à la domination étrangère un nombre impor

tant de Slaves: Dalmatie Etat de Fiume Bassin de Klagenfurt Prekmourie BaranyaTotal 285.000 75.000 80.000 70.000 15.000 525.000
637

L’ESPERTO TECNICO, R. PIACENTINI, AL MINISTRO, DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, CRESPI

APPUNTI. Parigi, 28 maggio 1919.

1) Il ministro Colosimo nel colloquio concessomi in Roma il 24 maggio corrente ha confermato che debbasi rifiutare la rettifica della frontiera tripolina (carovaniere Gadames-Gat) ove la Francia persista nel rifiuto di Gibuti.

2) Avendo io accennato alla possibilità di avanzare alla Francia, in cambio di Gibuti, nuove richieste, ad esempio il Tibesti e il Borku, o il prolungamento territoriale della Tripolitania sino al lago Ciad, il ministro Colosimo ha espresso parere nettamente contrario, affermando il Tibesti e il Borku essere regioni poverissime e quindi di nessun vantaggio per la Libia, e la continuità territoriale sino al lago Ciad essere ormai inutile avendo Francia e Inghilterra interamente avviato per le strade della Nigeria e del Senegal le carovane della regione del Ciad.

3) Il ministro Colosimo persiste egualmente nel proposito di rifiutare la parte del Somaliland che gli inglesi sarebbero disposti a darci.

4) La linea di confine del territorio del Giubaland cedutoci dagli inglesi non è accettabile perché verrebbe a tagliare alcune tribù somale di cui parte resterebbe in territorio inglese parte in territorio italiano, con inevitabili conseguenze di incidenti di frontiera, di dogana, di divisione di acque e di pascoli, ecc.

5) Il ministro Colosimo come unica via di compenso per la mancata cessione di Gibuti ha indicato il conseguimento di un mandato all’Italia su una delle ex colonie tedesche.

638

IL SEGRETARIO GENERALE DELLA CONFERENZA DELLA PACE, DUTASTA, AL SEGRETARIO GENERALE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, ALDROVANDI MARESCOTTI

NOTA. Parigi, 28 maggio 1919 (perv. stesso giorno).

Le Secrétariat Général de la Conférence de la Paix a l’honneur de faire tenir cijoint au Secrétariat de la Délégation italienne une copie du télégramme1 envoyé au nom du Conseil des Principales Puissances Alliées et Associées2 à Arkangel, Omsk et Ekaterinodar, le 27 mai 1919.

2 Il Consiglio dei quattro si era occupato dei problemi della Russia e dell’appoggio da fornire,a determinate condizioni, all’ammiraglio Kolciak ed ai suoi associati, nelle sedute del 23 p.m., 24 p.m.,26 a.m. e 27 maggio p.m., quando aveva approvato il testo definitivo del messaggio da inviarsi ad Arcangelo, Omsk ed Ekaterinodar, preparato, su richiesta dello stesso Consiglio, da Philip Kerr. Si veda FRUS, vol. V, pp. 901 sgg, vol. VI, pp. 15 sgg., 26 e 72 sgg. Anche la risposta di Kolciak del 4 giugno (sostanziale accordo sulle condizioni poste dagli alleati) e la nuova nota alleata del 12 giugno sono pubblicati inFRUS, vol. VI, pp. 321 sgg. e p. 356.

ALLEGATO

DESPATCH TO ADMIRAL KOLTCHAK

Paris, 26 th may 1919.

The Allied and Associated Powers feel that the time has come when it is necessary for them once more to make clear the policy they propose to pursue in regard to Russia.

It has always been a cardinal axiom of the Allied and Associated Powers to avoid interference in the internal affairs of Russia. Their original intervention was made for the sole pur-pose of assisting those elements in Russia which wanted to continue the struggle against German autocracy and to free their country front German rule, and in order to rescue the Czeco-Slovaks from the danger of annihilation at the hands of the Bolshevik forces. Since the signature of the Armistice on November 11th, 1918, they have kept forces in various parts of Russia. Munitions and supplies have been sent to assist those associated with them at a very considerable cost. No sooner, however, did the Peace Conference assemble than they endeavoured to bring peace and order to Russia by inviting representatives of all the warring Government within Russia to meet them in the hope that they might be able to arrange permanent solution of Russian problems. This proposal and a later offer to relieve the distress among the suffering millions of Russia broke down through the refusal of the Soviet Government to accept the fundamental condition of suspending hostilities while negotiations or the work of relief was proceeding. Some of the Allied and Associated Governments are now being pressed to withdraw their troops and to incur no further expense in Russia on the ground that continued intervention shows no prospect of producing an early settlement. They are prepared, however, to continue their assistance. They are prepared, however, to continue their assistance on the lines laid down below, provided they are satisfied that it will really help the Russian people to liberty, self-government, and peace.

The Allied and Associated Governments now wish to declare formally that the object of their policy is to restore peace within Russia by enabling the Russian people to resume control of their own affairs through the instrumentality of a freely elected Constituent Assembly and to restore peace along its frontiers by arranging for the settlement of disputes in regard to the boundaries of the Russian state and its relations with its neighbours through the peaceful arbitration of the League of Nations.

They are convinced by their experiences of the last twelve months that it is not possible to attain these ends by dealings with the Soviet Government of Moscow. They are therefore disposes to assist the Government of Admiral Koltchak and his Associates with munitions, supplies and food, to establish themselves as the government of all Russia, provided they receive from them definite guarantees that their policy has the same objects in view as that of the Allied and Associated Powers. With this object they would ask Admiral Koltchak and his associates whether they will agree to the following as the conditions upon which they accept continued assistance from the Allied and Associated Powers.

In the first place, that, as soon as they reach Moscow they will summon a Constituent Assembly elected by a free, secret and democratic franchise as the Supreme Legislature for Russia to which the Government of Russia must be responsible, or if at that time order is not sufficiently restored they will summon the Constituent Assembly elected in 1917 to sit until such time as new elections are possible.

Secondly, that throughout the areas which they at present control they will permit free elections in the normal course for all local and legally constituted assemblies such as Municipalities, Zemtavos, etc.

Thirdly, that they will countenance no attempt to revive the special privileges of any class or order in Russia. The Allied and Associated Powers have noted with satisfaction the solemn declaration made by Admiral Koltchak and his associates that they have no intention of restoring the former land system. They feel that the principles to be followed in the solution of this and other internal questions must be left to the free decision of the Russian Constituent Assembly; but they wish to be assured that those whom they are prepared to assist stand for the civil and religious liberty of all Russian citizens and will make no attempt to reintroduce the regime which the revolution has destroyed.

Fourthly, that the independence of Finland and Poland be recognised, and that in the event of the frontiers and other relations between Russia and these countries not being settled by agreement, they will be referred to the arbitration of the League of Nations.

Fifthly, that if a solution of the relations between Esthonia, Latvia, Lithuania and the Caucasian and Transcaspian territories and Russia is not speedily reached by agreement the settlement will be made in consultation and cooperation with the League of Nations, and that until such settlement is made the Government of Russia agrees to recognise these territories as autonomous and to confirm the relations which may exist between their de facto Governments and the Allied and Associated Governments.

Sixthly, the right of the Peace Conference to determine the future of the Roumanian part of Bessarabia, be recognised.

Seventhly, that as soon as a Government for Russia had been constituted on a democratic basis, Russia should join the League of Nations and cooperate with the other members in the limitation of armaments and of military organization throughout the world.

Finally, that they abide by the declaration made by Admiral Koltchak on November 27th, 1918, in regard to Russia’s national debts.

The Allied and Associated Powers will be glad to learn as soon as possible whether the Government of Admiral Koltchak and his associates are prepared to accept these conditions, and also whether in the event of acceptance they will undertake to form a single government and army command as soon as the military situation makes it possible3.

638 1 In All. il testo della dichiarazione, a firma Clemenceau, Lloyd George, Orlando, Wilson eSaionji, datata 26 maggio. Edita in FRUS, vol. VI pp. 73 sgg. (App. I a CF. 37) e in DBFP, vol. III, D. 233, App. I.

638 3 Il documento è firmato da G. Clemenceau, D. Lloyd George, V. E. Orlando, W. Wilson e Saionji.

639

IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, LLOYD GEORGE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

L. CONFID. Parigi, 28 maggio 1919.

I am very grateful for the frankness with which you have written to me1, for if we are to solve the difficulties of the present situation it is essential that we should be able to maintain those cordial and friendly relations which have always characterised our intercourse hitherto.

You put before me very clearly the view of the present situation as it appears to the Italian Government and people. I hope you will allow me to set forth the situation as I view it with equal clearness. What has the present trouble arisen out of? It is due entirely to the fact that Italy is claiming to annex to her dominion territories the overwhelming majority of whose peoples would prefer to attach themselves to another sovereignty. If a plebiscite were taken in the disputed regions, there can be no doubt in anyone’s mind that a vast majority would cast their votes in favour of the Slavonic flag rather than the Italian. Put quite brutally that is the fundamental fact which underlies the present difference. The Dalmatian coast claimed by Italy is at least five to one Slavonic. That is the case with regard to the Islands. It is true that the old town of Fiume possesses a slight Italian majority, but if you take the suburb which is indistinguishable from ancient Fiume the majority is slightly Slavonic. The surrounding country is almost exclusively Slav. Italy could not submit her claims to any test which would be recognised by modern democratic principles. Is there any claim put forward by any other country of which this can be said? If not, it is no use suggesting that there is one rule being applied to the claims of Britain and France and another rule to Italy. In Mesopotamia and Palestine we have agreed to abide by the Report of an impartial Commission sent there to ascertain the wishes of the inhabitants. Would Italy be prepared to accept the Report of a Commission appointed by the Powers as to the wishes of the inhabitants of the claimed territories. That is the real test of the validity of Italian claims.

I am sincerely apprehensive lest Italy should pursue a course which will lead to disaster for her future. She is one of the great free countries of the world and any harm that would befall Italy would damage the cause of freedom everywhere. As you point out she is in danger of becoming estranged from the three Great Powers who, together with Italy, defeated the enemy coalition and are now both in prestige and strength incomparably the greatest combination of the world. Yet while pressing claims which France, America and the British Empire are unable or reluctant to concede, because they feel they cannot be justified by the principles upon which they are endeavouring to found the peace, Italy is at the same time laying up a blood feud with the other two great races of Europe, the Germans and the Slavs. On the one side

639 La traduzione italiana è in ORLANDO, pp. 536 sgg. 1 Vedi D. 606.

she is forcibly incorporating territories populated almost exclusively by hundreds of thousands of people of purely German stock within her own territory, people with an intense national consciousness, as Napoleon discovered to his cost over a century ago. On the other side she is endeavouring to take for herself territory and peoples who are universally recognised to belong to the Slavs. If Italy pursues that course I don’t see how she is to escape a position of dangerous isolation.

I write as I do in response to your letter both as a sincere personal admirer of Italy and because it has always been a fundamental British tradition to sympathise with the Italian people and its aspirations. I earnestly hope it will be possible for Italy to apply to the settlement of her own problems the principles which have been universally accepted elsewhere. You may rest assured that neither the British Delegation nor the British people have the slightest desire to keep from Italy whatever can be justly given to her in view of her great sacrifices for the common cause of freedom. If difficulties have arisen it is not from any want to friendship for Italy. As you know I have throughout done my best to explore every possible method of making a general settlement which would be satisfactory to Italy’s national aspirations. If we have not succeeded it is simply because we have been unable hitherto to reconcile the claims of Italy with the ideals and principles which we have been endeavouring to apply to the other parts of the settlement of the Great War2.

640

IL VICECONSOLE A SMIRNE, INDELLI, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

NOTA 519. Smirne, 28 maggio 1919.

Ho avuto l’onore, con telegrammi quotidiani1, comunicati contemporaneamente al R. Ministero degli affari esteri, di riferire a V.E., nei principali dettagli, quale sia la situazione creata qui dall’occupazione militare ellenica di Smirne e di una notevole parte del vilajet di Aidin.

L’occupazione stessa è giunta completamente inattesa dalla popolazione musulmana. La speranza da parte di questa in un mandato italiano, o almeno collettivo delle grandi potenze dell’Intesa, sulla regione di Smirne, è stata tenacissima sino all’ultimo momento. Anche quei pochi turchi, più chiaroveggenti, i quali non si facevano più illusione sull’esito che a Parigi avrebbe ottenuto l’abilissima propaganda greca, incoraggiata e sostenuta in questo paese, per molto tempo, dalle missioni e dalle colonie inglesi e francesi, contavano che per lo meno durante un certo periodo di tempo una forma di occupazione militare interalleata avrebbe preparato l’avvento

640 Il rapporto fu inviato contestualmente in copia a Sonnino.

1 Si veda qui, ad esempio, D. 562.

ellenico, per attutirne gli effetti che immancabilmente questo avrebbe prodotto fra popolazioni musulmane che lottano da secoli, in un paese che considerano come indiscutibile centro della loro stirpe, contro il più fanatico dei loro nemici, che stimano inferiore per ogni riguardo. Contavano che tale occupazione provvisoria interalleata, oltre a garantire la sicurezza delle persone e degli averi della popolazione turca e la libertà per la stessa di emigrare eventualmente altrove, avrebbe qui lasciato, anche cessando, una qualsiasi forma di controllo a suo favore.

I musulmani si sono visti invece improvvisamente di fronte ai trasporti greci carichi di truppe da sbarco, protette da un’imponente forza navale degli alleati, i quali il giorno prima avevano occupati i forti del golfo. Hanno avuto così l’impressione di essere stati di sorpresa consegnati mani e piedi legati ai loro tradizionali nemici senza possibilità di scampo, senza libertà di abbandonare quel loro enorme quartiere turco, che forma una città ben più vasta della città europea.

Sorpresa, lenta nel prendere una iniziativa in ogni caso difficile e pericolosa, la popolazione musulmana si è chiusa nelle case e nelle moschee per attendervi gli avvenimenti, mentre inviava al delegato di V.E. una deputazione a fare atto di protesta e ad invocare l’aiuto dell’Italia, sola delle grandi potenze nella quale riponevano ora una fiducia che prima era divisa fra altri Stati dell’Intesa. Questo sentimento di fiduciosa speranza nel nostro paese, anche se tardivamente manifestatosi, non ha fatto cha accrescersi dopo il 15 maggio. Tanto che un nostro solo cenno avrebbe fatto coprire i paesi del vilajet del nostro tricolore, malgrado la campagna condotta da inglesi e greci per rendere popolare la convinzione che proprio l’Italia era stata ad incoraggiare la Grecia all’occupazione del paese. Ancora oggi numerose donne musulmane della città recano sul petto nastri coi nostri colori.

Lo sbarco greco è stato condotto in modo che, non potendo ammettere negli organizzatori un difetto di informazioni, riesce tuttora inesplicabile. I trasporti, convogliati da cacciatorpediniere inglesi, hanno accostato direttamente alla banchina, in prossimità del centro del quartiere commerciale, senza prendere le minime, elementari precauzioni. Le truppe sono sbarcate con musica, bandiere, croci, cappellani militari in testa, mentre ufficiali e soldati intrecciavano danze caratteristiche, quasi si fosse trattato di una escursione di piacere e non di un grave avvenimento militare, di attuazione non facile, di conseguenze anche se lontane, gravissime.

La ridotta divisione di sbarco, la migliore dell’esercito ellenico, chiamata infatti la «divisione di ferro», non sembra abbia mai visto il fuoco. Male armata, male inquadrata, con scarsissimi ufficiali superiori, sprovvista di materiali e di sussistenze, era la meno adatta e preparata all’impresa e ad imporre il prestigio di un esercito occupante. Ufficiali e truppa hanno poi avuto il grave torto di circondarsi e di profittare troppo dei consigli, delle direttive, degli aiuti di una miriade di popolani greci di Smirne, fanatici ed ignoranti che hanno visto nell’occupazione ellenica principalmente il modo di soddisfare certi loro istinti vendicativi e rapaci. Questi popolani armati, i dominatori della giornata del 15 maggio, sono stati, né ancor oggi cessano dall’esserlo, il più grave pericolo ed hanno in gran parte consigliato i più gravi errori ed eccessi commessi durante l’occupazione.

Il grosso reparto greco che due ore dopo l’inizio dello sbarco ha aperto la serie delle fucilate innanzi alla grande caserma, nella piazza del Konak, era preceduto oltre che da un cappellano recante la croce, da una moltitudine di civili, esaltati, armati, vociferanti, insultanti che aizzavano i soldati. E sembra ormai accertato che il primo colpo di fucile che ha provocato la scarica dei pochi ufficiali e funzionari turchi i quali attendevano senza ordini, indecisi, abbattuti dall’improvviso avvenimento, riuniti nella grande caserma, sia appunto partito da un popolano greco impaziente di vendette. Ad ogni modo il reparto ellenico, datosi in un primo momento a precipitosa fuga, bandiera in testa, in seguito unitosi ad altre truppe sopraggiunte ed alla popolazione greca armata, ha iniziato disordinatamente quella feroce repressione diretta contro civili, militari, donne, bambini nei quartieri adiacenti a quello turco, la cui occupazione non è stata tentata che nella notte susseguente, che ha riempito di disgusto e di orrore tutti coloro che, come me, vi hanno assistito.

È stata una caccia selvaggia al turco che si è protratta per tutta la giornata del 15 e, per quanto con diminuito fervore, per alcune delle successive. L’occupazione si è cambiata in un saccheggio di una città conquistata a viva forza da bande di irregolari. Unisco al presente rapporto alcuni documenti anedottici2. Da computi che possono ritenersi abbastanza esatti si calcolano a 600 i musulmani uccisi ed a 3000 i casi di saccheggio, violenza carnale, maltrattamenti su musulmani verificati nella città e nei paesi limitrofi ove le stesse scene si sono ripetute.

L’alto commissario britannico da bordo dell’«Iron Duke», pur essendo al corrente di quanto avveniva e pur dimostrandosene indignato, ha dichiarato di avere ordini rigorosi di non immischiarsi nel conflitto fra greci e turchi.

Certo che gli avvenimenti dei primi giorni dell’occupazione e specialmente il senso commerciale di questa popolazione che comincia a rendersi chiaramente conto come l’avvenire di Smirne, comunque avvenga la progettata divisione in zone del-l’Anatolia, sia gravemente compromesso, hanno già reso impopolare l’occupazione stessa, nei medesimi ambienti inglesi, francesi ed armeni che fino a pochi giorni or sono temevano una soluzione italiana e favorivano quella greca nel vilajet.

Già gran parte dei commercianti locali si preparano a trasferirsi altrove e molti armeni chiedono insistentemente di potersi fissare nella zona sulla quale l’Italia eserciterà il suo mandato. La notoria incompatibilità di convivenza delle popolazioni greche con le altre comincia ad essere presentita e già ad esempio gli affitti degli immobili della città, saliti in questi ultimi tempi a prezzi fantastici, hanno subito un ribasso.

L’Italia ha ora la totalità dei voti della popolazione musulmana ed israelita, la grande maggioranza delle stesse colonie europee che sperano di vederci almeno rimanere a Scalanova e nella valle del Meandro. L’azione a noi contraria della propaganda inglese ed americana ha per ora scarso successo, molto più che l’azione unitaria dalle stesse spiegata è seguita, come è naturale, con sospetto e malcontento attualmente da turchi e da greci.

La nostra colonia ha subito anch’essa nei primi giorni dell’occupazione, come era prevedibile, gli effetti del risentimento da lungo tempo covato dalla popolazione greca, particolarmente ed imprudentemente eccitato in questi ultimi tempi dalle sue autorità civili e religiose e dalla stampa di Atene. Numerose case sono state saccheggiate da civili greci ed anche da militari per istigazione di quelli. Numerosi pure sono stati i casi di insulti volgari ai nostri colori ed al nostro nome, i boicottaggi e le perse

cuzioni contro connazionali col pretesto genericamente lanciato che la nostra colonia offriva asilo a turchi e ne incoraggiava la resistenza. Vari concittadini o nostri protetti sono stati tratti in arresto sotto vaghe imputazioni di violenze o di complotti contro l’occupazione greca. Dal 15 maggio fino ad oggi non ho avuto abbastanza tempo né, malgrado la volenterosa cooperazione delle nostre autorità militari, bastante personale disponibile per ricevere gli infiniti reclami e le lamentele dell’intera colonia che in un primo momento di panico e di ribellione voleva essere in massa rimpatriata, e per ottenere dal comando greco le dovute riparazioni.

Il comando stesso e specialmente l’alto commissario ellenico signor Sterghiadis, recentemente entrato in funzioni, sono stati larghi di promesse e di riparazioni e dimostrano la migliore buona volontà di collaborare con me ed i miei colleghi al ristabilimento dell’ordine ed alla ripresa della vita normale. Dubito peraltro, almeno per ora, che essi possano riuscire a disciplinare gli appetiti di tutti i generi, tanto dei civili che dei militari, scatenati dopo una così lunga preparazione. L’opera di disgregazione diretta dal metropolita greco, memore delle sue imprese di Macedonia, poteva essere per la vecchia pratica di «cumitagi» di questi facile cosa.

Perfino dei notissimi briganti cretesi, più volte condannati, sono stati visti aggirarsi per le vie di Smirne ed avere cordiali rapporti colle autorità elleniche pochi giorni prima dell’occupazione, prima cioè che essi si dessero a battere le campagne per aprire, colle loro bande, la via alle truppe. Assai arduo sarà ora, sulla base di tali elementi, riorganizzare uno dei principali empori commerciali del Mediterraneo.

È difficile fare previsioni pel futuro. Ricevo giornalmente numerose visite di notabilità musulmane di Smirne e dell’interno che vengono a portarmi l’eco degli eccidi commessi nei rispettivi villaggi dalle truppe greche e dei fieri propositi di resistenza dei musulmani. Tuttavia l’occupazione già avvenuta di Magnesia e quella di Aidin, che avverrà in giornata di oggi senza troppi ostacoli che qualche scaramuccia senza importanza, dimostrano che la popolazione musulmana è slegata, incerta, alla ricerca sopratutto di una direzione. Nè i 60 mila uomini armati e decisi a tutto, diretti da ufficiali dell’esercito di provata perizia, che si assicura si siano rifugiati sulla montagna del vilajet in attesa degli eventi e che ciononostante non sono riusciti neppure a contrastare un occupazione che va attualmente dalla valle dell’Hermos per Odemiso alla valle del Meandro, mi sembrano costituire per il momento un serio pericolo. L’avvenire è per altro non chiaro.

Se una direzione autorevole e nota si facesse sentire, se aiuti venissero e finiranno col venire dai milioni di musulmani d’Asia, giorno che la forza e la volontà leggendariamente lenta di queste popolazioni musulmane avrà un organizzazione unica, vi è da ritenere che la decisione improvvisa della Conferenza della pace potrebbe avere creato qui un altra «questione» e la più grave che potrebbe costare per la sua risoluzione molto tempo e moltissimo sangue.

Nel momento di chiudere questo mio rapporto mi si comunica confidenzialmente che Rauf bey, l’ex comandante notissimo dell’Hamidié e firmatario dell’armistizio per la Turchia, è giunto ad Ak-Hissar.

639 2 Vedi poi la risposta di Orlando del 3 giugno (qui D. 693).

640 2 Non si pubblicano.

641

IL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 613. Parigi, 29 maggio 1919, ore 16.

Ieri ebbe luogo terza seduta Commissione coloniale. Presidente Milner domandato Crespi se avesse dichiarazioni a fare. Crespi ripetuto che Italia mantiene ferme sue richieste iniziali compreso Gibuti. Simon risposto non poter assolutamente esser questione cessione Gibuti. Crespi obiettato Francia essere tenuta a compensi verso Italia. Carovaniere Gat Gadames non potersi sotto alcun punto di vista considerare compensi. Lord Milner ha espresso opinione chiudere lavori Commissione con verbale di non raggiunto accordo. Simon espresso dispiacere non arrivare a soluzione amichevole, ha offerto cessione territorio francese compreso in linea che da Gat e Tummo va al massiccio del Tibesti, segue cresta Tibesti e si riunisce a frontiera franco britannica. Crespi riservatosi rispondere. Seduta rimessa a oggi giovedì1 ore 6 pomeridiane. Stamane Crespi ha inviato Piacentini da lord Milner dichiarargli offerta Tibesti di trascurabile importanza quindi inaccettabile. Piacentini prospettato a lord Milner questione partecipazione Italia ai mandati africani. Milner ha risposto ritenere difficile allo stato delle cose tornare su argomento che involge ormai complicati interessi franco-inglesi. Ha espresso inoltre sua personale opinione che ove Italia ricevesse eventualmente un mandato dovrebbe rinunciare compensi già in massima deliberati, cioè Giarabub Giubaland.

Allo stato delle cose cessione Gibuti è da ritenersi non ottenibile. Prego perciò

V.E. esprimere suo parere su eventuale passo a farsi presso Francia e Inghilterra circa nostra domanda mandato che non potrebbe riguardare che Togo. Naturalmente sosterremmo anche richieste Giarabub Giubaland frontiera tripolina. Togo è colonia non grande ma ricca, suscettibile sviluppo economico e suo possesso potrebbe esser valutato da parte nostra anche in riguardo possibile conclusione questione Angola.

641 Il telegramma è controfirmato da Sonnino. Il testo in arrivo al Ministero delle colonie recacome data di partenza il 30 maggio. Il verbale ufficiale della seduta è edito in SALATA, D. 7. Ivi, così come nella relazione ufficiale del 6 giugno (SALATA, D. 9), la seduta risulta però collocata al 27 maggio.

1 In realtà la seduta fu aggiornata al 30 maggio venerdì. Vedi D. 658.

642

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI

T. 12022. Roma, 29 maggio 1919, ore 20.

RELAZIONI FRA LE AUTORITÀ ANGLO-EGIZIANE E IDRIS

Telegramma di Vostra Signoria n. 640 del 30 aprile scorso1.

Ministero delle colonie al quale diedi comunicazione del suo telegramma predetto mi scrive quanto segue:

«La formula usata dal regio incaricato d’affari a Londra, che cioè tutte le comunicazioni delle autorità anglo-egiziane col Sayed Idris saranno “inviate per tramite delle autorità italiane” non corrisponde in tutto alla nostra esigenza, che cioè sia lasciata a noi la trattazione di qualsiasi affare con Idris; conviene pertanto che offrendosene propizia occasione, come potrebbe essere quella di una qualche specifica trattazione che a ciò si presti, il regio incaricato d’affari riprenda la questione per portarla alla necessaria precisione.

Stimo intanto assai notevole il risultato conseguito dal r. incaricato d’affari in Londra, agli effetti anche di render persuaso con i fatti Idris dell’unità di intenti che verso di lui mantengono i Governi inglese ed italiano, e della convenienza anche per lui di seguire analogo modus procedendi, che egli ha del resto osservato, in recenti occasioni e proprio nella precisa forma che a noi interessa di far prevalere».

Ritengo sia opportuno non attendere qualche specifica trattazione e chiarire invece subito la cosa, poiché ciò servirà a creare una situazione netta, evitando equivoci futuri.

Prego pertanto la S.V. di ritornare sull’argomento nelle sue conversazioni al Foreign Office procurando di ottenere l’assicurazione che le autorità britanniche «lasceranno a noi la trattazione di qualsiasi loro affare con Idris»2.

2 In questo senso Preziosi inviò a Curzon, in data 10 giugno, un nuovo breve memorandum alquale Curzon rispose il 21, assicurando di aver dato le opportune istruzioni al generale Allenby, essendoil Governo britannico del parere che la continuazione di relazioni dirette fra le autorità anglo-egiziane eIdris sarebbe stata contraria sia agli interessi italiani che a quelli britannici (L. 2146.519 di Preziosi a Tittoni del 26 giugno).

642 1 Vedi D. 351.

643

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 29 maggio 1919.

Ringrazio dei due telegrammi di ieri1.

Ebbi nel pomeriggio una riunione dei Quattro2, nella quale dichiarai che il progetto presentato poteva essere dall’Italia accettato come base di discussione, sia pure con un senso di grave sacrificio, a condizione che Zara e Sebenico restassero all’Italia e così pure la maggioranza delle isole del Patto di Londra, con riserva di qualcuna che potesse non avere per noi una grande importanza strategica. Con mia sorpresa, Wilson dichiarò subito che anche egli accettava come base di discussione tale progetto. Questa dichiarazione era in contrasto con quanto Lloyd George mi aveva detto la mattina, poiché mi aveva detto che Wilson era intransigente sulla questione della Dalmazia e delle isole. Si conferma dunque l’esattezza della informazione di V.M. circa i mutati sentimenti di Wilson, di cui nel suo telegramma3. Colosimo mi ha poi telegrafato in maniera analitica le impressioni di V.M. Perciò che riguarda la principale preoccupazione e cioè del confine strategico che risulterebbe, generale Diaz ha preparato uno schizzo che ci dà sufficiente soddisfazione dal punto di vista della nostra difesa, anche prescindendo dalla garanzia che viene dalla neutralizzazione del-l’area antistante. Per ciò che riguarda Tolmino, questa zona non è mai stata in questione. Quanto ad Idria, tutto dipende dalla linea di raccordamento che sarà scelta per ciò che riguarda la congiunzione al nord del nuovo Stato neutrale con la nostra linea di frontiera. Le previsioni sul modo con cui l’applicazione del piano potrà essere fatta, dipendono molto dall’effetto dell’avvenuto miglioramento nei rapporti con Wilson, nonché dalla nostra pazienza e tenacia.

643 Analogo telegramma, con lievissime varianti, fu inviato a Colosimo tramite Petrozziello conla stessa data.

1 Non pubblicati.

2 Si tratta della seduta pomeridiana del 28 maggio. Con maggior precisione il telegramma aColosimo reca infatti «nel pomeriggio di ieri».

3 Più esattamente ne parla Colosimo nel telegramma, subito dopo ricordato, del 28 maggio,riferendo il punto di vista del re (vedi D. 632).

644

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 29 maggio 1919.

Seduta pomeridiana dell’intera Conferenza convocata per comunicare alle potenze minori condizioni pace Austria, fu rinviata a sabato, avendo piccole potenze chiesto di avere notizia del testo del trattato. Presentazione condizioni pace delegati austriaci rinviata lunedì1. Nella seduta antimeridiana dei Quattro fu finalmente deliberata frontiera italo-austriaca, con l’attribuzione a noi del Brennero, nonché delle valli di Sexten e di Tarvis, Tarvis compresa. Riuscii a fare sospendere ancora una volta risoluzionicirca triangolo di Assling. È notevole che deliberazioni prese in nostro favore ebbero interamente l’assenso di Wilson; il quale anzi prese l’iniziativa per aggiudicazione di quelle due vallate, che vanno al di là del Patto di Londra. Si è quindi oggi confermata quella detente da me già segnalata nei giorni precedenti e che è il frutto di un’opera costosissima di fermezza e di tatto. Speriamo dia frutti nell’interesse del paese. Le questioni della frontiera orientale e quelle adriatiche non furono oggi trattate, attendendosi l’esito del passo diretto che Wilson si era ieri riservato di fare coi jugoslavi.

645

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 29 maggio 1919.

Grazie suoi due telegrammi1.

Provvederò subito ben volentieri per la gran croce per il generale Diaz. Sono lieto delle migliori notizie e voglio confidare che la sua tenacia potrà ottenere ancora degli utili risultati anche per il bacino dell’Isonzo. Qui il pubblico si dimostra sempre impaziente ed inquieto del contegno dei nostri alleati. Si parla molto delle questioni coloniali e dell’Asia Minore. Per quanto può valere comunico che persona la quale dette informazioni intorno al mutamento di pensiero di Wilson dice ritenere possibile che jugoslavi faranno di tutto per impadronirsi di Fiume, scacciando i nostri non appena sarà nota una decisione. Molte truppe jugoslave sarebbero dirette verso Fiume con artiglierie di medio calibro.

644 Identico telegramma fu inviato in pari data a Colosimo, tramite Petrozziello.1 La consegna della condizioni di pace ai delegati austriaci avrà luogo appunto il successivolunedì 2 giugno, a St. Germain-en-Laye, in seduta plenaria della Conferenza della pace.

645 1 Si tratta, con ogni evidenza, di due telegrammi dello stesso 29 maggio. Nel primo, non pubblicato, Orlando proponeva per il generale Diaz il Gran Cordone Mauriziano. Il secondo è relativo allariunione del Consiglio dei quattro del 28 p.m. (qui D. 643).

646

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

PROMEMORIA. Roma, 29 maggio 1919.

Come è noto a V.E. un decreto del bano di Croazia1 impediva i traffici tra l’Italia ed i territori dei serbi, croati e sloveni a traverso quelli da noi occupati.

Il signor Pichon, in nome dei Governi alleati ed associati, chiedeva chiarimenti alla Serbia, che giustificava il decreto di cui sopra col fatto che l’Italia avrebbe da parte sua prese misure restrittive pei commerci fra i territori occupati dalle sue truppe e quelli jugoslavi.

Ciò non essendo conforme allo stato di fatto V.E. dirigeva ieri al signor Pichon l’acclusa nota2.

Ora il duca Caetani, nostro rappresentante nel consiglio del Relief, informa che, secondo un decreto apparso nel «Giornale Ufficiale» di Zagabria, nuove restrizioni vengono fatte alle importazioni di merci italiane.

In seguito a ciò le autorità di Fiume domandano se o meno devono essere lasciati passare dei vagoni di merci, quali scarpe, tessuti, ecc. giunti colà dall’Inghilterra e che le autorità inglesi dichiarano essere doni spediti in Serbia a titolo di soccorso.

Premesso quanto sopra, si prega V.E. di far conoscere se ritenga, come parrebbe, opportuno:

1) di dirigere una seconda nota al signor Pichon per segnalare il nuovo decreto, aggiungendo che, ove tali misure non venissero ritirate, ci vedremmo costretti a mettere un assoluto divieto ai traffici fra Italia e territori jugoslavi, restando inteso però, che nessuna restrizione sarà mai fatta per parte nostra nei riguardi dei viveri di soccorso della Relief Administration;

2) che il nostro rappresentante nel Relief faccia una dichiarazione al Consiglio nel senso che, qualora si dovesse venire a questo divieto, sarebbe necessario di escludere dai treni del Relief, che hanno libero transito, qualsiasi merce che non fosse possibile classificare come viveri; salvo, dietro approvazioni delle autorità italiane, per quelle merci che potessero dimostrarsi necessarie al compimento dell’opera del Relief3.

D. 76). 2 Non pubblicata.3 Annotazioni manoscritte a margine: «Verbalmente S.E. il ministro mi ha dato istruzione di

non fare, in questo momento, alcuna allusione a possibili rappresaglie, ma mostrarsi anzi correnti [?] 30/5Biancheri». In calce: «Approvo S.S.». In questi termini infatti fu formulata la nuova nota che Sonninoinviò a Pichon con n. 1785 del 31 maggio.

646 1 Il riferimento è all’ordinanza del bano di Croazia e Slavonia del 17 marzo 1919 (vedi qui

647

L’ESPERTO TECNICO, R. PIACENTINI, AL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI

APPUNTI. Parigi, 29 maggio 1919.

Ho conferito oggi al Ministero delle colonie francese con il signor Duchêne, direttore generale al Ministero stesso e col governatore dell’Africa occidentale francese. Questi signori mi hanno spiegato in dettaglio in che cosa consisterebbe l’offerta fatta ieri dal signor Simon di cedere parte del Tibesti all’Italia. Si tratterebbe di una linea che partendo da Tummo scenderebbe al sud di Bardai (che resterebbe in territorio italiano) risalendo poi verso nord-est sino all’incontro con la linea della Convenzione franco-britannica del 1899.

Si tratta di una ben povera cosa. Anche se l’offerta avesse compreso l’intero Tibesti sarebbe stata di scarso valore. Ma la parte offerta costituisce forse appena un terzo di quel territorio!

Pur premettendo trattarsi di opinione mia personale espressa in conversazione privata, ho dichiarato di avere l’impressione che tale offerta non avrebbe potuto prendersi dall’Italia in seria considerazione, non apportando l’acquisto di quel breve territorio nessun vantaggio né economico né politico alla Libia.

I due signori predetti (ai quali avevo in precedenza spiegato per l’ennesima volta come, dato lo svolgersi degli avvenimenti dal 1915 in poi, non fosse possibile attenersi ad una interpretazione strettamente letterale e direi quasi mercantile dell’articolo 13 del Patto di Londra) si son mostrati dolenti di non intravedere altra possibilità di soluzione per la questione coloniale fra Francia e Italia. Hanno anzi apertamente dichiarato di non ritenere che la questione possa rimanere aperta tra Francia e Italia anche dopo la conclusione della pace, perché la Francia con l’offerta Simon di ieri (Tibesti) ha dimostrato di essersi ispirata ad un largo spirito di accomodamento che non ha sfortunatamente incontrato l’approvazione del Governo italiano.

Ho poi conferito col signor Read e col colonnello Meinertzhagen incaricati da lord Milner di studiare con me la questione dei confini della porzione del Giubaland che l’Inghilterra è disposta a cederci.

Ho esposto le osservazioni fattemi in Roma dal comm. Baccari, direttore degli affari politici al nostro Ministero delle colonie, e riassunti nel telegramma n. 5923 addì 25 maggio di S.E. Colosimo1.

Osservazioni erano essenzialmente le due seguenti:

I) L’attività politico economica esercitata dagli inglesi sulla frontiera nord del Giubaland verso l’Abissinia meridionale è contraria agli interessi italiani previsti dal-l’accordo di Londra del 1906, nel senso che essendo l’Abissinia meridionale posta nella sfera d’influenza italiana, l’azione politico economica degli inglesi può danneggiare i futuri eventuali diritti ed interessi italiani in quella regione. Per tal motivo

l’Inghilterra dovrebbe cedere all’Italia tutta la frontiera settentrionale del Giubaland confinante con l’Etiopia, anziché la sola porzione offerta da Lord Milner.

Per quanto io personalmente ritenga non sostenibile questa tesi che porterebbe per la sua applicazione a conseguenze inverosimili, tuttavia la ho esposta ai due rappresentanti inglesi nel modo desiderato dal Ministero delle colonie.

II) La seconda osservazione consisteva nel fare rilevare come la linea di confine proposta da Lord Milner verrebbe a dividere arbitrariamente gruppi etnici compatti, creando così difficoltà di governo tanto per noi che per gli inglesi.

Questa osservazione è più fondata. Gli inglesi tuttavia hanno obiettato essere impossibile determinare una linea che segua esattamente le unità etniche del Giubaland, trattandosi di popolazioni nomadi che continuamente si spostano dalle loro sedi momentanee a seconda delle necessità del pascolo e dell’abbeveraggio. Gli inglesi hanno anzi aggiunto che, qualunque sia per essere la nuova linea di confine, occorrerà sempre una speciale intesa fra i due Governi per regolare appunto l’inevitabile passaggio dall’uno all’altro territorio delle tribù nomadi.

Comunque i due incaricati inglesi riferiranno a Lord Milner le osservazioni da me fatte.

Ho avuto l’impressione che il colonnello Meinertzhagen, tipico rappresentante del militarismo coloniale inglese, si ritenesse solo per riguardo verso Lord Milner dall’esprimere molto chiaramente il suo disappunto per la cessione all’Italia della riva destra del Giuba. Tale cessione, ha concluso il colonnello, «breaks my heart»!

647 1 Non pubblicato.

648

L’ESPERTO TECNICO, R. PIACENTINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA RR. Parigi, 29 maggio 1919.

Ho il dovere di comunicare a V.E. quanto segue:

Nel colloquio concessomi in Roma il 24 maggio, S.E. l’on. Colosimo mi ha dichiarato che intendeva che la nostra conversazione dovesse avere carattere assolutamente privato, essendo suo fermo proposito rimanere estraneo all’azione della Delegazione italiana nella questione coloniale. A questo fine non aveva aderito all’invito del presidente del Consiglio prima di recarsi egli stesso a Parigi, poi di inviarvi

S.E.- l’on. Foscari o uno degli alti funzionari del Ministero delle colonie. S.E.- l’on. Colosimo aggiunse di aver motivo di lamentarsi perché l’art. 13 del Patto di Londra concernente il problema coloniale italiano gli era stato comunicato soltanto il 10 dicembre 1918, a un mese dall’apertura della Conferenza della pace. Il Ministero delle colonie aveva subito visto come la redazione dell’articolo 13 non fosse in realtà compatibile con le richieste coloniali italiane esposte dal Ministero delle colonie nel programma (massimo e minimo) comunicato al Ministero esteri il 15 novembre 1916. Tale programma era imperniato su Gibuti. Se il Ministero delle colonie fosse

stato informato fin dal novembre 1916 della reale portata dell’articolo 13, avrebbe potuto modificare il programma o comunque regolare diversamente la sua azione al fine di provvedere in tempo utile ad evitare il contrasto tra Francia e Italia che sarebbe necessariamente scoppiato a proposito di Gibuti, data la redazione dell’articolo 13.

Quando invece il Ministero delle colonie ebbe notizia di questo articolo era, come si è detto, troppo tardi.

Tutto questo S.E. l’on. Colosimo ha accentuato di dichiararlo a me persona privata e non al funzionario. Credo tuttavia mio dovere informarne V.E.

649

IL CAPO DELL’UFFICIO STAMPA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA. Parigi, 29 maggio 1919.

Il marchese di Paternò, di ritorno dalla missione in Isvizzera, ha presentata la relazione che qui unita ho l’onore di trasmettere a V.E.1, facendo rilevare che tutte le notizie pervenute a questo Ufficio da altre fonti sullo stesso soggetto, concordano e quadrano perfettamente colle considerazioni svolte nella detta relazione.

Inoltre aggiungo che la terza delle tre conclusioni del rapporto del marchese di Paternò è già in corso d’esecuzione poiché questo Ufficio essendosi già messo in relazione col colonnello Finzi ha già, come è noto a V.E., iniziata un’azione (sulla stampa e mediante propaganda) che è ancora in svolgimento.

Sulle altre due conclusioni si domandano istruzioni ed all’uopo mi permetto di attirare l’attenzione di V.E. sul bollettino confidenziale odierno (sul rapporto informativo che ha per oggetto «Il nuovo ungherese, la Francia e la Serbia»)2.

ALLEGATO

L’ESPERTO TECNICO, PATERNÒ, ALL’UFFICIO STAMPA «ESTERI» PARIGI

RAPPORTO DI MISSIONE. Berna, 26 maggio 1919.

Il compito affidatomi consisteva nel prendere contatto con gli ungheresi per indurli a fare pubbliche dichiarazioni pro Fiume italiana. Simili dichiarazioni avrebbero certamente giovato presso i circoli americani a Parigi, i quali durante le discussioni avvenute al riguardo avevano mostrato di apprezzare molto la tesi prospettante la necessità che il porto di Fiume continui a servire da sbocco al retroterra ungherese.

Un accordo italo-ungherese in tal senso avrebbe quindi semplificato il problema «italiano» di Fiume.

Conformemente alle istruzioni avute, mi incontrai a Milano col comandante Accame, dal quale ebbi la notizia che ormai gli ungheresi più in vista avevano lasciato la Svizzera ed erano già in mano ai francesi.

Di questa informazione mi affrettai a dar notizia telegrafica a Parigi, aggiungendo che mi proponevo tuttavia continuare il mio viaggio così per controllare quanto mi era stato detto come per vedere se mi sarebbe riuscito ancora agire, sia pure in un campo meno esteso.

Iniziai il mio lavoro a Losanna. Vennero colà a vedermi da Ginevra ungheresi del partito dei contadini. Il programma che essi mi prospettarono può così riassumersi:

a) Accordo con l’Italia su tutti i problemi in genere e su Fiume in ispecie;

b) Accordo territoriale con la Romania sulla base del primo armistizio Franchet d’Esperey;

c) Approcci con i croati per determinare anzitutto il distacco dai serbi e per arrivare eventualmente ad una vera e propria unione.

Su mia domanda fu da questi ungheresi redatto e sottoscritto un telegramma al deputato Mataraszy3 — partito il giorno avanti per Vienna — per invitarlo ad entrare in contatto col Governo di Szeged e provocarne un messaggio all’Italia chiedente uno sbocco commerciale attraverso «Fiume italiana»; un identico messaggio doveva lo stesso Governo inviare agli Alleati ed Associati a Parigi. Al Mataraszy veniva pure rivolto l’invito di porsi in relazione coi corrispondenti dei giornali inglesi ed americani a Vienna perché esponessero nelle loro corrispondenze l’interesse ungherese alla soluzione italiana di Fiume.

Questo telegramma venne spedito per mezzo dell’ufficio del signor Accame.

Trasferitomi successivamente a Berna, mi incontrai più volte col barone Hinkey, appartenente al partito moderato di cui il Governo di Szeged può dirsi l’emanazione. Anche dallo Hinkey ebbi dichiarazioni verso l’Italia identiche a quelle fattemi dagli ungheresi del partito dei contadini. Il programma dei moderati, che possono anche denominarsi seguaci del Batthyány, non è però altrettanto ben definito: ciò potrebbe spiegarsi col fatto che costoro parlano già in nome di un Governo, sia pure appena abbozzato, del quale, per le difficoltà di comunicazioni, non conoscono forse completamente il preciso atteggiamento. Mi è parso infatti di notare un certo ondeggiamento fra l’idea di un avvicinamento alla Romania ed il programma, di cui pure qui si discorre, di una rinnovata unione austro-ungherese. In entrambi i casi la piattaforma politica di questi uomini sembra avere le sue basi a Roma e Berlino. Tanto i «moderati» come i «contadini» appariscono profondamente avversi allo Stato jugoslavo, ma tutti affacciano il timore che la politica francese non li obblighi ad accordi con tale Stato.

La Francia lavorerebbe intensamente in questo senso, promettendo aiuti ed appoggi di ogni sorta pur di arrivare ad un blocco che vorrebbe rinforzare anche a mezzo di una convenzione militare.

Circa il definitivo atteggiamento della Francia ho raccolto informazioni discordi: taluni danno per sicuro l’orientamento francese verso l’unione austro-ungarica, altri — e sono i più — pensano che la Francia troverebbe maggiore convenienza a mettersi alla testa di una vera e pro

pria alleanza fra tutti gli Stati dell’ex monarchia. Il progetto attribuito ai francesi di chiedere il mandato sul Banato potrebbe avvalorare sensibilmente questa seconda ipotesi.

Tutti i miei interlocutori sono stati invece concordi nel deprecare questa ingerenza francese che ritengono sempre più soverchiante perché le condizioni interne dei vari paesi in questione non consentono un’adeguata reazione. Ugualmente concordi sono state le opinioni circa la necessità che l’Italia prenda senza indugio il suo posto a Vienna, al fine di neutralizzare il lavoro del signor Allizé ed evitare decisioni irreparabili tanto a Szeged che a Budapest, verso cui pure si sono già diretti i tentacoli della invadente politica francese.

L’azione dell’Italia non può svolgersi ormai che da Vienna; questa è la voce unanime di tutti gli ungheresi simpatizzanti per noi e tale è il convincimento che io stesso mi sono formato.

Dalla Svizzera, da cui mancano oggi i principali uomini politici ungheresi, e dove non si hanno se non frammentarie notizie di quel che accade a Parigi ed a Vienna, nulla o quasi nulla può farsi se non raccogliere informazioni non controllabili, che poco affiderebbero per un’azione rapida e sicura.

A Vienna potrebbe essere forse ancora possibile — giovandosi degli uomini politici amici — svolgere un’azione disgregatrice del blocco che si vuol formare a Szeged sulla base di piani egemonici franco-jugoslavi a noi contrari.

Il programma del partito dei contadini, per quanto sia umano oggi prevedere in mezzo al caotico aggroviglio del mondo austro-ungarico, sembra nell’avvenire avere le maggiori probabilità di riuscita per gli elementi di alto valore sociale che lo compongono. Non è tuttavia da escludersi che l’ingerenza della Francia non ne ritardi lo sviluppo.

I fini immediati da raggiungersi per rafforzare tale partito che finirebbe con 1’aggregarsi anche i moderati del Batthyány, sono i seguenti:

1.- Rapide trattative con i romeni. 2. -Azione sui bolscevichi di Budapest. 3. -Azione sui croati per indebolire la compagine jugoslava.

Le probabilità per un accordo con i romeni sembrano sussistere veramente. Ho avuto al riguardo una interessante conversazione col signor Comnène, che mi ha asserito di essere autorizzato a trattare per un’intesa sia con gli ungheresi che con i bulgari.

Il signor Comnène mi ha detto che per ciò che concerne le questioni territoriali la Romania è disposta a sgombrare molti territori occupati oltre la linea del primo armistizio di Franchet d’Esperey ed anche al di qua di tale linea, in modo di limitarsi unicamente all’occupazione di zone prettamente romene. Avendomi egli mostrato sulla carta quali sarebbero le reali intenzioni del suo Governo, mi è parso poterne dedurre che la tesi di quest’ultimo non sia molto discosta da quella prospettata dagli ungheresi. Si aggiunga a ciò che i romeni si dicono altresì disposti a dare all’Ungheria le più ampie garanzie per le enclaves che rimarranno sotto la sovranità romena, nonché tutte le facilitazioni per le derrate, gli scambi, i diritti doganali, ecc.

Il signor Comnène mi ha confermato che il partito ungherese dei contadini sarebbe il più disposto a venire ad accordi con la Romania, e che egli è pronto ad aprire le trattative al nostro primo cenno, non ritenendo il suo Governo poter venire ad una discussione senza un preventivo incoraggiamento dell’Italia, cui desidera associarsi strettamente nell’avvenire.

Il signor Comnène mi ha infine prospettato la necessità, che ritiene comune tanto al suo paese che a noi, di intendersi rapidamente coi bulgari sulla base di equi compensi territoriali.

Dalla conversazione col Comnène ho tratto l’impressione che varie possibilità si presentano ancora per noi per creare nei Balcani una forza di cui abbiamo indubbiamente bisogno per indebolire il blocco slavo patrocinato dalla Francia. Il signor Comnène potrebbe essere un nostro utile collaboratore, tanto verso gli ungheresi che verso i bulgari. Io mi sono naturalmente astenuto dal dargli qualsiasi positivo affidamento, ma credo doveroso segnalarlo all’attenzione di S.E. il ministro per il caso non creda di accedere alle idee che ho avuto fin qui l’onore di prospettare.

Meno facili e più problematiche sarebbero le azioni indicate sotto i numeri 2 e 3. A ciò dovrebbe se mai provvedere da un lato l’organizzazione segreta del colonnello Finzi, per non dar presa alla propaganda avversaria che, a giudicare dalla stampa di Losanna, ha già preso posizione contro la presunta attività che spiegherebbe il principe Borghese a Budapest, e dal-l’altro lato — sia pure sotto la nostra direzione — gli stessi ungheresi con quei mezzi che reputeranno più opportuni.

Il signor Comnène ha da ultimo espresso il parere che i czeco-slovacchi non vedrebbero con dispiacere la formazione di un blocco bulgaro-romeno-ungherese.

Egli mi ha infine avvertito che venerdì avrà luogo a Losanna una riunione fra lui, il signor Ghescioff4 e l’ungherese Moldovanyi del partito dei contadini. Il risultato di tale riunione ci sarà telegrafato a Parigi.

I nostri movimenti, per avere qualche probabilità di riuscita, a giudicare della quale occorrerebbe avere esatta nozione di quanto accade in Austria ed a Parigi, debbono svolgersi con la massima rapidità ed essere affidati a persona capace ed autorevole che possa a Vienna agire con piena libertà di iniziativa e con completa conoscenza delle varie fasi diplomatiche della questione.

Considero pertanto esaurito il compito affidatomi e quindi, salvo ordini in contrario di

S.E. il ministro, mi recherò a Parigi per completare a viva voce il presente rapporto.

649 1 Vedi Allegato. 2 Annotazione a margine manoscritta «obiettivi: avvicinarsi agli ungheresi e ai rumeni e aibulgari e combattere gli jugoslavi».

649 3 Recte, forse, Madarassy.

650

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BUCAREST, AURITI

T. 614. Parigi, 30 maggio 1919, ore 11.

Autorità militari segnalano concorso che nazioni alleate ed associate danno alla riorganizzazione degli eserciti serbo e greco. Notevole che quantità ingenti materiale guerra viene ceduto a prezzi minimi e con facilitazioni pagamento. Nostra convenienza di evitare completo trapasso armi e munizioni materiale sanitario e ferroviario consiglia di suggerire a Romania concorrere acquisto per notevole parte. Ho interessato autorità militari1 perché ordini in tal senso vengano impartiti all’addetto militare italiano e prego V.E. di voler dare alla cosa tutto il proprio appoggio.

650 Il telegramma fu inviato contestualmente a Imperiali, Cellere e Bonin.

1 T. 1776 del 29 maggio alla Sezione militare della DICP. Diaz rispose il 30 maggio (con unabreve nota a Sonnino e per conoscenza a Orlando) proponendo di inviare sul posto «una persona adattacon l’incarico di influire, senza scoprirsi, in modo da spingere i romeni a fare acquisti di quei materiali,facilitandoli anche, qualora occorra, con concorso finanziario», e suggerendo all’uopo la nomina urgentedel generale Ferigo quale addetto militare a Bucarest.

649 4 Si tratta, quasi certamente, dell’ex presidente bulgaro Ivan Gesov.

651

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI

T. 615. Parigi, 30 maggio 1919, ore 12,30.

Ho comunicato al Comando supremo telegrammi di V.S. n. 1871 e 1962.

Conformemente agli accenni vari fatti in precedenti telegrammi, confermo che finora causa bulgara non ha trovato qui benevolenza. Delegazione italiana è riuscita soltanto migliorare talune decisioni e riservare altre a Consiglio supremo che ancora non ha deliberato. Richieste serbe vennero alquanto ridotte per insistere atteggiamento italiano che sosteneva vecchia frontiera non doversi mutare. Tuttavia, dopo lunghe discussioni ed esame sottocommissioni, vennero inserite nel rapporto finale proposte di rettifica in favore Serbia alla quale venne accordato Strumitza e parte territorio. Altra lieve rettifica nella regione Vranje. Circa regione Dragoman, dopo laboriosissime sedute venne convenuto rimettere giudizio al Consiglio superiore per rettifica frontiera in favore Serbia comprendente soltanto Zaribrod. Per Dobrugia rimane aperto campo trattative dirette fra Rumania e Bulgaria che noi cerchiamo agevolare. Per Tracia orientale ed occidentale soltanto Delegazione italiana ha fatto riserve mentre altre delegazioni sostennero richieste greche. In seno Comitato centrale per coordinazione proposte delle commissioni anche delegato americano si è associato alle riserve italiane circa Tracia. Ma atteggiamento americano pare mutevole e in seduta cinque ministri affari esteri non venne marcatamente sostenuto. Fu tuttavia possibile rinviare deliberazioni appoggiando riserva italiana sul fatto non essere ancora inter-venute decisioni capi di Stato circa regime Costantinopoli e suoi limiti. Questione rimane dunque aperta. Circa Macedonia mi riferisco precedente telegramma n. 5853. Da parte italiana viene seguito attivamente ogni lato questioni bulgare ma ostacoli gravi sono frapposti da ogni parte.

Quanto sopra serve a rendere esatto conto a V.S. della situazione a tutt’oggi; spero quindi che cesserà in codesti ambienti continuazione equivoco nel quale mi pare si persista. A maggior chiarimento opposizione per ogni iniziativa sgradevole ai serbo-greci informo che delegazione musulmani Tracia giunta a Roma da Costantinopoli non può recarsi a Parigi per rifiuto Francia vistare passaporti4. Qualora sarà possibile rimuovere divieto, verrà da noi data ad azione tale delegazione conveniente direzione. Infine attiro attenzione V.S. su preparativi generale Franchet d’Esperey e sua linea di condotta che tende ad illudere Bulgaria fino a momento nel quale avrà sicurezza imporsi con mezzi a sua disposizione. Visita generale Chrétien a Costantinopoli si collega certamente con tale piano del quale assicuro a V.S. esattezza.

2 Del 23 maggio. Non pubblicato.

3 Vedi D. 620.

4 Sulla questione Sonnino aveva sollecitato l’intervento di Bonin presso Pichon con T.P. 1745del 28 maggio.

651 1 Vedi D. 555.

652

IL COMANDANTE DELLE FORZE ITALIANE NELL’EGEO, ELIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1523/1010. Rodi, 30 maggio 1919, ore 15 (perv. ore 9 del 31).

Stamane notabili comunità Rodi mi presentarono istanza diretta nostro presidente del Consiglio indirizzata da ventiquattro fra essi a nome tutti correligionari. La spedisco per posta. In essa chiedono che il Dodecaneso, sopratutto isole Rodi e Cos, che appartengono politicamente e geograficamente Asia minore e sono abitate da popolazione cristiana e musulmana, non siano disgiunte dall’Anatolia. Aggiungono che, rassegnati non veder realizzati voti loro ritorno alla Turchia, confidano Italia non li abbandonerà al loro implacabile nemico il greco. Dicono che loro condizioni sarebbero disperate se noi cedessimo Dodecaneso alla Grecia. Notizie che greci vanno diffondendo in questo senso accrescono loro angoscia.

Essi dicono fidare ora soltanto nella nostra forza e nel nostro onore. Firmatari questa petizione rappresentano antico partito Giovani Turchi. Firmatari petizione da me spedita 27 febbraio, n. 3571, erano del partito Vecchia Turchia.

Abbiamo così le istanze della intera comunità2. Roma informata.

653

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1522/6115. Roma, 30 maggio 1919, ore 22 (perv. ore 10 del 31).

Suo telegramma in data 29 corrente1 circa terza seduta Commissione coloniale mi giunge ora e credo mia risposta arrivi in ritardo. Nella mia precedente corrispondenza vi è già la risposta e valgono per tutti i miei telegrammi n. 365 del 29 gennaio

u.s.2 a V.E., n. 1142 del 1°3 e n. 1270 del 5 febbraio ultimo4 al marchese Salvago, nei quali affermavo che l’incarico all’Italia di amministrare per mandato una delle colonie già tedesche non può infirmare in nessun modo il diritto che ci viene dal Trattato

652 Lo stesso telegramma fu spedito al MAE a Roma in pari data e ora, con arrivo ore 2 del 31 maggio.

1 Vedi serie sesta, vol. II, D. 552.

2 Si veda anche poi D. 790.

2 Vedi serie sesta, vol. II, D. 148.

3 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

4 Vedi serie sesta, vol. II, D. 241.

di Londra, che anche in tale caso mantiene la sua piena efficacia. Circa nostra eventuale domanda mandato, io capirei fosse per Camerun, la importanza del quale è per noi evidente, sia per sua valore intrinseco, sia per scopo che gli deriva dall’essere il pendant della Libia sull’Atlantico con il naturale congiungimento dei rispettivi hinterland nello Ciad. V.E. mi dice che cessione Gibuti da ritenersi non ottenibile. Ciò, bisogna confessarcelo, significa il fallimento del nostro programma coloniale per il dopoguerra, che era tutto organicamente imperniato sull’acquisto di Gibuti, la cui importanza capitale per noi era stata riconosciuta anche da V.E. Non ripeto quindi quanto da anni ho sostenuto; ma non posso non rilevare che già si delinea il maggior danno della situazione nostra in Abissinia con minaccia della nostra esclusione, come dimostrano la costituzione della Società anglo-francese per Etiopia, la concessione mineraria Bayart, il monopolio dei tabacchi accaparrato da un gruppo francese, l’affare degli alcools che sta per sfuggirci, gli ostacoli mossi alla nostra Sciam che viene posta in condizione di non potere agire5.

653 1 Si tratta del T. 613 del 29 maggio a firma Crespi Sonnino (Vedi D. 641).

654

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1520/12079. Roma, 30 maggio 1919, ore 22,30 (perv. ore 9 del 31).

Questo incaricato d’affari di Russia1 mi ha chiesto fra l’altro se era esatto che nel Caucaso si trovassero due divisioni italiane. Risposi che non mi risultava. Egli ne trasse motivo per rappresentare tutti i pericoli dell’impresa, ripetendo il noto argomento che una Russia forte non l’avrebbe tollerata e una Russia debole e bolscevica avrebbe finito coll’inquinare di bolscevismo i nostri elementi militari2. Non credo che egli parlasse per istruzioni avute, anzi credo di poterlo escludere, ma ho voluto riferirlo perché l’attuale appoggio inglese (come oggi per Smirne) non venga [ad essere] un giorno annullato se la Russia [è assente o] contraria e perché egli mi sembrava non escludere lo sfruttamento unicamente commerciale di quella ricchissima regione.

2 Sorpresa e malcontento per l’ipotesi di intervento italiano, in sostituzione degli inglesi, nelCaucaso erano stati espressi a Sforza qualche giorno prima da un inviato di Denikin (T. 672 del 28 maggio di Sforza a Sonnino).

653 5 Vedi poi D. 670. 654 Le parole tra parentesi quadre mancano nel testo in arrivo.1 Essendo l’ambasciatore Giers temporaneamente a Parigi, dall’ottobre 1918 incaricato d’affari della Russia nazionale a Roma era il consigliere Ivan de Persiany.

655

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 30 maggio 1919.

Stamane ebbi una conversazione privata con Wilson, cercando di condurlo verso la creazione di uno Stato indipendente di Fiume, che sarebbe a parte dallo Stato costituito dall’hinterland slavo. Mi fece molte obiezioni facilmente comprensibili: ma non escluse che, quando si verrà all’ordinamento specifico del nuovo Stato, la questione possa essere esaminata. Qui alcuni arrivano a dire che pur di avere assolutamente assicurata la libertà di Fiume senza aggiungervi slavi, a noi converrebbe rinunziare agli jugoslavi il territorio di Castelnuovo, salvo a mantenere le garanzie militari della neutralizzazione.

Circa l’Asia Minore, Wilson mi disse che tutto è sospeso sino al ritorno di una commissione che si reca sui luoghi per informarsi delle preferenze degli abitanti e che, quindi, le aspirazioni dell’Italia, che debbono essere soddisfatte, non lo possono essere immediatamente. Insistetti per Eraclea, ed egli mi promise che avrebbe fatto qualche passo personale con Clemenceau per indurlo a fare sostituire l’occupazione francese dalla occupazione italiana, avendogli Clemenceau detto che egli non ci tiene. Nella riunione pomeridiana nulla di notevole.

656

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 52166 URG. PREC. ASSOL. Roma, 30 maggio 1919.

Con riferimento al telegramma 292 dell’Ammiraglio Grassi1 mi onoro manifestare mia precisa opinione sulla necessità nei riguardi marittimi nostro assoluto possesso senza alcun controllo di Sebenico e isole prospicienti fino a Zara. Nei riguardi dell’Istria mutilata e di Fiume sarebbe causa di nuovi grandi dolori e umiliazioni qualsiasi specie di controllo. Salvo elementi politici a me sconosciuti mantenimento Patto di Londra sarebbe preferibile a compromessi che in seguito saranno ritorti a sempre maggior nostro danno materiale e del nostro prestigio.

656 Il telegramma era indirizzato all’ammiraglio Grassi per Orlando e Sonnino, e fu ritrasmessolo stesso giorno con n. 308. Edito in ALDROVANDI, p. 453 (con varianti non significative).1 Del 29 maggio. Non pubblicato.

657

IL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

T. 32372 D.S.M. RR. PERS. Roma, 31 maggio 1919, ore 18,30.

Dal telegramma n. 7522 SP. data ieri1 S.E. Diaz apprendo decisione ritiro truppe inglesi dal Caucaso e predisposizioni per eventuale loro sostituzione con truppe italiane. Ritengo doveroso far presenti considerazioni che a mio parere sconsigliano tale risoluzione:

Primo: Esigenze smobilitazione già arrestata e che specie dopo conclusione pace occorrerà accelerare sono già difficilmente conciliabili con necessità mantenere effettivi indispensabili per presidi Albania e colonie e per nostra azione Asia Minore nonché occupazione avanzata entità, non ancora precisabile presso nuove frontiere finché intenzioni e atteggiamenti Stati e popolazioni adiacenti non siano definitivamente sicuri nostro riguardo. Forza occorrente per servizi territoriali ed ordine pubblico è attualmente reputata appena sufficiente con noto concorso esercito mobilitato ed anche in avvenire non può ora presumersi possa ridursi meno 300.000 uomini ben inquadrati ed effettivamente disponibili. D’altra parte da inchiesta da me disposta presso depositi è risultato molto indiscutibile deficienza forza disponibile rispetto necessità servizi e rispetto entità forza effettiva nella quale sono compresi numerosissimi non idonei assenti lecitamente e attesa esito pratiche sanitarie.

Secondo: Condizioni animi popolazione dopo lunga guerra non potrebbero forse garantire che nuova spedizione a notevole distanza dalla patria in località non conosciuta e per scopi (...) fosse molto favorevolmente accolta e che perciò non abbiano a temersi dannose ripercussioni spirito truppe partenti. Né sarebbe possibile assegnamento su reparti volontari per tempo e spesa.

Terzo: Anche per quanto mi risulta da ufficiali stati sul posto, tanto truppe francesi quanto truppe inglesi, contatto bolscevismo russo, si sono disorganizzate. Qualora anche nostre truppe fossero inquadrate da corrente bolscevica non mancherebbe esserne compromessa compagine e conseguenze incalcolabili sarebbero temersi ritorno loro elementi in patria.

Quarto: Ufficialmente inglesi si sarebbero assunto compito trasporti occorrenti truppe italiane e dovrebbero assumerlo quello successivi rifornimenti per durata non breve. Oltre conseguente menomazione nostro prestigio richiamo attenzione su gravi difficoltà che sorgerebbero per modificazione tonnellaggio qualora temporaneamente sopravvenisse raffreddamento relazioni con Stati attuali alleati. Confermo perciò mio

657 Il telegramma fu trasmesso per conoscenza alla PCM (Gab.) e al MAE (Gab.) con n. 7660 SP. del 1° giugno.

1 Non rinvenuto. Il 26 maggio Hardinge aveva sollecitato da De Martino precise informazionisull’impegno italiano nel Caucaso, in vista del ritiro del personale britannico dalle navi impiegate nelCaspio e della successiva evacuazione di Baku prevista per il 15 giugno (vedi DBFP, Vol. III, D. 229).

parere contrario nostro intervento militare in sostituzione quello inglese che può considerarsi fallito ed ha quindi compromesso fino ad oggi successivo tentativo stesso genere. Insisto invece su opportunità nostra penetrazione soltanto commerciale ed intesa ottenere concessioni minerarie specie nafta in cambio nostri prodotti ed organizzando tutto al più in misura strettamente necessaria milizie locali e gendarmeria inquadrate nostri ufficiali per sicurezza concessioni medesime. Sarò grato alle LL.EE. se mi terranno informato decisioni adottate e disposizioni prese.

658

IL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 622. Parigi, 31 maggio 1919, ore 19.

Ieri avuto luogo quarta riunione Commissione coloniale. Crespi dichiara inaccettabile offerta francese Tibesti. Aggiunge che persistendo Francia in rifiuto Gibuti Italia non vede quali compensi Francia possa dare in base articolo 13. Questione quindi resta aperta tra Francia e Italia. Da Inghilterra Italia accetta delimitazione confine orientale Cirenaica con Giarabub. Circa Giubaland Italia solleva eccezioni di carattere politico diplomatico e di carattere locale. Piacentini sviluppa tali eccezioni indicate telegramma 5923 di V.E.1. Milner risponde linea confine Giubaland essere stata tracciata in base indicazioni degli specialisti coloniali inglesi; essere perciò impossibile modificarla; cessione riva destra Giuba Kisimaio e larga porzione Giubaland costituisce sacrificio per Inghilterra. Ambienti coloniali inglesi già hanno manifestato disappunto per tali cessioni. Milner domanda quindi se osservazioni italiane debbano considerarsi come rifiuto. Crespi risponde di no dichiarando Italia accetta proposte inglesi con esplicita riserva che debbano venire in seguito conclusi accordi tra due Governi per regolare questione pascoli, acque, transito oltre confine tribù nomadi, dogana ecc., concernenti popolazioni che verranno a trovarsi al di qua e al di là nuova linea frontiera. Tornando a questione generale Crespi dichiara unica via soluzione essere ammettere Italia partecipare mandati. Domanda per Italia mandato su Togo. Milner solleva pregiudiziale che eventuale attribuzione mandato esclude diritto Italia applicazione articolo 13 Patto Londra. De Martino svolge lungamente tesi della necessità di una interpretazione estensiva dell’articolo 13 da parte alleati in considerazione maggiore sforzo compiuto da Italia a vantaggio causa comune dopo scomparsa Russia. Pace deve essere giusta e proporzionata ai singoli sforzi degli alleati. Italia aveva esposto programma razionale imperniato su Gibuti. Col rifiuto diGibuti tale programma cade. È giusto che Italia sia posta in grado compensare in altro modo tale danno. Ecco ragione nostra domanda di partecipazione mandato. Altrimenti Italia sarà obbligata considerare come sempre aperta questione coloniale

658 Il telegramma è controfirmato da Sonnino. Il verbale ufficiale della seduta è edito in SALATA, D. 8. 1 Del 25 maggio. Non pubblicato.

africana anche dopo conclusione definitiva pace. Milner insiste suo punto di vista inconciliabilità mandato con compensi articolo 13. Segue animata discussione2. Rimanendo ciascuno del proprio parere Milner propone chiusura lavori Commissione rinvio decisioni a Consiglio dei quattro. Vengono incaricati segretari italiano, francese, inglese3 redigere rapporto che dopo approvazione Crespi Simon Milner verrà diretto Consiglio dei quattro.

659

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 31 maggio 1919.

Grazie Suo telegramma1.

Per ciò che riguarda questioni coloniali ed Asia Minore conto di parlarne oggi stesso a Wilson in un colloquio privato che avrò con lui. Circa impressioni determinate da nota soluzione proposta2, ho potuto fare un esperimento negli ambienti dell’Edouard VII, dove si può dire rappresentata in piccolo opinione pubblica italiana. Impressione media non è certo entusiastica ma nemmeno ostile. Prevale desiderio che Fiume non sia inclusa nel nuovo Stato indipendente, ma costituisca essa stessa altro Stato indipendente. Credo possibile ottenere soddisfazione su tale punto. In tale caso ne dovrebbe conseguire maggioranza italiana nella Commissione del Governo, congiunta ad una libera costituzione locale. Avendo poi il confine diretto, la soluzione di Fiume sarebbe abbastanza prossima alle aspirazioni italiane. In tali termini la transazione proposta avrebbe l’effetto di farci abbandonare due o trecentomila slavi, che sarebbero un peso morto nella nostra vita nazionale, e il danno strategico della migliore linea perduta verso oriente troverebbe un certo compenso nella neutralizzazione del territorio intermedio. Date dunque le immense difficoltà che abbiamo attraversato, questa soluzione dovrebbe contentare, bene inteso ove fosse raggiungibile in ogni sua parte, compresa anche la speciale indipendenza statale di Fiume. Spero che l’opinione pubblica del paese intenderà la cosa in questi medesimi termini; ma all’uopo è desiderabile che non sia eccitata dagli stessi organi ufficiali. Mi risulta, infatti, che ammiraglio Thaon di Revel ha telegrafato oggi Grassi ritenendo soluzione pericolosa, perché noi verremmo ad insediare Lega delle Nazioni sull’Adriatico per ciò che riguarda Fiume3. Si tratta di un vero equi

3 R. Piacentini, Duchêne e Vansittart, rispettivamente.

2 Vedi D. 655.

3 Si tratta del T. 52750 di Revel a Grassi, non pubblicato. Nello stesso senso Grassi si eraespresso con Nota 300 inviata a Orlando il 29 maggio: «La dolorosa esperienza fatta in Adriatico durantequesti sei mesi in cui ha funzionato il Comitato interalleato degli ammiragli, ha già indotto altra volta

S.E. Revel a prospettare i gravi danni materiali e morali che un controllo internazionale in genere, e lapresenza di forze navali estere in specie, ha arrecato, e potrebbe a maggior ragione arrecare in futurosotto l’egida della Lega delle Nazioni alla nostra politica ed ai nostri interessi. Mi permetto pertantorichiamare ancora l’attenzione di V.E. su questa preoccupazione del capo della Marina».

voco, perché la Lega delle Nazioni non avrebbe che una sovranità puramente nominale, di cui essa investirebbe la Commissione del Governo, senza che dopo ciò le rimanga alcuna attribuzione effettiva. Preoccupazioni dell’ammiraglio sono dunque infondate; in ogni caso ripeto che sarebbe sommamente desiderabile che in momento così difficile almeno gli organi dello Stato si adoperino ad infrenare il malcontento e non già ad alimentarlo. Sotto questo aspetto mi piace dire a Vostra Maestà che l’attitudine del generale Diaz è, come sempre, perfetta.

658 2 Vedi poi D. 682.

659 1 Vedi D. 645.

660

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 31 maggio 1919.

Grazie Suo telegramma di ieri1.

Mi immagino facilmente le difficoltà della lotta che Ella tanto energicamente combatte. Solo la parte militare del nostro pubblico mostra comprendere i rilevanti vantaggi ottenuti nell’Alto Adige. Spero che Ella potrà ancora migliorare la soluzione proposta per Fiume. Penso che questa soluzione in generale non sarà ritenuta troppo soddisfacente e probabilmente verrà trovata inadeguata dalla non trascurabile parte di opinione pubblica la quale fa capo agli ufficiali giovani che hanno combattuto la guerra. Personalmente ho assai scarsa fiducia nel valore delle neutralizzazioni, data anche la natura dello Stato col quale confineremo sulle Alpi Giulie. Mi auguro pertanto che il bacino dell’Isonzo possa restare completamente all’Italia, data anche la grande zona di terreno che l’Italia viene a cedere da Fiume verso Lubiana. Qui si seguita a parlare molto delle questioni coloniali e dell’Asia Minore. Se per queste questioni l’Italia avrà notevoli vantaggi il nostro pubblico ne avrà in questo momento impressione vantaggiosa. Ricevo ora un commovente telegramma da Albona italianissima che teme di essere abbandonata ai jugoslavi.

660 1 Vedi D. 655.

661

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. POSTA 1798. Parigi, 31 maggio 1919.

Approvo la risposta data da codesto Ministero al signor Mazourenko e la rettifica fatta fare nella stampa quanto alla missione ufficiale ucraina1. Non è affatto il caso di portare alcun cambiamento nella linea di condotta fino ad ora seguita dal R. Governo nei riguardi dell’Ucraina. In considerazione anzi della nuova fase in cui stà per entrare la questione russa e delle trattative pendenti coll’ammiraglio Kolciak per il riconoscimento del Governo di Omsk come Governo di tutta la Russia2, è necessario mantenere il maggior riserbo con i Governi formatisi in Russia che hanno un programma di completa separazione ed indipendenza. I prigionieri galiziani di nazionalità rutena vengono disputati dai russi e dagli ucraini, e la Polonia ha interesse a che non siano restituiti perché appena liberati vengono inviati a combattere in Galizia Orientale.

Ora, mentre la Conferenza fa tutti i possibili sforzi per far cessare questo spargimento di sangue e studia lo statuto definitivo della Galizia, non sembra consigliabile per il momento prendere in considerazione la domanda di liberare i prigionieri ruteni.

Prego codesta Direzione degli affari politici di informarsi, e comunicarmi il risultato delle indagini fatte, in qual modo il signor Mazourenko entrò in Italia mentre furono date istruzioni alla R. Legazione a Berna di non concedere il visto ai passaporti della missione ucraina. Confermo istruzioni precedenti per quanto riguarda il prof. Antonovic.

662

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 324. Parigi, 31 maggio 1919. (perv. il 5 giugno).

In risposta al telegramma di Vostra Eccellenza n. 01514, in data del 12 corrente1, concernente il ritorno in Francia della missione militare francese in Polonia, ed in seguito ad informazioni avute da buona fonte, ho l’onore d’informarla che

2 Vedi D. 638.

la presenza della missione stessa in Polonia non aveva più ragione di essere dal punto di vista militare dopo l’arrivo colà di generali e numerosi ufficiali francesi, i quali fanno parte dell’armata polacca.

Non si può ravvisare pertanto alcun cambiamento nelle direttive della politica francese nei riguardi della Polonia.

Il generale Haller avrebbe avuto occasione di dire, in via confidenziale, che, appena possibile, si sarebbe sbarazzato di tutti gli ufficiali francesi.

661 1 Vedi D. 513.

662 1 Con il T. 1514 del 12 maggio Sonnino aveva chiesto notizie sulla portata dell’annunciatoritiro della missione francese dalla Polonia, in apparente contrasto con il progetto francese di assicurarsi una posizione predominante nell’organizzazione militare dei piccoli Stati come la Boemia, laRomania, e appunto la Polonia.

663

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

APPUNTO. Parigi, 31 maggio 1919.

Nella seduta (Comm. Etats Nouveaux) di stamane Berthelot disse che il Governo jugoslavo aveva scritto al presidente della Conferenza dichiarandosi disposto ad accettare le clausole per la protezione delle minoranze1, ma in pari tempo chiedeva come sarebbero garantite le minoranze jugoslave in altri paesi, specialmente in Italia.

Ho ricordato che, secondo decisione precedente, la questione delle garanzie delle minoranze non concerne le grandi potenze come Italia, Francia, Inghilterra. Per quanto riguarda l’Italia, ho aggiunto, non è il caso di clausole speciali anche per la ragione che il regime liberale vigente in Italia costituisce la migliore garanzia per le minoranze. Ma noi ci opponiamo per ragioni di principio.

Berthelot ha risposto che ben inteso la decisione precedente resta ferma per quanto riguarda la Commissione, ma la decisione definitiva spetta al Consiglio superiore, in quanto la questione può avere larghe conseguenze.

Ho replicato che le conseguenze possono essere assai estese se si ammettesse la domanda jugoslava. Per esempio Alsazia-Lorena e Irlanda.

Berthelot risponde che per l’Alsazia-Lorena la questione non si presenta perché i tedeschi di quella regione restano sudditi tedeschi, quindi non v’è minoranza. Conviene tuttavia che per le grandi potenze «la question ne se pose pas».

663 1 Voti sulla protezione delle minoranze nazionali erano stati formulati dalla conferenza internazionale per la Società delle Nazioni, tenuta a Berna nel marzo 1919. Il 22 maggio, poi, il Consiglio deiquattro aveva approvato l’inserimento nel trattato con l’Austria di una clausola di salvaguardia, con cui ilRegno dei S.H.S. si impegnava a fissare in un trattato internazionale con le potenze alleate le garanzie perle minoranze residenti nel suo territorio.

664

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 1668. Roma, 1° giugno 1919, ore 14.

Stamane S.M. il Re ha firmato il patto fondamentale della Tripolitania1 che inizia una nuova era di politica coloniale.

665

IL DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, BARZILAI, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. Roma, 1° giugno 1919, ore 16,10.

Tua osservazione circa utilità illustrare conquista secolari confini è giusta ma deve essere rimandata a dopo ottenuto l’attuale scopo perché non diventi argomento a nostro danno sulle labbra dei contraenti. Non si può ancora avere tranquillità circa la riuscita del progetto sia perché da parte nostra abbiamo assoluto bisogno di una sistemazione della frontiera che non conceda oltre quanto importa il possesso della linea ferroviaria. Trattasi di garantire Trieste e Pola e non potremmo fare concessioni oltre lo stretto necessario. Maggiore difficoltà viene però da parte slava da dove verrà un controprogetto certo inaccettabile che sconvolgerebbe l’economia di quello Tardieu1 e comincerebbe dal negare la sovranità assoluta su Zara e Sebenico. Domani avremo una risposta da Wilson e credo veramente che egli e gli alleati comprendano in questa ora la necessità di non metterci in condizioni di rifiutare. Comunque è bene che la stampa non creda e non faccia creder trattarsi già di cosa fatta. Certo se il progetto fallirà per colpa altrui, e nostra abilità dovrà consistere nel trattare in modo che questo risulti, ci troveremo in una situazione molto migliore anche per l’applicazione che resterebbe e diventerebbe necessaria pel Patto di Londra.

Per quanto riguarda gli acquisti extra europei vi è anche qualche buon affidamento wilsoniano per Eraclea senza però nessuna garanzia assoluta. Io spero che tra oggi e domani, ed in questo senso ho per parte mia insistito trovando stamane pienamente consenziente il presidente, si prenderà una decisione relativa alla Georgia per

la quale tutto sarebbe pronto e per cui, come sai, ci è incondizionata adesione Inghilterra. Quando pur si trattasse di una occupazione temporanea, che ove la Russia antica si ricostituisse potrebbe convenirci abbandonare, noi potremmo impiantare là ove sono straordinarie ricchezze minerarie una rete di interessi che non verrebbe poi spezzata. Appena una definizione decisiva sia presa al riguardo converrà fare molto mussare nella opinione pubblica italiana questo fatto che non avrebbe assolutamente il carattere di conquista ma di penetrazione economica molto interessante.

Qui crescono ogni giorno le preoccupazioni per il rifiuto dei tedeschi di firmare.È certo che in quella forma non firmeranno, come pare più che probabile che inglesi ed americani siano disposti a concessioni relativamente alla forma delle riparazioni ed alla questione della Polonia e dell’alta Slesia.

664 1 Il «Patto fondamentale per la Tripolitania» era stato approvato dal Consiglio dei ministrinella seduta del 4 maggio 1919, su proposta del ministro delle colonie e venne promulgato con R.D. 931del 1° giugno (G.U. n. 145 del 19 giugno 1919).

665 1 Vedi D. 636, All.

666

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL

T. 1678 P. Parigi, 1° giugno 1919, ore 22 (perv. ore 8 del 2).

Mentre io ed i colleghi apprezziamo assai le osservazioni e proposte che il patriottismo e l’esperienza suggeriscono all’E.V. debbo fare alcuni rilievi relativamente al suo telegramma di ieri diretto contrammiraglio Grassi addetto navale1. Quando esaminammo la base discussione offerta col progetto Tardieu2 interrogammo anche l’ammiraglio Grassi, il quale dichiarò, d’accordo con S.E. Sonnino, che potevasi, senza pregiudizio per difesa marittima, rinunziare occorrendo successivamente alle isole di Lesina, Curzola e Meleda. Né per vero egli condizionava tali eventuali concessioni ad un determinato confine terrestre o ad una particolare organizzazione della città di Fiume, l’una e l’altro estranei al criterio strategico cui sono destinate a servire le Isole Curzolane. Circa mutilazione Istria progetto in questione è tra altro precisamente diretto a sostituire nota proposta Wilson che portava nostro confine all’Arsa: invece il nuovo ci dà tutta la costa orientale dell’Istria sino al suo apice settentrionale donde comincerebbe il nuovo Stato indipendente di Fiume. Circa Zara e Sebenico secondo nostri propositi dovrebbero annettersi interi distretti politici con tutte isole prospicienti, meno Arbe ceduta già dal Patto di Londra e Pago offerta in precedenti

666 Il telegramma fu trasmesso per il tramite di Colosimo data la mancanza di un cifrario diretto.Contestualmente fu inviato per opportuna conoscenza a Vittorio Emanuele III con la seguente nota introduttiva: «Ammiraglio di Revel ha diretto un telegramma che mette in rilievo gli inconvenienti della proposta soluzione. Stimo opportuno di dare notizia a V.M. della risposta da me direttagli, anche perché ichiarimenti da me dati possano servire ad illustrare meglio il concetto della situazione».

1 Si tratta del T. 52750 del 31 maggio. Per le osservazioni sulle preoccupazioni di Revel siveda anche il D. 659.

2 Vedi D. 636, All.

trattative. Non sappiamo se progetto finirà per essere accolto, anzi di ciò dubitiamo. Non bisogna però dimenticare che proposta di discussione rappresenta transazione che, come riconosce anche capo Stato maggiore Esercito, senza essere oltremodo soddisfacente, ci libererebbe da difficoltà e pericoli maggiori. Infatti esecuzione Patto di Londra, che ci darebbe in più soltanto poche isole riconosciute non indispensabili e retroterra dalmata di cui non tutte autorità militari riconoscono necessità né utilità, comprometterebbe per sempre situazione Fiume e ci esporrebbe a malumori con alleati e ad una rottura con l’America di cui non occorre che io esponga a V.E. le conseguenze. Certo nostra cura deve essere ottenere nei limiti compatibili con la concessione della ferrovia la migliore frontiera possibile, e per Fiume un assetto che ne garantisca le libertà non solo municipali ma anche politiche e per tutto lo Stato libero un ordinamento che prepari per il plebiscito dopo quindici anni un risultato a noi favorevole almeno nelle parti più importanti del territorio. V.E. può insomma essere certa che tutta la cura che umanamente può porsi nella difesa degli interessi dello Stato sarà da noi adoperata, ed in tale opera ci sarà sommamente prezioso il concorso della V.E., la cui presenza qui, come sempre, è da noi grandemente desiderata.

667

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 1677 P. Parigi, 1° giugno 1919, ore 22,45 (perv. ore 2,30 del 2).

Di vero e grande conforto mi fu manifestazione dei colleghi1. Ti prego di ringraziarli e di dire che essi hanno compiuto opera buona nell’accrescere la forza di cui ho di bisogno per fronteggiare i pericoli e le insidie di una situazione così formidabile. Sui punti che li lasciarono incerti, ti ho date tutte le spiegazioni che potevo. Per ciò che concerne questione Asia Minore ho pure telegrafato: la situazione è quella che è e non vedo immediatamente come possa risolversi. Quanto ad Eraclea, Wilson mi promise che avrebbe interposti suoi buoni uffici con Clemenceau per consentire che l’occupazione temporanea sia lasciata a noi. Insisterò. Quanto alle clausole economiche e finanziarie, io ti ho telegrafato le decisioni più importanti man mano che si verificavano; Crespi mi assicura di avere informato i colleghi e di avere anzi spedito il testo delle clausole. Del resto, dato il principio della solidarietà, è evidente che noi avremo la quota proporzionata ai nostri sacrifici di tutto quanto sarà esatto. Quanto poi agli elementi perturbatori della pace nazionale, approvo pienamente le direttive da te annunziate e confido che saranno seguite con fermezza.

667 1 Colosimo ne parla in un telegramma dello stesso giorno, ore 0,30, non pubblicato.

668

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 1° giugno 1919.

Ringrazio del telegramma di questo pomeriggio1.

Finora i francesi sono stati assolutamente intransigenti circa Gibuti. Consiglio dei quattro ha rilevato necessità avvertire Governo greco fermarsi nelle sue occupazioni. V.M. avrà pure considerato che anche da parte nostra si è proceduto ulteriormente in occupazioni. Per quanto queste siano in se stesse meno considerevoli, bisogna tener conto che esse avvengono in perfetto dissenso con gli alleati. La giornata odierna, essendo festiva, non ha portato alcuna novità in relazione alle nostre questioni.

669

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMANDO SUPREMO

T. 628. Parigi, 1° giugno 1919.

R. nave «Duilio» avendo informato1 che alto commissario greco aveva dichiarato nostro delegato Smirne che truppe greche avevano ordine avanzare sud Ayasoluk per occupare Sokia e che occupazione Scalanova sarebbe ritardata pur essendo compresa zona greca, è stato, su mia conferma2, telegrafato al capo di stato maggiore della Marina che nulla era mutato delle disposizioni prese dal Consiglio dei quattro il 19 maggio e telegrafato all’ammiraglio Calthorpe3. Pertanto nostre truppe non debbono abbandonare alcuna delle località già occupate ma restare a Scalanova e Sokia occupando inoltre Magnesia siccome già disposto4. Il comando della r. nave «Duilio» manterrà relazioni con ammiraglio inglese per conoscere eventuali occupazione da lui autorizzate.

Nel pregare di comunicare quanto precede a generale Battistoni prego farmi conoscere con massima precisione possibile circostanze che accompagnarono occupazione Ayasoluk da parte truppe r. esercito in sostituzione distaccamento marina e successivo loro ritiro indicandomi date loro movimenti e quanto altro possa a ciò utilmente riferirsi.

la DICP. 1 Telegramma del 30 maggio, comunicato da Biancheri a Sonnino con T. 12038 dello stesso giorno. 2 T. 620 di Sonnino al MAE del 31 maggio. 3 Vedi D. 540. 4 Con T. 1374 del 30 maggio il comandante Ciano osservava tra l’altro in proposito: «Ritiro

nostre truppe da una delle località occupate, dove sotto nostra protezione ufficialmente verbalmentegarantiti da generale Battistoni e da me si sono rifugiati molti notabili musulmani minacciati morte,segnerebbe fine prestigio italiano questa regione».

668 1 Nel telegramma del re si parlava di voci di disponibilità della Francia per Gibuti.669 Il telegramma fu inviato, per conoscenza, alla Sezione militare e alla Sezione marina presso

670

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 3650. Roma, 1° giugno 1919.

Il commendatore Giuseppe Ostini, r. console generale a Gondar ed amministratore delegato della SCIAM1 è ritornato in questi giorni a Roma da Addis Abeba.

Egli riferisce che l’azione di accerchiamento economico e di organico sfruttamento della Abissinia, con progressiva esclusione nostra, da parte francese, va assumendo una tale intensità da fare chiaramente apparire che fra breve ogni possibile forma di attività ci sarà preclusa.

In tale sua costante ferma linea di condotta la Francia si trova favorita dalle seguenti condizioni essenziali:

a) fiducia che ispira per la mancanza di apparenti propositi di conquista territoriale e per l’atteggiamento di tutrice della Etiopia contro di noi, atteggiamento che ha saputo abilmente rendere gradito alimentando continue diffidenze e timori a nostro riguardo;

b) larghezza di mezzi finanziari a sussidio dell’azione diplomatica;

c) introduzione di armi e munizioni che, sospesa durante la guerra, si va ora riprendendo;

d) animosità e sospetti che la nostra opposizione alla introduzione delle armi e delle munizioni fa sorgere nel Governo etiopico verso di noi.

Appunto in tutto ciò è stata la ragione essenziale della nostra richiesta di Gibuti.

Dalla lunga corrispondenza di questo Ministero risulta come nessun successo abbia finora riportato la nostra legazione in Addis Abeba; ma mai come adesso è apparso chiaro che i nostri interessi in Etiopia sono avviati alla definitiva compromissione2.

2 In una relazione presentata al ministro delle colonie in data 26 maggio, e trasmessa a Sonninocon T. 12509 di Manzoni del 4 giugno, Ostini così concludeva la sua esposizione sulla situazione in Etiopiain rapporto ai nostri interessi: «La vittoriosa avanzata dell’azione economica francese in Abissinia [...] noinon potremo certo arrestarla localizzando la nostra azione ad Addis Abeba, ove tutto purtroppo è contro dinoi, ma potremmo ben tentare invece di arrestarla a Parigi prima che il Congresso della pace si chiuda, cercando di fare tutti gli sforzi possibili per ottenere: a) che venga ben definita ed in modo assoluto riconosciuta la zona della nostra azione indipendente nell’Ovest abissino, in cui il Governo francese non solo nonpossa combatterci ma debba anzi aiutarci a raggiungere i nostri scopi. [...]; b) che per tutto il resto cheriguarda l’avvenire generale dell’Abissinia, ed in cui può esservi un ingranaggio fra interessi italiani ed interessi francesi, i due Governi lungi dall’ostacolarsi a vicenda debbono invece reciprocamente aiutarsi a raggiungere i propri scopi, stabilendo anzi per quanto possibile un’azione in comune.[...]. Assicurati in talmodo a Parigi gli opportuni accordi con i francesi, non ci sarebbe più difficile, io penso, intenderci anchecon gli inglesi, mercé opportune concessioni da parte nostra per le acque dello Tzana, alla condizione diavere questi favorevoli alle nostre domande per la ferrovia e per le terre di sfruttamento agricolo nell’Ovestabissino. Siffatte intese concluse, la necessaria concentrazione di capitali italiani per la costruzione della ferrovia e lo sfruttamento delle terre sarebbe indubbiamente sollecita ed agevole impresa. L’attuale momento ècerto per il nostro avvenire coloniale nell’Est Africa decisivo e supremo, di guisa che si può essere certi chese noi non riusciremo ora ad aprire la nostra porta in Abissinia, rafforzando l’accordo a tre di Londra conulteriori più lati e sicuri accordi, questa porta resterà per noi inesorabilmente chiusa per sempre».

Basti a provarlo il fatto che il r. console generale di Gondar riferisce che, avendo egli chiesto per mezzo del r. ministro una semplice licenza di impianto di una conceria di pelli, come un francese e un armeno già da tempo hanno facilmente ottenuto, non ha ancora potuto avere tale concessione pur avendo ricevuto in un primo momento da ras Tafari assicurazione di favorevole accoglimento della domanda.

Tale la situazione; ed è mio dovere prospettarla alla E.V. in tutta la sua gravità, essendo evidentemente urgente che una nostra energica azione ripristini nei nostri riguardi la situazione riconosciutaci dall’accordo a tre.

670 1 Società commerciale italo-abissina. Vedi D. 421.

671

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

NOTA 7655. Parigi, 1° giugno 1919.

Trasmetto a V.E. copia di uno schizzo1, dove risultano indicati:

a) i confini del costituendo Stato di Fiume, studiati secondo le direttive avute da V.E.;

b) il confine orientale da noi rivendicato, a nord dello Stato predetto.

Secondo le direttive di V.E. il confine del costituendo Stato di Fiume si è dovuto studiare prendendo per base la condizione perentoria che la ferrovia Fiume-Lubiana avesse a risultare interamente fuori del territorio italiano. Compatibilmente con tale esigenza il confine occidentale dello Stato di Fiume è stato tracciato in modo da conferire la massima profondità possibile alla difesa di Trieste. In massima esso confine corre lungo il limite amministrativo occidentale dei comuni attraversati dalla ferrovia, e ciò nel tratto Fiume-S. Peter. Da S. Peter a nord questi limiti si sono dovuti abbandonare, poiché seguendoli si sarebbe spostato il nostro confine troppo ad ovest in modo da renderlo inaccettabile sotto l’aspetto militare.

Però come ho già verbalmente espresso a V.E., mentre la soluzione concretata rappresenta il limite estremo delle riduzioni possibili, tenuto conto della perentoria condizione imposta, d’altro lato la profondità che si conferisce in tal modo alla difesa di Trieste sarebbe del tutto insufficiente per garantire questo centro contro un moderno attacco in forze, e tanto meno garantirebbe la difesa dell’Istria, esposta ad essere tagliata fuori al primo irrompere del nemico da oriente, se non fosse introdotto il correttivo della neutralizzazione perpetua del territorio costituente il nuovo Stato di Fiume.

È invero militarmente inaccettabile di esporsi alla eventualità che, qualora il plebiscito nello Stato fiumano ci risultasse contrario, il confine occidentale di esso divenisse confine militare fra noi e lo Stato jugoslavo.

671 La nota fu inviata per conoscenza a Sonnino ed a Badoglio. 1 Vedi carta n. 3.

Debbo però anche far presente a V.E. che il valore di questa neutralizzazione risulterà ben diverso, nei riguardi della nostra difesa, a seconda che il plebiscito annetta il territorio fiumano all’Italia oppure alla Jugoslavia. Nel secondo caso, mi sembra dubbio l’assegnamento che si potrebbe fare su un territorio il quale, pur essendo neutralizzato, sarebbe posto sotto la piena sovranità di uno stato ostile ed animato da propositi aggressivi.

In tale considerazione, ritengo assolutamente necessario che si faccia ogni sforzo per modificare la soluzione proposta dagli alleati nel senso di ottenere per nostro confine militare e politico la massima profondità compatibile colla creazione dello Stato libero fiumano, e colla esigenza di dare a Fiume una diretta comunicazione ferroviaria con Lubiana. Ho fatto concretare siffatta soluzione nello schizzo allegato

n. 22; essa può riassumersi come segue: a) costituzione dello Stato libero di Fiume entro i limiti territoriali indicati nello schizzo n. 2;

b) costruzione della ferrovia Skrad-Rakek, per mezzo della quale Fiume comunicherà direttamente con Lubiana, fuori del territorio italiano; la ferrovia potrebbe costruirsi a spese dell’Italia e con personale italiano;

c) internazionalizzazione della ferrovia Fiume-Adelsberg-Lubiana, fino a completa costruzione del tronco Skrad-Rakek.

Debbo precisare a V.E. che questa soluzione è la sola che possa assicurarci una frontiera militare abbastanza conveniente, anche nel caso che l’eventuale plebiscito dello Stato di Fiume avesse a risultarci contrario.

Su un altro punto debbo anche richiamare l’attenzione di V.E.; ed è la necessità, che, definiti i limiti dello Stato fiumano nel senso che ho avuto l’onore di proporre (schizzo n. 2), la linea di confine segnata nello schizzo, a nord del detto Stato, nonsoffra alcuna riduzione ulteriore. È qui, come V.E. conosce, il tratto debole del nostro confine militare; qualsiasi riduzione, anche piccola, comprometterebbe molto gravemente l’efficienza della nostra difesa.

Prego infine l’E.V. di considerare che la diminuzione del valore militare del nostro confine, che, qualunque sia la soluzione definitiva, conseguirà dalla negata annessione di Fiume all’Italia, potrebbe essere in parte compensata dall’assegnazione all’Italia della testata della Sava, e cioè del noto triangolo di Assling, del quale le potenze alleate ed associate si sono riservate di disporre. Sento il dovere di insistere presso l’E.V. perché ogni sforzo sia fatto in questo senso3.

3 Con successiva Nota 7796 SP. del 2 giugno Diaz ribadiva ulteriormente le condizioni per cuii limiti territoriali dello Stato libero di Fiume avrebbero potuto essere accettati solo «come soluzione diripiego, beninteso col correttivo della neutralizzazione perpetua». Sulla questione delle comunicazioniferroviarie si veda anche D. 525.

671 2 Non si pubblica.

672

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 7538 SP. URG. Parigi, 1° giugno 1919.

In relazione alle comunicazioni contenute nei telegrammi di codesto Ministero

n. 01793 del 31 maggio u.s.1 riguardanti i nostri presidi in Montenegro informasi che si danno oggi i seguenti ordini:

1) Le truppe italiane dislocate in Montenegro devono rimanere alla dipendenza del generale Piacentini dato che il generale Franchet d’Esperey ha con suo telegramma n. 7434 dello scorso aprile rinunciato ad estendere il proprio comando sulle truppe che vi fossero rimaste oltre il 30 aprile.

2) Il porto e la ferrovia di Antivari devono restare sotto il controllo italiano2.

3) Le nostre truppe non devono essere impiegate in eventuali conflitti fra jugoslavi e montenegrini dissidenti.

673

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, GRASSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

NOTA 329. Parigi, 1° giugno 1919.

Nel trasmettere ulteriori comunicazioni ricevute da S.E. il capo di Stato maggiore della Marina1, pregiomi riassumerle brevemente assieme a quelle precedenti verbali e telegrafiche che già ebbi l’onore di fare.

1) Le Isole Curzolane hanno importanza strategica in quanto servono a dominare le comunicazioni tra Spalato e Cattaro. Pur essendo ragguardevole, tale compito non è assolutamente indispensabile e può fino ad un certo punto essere esercitato da un numero minore di isole. Per cui se per ragioni politiche, quale per esempio il possesso di Fiume, fosse necessario addivenire ad una riduzione del Patto di Londra, si potrebbe negoziare e rinunciare, senza troppo nocumento, al possesso di qualcuna delle curzolane. Per ordine di importanza strategica la graduatoria delle cessioni

dovrebbe essere Meleda-Lesina-Curzola; per ordine economico, favorevole ai jugoslavi, esso è invece Lesina-Curzola e Meleda.

2) Questa rinuncia accresce però l’importanza di Sebenico, che ci è assolutamente indispensabile, e che non si può concepire se non in assoluto possesso nostro, non neutralizzato, e con sufficiente retroterra da permettere la difesa del fronte terrestre. Sembrerebbe a ciò bastevole il territorio dell’antico Capitanato Distrettuale, alquanto modificato in modo da includervi il massiccio del Promina ed ambo le rive della cascata di Slap; altrimenti esso sarebbe materialmente dominato ed in balia di chi possederà il resto della Dalmazia.

3) Sebenico non avrebbe valore se la costa e le isole che la prospettano fino al nord di Zara non sono in nostro assoluto dominio, non neutralizzate.

4) Per l’Istria, se il confine venisse portato all’Arsa, potrebbe siffattamente pregiudicare la sicurezza di Pola, da costringerci a mantenere in efficienza Venezia quale piazza marittima. E ciò senza pregiudizio di quelle altre considerazioni strategiche nei riguardi terrestri, che sono di competenza del Regio Esercito.

S.E. Revel tiene pertanto a far presente a V.E. che i pericoli prospettati frusterebbero il valore di Pola e di Sebenico ed il problema Adriatico resterebbe insoluto.

672 1 Non rinvenuto. 2 Qualche giorno prima i serbi, per ordine del Comando supremo interalleato, avevano chiestodi assumere, insieme con le autorità locali, il controllo del porto e della ferrovia di Antivari.673 La nota fu inviata contestualmente a Sonnino, Imperiali, Barzilai e Crespi.1 Si tratta di telegrammi scambiati tra Grassi e Revel tra il 28 maggio e il 1° giugno. Il T.52166 di Revel del 30 maggio è qui, D. 656; gli altri non sono pubblicati.

674

L’ESPERTO TECNICO, R. PIACENTINI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

APPUNTI. Parigi, 1° giugno 1919.

APPUNTI SULLA QUESTIONE SENUSSITA

Il Ministero delle colonie ha sempre sostenuto che né la Francia né l’Inghilterra possono intrattenere direttamente relazioni con i senussi, ma debbono all’occorrenza servirsi del tramite delle autorità italiane1.

Per quanto riguarda l’Inghilterra, vi è tutta un voluminosa corrispondenza tra Roma e Londra mirante appunto ad affermare sempre più il principio suddetto, il quale — specialmente nei primi tempi dopo la conclusione dell’accordo italo-britannico per i senussi — era stato abbastanza frequentemente violato dalle autorità egiziane. In generale può dirsi che l’Inghilterra abbia sempre riconosciuto il nostro buon diritto di non volere che le autorità egiziane avessero diretti rapporti con Idris. Il recente telegramma del regio incaricato d’affari in Londra è la conferma di quanto precede.

La Francia manifestò il proposito di entrare in relazioni dirette col senusso soltanto nel marzo 1918, alfine di ottenere la liberazione di alcuni prigionieri francesi e per riprendere il commercio carovaniero tra Fezzan Tunisia ed Algeria, e tra Cirenai

ca e i possedimenti francesi del Centro Africa. Dopo scambio di varie note si giunse alla conclusione che l’Italia aderiva acché la Francia entrasse in relazione con i senussi per la liberazione dei prigionieri, solo per considerazioni di carattere umanitario. L’Italia non acconsentiva alla ripresa del commercio carovaniero Fezzan Tunisia Algeria perché contrario alla politica del blocco della Tripolitania. Acconsentiva invece alla ripresa del commercio tra la Cirenaica e il Centro Africa francese. I francesi ottenevano di fatto la liberazione dei prigionieri, ma rinviavano sine die la questione della ripresa del commercio Cirenaica Centro Africa.

Si tratta ora di rivolgersi al Governo francese per ottenere:

1) Che, esaurita la questione dei prigionieri, il Governo francese riconosca esplicitamente di non dover più trattare alcuna questione col senusso se non per il tramite del Governo italiano;

2) Che le autorità francesi del Centro Africa non pongano più ostacoli ma anzi facilitino la ripresa dell’attività commerciale con la Cirenaica.

Punto Primo: Effettivamente il testo dell’accordo anglo-italiano per la Senussia2, cui la Francia aderì nel febbraio 1917, non sancisce esplicitamente che gli Stati contraenti Francia e Inghilterra non possano trattare con i senussi se non per il tramite del-l’Italia; ma dispone soltanto, all’articolo primo, che i tre Governi non possono fare accordi col capo dei senussi senza preventiva intesa tra di loro. Stando alla lettera quindi, ove la Francia siasi preventivamene intesa con l’Italia e Inghilterra, non le potrebbe essere vietato di accordarsi direttamente col senusso sull’argomento che ha formato oggetto della previa intesa con gli altri due Governi.

Senonché questa esatta letterale interpretazione dell’articolo primo dell’accordo per i senussi non risponde in verità né alle intenzioni del Governo italiano quando promosse l’accordo, né alla reale convenienza politica degli Stati contraenti.

Scopo dell’accordo fu quello di dare unità d’indirizzo alla politica senussita di Francia Inghilterra Italia, al fine d’impedire che la confraternita dei senussi potesse esercitare la sua attività ai danni dell’Egitto della Libia e dei possedimenti francesi del Centro e del Nord Africa. Scopo difensivo quindi, e tendente ad un indebolimento del potere dei senussi; i quali avevano sino al momento dell’accordo largamente approfittato della mancanza di unione tra Italia e Inghilterra, dalla quale mancanza la guerra libica aveva avuto gravissimo nocumento.

Ad ottenere questo fine di indebolimento della Senussia, la nazione principalmente interessata è l’Italia. È infatti in territorio cirenaico che ha sede la confraternita (Oasi di Cufra). La popolazione della Cirenaica è quasi interamente senussita: si può calcolare senza errore il 95/100. La propaganda senussita è già largamente penetrata nel Fezzan e occorre la più vigilante cura del Governo per impedirne la diffusione nella Tripolitania propriamente detta.

Idris, l’attuale capo della confraternita e con esso gli altri maggiorenti, pur essendosi mostrati fedeli agli accordi conclusi con l’Italia, non si dissimulano il pericolo di decadenza cui la confraternita va incontro per il fatto dell’accordo italo-fran

co-inglese. Si comprende quindi come essi siano propensi a trattare direttamente e separatamente con i tre Governi con cui possono trovarsi in relazione. Ma i tre Governi debbono avere tutto l’interesse a rifiutarsi a questa tendenza dei capi senussi per l’ovvia ragione che occorre toglier di mente a Idris ed agli altri maggiorenti l’idea che la Senussia possa comunque essere considerata come una specie di Governo a sé, protetto ad aiutato dai tre Governi confinanti. Il vedere che Inghilterra e Francia trattano direttamente con lui non può che rafforzare Idris in questo pericoloso concetto. Ecco perché l’Italia, specialmente interessata acché la Senussia non esca dai limiti di una confraternita religiosa e commerciale vivente nell’ambito e secondo le leggi del Governo coloniale italiano, non può acconsentire che Francia ed Inghilterra trattino direttamente con Idris considerandolo così non come un suddito coloniale italiano quale egli realmente è, per essere nato e stabilito in territorio che l’Italia ha annesso col suo decreto del 5 novembre 1911, riconosciuto da tutte le potenze comprese Inghilterra e Francia.

Con questo spirito va interpretato l’accordo dell’Italia con la Francia e l’Inghilterra per la comune difesa contro il pericolo senussita. La Francia che ha avuto in passato gravi preoccupazioni per causa dei senussi, non può non riconoscere la fondatezza delle nostre considerazioni, tanto più che l’Italia non esclude la possibilità che la Francia possa in determinate circostanze aver motivo di speciali intese con i senussi, ma vuole solo, nell’interesse suo che coincide pure, come si è visto, con quello degli alleati, che la Francia si serva per comunicare con Idris del tramite italiano.

Punto Secondo: non vi sono plausibili ragioni perché la Francia continui a frapporre ostacoli alla ripresa del commercio carovaniero fra il Centro Africa e la Cirenaica. Il fatto che l’Italia si oppone ad una ripresa del commercio fra il Fezzan e la Tunisia e l’Algeria non può essere invocato in suo favore dalla Francia. Il nostro divieto ha come è noto ragioni belliche: l’impedimento cioè che la ribellione tripolina possa venire rafforzata dall’acquisto di vettovaglie. Ma questo scopo è a vantaggio anche della Francia che ha tutto l’interesse a che la ribellione tripolina cessi per la tranquillità e la sicurezza della Tunisia e del Sud Algerino.

La ripresa del commercio carovaniero fra il Centro Africa e la Cirenaica, oltre ad avvantaggiare economicamente la nostra colonia, presenta anche caratteri di utilità per la Francia sia dal punto di vista economico propriamente detto sia anche dal punto di vista politico, per il miglioramento di relazioni che ne verrebbe tra le popolazioni soggette alla Francia e le popolazioni dell’hinterland cirenaico.

674 1 Sulla questione si vedano anche i DD. 11, 351 e 642.

674 2 L’accordo tra Roma e Londra per la Senussia è del 31 luglio 1916. La Francia vi aderì il 12febbraio 1917.

675

IL CONSOLE A SMIRNE, SENNI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1898/548. Smirne, 2 giugno 1919, ore 7,30 (perv. ore 12 del 3).

Mio telegramma n. 5421.

Alto commissario greco mi comunica aver dato ordine truppe greche evacuare ogni località sud Ayasoluk e Aydin e tener soltanto posti militari intermedi sulla (...). Egli tuttavia fa appello buone relazioni nostre per ottenere estendere occupazione greca fino a Meandro specie nelle vicinanze Aydin, per assicurare città e libero funzionamento ferrovia. Ho ragione credere che ammiraglio inglese col quale egli si è intrattenuto stamane appoggerà presso il Governo britannico soluzione del genere che converrebbe deprecare2. Comandante «Duilio» informa generale Battistoni. Comunico quanto precede alto commissario.

676

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1568/821 URG. Londra, 2 giugno 1919, ore 9 (perv. ore 10 del 3).

Posso affermare in modo assoluto a V.E. che questo Governo ha deciso di riconoscere Regno dei serbi croati e sloveni. Esso pertanto si propone di far ricevere immediatamente dal re nuovo ministro del regno triale che sarà naturalmente munito di lettere credenziali che lo accreditano come rappresentante del Regno dei serbi croati sloveni1.

2 Ritrasmettendo a Sonnino questo testo, in data 3 giugno, con T. 12398, Biancheri aggiungeva«Per mio conto mi permetto di appoggiare vivamente raccomandazione di Senni. Se si vuole impedireche i greci dilaghino lungo la valle del Meandro converrebbe impedire qualunque penetrazione greca asud di Ayasoluk e lasciare occupare dai nostri Aydin». A sua volta Sonnino, ritrasmettendo il testo all’ambasciata a Londra con T. 668 dell’8 giugno, aggiungeva: «Prego appoggiare vivamente presso codestoGoverno raccomandazione regio console Smirne».

(T. 1893/884 del 13 giugno).

675 1 Del 2 giugno stesso. Non pubblicato.

676 1 La notizia del riconoscimento ufficiale del Governo S.H.S. da parte di Londra fu poi confermata da Galanti (T. 1621/123 del 5 giugno) e dallo stesso Preziosi che ne precisa la data al 30 maggio

677

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, E AL COMMISSARIO A BUDAPEST, BORGHESE

T. 630. Parigi, 2 giugno 1919, ore 17.

Mio telegramma 5811.

Da ulteriori informazioni è risultato che diffidenza ungheresi Vienna contro di noi per presunto nostro contegno verso Governo comunista Budapest sono suscitate da francesi nei circoli facenti rispettivamente capo ad Andrassy e Batthyány.

Prego controllare e riferire urgenza2.

678

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1571/1957 RIS. Roma, 2 giugno 1919, ore 21,16 (perv. ore 9 del 3).

Deputato Ossoinack mi diceva giorni sono doversi ben fissare nella mente che se Fiume sarà ora dichiarata città e Stato libero essa non diventerà mai più italiana perché una soluzione che non porti alla immediata annessione all’Italia avrà per inevitabile conseguenza le dimissioni dell’attuale Consiglio nazionale e lo stabilirsi di un partito e di uno stato di cose basato sull’indipendenza.

Riferisco ad ogni buon fine quanto precede senza entrare in merito al giudizio espresso.

679

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 2 giugno 1919.

Cerimonia consegna pace all’Austria1 si svolse senza incidenti notevoli. Impressione discorso buona, soprattutto in quanto delegati austriaci misero rilievo che nessuna ragione giustificava un trattamento a loro diverso da quello che si usava ad altri

Stati dell’Impero austro-ungarico, ugualmente responsabili. Questa botta diretta ai jugoslavi non poteva non farmi piacere. Circa la nostra questione, informazioni dirette da me assunte dimostrerebbero che jugoslavi avrebbero dato al presidente Wilson una risposta che altera largamente in nostro danno la proposta originaria, e che il presidente avrebbe loro restituito il memorandum, osservando che essi dovevano dichiarare puramente e semplicemente se accettavano su quelle basi. Jugoslavi si sarebbero riuniti nel pomeriggio di oggi per deliberare su questa replica. Domattina vedrò il presidente Wilson per cercare di stringere ed indurlo a procedere oltre nelle deliberazioni, anche in caso di definitivo rifiuto dei jugoslavi. Nella stessa occasione io presenterò la determinazione dei confini del nuovo Stato di Fiume, quale viene proposta dal generale Diaz2, e che mi pare sia fatta in maniera da garantirci quanto più largamente sia possibile. Credo preferibile seguire questa tattica anziché forzare la nota nel senso della rottura perché sono fermamente convinto che in rapporto a tutte le immense e complesse difficoltà, la soluzione Tardieu (se opportunamente integrata nei particolari e prima di tutto con una buona frontiera) rappresenti quanto di meglio possiamo aspettarci, ove non preferissimo il salto nel buio di una lotta ad oltranza contro tutto il mondo. Ringrazio V.M. del suo telegramma3 che mi conferma la reazione di saggezza che nel medesimo senso si sarebbe verificata nell’opinione pubblica italiana.

677 1 Il T. 581, del 27 maggio, è a firma Aldrovandi (qui D. 617). 2 Vedi poi D. 717. 679 1 La cerimonia di consegna dei preliminari di pace ai delegati austriaci si era svolta a SaintGermain en Laye alle ore 12 del 2 giugno.

680

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU

L. Parigi, 2 giugno 1919.

Le Commandement Suprême Italien me communique aujourd’hui même que des pourparlers auraient été engagés entre les Carinthiens et les Yougoslaves en vue de conclure un armistice destiné à mettre fin aux hostilités dans la région de Klagenfurt. Mais étant donné que, malgré cela, il est avéré que les Yougoslaves continuent à amasser des forces, les Carinthiens demandent formellement1 que des représentants de l’Entente soient présents à ces discussions et soient en mesure de mieux garantir, par leur présence, l’application de l’armistice.

Puisqu’il me semble qu’il est conforme à l’esprit des résolutions adoptées par le Conseil Supérieur des Puissances Alliées et Associée de concourir à atteindre ce résultat de pacification, je Vous saurai gré de bien vouloir donner des dispositions pour qu’un délégué militaire français puisse se rendre dans le plus bref délai possible sur les lieux.

3 Non individuato.

680 La lettera fu inviata in versione inglese a Wilson e Lloyd George.

1 Vedi DD. 575 e 604.

Le Général Segre, qui se trouve en mission en Autriche, sera présent pour ce qui concerne l’Italie.

J’ai fait une communication analogue à Mr. le Président Wilson et à Mr. Lloyd George.

679 2 Vedi D. 671.

681

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 3660 RIS. Roma, 2 giugno 1919 (perv. il 5).

Ho avuto cognizione, per tramite del Governo dell’Eritrea, dei telegrammi n. 63 e 641 che il r. ministro in Addis Abeba ha diretto all’E.V. e che, ad ogni buon fine, unisco in copia, circa gli scopi della missione etiopica andata a Parigi.

Dalle comunicazioni del conte Colli si rileva che ras Tafari ha smentito formalmente che il Governo etiopico abbia intenzione di chiedere il protettorato francese2, ma ha ammesso che la missione etiopica a Parigi gli abbia telegrafato proposte di carattere politico sulle quali il Governo di Addis Abeba si riserva di decidere.

Tali proposte probabilmente possono essere dirette ad ottenere:

1) formali garanzie per l’integrità e indipendenza dell’Etiopia; 2) assistenza per una riforma finanziaria-amministrativa dell’Etiopia; 3) l’ammissione dell’Etiopia nella Lega delle Nazioni.

Quanto all’integrità e all’indipendenza dell’Etiopia, il Governo di Addis Abeba ha già le più ampie assicurazioni nella lettera e nello spirito dei trattati, a cominciare, per l’Italia, da quello italo-etiopico del 26 ottobre 1896, per finire all’accordo a tre di Londra del 1906.

Ma il Governo etiopico forse aspira a conseguire garanzie concrete e reali, o col chiedere uno sbocco al mare, o, quanto meno, col chiedere piena libertà di transito fino al mare, specie per quanto concerne il traffico delle armi. Per lo sbocco al mare, è chiaro che le condizioni arretrate di progresso dell’Etiopia non dovrebbero mai rendere possibile la presa in considerazione di una tale richiesta, che avrebbe gravi ripercussioni sull’ordine delle regioni interne. Né altro provvedimento sarebbe necessario per la libertà dei traffici dell’Etiopia col mare, giacché piena garanzia essa già gode dalle vigenti norme internazionali, e specialmente dall’Atto Generale di Bruxelles3 per quanto specialmente riflette l’entrata delle armi in giustificata misura.

2 Cfr. anche D. 522.

3 Il riferimento è all’Atto Generale del 2 luglio 1890.

Circa la eventuale richiesta da parte del Governo etiopico per un’assistenza nella riforma finanziaria e amministrativa del paese, che in pratica si risolverebbe in un mandato o in un protettorato larvato (è da pensare se le notizie date dal «Matin» e dal «Temps» non si riferiscano a questo), appare manifesto che, secondo lo spirito e la lettera dell’accordo di Londra del 1906, tale assistenza converrebbe fosse ad ogni modo concordata tra Italia, Francia e Inghilterra «a protezione dei loro interessi reciproci tanto nei rispettivi possedimenti confinanti con l’Etiopia, quanto nell’Etiopia medesima» (premessa all’Accordo di Londra del 1906), escluso quindi l’intervento della sola Francia o della sola Inghilterra.

Ritengo poi superfluo ragionare sull’eventualità di una domanda dell’Etiopia per far parte della Lega delle Nazioni. I principi generali propugnati alla Conferenza della pace si oppongono recisamente.

Un paese che non ha forma di Governo civile, dove le popolazioni menano tuttora una vita primitiva, dove la barbarie ha ancora vigore con la schiavitù, le mutilazioni, la vendetta del sangue e il prezzo del sangue con diritto di vita o di morte a favore della parte lesa, un tale paese non ha qualità alcuna per far parte di quel consorzio di nazioni che sarebbe destinato a regolare le vicende e le sorti di Stati i più progrediti e di conglomerati sociali civili.

Da tutto l’atteggiamento presente del Governo etiopico traspare, invece, l’azione isolata del Governo francese, tendente ad esercitare sull’Etiopia uno speciale patrocinio morale, a danno specialmente delle nostre aspirazioni e dei nostri interessi.

Non ho bisogno di mettere in evidenza all’E.V. la situazione che va a derivarne nei nostri riguardi: il conte Colli si è espresso in termini precisi, e dalle stesse sue comunicazioni apprendo le giuste considerazioni che l’E.V. trae dalla stessa situazione.

L’E.V. ha tutti gli elementi per la esatta valutazione di quanto si opera a Parigi sotto il nome della missione abissina nei riguardi dell’Etiopia, e può ben giudicare, in relazione alla situazione generale, di quali mezzi si possa disporre, anche in unione col Governo britannico, per la tutela di diritti e per la salvaguardia di interessi già consacrati nell’accordo di Londra del 1906.

E pertanto ogni comunicazione dell’E.V. sull’importante argomento mi riuscirà particolarmente grata.

681 1 Vedi DD. 605 e 612.

682

IL DELEGATO E CONSIGLIERE TECNICO, DE MARTINO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

L. Parigi, 2 giugno 1919.

Nella seduta del 31 maggio1 della Commissione coloniale, continuandosi la discussione sulle nostre rivendicazioni africane, ho fatto una dichiarazione relativa all’interpretazione dell’articolo 13 del Patto di Londra, che mi permetto comunicare a titolo informativo a Vostra Eccellenza.

«Punto centrale della discussione è ormai l’interpretazione dell’articolo 13. Convengo che secondo la lettera di quell’articolo la tesi francese ed inglese offra campo per discussione, sebbene le parole equitables e notamment formino valevoli argomenti a nostro favore. Tuttavia noi crediamo aver diritto di chiedere agli alleati una interpretazione estensiva dell’articolo 13.

L’esperienza di questo tempo di guerra ha provato che accordi internazionali solenni quanto il Trattato di Londra furono soggetti a interpretazioni che ne alterarono la stessa sostanza. Citerò un solo esempio, a titolo di analogia. Dico analogia espressamente perché deve essere ben chiaro che non intendo indicare alcun abbinamento fra due questioni del tutto distinte, cioè Africa e Mediterraneo orientale.

L’accordo anglo-franco-italiano dell’agosto 19172 fu dichiarato decaduto per il mancato consenso russo, cioè per un fatto nuovo derivato dal crollo della Russia. Noi non accettiamo questo motivo perché la Russia inesistente non poteva dare il suo consenso. Tuttavia Smirne che era promessa all’Italia è stata data alla Grecia.

Vedete quanto lontano può portare l’interpretazione di un trattato per effetto di un asserito fatto nuovo.

Orbene noi domandiamo anche una speciale interpretazione dell’articolo 13 in seguito ad un fatto nuovo occorso dopo la firma del Trattato. L’articolo primo del Trattato stesso dice infatti che la Russia dovrà impiegare parte delle sue forze militari contro l’Austria «afin d’empécher cette Puissance de concentrer tous ses efforts con-tre l’Italie ... ». In seguito al crollo della Russia l’Italia dovette invece sostenere tutto lo sforzo austro-ungarico, aggravato anzi dal concorso militare tedesco. Avremmo potuto allora chiedere la revisione del trattato. Non si fece, e sta bene. Ma resta ad ogni modo irrefutabile il nostro diritto a chiedere un’interpretazione estensiva dell’articolo 13 per il fatto stesso che i presupposti fondamentali del Patto di Londra venivano ad essere alterati a nostro svantaggio.

Domandiamo quindi che alla parola equitables si dia il senso di «proporzionali». Domandiamo che l’Italia sia trattata su piede di uguaglianza. Pur non avendo direttamente partecipato alle operazioni militari nelle ex colonie tedesche l’Italia ha

largamente contribuito, con la forte occupazione militare della Libia e il rafforzamento dai suoi contingenti in Eritrea ed in Somalia, alla tranquillità ed alla sicurezza delle colonie francesi ed inglesi confinanti con le nostre.

L’Italia ha inoltre bisogno di colonie redditizie provviste di materie prime, nonché di sbocchi per la sua emigrazione.

Per tutte queste ragioni quindi e poiché il nostro programma coloniale originario, proseguito da decenni, non può avere effetto per il rifiuto di cederci la Somalia francese ed inglese, noi domandiamo di esser posti in grado di compensare il naufragio partecipando alla distribuzione dei mandati sulle colonie tedesche. Nel fare ciò ci basiamo anche sulla riserva esplicita fatta dal presidente del Consiglio on. Orlando nella seduta del Consiglio supremo del 7 maggio3.

Se disgraziatamente gli interessi coloniali dell’Italia non riceveranno soddisfazione al momento della firma del trattato, la questione delle colonie africane dovrà considerarsi aperta per l’Italia nonostante il trattato ed anche dopo la firma di esso».

682 1 La seduta si svolse in realtà il 30 maggio (cfr. SALATA, D. 8). Il relativo resoconto di Crespi aColosimo fu inviato con T. 622 del 31 maggio (vedi qui D. 658).2 Il riferimento è ai protocolli del 18-22 agosto 1917, conseguenti agli accordi del 18-22 apriledel convegno di San Giovanni di Moriana.

683

IL COMANDANTE IN ALBANIA, S. PIACENTINI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1897/5176 OP. Valona, 3 giugno 1919, ore 8 (perv. stesso giorno).

Comunicasi seguente telegramma del ten. col. Lodi: «241. Per Ministero degli esteri. Governo provvisorio albanese giungono notizie che in tutto territorio Kossovo la popolazione è in piena rivolta contro i serbi. Questi a loro volta risponderebbero bruciando villaggi e massacrando donne e bambini. Nel distretto di Uskub pare siano stati affissi anche manifesti bolscevichi invitanti popolo lottare contro serbi. Insorti hanno inviato messi chiedendo consigli Governo provvisorio. Questo non potendo altrimenti aiutare fratelli oppressi esorta vivamente Governo italiano fare energici passi perché sia posta fine barbarie serbi e data giustizia a queste popolazioni, che domandano loro indipendenza e unione Stato albanese».

682 3 Vedi D. 427.

684

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1603/211. Sofia, 3 giugno 1919, ore 11,20 (perv. ore 9 del 5).

Telegramma di V.E. 6151.

Ringrazio V.E. delle preziose informazioni circa la situazione in seno alla Conferenza per quanto concerne Bulgaria. Questo presidente del Consiglio si dimostra informato del pericolo sovrastante di vedere la Tracia tolta alla Bulgaria oltre a parecchi distretti alla frontiera occidentale; le sue illusioni sui sentimenti prevalenti in seno alla Conferenza si sono quasi totalmente dileguati eccettuata per la Delegazione italiana. Ciò malgrado egli ripetutamente mi ha dichiarato di non credere grandi potenze capaci di consumare simile iniquità e che se mai ingordigie inconcepibili fossero effettuate coll’abbandono della Tracia e dei distretti serbi greci, popolo bulgaro non solo perderebbe ogni fede nella magnanimità delle potenze dell’Intesa, ma tosto tardi si ribellerebbe. Egli stesso a più riprese mi ha manifestato la sua decisione di dimettersi ove il suo programma intesofilo si fosse dimostrato fondato su vane illusioni. Per contribuire efficacemente ad evitare una soluzione disastrosa analoga a quella dell’Ungheria, che sarebbe tanto fatale alla Bulgaria quanto agli Alleati, ho dovuto più di una volta presso Todorov usare con ogni riserva gli argomenti ispirati alle direttive di V.E. e che riesce facile intuire. Non solo Todorov ma anche parecchi dei dirigenti più influenti considerano che la pace quale si delinea a Parigi non potrà essere né durevole né forse eseguibile sia pure provvisoriamente.

685

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DELL’INDUSTRIA, COMMERCIO E LAVORO

T. 636. Parigi, 3 giugno 1919, ore 12.

Comando Corpo spedizione Anatolia ha fatto opportunamente presente necessità approfittare presenza nostre truppe per dare incremento nostri rapporti commerciali con quelle regioni1. Sono specialmente richiesti tessuti, riso, caffè, zucchero. Pregasi far conoscere provvedimenti attuati2.

684 1 Vedi D. 651. 685 1 Badoglio ne aveva riferito con T. 1841/8508 OP. del 25 maggio.2 Il Ministero dell’industria, commercio e lavoro manifestò il suo immediato interessamento con T. 1928 dell’11 giugno.

686

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1597/999. Vienna, 3 giugno 1919, ore 21 (perv. ore 15 del 4).

Saranno trasmessi a parte col consueto telegramma in chiaro commenti stampa al trattato pace con Austria. Intonazione generale è che si tratti per Austria di un disastro peggiore di ogni più nera previsione. Si fanno amari raffronti fra testo del trattato e promesse missione francese. Una corrispondenza da Parigi alla «Wiener Mittagspost» dice perfino che posizione Allizé è insostenibile e che probabilmente egli dovrà abbandonare Vienna.

Ministro Bauer che parte oggi per Feldkirch, dove si incontrerà con Renner, mi ha dichiarato quanto segue. Austria diminuita della Boemia tedesca, Moravia, Alto Adige, Carinzia e Stiria meridionale non può vivere da sola. D’altra parte obbligo imposto di accordare clausola nazione più favorita agli altri Stati dell’ex monarchia rende per ora pressoché impossibile unione alla Germania. Ugualmente impossibile è la ricostituzione dell’ex monarchia sotto forma di federazione danubiana. In questa circostanza il trattato rappresenta impossibilità per Austria di risollevarsi e sarà un amara delusione per i suoi creditori. Scendendo nei particolari Bauer rileva che Italia non contenta Alto Adige esige altresì regione Sexten, ed Innichen, dove non vive unsolo italiano. È stato però sopratutto oggetto dolorosa sorpresa agli abitanti delle regioni di Marburgo, e particolarmente Klagenfurt, nonostante interessamento manifestato in tali questioni dall’Italia in favore Austria.

Nel campo economico si sono applicate all’Austria le stesse clausole che alla Germania, non solo di fronte alle grandi potenze, ma anche di fronte ex Stati monarchia. Non si è tenuto conto che la vita economica ex monarchia era unica e che in questo modo Austria Tedesca sarà completamente rovinata. Si pensi ad esempio agli enormi capitali che Austria Tedesca aveva investito in Boemia e che saranno perduti. Così pure la clausola della nazione più favorita, che sarebbe stata forse tollerabile se applicata solo di fronte grandi potenze, è inammissibile di fronte Stati ex monarchia. In questo modo viene tolto all’Austria Tedesca ogni mezzo di negoziare ed essa cade in balia dei suoi vicini, segnatamente della Czeco-Slovacchia. Impossibile pagare in tali condizioni anche solo quota parte interessi debito pubblico e prestito di guerra. Ma poiché questi sono nelle mani anche dei più modesti risparmiatori si avrà la rivoluzione e poi la disgregazione dell’Austria Tedesca nelle singole regioni che la compongono e che mancano di qualsiasi tradizione unitaria.

Naturalmente le dichiarazioni di Bauer sono inspirate di proposito ad un pessimismo esagerato. Esse corrispondono però alle prime impressioni di tutta la cittadinanza. Borsa è chiusa per timore di una caduta precipitosa dei valori. Mia conversazione con Bauer aveva già avuto luogo quando ho ricevuto telegramma di V.E. n. 29371 per

Piscel. Assicuro V.E. che avevo già fatto di mia iniziativa dichiarazione corrispondente linea di condotta Regio Governo. Temo che Piscel non potrà più vederlo perché oggi sofferente mentre partenza Bauer avrà luogo fra qualche ora.

686 1 Si tratta molto probabilmente del T. 623 del 31 maggio, di Sonnino a Macchioro per Piscel,sull’opportunità di avvicinare Bauer prima della partenza per Parigi per l’esame dei preliminari di pace.

687

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE AD ARCANGELO, SAVONA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1913/31. Arcangelo, 3 giugno 1919, ore 21,15 (perv. ore 14,15 del 4).

Il generale Miller mi ha dato lettura stamane del modo di vedere di questo Governo provvisorio circa la dichiarazione dei Governi alleati ed associati all’ammiraglio Kolciac inviata dal sig. Clemenceau1. Il testo di detto modo di vedere è stato consegnato a questo incaricato d’affari di Francia per trasmetterlo a Parigi2. In esso questo Governo provvisorio esprime soddisfazione: 1) che le potenze alleate ed associate abbiano deciso escludere Governo massimalista da ogni trattativa; 2) che Governi alleati ed associati desiderano un Governo unico per la Russia che concordi con la decisione di questo Governo provvisorio di unirsi al Governo dell’ammiraglio Kolciac; 3) che dichiarazioni dell’ammiraglio Kolciac relative al suo carattere provvisorio, alla sua decisione di non voler restaurare antico regime od altro che non sorga per volontà della nazione, che è pronto alla convocazione di un’Assemblea costituente appena le condizioni di pacificazione del paese lo consentiranno, siano state accettate dai Governi alleati ed associati come base per il futuro assetto della Russia. Governo provvisorio non entra in esame delle condizioni apposte alla nota 29 maggio scorso che richiedono chiaramente discussione complementare. Il generale Miller mi ha detto di aver pregato le autorità inglesi e francesi di facilitargli le comunicazioni per via aerea col Governo di Omsk con il quale si tiene in contatto.

2 Il testo in parola fu poi trasmesso in copia a Savona dall’incaricato d’affari di Francia adArcangelo, il giorno successivo (T. Gab. 32 di Savona). Con T. Gab. 33 del 31 maggio Savona aveva peraltro già dato notizia della reazione dei nazionalisti russi alla nota alleata a Kolciac.

687 1 Si tratta evidentemente della nota del 26 maggio, approvata dal Consiglio dei quattro il 27,inviata a Omsk, a Ekaterinodar e ad Arcangelo, ove era giunta il 29 (v. qui D. 638 All.).

688

VITTORIO EMANUELE III, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 3 giugno 1919.

Grazie suo telegramma1.

Continuano le polemiche intorno alla pace. Ha prodotto impressione il messaggio di Fiume al Senato americano2.

689

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI

T. 1849. Parigi, 3 giugno 1919.

Rispondo al telegramma-posta n. 7631 relativo ai punti di vista da far sostenere da codesta stampa circa le nostre aspirazioni in Asia Minore. Potranno essere fatte rilevare le considerazioni seguenti:

Le nostre aspirazioni ebbero un primo riconoscimento negli accordi del 1913/1914, colla Turchia ed Inghilterra, relativi alla zona di Adalia, ed avevano per obbiettivo principale accordi specifici di carattere economico. Colla firma del Patto di Londra le nostre aspirazioni ebbero un riconoscimento solenne da parte di tutti gli alleati. L’articolo 9 del Trattato di Londra, oltre la indicazione generica di carattere territoriale, contiene chiaramente il concetto della proporzionalità degli acquisti dell’Italia rispetto a quelli delle altre potenze e riconosce l’interesse dell’Italia al mantenimento dell’equilibrio nel Mediterraneo orientale. Era evidente che col prolungarsi della guerra e coll’aumento degli obblighi anche i compensi dovutici dovessero divenire maggiori e necessitasse una precisazione tale da non lasciare luogo a dubbio alcuno. Il Patto di Londra del 1915, per quello che si riferisce al nostro futuro compito in Asia Minore, aveva quindi bisogno di essere praticamente definito ed integrato rispetto al modificarsi degli avvenimenti. Tale precisazione ebbe luogo nel 1917, con un accordo che, firmato nell’agosto di quell’anno, attribuiva alla nostra futura influenza, oltre la nota zona di Adalia, anche gran parte del vilayet di Smirne (città compresa) e quello di Konya. Per i noti avvenimenti la Russia non poté dargli la sua sanzione e da tale fatto l’Inghilterra trasse pretesto per dichiararsi sciolta dagli impegni presi. Singolare procedimento, in contrasto con ogni criterio giuridico che impegna reciprocamen

te tutti i firmatari di un contratto, anche se uno dei previsti contraenti non ha dato il proprio consenso, perché non è mai stato in condizione di farlo. L’Italia non accettò mai la eccezione dell’Inghilterra, pur dichiarandosi sempre pronta a rivedere di comune accordo cogli alleati gli impegni reciproci presi nell’agosto 1917.

È superfluo ricordare per quali avvenimenti e circostanze fu consentito alla Grecia di occupare Smirne. Il futuro ci dirà se tale decisione delle potenze, alla quale l’Italia ha ceduto, sia stata politicamente utile e se abbia veramente valso a ricondurre in Asia Minore quelle condizioni di tranquillità che consentano il pacifico sviluppo delle iniziative civili.

Certo si è che l’Italia ha acceduto alle decisioni delle potenze [con] la espressa riserva che la occupazione greca non pregiudicava l’assetto definitivo dell’Asia Minore. Sappiamo bene però quale valore abbiano i fatti compiuti, ed è per questo che l’Italia, la quale vede tolta alla sua iniziativa ed alle sue energie la zona di Smirne (la sola capace di immediato rendimento senza bisogno di una immobilizzazione di capitali e di lavoro per qualche decennio) chiede ora equi legittimi e precisi compensi, i quali non possono trovarsi che in Eraclea con tutta la residua zona dell’Anatolia settentrionale. Il che del resto non è incompatibile col giusto criterio del mantenimento della sovranità ottomana. Anche quando l’Italia chiedeva per sé l’Anatolia meridionale con Smirne, non intendeva affatto sostituirsi al legittimo possesso turco, ma mirava a salvaguardare i propri interessi rispettando completamente tradizioni, costumi, religioni,abitudini musulmane. È ciò del resto conforme all’opera costantemente svolta dall’Italia in tutte le regioni da essa occupate.

Richiamati dinnanzi ai Governi gli immanenti principi di rispetto alle tradizioni storiche, alle unità etniche ed economiche, ed accettati i 14 punti di Wilson, le aspirazioni dell’Italia sono a maggior ragione conciliabili col mantenimento della sovranità ottomana.

Tenuti presenti gli interessi generali di tutte le potenze nella zona dei distretti, interessi che hanno una fisionomia a sé, il resto dell’Asia Minore ottomana costituisce una unità ormai cementata dai secoli, sicché qualunque sua partizione può apparire arbitraria, illegittima e produttrice di dannose conseguenze. Perciò ad una potenza sola può e deve essere affidato l’incarico di assistere l’amministrazione locale ottomana nei nuovi compiti che le sono richiesti a vantaggio del benessere e della civiltà delle popolazioni, fatta eccezione di quelle che potranno essere date alla Grecia. Affidando tale compito all’Italia si corrisponde a quella proporzionalità di vantaggio che ciascun alleato deve avere dopo un sacrificio maggiore del preveduto, e si permette che la possibilità di mettere rapidamente in valore l’Asia Minore settentrionale consenta di attendere con minor disagio i decenni che occorreranno per mettere in valore l’Asia Minore meridionale.

Qualunque soluzione che differisca da questa, che è per l’Italia un giusto compenso ai suoi sforzi, e che corrisponde alle tradizioni che l’Italia ha saputo crearsi in Levante, cattivandosi la simpatia delle popolazioni locali, significherebbe all’Italia aver mancato ad uno degli obbiettivi massimi della propria guerra, porterebbe alla rottura dell’equilibrio mediterraneo, al quale l’Italia, per il vantaggio di tutti, ha sempre mirato.

688 1 Vedi D. 679. 2 Il Consiglio nazionale di Fiume aveva rivolto il 31 maggio un vibrato appello al Senato degliStati Uniti contro l’intenzione di Wilson di negare alla città il diritto all’autodecisione.689 1 Non rinvenuto.

690

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1936/67. Addis Abeba, 3 giugno 1919 (perv. ore 8 dell’8).

Mi riferisco suo telegramma n. 118871.

Malgrado gli incitamenti e gli allettamenti del Governo e dell’agente diplomatico francese credo potere escludere ogni eventualità andata ras Tafari a Parigi ed il prossimo invio qualsiasi altra missione etiopica. Ras Tafari stesso, conversando con me ieri al riguardo, mi ha dichiarato che più che mai la sistemazione interna Abissinia lo sconsiglierebbe da simile passo; e si è dimostrato assai contrariato delle manovre francesi che, anziché giovargli, lo pregiudicano nella opinione etiopica che gli rimprovera la sua tendenza francofila e gli attribuisce intenzione valersi appoggio Francia per compimento sue pretese aspirazioni soppiantare imperatrice trono Etiopia. Sono in grado di confermare che Governo francese sta vivamente (...) presso il Governo etiopico affinché esso presenti per il tramite Francia domanda ammissione Lega Nazioni assicurandolo di ogni appoggio da parte del Governo francese e facendo rilevare garanzia e vantaggi che da tale fatto deriverebbero Abissinia e come sua astensione costituirebbe grave (...) azione ed offesa ai suoi diritti ed al suo principio di potenza indipendente. Ora è per me evidente che eventuale ammissione Abissinia Lega Nazioni dovrebbe essere per lo meno e categoricamente subordinata alla sua completa trasformazione politica amministrativa ed è perciò che le manovre francesi, oltre ad essere contrarie all’accordo a tre Etiopia, sono tanto più impolitiche ed inopportune in quanto esse espongono Abissinia alla opposizione delle potenze per la sua ammissione alla Lega Nazioni.

691

L’INCARICATO D’AFFARI AD HELSINGFORS, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1911/51. Helsingfors, 3 giugno 1919 (perv. il 4).

Avendo ormai anche gli Stati Uniti dell’America del Nord ed il Giappone riconosciuta indipendenza Finlandia mancato riconoscimento da parte del R. Governo comincia a suscitare qui penosa impressione. Mi permetto di richiamare a questo proposito considerazione esposta nel mio telegramma 311.

Qualora poi R. Governo non creda tuttavia opportuno per ora di riconoscere indipendenza di questo Stato, prego V.E. voler informarmene per mia norma2.

690 Il telegramma fu trasmesso via Asmara in data 6 giugno.

1 Non rinvenuto.

2 Vedi poi D. 791.

691 1 Vedi D. 428.

692

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 4021 RIS. Roma, 3 giugno 1919.

Comunico all’E.V. il telegramma n. 574 in data 29 maggio u.1 col quale il Governo dell’Eritrea ha qui trasmesso le ultime notizie di maggio che il conte Colli ha telegrafato circa la situazione politica in Etiopia.

Da tali notizie si apprende che il dissidio fra l’imperatrice e ras Tafari risulta più grave di quanto era lecito finora supporre, e che il pronunciamento contro fitaurari Apte Gheorghis, istigato e diretto, come pare, dallo stesso ras Tafari e fallito per l’intervento dell’imperatrice e dei vecchi capi e soldati di Menelik, ha generato contro ras Tafari un movimento latente che potrebbe travolgerlo.

È evidente che da un lato sta ras Tafari, il quale tende a concentrare e a consolidare in sue mani tutti i poteri dell’impero, eliminando le alte cariche influenti e rendendo possibilmente nulla l’autorità dell’imperatrice, fiducioso nell’aiuto specialmente della Francia; dall’altra parte sta l’imperatrice, gelosa del suo prestigio, con i grandi capi, custodi delle tradizioni di Menelik, scaltri ed agguerriti.

Di fronte a tale situazione, l’attitudine d’Italia, Francia e Inghilterra non può essere che quella della neutralità, prevista all’art. 3 dell’accordo di Londra del 1906, con astensione da qualsiasi intervento negli affari interni del paese. Il conte Colli ha già avuto istruzioni dall’E.V. di suggerire alle alte personalità etiopiche in contrasto, se la situazione lo comporta, come sua personale iniziativa senza dar l’impressione che voglia mescolarsi negli affari d’Etiopia e di intesa con i colleghi di Inghilterra e Francia, che si accordino fra loro amichevolmente al più presto, giacché un movimento rivoluzionario porterebbe grave pregiudizio all’Etiopia in Europa. Ciò dovrebbe per noi bastare; senonché, il conte Colli accenna che ras Tafari nella sua linea di condotta fa assegnamento sul consenso e sull’appoggio delle tre potenze firmatarie dell’accordo di Londra e principalmente della Francia, ed aggiunge di aver ragione di credere che tanto il Governo francese, quanto il Governo inglese siano propensi a sostenere eventualmente ras Tafari.

Tale propensione da parte dei due Governi alleati, oltre ad essere in contrasto col citato art. 3 dell’Accordo di Londra, può riuscire pericolosa per lo stesso ras Tafari e per lo statu quo in Etiopia, perché potrebbe divenire un incentivo per l’erede del trono a giuocare una partita, per la quale egli non ha né la capacità né la forza necessarie, e a gettare così il paese in una funesta anarchia, che le tre potenze alleate hanno interesse di evitare2.

Tutto ciò credo necessario sia fatto presente ai Governi di Francia e Inghilterra per mantenere, di concerto col R. Governo, una chiara e precisa linea di condotta. Lascio, quindi, all’E.V. ove nulla abbia in contrario, di dare ai rr. ambasciatori a Parigi e a Londra opportune istruzioni, tenendomi cortesemente informato.

692 1 Il T. 574 da Asmara del 28 maggio, trasmetteva il T. 59 del 28 da Addis Abeba. Vedi D. 635. 2 Vedi poi D. 777.

693

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, LLOYD GEORGE

L. Parigi, 3 giugno 1919.

Your reply of the 28th May1 to my letter of the 25th2 is all the more welcome as in that letter I had pointed out that it was not my intention to open up an exchange of views, but that it was to be understood as a purely personal and friendly step, which did not even call for a reply. This is an additional reason for thanking you for the trouble you have taken in answering and for your expressions of friendship towards my country, a friendship of which I have never doubted but of which it is always pleasant to receive the assurance.

I regret however that your letter compels me to reply, for I cannot leave unanswered some of the opinions you express unfavourable to Italian national aspirations. Not indeed that I am sorry that you should have given me your opinion, for frankness, even in saying disagreeable things, has always been deemed by me a proof of friendship. But it remains to be seen whether the severity of your judgement is or is not justified by facts.

You say, in substance, that the aspirations of Italy seem excessive, and are contrary to those principles of democracy which have guided the decision of the Peace Conference. Your letter only adduces two facts in proof of this grave assertion:

1) that we would annex some few hundred thousand people of alien race;

2) that Italy refuses to submit to the test of a plebiscite the manifestation of the wishes of these people.

Allow me to say in reply that neither of these arguments are sufficient to justify your conclusion. As far as the numerical statement is concerned, I will only say that the number of people of alien race annexed by our decisions to other States is far in excess of that claimed by Italy when considered in proportion to the total population of those States. What are the 700,000 Germans and Slavs included in the integral claims of Italy which [has] a population of forty million Italians, when compared to the three million Hungarians and Germans given to the Czecks the total population of whose State is ten millions? And the same holds good of other countries.

As for the plebiscite, can you claim that it is a rule followed by the Conference? We see on the contrary that the annexations which the Conference has so far sanctioned have not been based on a plebiscite, which is provided for only in exceptional circumstances and in restricted cases.

I therefore think that I am right in saying that the two arguments which you bring forward do not seem adequate to substantiate your assertion that Italian aspira

693 La minuta in italiano è edita in ORLANDO, pp. 538 sgg.

1 Vedi D. 639.

2 Vedi D. 606.

tions are in contrast with the fundamental principles of the Conference. Rather it seems to me that it would be more correct to say that the principles which our Conference has followed, far from excluding, have sanctioned the right of uniting considerable numbers of alien people to a country without having recourse to a plebiscite.

The only essential thing to know is whether there are valid reasons for so doing, and to show that such reasons exist in the case of Italy I should have once more to call your attention to the books we have published and to the long speeches made by myself and by my colleague Sonnino in several of our meetings, and this would be out of place in this letter.

I cannot however refrain from adding a point which links up the recognition of the justice of Italian aspirations with a document in the drafting of which your Government solemnly participated. I refer to the declarations contained in the Treaty of 1915 which you have always said that you stand by. Now for my part the value of that document consists in the fact that it anticipated the decisions to be taken for arriving at a just settlement of Italy’s frontiers: in other words, France and Great Britain in 1915 anticipated the settlement to be made at the close of the war. Any other interpretation of that document which would imply that it made an arbitrary assignment of the populations involved, and one not based on just motives, would certainly be discreditable to Italy, but it would also be discreditable to the other Governments which participated in that act, who would thus have assumed responsibility for an act contrary to justice; and this we must exclude.

However considerable may be the progress which has been made during this terrible war by the human family, it would seem to me an exaggeration to suppose that in a lapse of four years, from 1915 to 1919, the basic elements in the conception of justice, a conception born with man, have been so profoundly modified as to make unjust to-day that which seemed just four years ago.

Anyhow, this does not mean that I have not always been and am desirous of finding a compromise which will solve the present difficulties, and you have seen how far I have been willing to go, but I consider that as a question of political opportuneness, and not as a necessity of justice.

694

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1601/836. Londra, 4 giugno 1919, ore 3 (perv. ore 10).

In rapporto odierno al Ministero degli affari esteri relativo recente conflitto armato anglo-etiopico riferisco fra l’altro che al War Office si sospetta che stia svolgendosi a Gibuti un attivo commercio di armi e munizioni per tutta l’Abissinia e regioni limitrofe. Segnalo telegraficamente notizia perché essa conferma comune interesse italo britannico riguardo questione cessione Gibuti.

695

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. 646. Parigi, 4 giugno 1919, ore 11,30.

Suo telegramma n. 120891.

Nulla osta da parte mia si chieda a Governo federale assimilare Russia bolscevica ai paesi nostri nemici nei riguardi regolamento S.S.S. Sarà bene però nostro delegato si accordi coi colleghi alleati.

696

IL COMMISSARIO A BUDAPEST, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1607/29 RR. Budapest, 4 giugno 1919, ore 15 (perv. ore 9 del 5).

Mio telegramma 261.

Continuano più insistenti voci rifornimenti da noi fatti a questo Governo2 e si indicano Tacoli e missione Vienna come fautori tali trattative. Mi si assicura oggi progettato contratto cui accennavo mio telegramma 233 contempli invio imminente in Ungheria rifornimenti tessuti vettovaglie malgrado permanenza Governo comunista. Chiedo intanto spiegazioni Vienna essendo io rimasto estraneo trattative contratto in parola e ritenendo inammissibile R. Governo voglia in qualsiasi modo dare effettivamente o fare credere di appoggiare materialmente o moralmente questo Governo comunista.

Prego V.E. confermarmi telegraficamente suo punto di vista per mia norma direttiva.

695 1 Del 30 maggio. Non pubblicato.

696 1 Del 1° giugno. Non pubblicato.2 Vedi D. 617. 3 Del 1° giugno. Non pubblicato.

697

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1917/210. Belgrado, 4 giugno 1919, ore 19,30 (perv. ore 14,25 del 5).

In una conversazione con questo ministro aggiunto degli affari esteri, ho toccato della possibilità di una unione doganale danubiana come primo germe di un unione politica. Dalle affermazioni del sig. Gavriloviƒ ho potuto trarre conferma della mia personale opinione che la cosa non può essere considerata con favore a Belgradoalmeno fino a che elemento serbo conserverà direttive della politica estera. È una delle tante ideologie di Parigi, mi ha detto Gavriloviƒ, come quella dell’unione della Bulgaria al regno serbo-croato-sloveno di cui si parlò tempo fa, che non tengono conto della realtà delle condizioni locali e che non potranno mai avere i serbi consenzienti. Frattanto la tradizionale politica russofila della Serbia va nuovamente guadagnando terreno specialmente fra partito Vecchi radicali, capitanato da Protiƒ e da Patchiƒ che comincia a guardare nuovamente con fiducia alla grande madre dello slavismo.

698

IL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1617/1146. Atene, 4 giugno 1919, ore 20 (perv. ore 17 del 5).

Telegramma di V.E. 6391.

Ho fatto a questo ministro degli affari esteri la comunicazione di cui al telegramma sopra menzionato. Il ministro degli affari esteri mi ha detto che neppure egli aveva conoscenza di un’altra decisione del Consiglio dei quattro oltre quella che fissava come limite meridionale dell’occupazione greca nel vilayet di Aydin la linea Ayasoluk-Aydin. Siccome tuttavia gli ordini relativi alle operazioni di sbarco greci in Anatolia erano inviati all’alto commissario greco signor Sterghiadis a Smirne direttamente da Parigi senza passare per Atene, egli avrebbe telegrafato immediatamente a Venizelos le osservazioni di V.E. e la domanda che fossero inviati al comandante del corpo d’occupazione greco ordini di non avanzare nella zona occupata da nostri reparti e mi avrebbe fatto conoscere la risposta.

698 1 Con il T. 639 del 3 giugno Sonnino richiamava l’attenzione di Romano sulle decisioni delConsiglio dei quattro (seduta del 19 maggio) che escludevano ogni occupazione greca in Anatolia a suddella linea Ayasoluk-Aydin, e sulla opportunità di disposizioni del Governo di Atene al comando delcorpo di occupazione al fine di evitare conflitti con le truppe italiane presenti nella regione.

699

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTERO DELLA GUERRA

T. 10056. Roma, 4 giugno 1919, ore 23.

Trasporto militari destinati esercito generale Denikin. Suo tel. 6792 del 15 maggio u.s.1.

Questo R. Ministero concorda nell’avviso espresso dell’E.V. circa impossibilità, data l’attuale deficienza di tonnellaggio, che venga ora assegnato un piroscafo nostro per il trasporto da Trieste (o Fiume) a Novorossijsk dei militari russi destinati all’armata volontari del generale Denikin. In tali termini questo R. Ministero ritiene si possa rispondere all’addetto militare presso l’ambasciata di Russia.

700

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 7912/10374 OP. S.I. Abano, 4 giugno 1919, ore 23 (perv. il 5).

Comunicasi seguente telegramma pervenuto da nostro addetto militare Praga:

«460. Grave situazione Slovacchia produce in ambienti agitati per imminenza elezioni molta impressione. Tornano a serpeggiare accuse contro comando italiano cui diffusione è favorita da notizia circa delimitazione nostra frontiera che riesce ostica elementi tedeschi per Alto Adige, elementi czechi per Adriatico, e malumore contro Italia che ha sostenuto Parigi obbligo anche per Stati czechi concorrere pagamento indennità guerra. Imminente congedo nostra missione, che potrebbe essere sintomo caduta Komoru oppure ricaduta Haitia, giunge pertanto in momento critico. Segretario generale Ministero igiene ha già accennato in lettera personale diretta a r. ministro opportunità smorzare commenti stampa in considerazione feste Praga onore missione Piccione. Non sarebbe da meravigliarsi Governo, contro cui diffondonsi malumori in tutte le classi sociali, cercasse addossare responsabilità insuccesso su missione italiana. Oggi stampa annuncia che generale Pellé ha preso direzione operazioni».

700 Il telegramma fu inviato per conoscenza alla PCM Gab. e al MAE Gab. con n. 7912 SP. del 5 giugno.

699 1 Non pubblicato.

701

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 4 giugno 1919.

Ringrazio V.M. del telegramma di ieri1.

Vedo che le discussioni sui termini della pace continuano in Italia. Per conto nostro facciamo ogni sforzo per migliorare i termini della proposta Tardieu ed ho consegnato al presidente il progetto della frontiera del nuovo Stato, come fu redatto dal generale Diaz2. Wilson mi informò ieri sera delle difficoltà che oppongono i jugoslavi. Potrebbe quindi darsi che la questione torni ad essere completamente riaperta e noi possiamo anche aiutare ciò con l’insistere nel chiedere miglioramento egaranzie ulteriori. È da vedere se la rottura giovi agli interessi del paese. Per conto mio ritengola negativa; ma per il momento ciò non dipende da noi, salvo in quanto noi stessi non cooperassimo alla rottura nel modo suddetto.

702

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON

L. Parigi, 4 giugno 1919.

In the course of our conversation on Tuesday evening you kindly assured me that the terms of the Tardieu proposal do not exclude that even after its definite acceptance the Italian Delegation will still have the right to claim that the new State be given the frontiers which it deems most advisable and fair. Nevertheless, in view of the extreme importance of the question, I am sending you a map which shows the frontiers as they should be according to the Italian point of view.

As you will see, care has been taken to avoid Italian territory interrupting the Fiume-Laibach railway line. Any further advance towards the west would seriously endanger the town and port of Trieste. This affords me the opportunity to remind you that the Tardieu proposal contains an essential clause recognising the need that the main railway line of communication (via Assling-Villach) between Trieste and Austria be not interrupted by territories belonging to other States1.

2 Vedi DD. 526 e 636 All.

701 1 Vedi D. 688.

702 1 Analoga comunicazione venne fatta a Clemenceau ed a Lloyd George in data 5 giugno, conesclusione del riferimento alla conversazione del 3 giugno. Ivi inoltre il riferimento finale a territoriappartenenti ad altri Stati è sostituito da un più preciso richiamo a territori «appartenenti agli iugoslavi».Esiste al fascicolo anche una prima versione più ampia della minuta italiana, poi modificata.

703

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

NOTA 138 PRS. Parigi, 4 giugno 1919.

In relazione al telegramma n. 1678 P di V.E.1 onoromi esporre quanto segue.

Ho ripetutamente manifestato ai delegati della Conferenza della pace, quando ancora della Delegazione facevano parte le LL.EE. Salandra e Salvago Raggi2, e ritengo opportuno confermare che, a mio giudizio, quanto è nel Patto di Londra previsto nei riguardi adriatici è un minimo rispondente per assicurare il nostro dominio marittimo sulla costa orientale adriatica. Ho pure ripetutamente manifestato il parere che per considerazioni strategico marittime non convenisse rinunciare a quanto nel predetto Patto era stabilito per l’Adriatico, ma che naturalmente non avrei potuto oppormi a rinunce che si dimostrassero indispensabili per ragioni politiche o militari territoriali; esorbitando tale giudizio dalla mia competenza.

Non prevedendo il Patto di Londra il possesso di Fiume a nostro favore, dissi tempo fa a S.E. Sonnino che si sarebbe potuto rinunciare a qualche isola e più precisamente Meleda, Lesina ed infine anche Curzola, qualora da questa cessione fosse derivato all’Italia il possesso di Fiume.

Fiume in possesso di altri che non sia l’Italia può, in caso di guerra, prestarsi alla costituzione di base marittima e quindi acquistare un valore strategico di grande importanza nell’alto Adriatico per il nemico. Il sopprimere la possibilità di questa base in mano al nemico e l’averne invece noi il possesso nell’eventualità di guerra, sarebbe vantaggio così grande da giustificare la rinuncia di parte od anche di tutte le suddette isole.

Esprimo pertanto ancora il parere che, salvo considerazioni di ordine politico, per la cui valutazione non ho elementi adeguati, qualsiasi rinuncia di carattere strategico marittimo al Patto di Londra debba essere subordinata al fatto che Fiume appartenga effettivamente all’Italia.

703 La nota fu inviata per conoscenza a Sonnino.

1 Vedi D. 666.

2 Salandra e Salvago avevano cessato di far parte della Delegazione dal momento del ritornodi Orlando e Sonnino a Parigi il 7 maggio ed erano stati sostituiti ufficialmente con R.D. 23 maggio 1919(vedi D. 537).

704

IL COMMISSARIO A BUDAPEST, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1658/B.10 RR. Budapest, 5 giugno 1919, ore 10 (perv. ore 10 del 7).

Dirigenti masse operaie mi fanno sapere dopo nuova discussione essere assolutamente contrarie ritorno antico regime ed accordi con (...). Essi non di meno come transazione e per evitare nuovi dissensi interni ritengono utile appoggiare provvisoriamente Ministero Szeged anche perché questo fornito fondi necessari movimento. Propongono quindi piccola oligarchia dittatoriale in Budapest che effettivamente reggerebbe paese fino alle elezioni e vorrebbero a capo di essa Wekerle. Ho ragione credere dirigenti masse operaie abbiano anche trattato con rappresentante inglese Frieman1 che è partito per Vienna con altri ufficiali qui giunti sotto altri pretesti.

Prego V.E. telegrafarmi suo pensiero su eventuale candidatura Wekerle e se, come mi chiedono interessati, nel caso instaurazione nuovo regime con esclusione comunisti, potrebbero contare su appoggio ed immediato rifornimento viveri da parte Italia.

705

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1620/122. Belgrado, 5 giugno 1919, ore 17,45 (perv. ore 10 del 6).

Telegramma di V.E. 6351.

Avendo visto analogo annunzio giornali serbi avevo già chiesto a questo ministro degli affari esteri chiarimenti circa nuova ordinanza divieto importazione italiana2. Mi è stato risposto oggi oralmente che tale ordinanza non esiste. Di fronte alle oramai numerose tergiversazioni di questo Governo ho chiesto una risposta scritta, ciò che mi è stato promesso. Ne telegraferò subito contenuto.

704 1 Si tratta forse del tenente di vascello Freeman, rappresentante britannico nella Commissionedel Danubio. 705 1 Si tratta del T. 635 del 3 giugno, a firma Aldrovandi, non pubblicato. 2 Vedi D. 646.

706

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, E AL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA

T. 647. Parigi, 5 giugno 1919, ore 18.

(Per tutti) Hardinge ha assicurato che ammiraglio Calthorpe ha seguenti istruzioni:

1) Greci possono inviare truppe dovunque credono nel Sangiacciato di Smirne e nel Cazà di Aivali.

2) Fuori di questi territori ed entro il vilayet di Aydin non possono mandare truppe senza autorizzazione del comandante navale più anziano.

3) In nessun caso truppe greche possono essere inviate a sud della linea Ayasoluk Aydin. Aydin può essere occupata previa autorizzazione.

(per Atene) Relazione mio telegramma ieri1 prego V.S. assicurarsi che codesto Governo ha mandato analoghe istruzioni Comando truppe occupazione2.

707

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1921/653. Parigi, 5 giugno 1919, ore 20 (perv. ore 12 del 6).

Mi riferisco a telegramma Comando Supremo n. 18771 in collezione, assegnato Div. 5ª. Tacoli mi ha telegrafato quanto segue:

«n. 1222. Pregato da Borghese di condurre a termini fornitura viveri Ungheria da me iniziata, mentre mi riferisco direttive V.E. contenute nel telegramma 5663, devo far presente che continue dilazioni compromettono seriamente riuscita affare che annunziavasi promettentissima, stancando buona volontà contraenti e sopratutto

706 Il telegramma fu inviato contestualmente al capo di Stato Maggiore della Marina, Thaon diRevel, al Comando Supremo, alla Sezione Militare e alla Sezione Marina della Delegazione per la pace,alle rappresentanze a Parigi e a Londra e al console a Smirne.

1 Si tratta del T. 641 del 4 giugno, che riproduce il T. 1533/681 di Sforza del 30 maggio, relativo allo sbarco di truppe greche ad Aivali e ai successivi violenti scontri con i turchi.

2 Romano ne diede assicurazione con T. 1153 del 7 giugno.

2 Il T. 122 di Tacoli è del 31 maggio, non pubblicato.

3 Vedi D. 578.

rendendo impossibile mantenere necessaria segretezza. Nostro successo in questo affare irrita altri possibili concorrenti che in questa stampa e sull’opinione pubblica vanno diffondendo voci Italia intenda aiutare Governo bolscevico, trovando purtroppo ascolto specialmente in questi circoli ungheresi le cui simpatie verso noi si sono assai raffreddate in questi ultimi tempi».

Qui non si ha notizia esatta circa tale rifornitura viveri né del costituendo sindacato al quale Tacoli accennava in suo precedente telegramma4, cui rispondevo col succitato 566 consigliando proseguire e perfezionare trattative commerciali con Ungheria e preparare spedizione viveri senza però dare esecuzione a predette trattative e spedizioni finché non si avesse Governo ungherese responsabile. Dilazioni di cui ora parla devono essere quindi note costà, ove si potrà giudicare se in qual modo rimuoverle tenendo presente però che per decisione interalleata non devono fornirsi viveri Ungheria finché vi sia Governo bolscevico5.

Si potrà invece trattare con Consorzio privato predisponendo contratti da eseguirsi immediatamente appena costituito Governo responsabile e sbloccata Ungheria. Circa poi telegramma 123466 ritengo non si debbano inviare merci Vienna: tutt’al più potrebbero essere concentrate Trieste in attesa cambiamento Governo. Bisognerebbe poi assicurarsi circa provenienza denaro con cui verremmo pagati, essendo evidente che Governo che succedesse a quello attuale e fosse appoggiato da francesi ed inglesi non riconoscerebbe cessioni fatte a nostro favore di valori indebitamente appropriati da Bela Kun specialmente se destinati a pagare viveri forniti o da fornirsi a bolscevichi.

Comunque osservo che per oro del Governo occorre ottenere consenso alleati per pagamenti. Pagamento in titoli irredenti o in altre attività, purché non contrario disposizioni generali trattato con Germania note costì, potrebbe essere fatto senza bisogno approvazione alleati. Di tali direttive prego informare Comando Supremo, Borghese, Tacoli.

5 Tale punto di vista fu esplicitamente confermato a Borghese da Sonnino con T. 660 del 6 giugno, con invito «attenervisi strettamente evitando in modo assoluto ogni trattativa del genere con attualeGoverno».

6 Si tratta del T. 12346 del 2 giugno di Borsarelli, non pubblicato.

707 1 Si tratta del T. 1877/11472.1 del 27 maggio, non pubblicato.

707 4 È il T. 114 del 17 maggio, non pubblicato.

708

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, MACCHIORO VIVALBA

T. 656. Parigi, 5 giugno 1919, ore 20.

Clausole finanziarie non sono state ancora ufficialmente presentate, però furono in una prima lettura approvate dai Quattro. Criteri adottati unanimemente dai delegati delle quattro grandi potenze sono i seguenti: gli Stati a cui è ceduta una parte del territorio austriaco e gli Stati sorti dallo smembramento dell’Austria entreranno in possesso di tutti i beni e proprietà esistenti nei territori acquisiti e già appartenenti all’Austria. I detti Stati non avranno diritto ad alcuna proprietà austriaca situata fuori del rispettivo loro territorio. Viceversa l’Austria è essa sola responsabile per ogni obbligazione dell’ex impero austriaco contratta prima e durante la guerra in altra forma che non sia quella di titoli del debito pubblico legalmente costituito e di carta moneta. Tali criteri rendono inutile qualunque commissione di liquidazione il cui lavoro è stato considerato come di difficile attuazione pratica e pieno di pericoli per gli attriti continui che esso fomenterebbe. Pregasi considerare queste informazioni come strettamente confidenziali in quanto le clausole finanziarie non sono state [né pubblicate]1 né presentate agli austriaci ed è contrario ai nostri interessi che siano noti costì i criteri che le informano. Pregasi tuttavia informare a questi criteri nostra azione ed opporsi risolutamente a qualunque intromissione per accelerare la liquidazione austriaca, dicendo ove occorra ai rappresentanti francesi che prendano esatte istruzioni dal loro Governo al riguardo. Si ritiene tuttavia che non convenga nella attuale situazione dare ai nostri rappresentanti presso le commissioni di liquidazione alcuna comunicazione di tutto ciò, limitandosi a dire loro di tirare in lungo i lavori. Pregasi comunicare generale Segre.

709

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 5 giugno 1919.

Grazie suo telegramma di ieri sera1.

Ieri udimmo delegazione jugoslava sulla questione di Klagenfurt, a cui essi attribuiscono grande importanza. Malgrado sentimenti di favore di cui Wilson è sem

708 Il telegramma fu inviato da Sonnino per conoscenza alla PCM, al MAE ed a Bonin, con T.1828 dell’8 giugno.1 Integrato con la minuta; manca nel testo in partenza.709 1 Non pubblicato.

pre parso animato verso jugoslavi, egli si mostrò estremamente intransigente persistendo nel suo proposito originario del plebiscito. Mai come ieri apparve più evidente l’intonazione di arbitro che egli ha assunto su tutte le questioni della Conferenza. Nel pomeriggio2 io ebbi un lungo colloquio con Lloyd George, al quale feci presente necessità che questione italiana sia risoluta (si intende in massima) entro il quindici giugno. Gli dissi che io ero costretto convocare Parlamento nei primi giorni della seconda quindicina di giugno, a causa del bilancio. Aggiunsi che mancata resoluzione delle questioni nostre avrebbe, anche da sola, determinato la crisi ministeriale, e ciò avrebbe rimesso in questione tutto, prolungando in miniera indefinita e pericolosa lo svolgimento ulteriore dei lavori della Conferenza. Lloyd George mi parve sinceramente impressionato e mi disse che ne avrebbe parlato personalmente a Wilson. Oggi vedrò Clemenceau sullo stesso argomento3.

710

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 5 giugno 1919.

Le discussioni delle due adunanze di oggi si sono portate sopra argomenti di interesse relativo. Bensì stamane vidi Clemenceau e gli parlai con la stessa energia che a Lloyd George ieri sera, nel senso soprattutto della necessità che la questione italiana sia sollecitamente risoluta. Convenne pienamente. Informai di ciò Lloyd George e nell’antimeriggio di domani Lloyd George e Clemenceau faranno collettiva premura su Wilson, nel senso da me desiderato.

711

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1625/229. Parigi, 5 giugno 1919 (perv. il 6).

Ho avuto iersera una lunga conversazione con il signor Bratianu che ho incontrato a pranzo in casa di comuni amici.

Avendo io messo il discorso sugli acquisti d’armi cui si riferiva il telegramma dell’Eccellenza Vostra n. 017751, il presidente rumeno non mi seguì che distratta

mente su quel terreno e passò subito a dirmi che voleva espormi quale fosse in questo momento lo stato di spirito del suo paese. Nessun Governo rumeno poteva firmare il trattato di pace con l’Austria quale fu presentato a St. Germain. Nessun vantaggio esso assicura alla Romania eccetto la Bucovina che egli considerava una semplice restituzione (?). In cambio, in quel trattato, con il pretesto di tutelare le minoranze, vengono imposte alla Romania delle condizioni che la porrebbero verso le grandi potenze in uno stato di vassallaggio. Non sarebbe più una potenza a interessi limitati, ma una potenza a sovranità limitata. Sopratutto egli si doleva dell’atteggiamento indifferente dell’Italia in questo argomento. Il nostro presidente del Consiglio come membro del comitato dei Quattro aveva approvato quella misura; poi quando egli, Bratianu, aveva protestato nella Assemblea plenaria degli alleati non aveva trovato nella nostra Delegazione nessun appoggio, e ciò non gli pareva in armonia con l’atteggiamento cordiale che in altre circostanze avevamo accennato ad assumere verso la Romania. Esposi al signor Bratianu allora le difficoltà che si opponevano a che noi assumessimo la parte che egli desiderava in questa congiuntura, e feci allusione anche alla circostanza che mi era stata accennata, che cioè alcune parole da lui pronunciate a nostro riguardo in quella seduta plenaria avessero ferito nostre legittime suscettibilità. Il signor Bratianu ripudiò energicamente qualsiasi interpretazione meno che riguardosa per noi che si volesse dare a quelle sue parole intese soltanto, egli affermava, a mettere in evidenza l’ingiustizia delle distinzioni che per la prima volta si volevano fare in un trattato internazionale tra la sovranità delle piccole e quella delle grandi potenze. Egli si lagnò vivamente di Clemenceau che si dimostra ostilissimo alla Romania e accennò con molta amarezza alle ragioni mercantili della politica di Wilson. Egli rievocò il ricordo di Bismarck che consentì a chiudere un occhio sull’esecuzione da parte della Romania d’alcune clausole del trattato di Berlino per ottenere dal Governo rumeno il riscatto delle ferrovie; così ora, egli conchiuse, ci si offrirà a tempo e luogo di liberarci delle clausole che vincolano la nostra sovranità, contro la cessione dei nostri petroli, o altro simile affare. Egli è deciso del resto a non firmare il trattato; saremo espulsi, egli disse, dalla Società delle Nazioni, «mais nous prendrons avec plaisir congé de cette jeune dame qui n’est pas encore née et est déjà vieille».

Per quanto sia un po’ nel carattere del signor Bratianu di lamentarsi sempre, pure credo che la sua amarezza non fosse simulata, e d’altra parte non si può negare che l’articolo di cui egli si duole costituirebbe per la Romania una specie di mediatizzazione da parte dalle grandi potenze. A mio subordinato parere sarebbe per noi buona politica tentare per lo meno di liberare la delegazione rumena da quell’incubo; si riesca o no, avremo fatto un gesto di cui i rumeni ci saranno grati. La Romania è d’altronde la sola potenza d’Oriente su cui potremmo fare qualche assegnamento per la nostra futura politica nei Balcani. Essa è naturalmente portata all’antagonismo di fronte alla Serbia ed alla Grecia; ha molto a dolersi della Francia e dell’America; per forza di cose dovrà lentamente avvicinarsi alla Bulgaria. Senza diffondermi di più su questi complicati argomenti, credo poter ragionevolmente affermare che sarebbe per noi politica saggia cogliere tutte le occasioni che ci si presentano di assicurarci la sua amicizia che oltre che nel campo politico potrebbe esserci utilissima anche dal punto di vista economico.

709 2 Il riferimento è al pomeriggio del 4 giugno.3 Vedi D. 710.

711 1 Non rinvenuto.

712

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 230 URG. Parigi, 5 giugno 1919.

Rispondo al telegramma posta dell’E.V. in data 30 maggio n. 017811 recapitato oggi soltanto a questa ambasciata.

Con quel telegramma l’Eccellenza Vostra rispondendo al mio n. 2162 mi incarica di far sapere al signor Pichon che la risposta del ten. colonnello Chiesa al comandante delle truppe alleate al Montenegro era perfettamente regolare dal momento che il generale Franchet d’Esperey aveva notificato con il telegramma n. 7434 dei primi di aprile che a partire dal 30 aprile le truppe che fossero rimaste al Montenegro avrebbero cessato di essere sotto il suo comando.

Nell’interesse della stessa nostra tesi mi permetto di osservare che tale risposta alla nota del signor Pichon del 22 maggio3 non sarebbe appropriata e darebbe luogo ad una facile replica da parte del Governo francese. Infatti non è da dimenticare che con nota del 18 marzo (vedi mio telegramma n. 105)4 il signor Pichon mi informava che in conformità all’accordo intervenuto nel mese di febbraio fra il Governo della Repubblica ed il Governo italiano il generale Franchet d’Esperey aveva ricevuto l’ordine di ritirare le truppe alleate di qualsiasi nazionalità che si trovassero ancora al Montenegro. Posteriormente, il 22 aprile (v. mio telegramma n. 169)5, abbiamo fatto sapere al signor Pichon che a nostro giudizio la situazione al Montenegro non consentiva più lo sgombero contemplato e il 22 maggio il signor Pichon (v. mio telegramma n. 216) ci rispondeva che il Governo della Repubblica entrando nel nostro modo di vedere aveva contromandato lo sgombero stesso.

Il telegramma del generale Franchet d’Esperey, citato in quello dell’Eccellenza Vostra cui rispondo, è stato inviato ai primi di aprile, cioè mentre i due Governi sembravano essersi accordati per lo sgombero e si riferiva evidentemente alle disposizioni da prendersi per eseguirlo. Ma appunto perciò noi non possiamo più utilmente invocarlo oggi, dopo che dietro la nostra stessa iniziativa si è soprasseduto allo sgombero delle truppe alleate, e sarà necessario impostare sopra un’altra base la risposta da darsi alla nota Pichon del 22 maggio6.

Rimango in attesa di conoscere a tale proposito il pensiero dell’Eccellenza Vostra.

2 Vedi D. 584.

3 Vedi D. 584 citato.

4 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

5 Del 22 aprile. Non pubblicato.

6 Sulla questione si veda anche D. 672.

712 1 Non rinvenuto.

713

IL MINISTRO A TEHERAN, CATALANI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1941/2. Teheran, 5 giugno 1919 (perv. l’8).

Nel mio viaggio alla volta Teheran mi sono dovuto fermare parecchi giorni Baku, causa difficoltà comunicazioni, dove ebbi parecchi colloqui col generale Shuttleworth comandante delle truppe inglese Baku. Questi mi annunziò quale fatto deciso imminente occupazione italiana Caucaso. Ignoro naturalmente se ciò sia esatto e prego V.E. farmi avere informazioni in proposito per norma di linguaggio e mettermi in grado rispondere quesiti al riguardo rivoltimi continuamente da autorità persiane inglesi russe. In ogni caso posso riferire V.E. alcune cose dettemi dallo Shuttleworth.

Egli ritiene necessario per sicurezza corpo d’occupazione due condizioni preliminari: 1) Neutralizzazione Caspio dal quale dovranno essere escluse navi da guerra; 2) Che l’Italia provochi formazione Stato autonomo turcomanno con capitale Ashabad e frontiera orientale fiume Amu Darya. Turcomanni controllerebbero e in caso di bisogno distruggerebbero ferrovia strategica Buchara Krasnovodsk che ha scopo puramente militare e costituisce grave minaccia Baku. Turcomanni odierebbero russi e non mancherebbero scacciare (?) deboli forze Denikin qualora istigati Italia.

Generale aggiunse aver parlato questi ultimi giorni rappresentante Governo siberiano al quale avrebbe francamente detto essere oramai escluso per ora almeno che il Caucaso tornasse sotto il dominio russo. Suddetto agente russo (...) nascosto suo malumore dichiarazione generale; del resto parecchi funzionari russi da me incontrati viaggio Teheran hanno pure manifestato animosità verso l’Italia causa progettata occupazione, sebbene io dicessi loro ignorare affatto se voci in proposito fossero fondate.

714

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,

AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

NOTA 1763. Parigi, 5 giugno 1919.

Le delegazioni di Francia ed Inghilterra avevano presentato alla Conferenza, sin dallo scorso aprile, un progetto di convenzione relativa al controllo del commercio delle armi e delle munizioni.

La delegazione italiana fece osservare come la discussione di tale progetto non apparisse opportuna principalmente per le ragioni seguenti:

1) Abrogando il progetto tutte le stipulazioni anteriori, e quindi anche le disposizioni in materia contenute nell’atto di Bruxelles del 2 luglio 1890, occorrerebbe che alla sua formazione fossero chiamati anche tutti gli Stati neutri che intervennero in quelle stipulazioni.

2) Il progetto contempla tra i paesi ove sarà vietata l’importazione di armi e di munizioni tutti i territori di Asia che al 1° agosto 1914 dipendevano dalla Turchia. Ora, mentre la sistemazione politica di quelle regioni è ancora sub judice, non sembra il caso di stabilire norme ad esse riferentisi che all’atto pratico potrebbero subire modificazioni.

3) Il progetto in esame ribadisce la possibilità di rifornimenti di armi per l’Abissinia attraverso i territori coloniali che la circondano.

È invece nostro interesse che tali rifornimenti, se pur non sia possibile impedirli in modo assoluto dato il carattere di Stato indipendente e sovrano dell’Etiopia, siano tuttavia sottoposti a restrizioni e controlli più severi che non quelli sinora in vigore. Ora, il nuovo progetto non è affatto inspirato a tale criterio restrittivo: di qui la necessità di meglio studiarlo e ponderarlo.

La proposta franco-inglese per la discussione della nuova convenzione non ebbe però seguito. La Conferenza si limitò a decidere che fosse inserito nel trattato di pace con la Germania un articolo riferendosi al traffico delle armi, che risultò così concepito: «art. 126. L’Allemagne s’engage à reconnaître et agréer les conventions passées ou à passer par les Puissances Alliées ou Associées ou certaines d’entre elles avec toute autre Puissance, relativement au commerce des armes et aux spiritueux ainsi qu’aux autres matières traitées dans les actes généraux de Berlin du 26 février 1885 et de Bruxelles du 2 juillet 1890 et des conventions qui les ont complétées ou modifiées.»

Il 2 corrente, però, la questione generale del traffico delle armi è stata riportata in discussione al comitato di redazione della Conferenza e i delegati inglesi hanno chiesto che il testo della convenzione proposta dalla Francia e dall’Inghilterra fosse preso in esame per l’ulteriore invio al Consiglio Supremo.

L’Italia rinnoverà l’opposizione alla presa in considerazione del progetto da parte di tale Consiglio, sostenendo che alla formazione, e non soltanto all’approvazione, di esso dovrebbero essere chiamati, in sede separata dall’attuale Conferenza, tutti gli Stati firmatari dell’Atto di Bruxelles, e in ispecie l’Italia direttamente e fortemente interessata alla questione. Ma, in previsione che la Francia e l’Inghilterra insistano per la discussione o quanto meno per l’esame da parte degli Alleati ed Associati del progetto in parola, occorre sin d’ora predisporre quelli emendamenti e quelle proposte che facciano salvi i nostri diritti ed i nostri interessi.

Trasmetto, pertanto, all’E.V. una copia dell’ultimo progetto presentato dai Governi francese ed inglese1 con preghiera di volermi comunicare le sue vedute con cortese sollecitudine, possibilmente per telegrafo2.

Riterrei inoltre opportuno che l’E.V. inviasse qui per l’eventuali trattative un funzionario o un ufficiale competente in materia ed esperto dei problemi connessi al progetto in discussione.

2 Vedi poi D. 768.

714 1 Non si pubblica.

715

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE PRESSO LE DELEGAZIONI NEMICHE, CASATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 19 R.P. CONFID. Versailles, 5 giugno 1919.

I. Dichiarazioni di S.E. Klein (presidente della Delegazione in assenza di S.E. Renner) in un colloquio del 4 corrente1:

1) Il convegno di Innsbruck e la questione dell’Alto Adige. «Non dovete preoccuparvi della scelta del luogo d’incontro, che risponde semplicemente a un concetto di comodità, senza l’ombra di un sottinteso politico. Potrebbe avvenire che l’arrivo colà del cancelliere coincidesse con qualche manifestazione tirolese; ma in tal caso è proposito di S.E. Renner di non uscire dalla carrozza ferroviaria dove si terrà consiglio»;

2) Il triangolo di Assling. «Un plebiscito riuscirebbe difficilmente favorevole all’Austria Tedesca. Per coerenza vogliamo attenerci alla rivendicazione dei territori prettamente tedeschi della stessa Carinzia, della Moravia e del Tirolo: l’attribuzione a noi del triangolo di Assling significherebbe certamente le presenza di due deputati slavi nel piccolo Parlamento austriaco, e di quei signori non ne vogliamo uno solo tra i piedi. Per voi la cosa si presenta diversamente, poiché il problema jugoslavo già vi s’impone di necessità per altri riguardi. Ecco perché io stimerei più opportuno che l’Italia occupasse durevolmente tale triangolo; ma di ciò intendo discorrere col cancelliere al suo ritorno».

II. Opinioni espresse da S.E. Lammasch in un colloquio pure del 4 corrente, intorno alla questione dell’Alto Adige:

«Già ne avrei discorso tempo fa col mio buon conoscente il ministro Paulucci, che so in relazione col professor Herron, poiché non mi sono ignote le intenzioni liberali del Governo italiano verso la popolazione del Tirolo meridionale, ma dubito, almeno per il momento, che una politica conciliativa possa portare i suoi frutti. Troppo tenace è l’attaccamento dei tirolesi al ceppo tedesco perché i capi stessi locali possano oggi agire in tal senso senza timore di vedersi abbandonati. Né l’atteggiamento di rispetto che ogni buon tirolese, conservatore per istinto, ha per l’autorità costituita, deve illudervi sui suoi sentimenti profondi a vostro riguardo: nel mio lungo professorato a Innsbruck ho assistito a troppe agitazioni anti-italiane nella regione tirolese per ignorare da quale passione popolare fossero mosse. In tutti i modi il momento è per noi troppo grave perché, a malgrado delle nostre opinioni personali, non ci si adoperi

— tutti — a secondare una politica di conciliazione ...».

715 La nota fu inviata contestualmente anche al Comando Supremo, Ufficio operazioni ed allaSezione militare della DICP. 1 Cfr. anche D. 370.

III. Il signor Allizé e le condizioni di pace. Mi risulta in modo certo che è pervenuto il 3 corrente alla delegazione austriaca un telegramma da Vienna del Segretariato degli esteri, del seguente tenore:

«Allizé si dimostra molto sorpreso e malcontento dell’atteggiamento assunto dall’Intesa, contrariamente alla sua aspettazione. Sarebbe opportuno a suo parere che la delegazione prendesse maggiore contatto con gli americani per ottenere il loro appoggio specie nella questione col Tirolo. Ciò mi è confermato dal lavorio (del resto non molto efficace) di Slatin Pacha, e dal tentativo di approccio al gruppo House di René Pinon che, sebbene allontanato da St. Germain e anche da Quai d’Orsay dove non gode di molte simpatie, continua a collaborare a distanza col signor Allizé».

716

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, E AL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI,

T. 658. Parigi, 6 giugno 1919, ore 16.

(Per Costantinopoli) Rispondo suo telegramma n. 2281.

(Per entrambi) Comando Supremo mi ha comunicato telegramma del generale Mombelli2 circa progetto del generale Franchet d’Esperey relativo a dislocazione forze in Bulgaria. Ho risposto3 che concordo con parere del Comando Supremo che progetto del generale francese sia accettabile, facendo presente che decisione mandare presidio francese in Dobrugia deriva probabilmente da desiderio spiegare azione politica circa accordi bulgaro rumeni per quella regione. Che decisione presidiare Sofia e zona frontiera nasconde intenzione agevolare mene greche nella regione di Strumitza e mene serbe per annessione regione Vidin e ampliare concessioni Congresso Parigi. Che occupazione nostra in Tracia si presenta politicamente conveniente sebbene crei posizione difficile tra aspirazioni turche greche e bulgare.

A complemento di quanto sopra faccio conoscere a V.S. che rettifica frontiera bulgara in favore serbi è stata approvata da comitato dei cinque ministri affari esteri e può considerarsi definitiva. Circa Dobrugia continuano le pratiche italiane per agevolare accordo bulgaro rumeno. Può quindi convenire spostamento nostre truppe in Tracia per contribuire azione in favore mantenimento stato antecedente guerra. Tale azione utile a turchi e bulgari può rendere meno difficile nostra posizione tra varie rivendicazioni. Occorre però cessi equivoco a Sofia e Costantinopoli dove ancora si nutrono troppe illusioni circa possibile accoglienza favorevole rispettive aspirazioni integrali ed appoggio talune potenze che invece non dimostrano alcuna benevolenza.

2 Si tratta del T. 7725 del 2 giugno, a firma Badoglio, non pubblicato.

3 Si tratta del T. 1818 del 3 giugno alla Sezione militare della DICP, non pubblicato.

Conviene invece che vengano costà esaminati vantaggi reciproco appoggio dopo accordi in favore rispettivi connazionali Tracia per assicurare loro regime gradito e togliere valore affermazioni circa desiderio popolazione Tracia di unirsi alla Grecia.

716 1 Non rinvenuto. Forse si tratta del T. 288 del 31 maggio che esprimeva preoccupazione per leconseguenze di un eventuale spostamento delle truppe italiane dalla Bulgaria in Tracia.

717

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1651/28 RR. Vienna, 6 giugno 1919, ore 16 (perv. ore 9 del 7).

Telegramma di V.E. n. 5901.

Quasi impossibile raccogliere qui notizie richiestemi. A Vienna sono effettivamente riuniti molti membri aristocrazia ungherese esiliati in maggioranza timore essere arrestati. Mi assicurano Andrassy reduce da Parigi trovasi Vienna e intende seguire politica francese. Parimenti mi si assicura influenza su ungheresi Vienna vada aumentando efficacemente per Allizé. Persone serie qui avvicinate escludono possibilità riunione Austria Ungheria, restaurazione Carlo contraria aspirazioni generali paese. A dirigenti masse operaie, che pur di disfarsi questo Governo sembravano di-sposti accettare anche Governo Szeged, feci presente pericolo combinazione a base reazione con jugoslavi che rappresenterebbe nuova debolezza interna ed alienerebbe simpatie Italia. Mi fu promesso discuterebbero questione non essendo essi proclivi appoggiare ritorno antico regime né accordarsi con Jugoslavia.

718

IL CONSOLE GENERALE, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1659/1035. Vienna, 6 giugno 1919, ore 20 (perv. ore 11 del 7).

In seguito desiderio manifestato da alcuni maggiorenti del partito cristiano-sociale di spiegarmi attitudine loro partito, intervenni ieri ad una riunione privata in casa barone Pitner. Erano presenti gli ex ministri Mataja, Etseippl1 ed attuale sottosegretario di Stato agli esteri [Pflügl].

717 Per disposizione di Sonnino (T. 3010 del 5 giugno a Contarini) Borghese era stato destinato aricoprire l’incarico di commissario politico a Vienna «con le stesse funzioni di Allizé» ed aveva presoservizio nella nuova sede il 6 giugno. Macchioro Vivalba sarebbe rimasto anche lui a Vienna su suarichiesta, come collaboratore di Borghese.

1 Vedi D. 621. Cfr. anche D. 677.

Riepilogo brevemente dichiarazioni fatemi. Nelle condizioni di pace imposte Austria-Tedesca è vittima del conflitto esistente tra Francia ed Italia; la prima teme unione Austria alla Germania, la seconda formazione federale danubiana. Nel dubbio esse si sono trovate d’accordo nell’indebolire Austria fino annientamento. Italia non ha alcun motivo di temere una federazione danubiana che è pure principale (...) partito cristiano-sociale patrocinio tale idea. Esso crede invece che se anche federazione potesse effettuarsi, essa si risolverebbe nel vassallaggio dei tedeschi di fronte agli slavi. Partito cristiano-sociale non è in principio assolutamente contrario alla unione con la Germania e crede anzi che tale unione finirà un giorno col farsi. Ma per ora il partito non crede di appoggiarla perché essa sarebbe l’ultima rovina dell’Austria costretta a condividere con la Germania una terribile indennità di guerra ed a subire la persecuzione economica e commerciale della Francia e dell’Inghilterra. Se si potesse liberare da tale preoccupazione, essa sarebbe fino da ora favorevole all’unione con la Germania.

Parlando delle condizioni di pace i convenuti espressero la speranza che esse sarebbero rivedute. Accennarono naturalmente questioni Alto Adige, Stiria, Carinzia, manifestando sorpresa per quanto concerne provvedimento circa Klagenfurt ed esprimendo speranza che Italia patrocinerà aspettative Austria-Tedesca contro jugoslavi. Nel campo economico dichiararono che la questione fondamentale è quella dell’abolizione della clausola del sequestro dei beni e crediti austro-tedeschi nei paesi dell’ex monarchia. Il mantenimento di tale clausola rappresenterebbe la bancarotta. Alludendo a mie dichiarazioni riprodotte sulla «Neue Freie Presse» in cui accennavo all’attitudine liberale dell’Italia in tale questione (telegramma di V.E. 2766 del 25 maggio)2 si dichiararono convinti che l’Italia avrebbe sostenuto Austria in tale questione vitale.

718 1 Recte forse Seipel.

719

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 6414. Roma, 6 giugno 1919, ore 21,50 (perv. ore 11 del 7).

Non so quando questione coloniale sia per tornare sul tappeto innanzi commissione dei Quattro.

Confido nella tua abilità e nella persuasione che certamente tu hai che si deve salvare questo grande interesse del nostro paese, non meno vitale di qualunque altro. Ti prego prendere conoscenza della mia corrispondenza con Sonnino, e più specialmente di quella recente circa Giubaland per cui è assolutamente necessario arrivare

719 Il telegramma fu trasmesso da Biancheri alla DICP con T. Gab. 2043 RR. delle ore 21,50 e l’annotazione:«S.E. Colosimo prega far pervenire a S.E. Orlando seguente telegramma».

fino a Moyale. Se lo credi, puoi avere precise indicazioni in proposito dal cav. Pia-centini che è stato fornito da questo Ministero di speciali carte e di particolareggiate esatte spiegazioni. Su tale questione e su accordi da prendere tempestivamente con Inghilterra nel caso della cessione del Giubaland a noi ti scrivo per posta oggi stesso1. Per Gibuti, che è sempre base essenziale nostro programma coloniale, un altissimo personaggio2 mi ha detto stamane sapere che se noi teniamo fermo e puntiamo i piedi i francesi cederanno. Non conosco la fonte di tale informazione del detto personaggio, ma essa corrisponde a ciò che io stesso ho sempre fermamente ritenuto e tuttora ritengo; non potendo ammettere che influenza Simon, Fidel ed altri esponenti di ben noti affari e speculazioni, possa prevalere sulla molto più autorevole ed illuminata visione di uomini politici e coloniali come Briand ed Etienne, e giungere fino a voler far permanere nelle relazioni italo-francesi una così grave ragione di rancore e irritazione, come sarebbe quella di non voler la Francia fare una cessione che per essa è ben piccolo sacrificio rispetto acquisti ora fatti e per noi è interesse di importanza capitale. Piccolo infatti è sacrificio per Francia quando si pensi che ad unica seria obiezione, e cioè necessità di uno scalo sulla via dello Estremo Oriente, noi possiamo rispondere offrendo, d’accordo con Inghilterra, il meraviglioso approdo di Scekh Said ovvero di Socotra.

718 2 Non pubblicato.

720

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 6 giugno 1919.

Ringrazio V.M. dei suoi telegrammi di ieri sera e dell’antimeriggio di oggi1. Abbiamo lungamente parlato della Georgia, in seguito all’arrivo di Gabba e Granafei, che sono molto intelligenti e che hanno dato informazioni assai utili. Si è nettamente risoluto di non fare nulla che possa crearci una ragione di antagonismo con la Russia, la quale, quando sarà costituita, costituirà un elemento decisivo nell’orientazione europea. D’altra parte non può negarsi che questo evento non essendo prossimo, una nostra occupazione transitoria non può determinare risentimento da parte dei russi, ma costituire anzi un elemento utile per futuri accordi. L’unica questione è quella di sapere se un tale intervento a titolo provvisorio sia capace di compensare i rischi e le spese dell’intrapresa. Tale decisione è assai difficile perché gli elementi di essa dipendono da molte incognite. Ma d’altra parte importanza vitale che ha per l’Italia la questione

2 Si tratta di Vittorio Emanuele III, come risulta dalla minuta in partenza dove le parole «SuaMaestà il Re» e «Sovrano» sono cancellate a mano e sostituite da: «un altissimo personaggio» e «dettopersonaggio». Del resto già in un telegramma a Orlando del 1° giugno il re aveva riferito di informazionida Parigi sulla possibilità di una concessione di Gibuti da parte della Francia.

delle materie prime, di cui Caucaso abbonda, rende assai grave la decisione di una rinunzia pura e semplice, dato che la possibilità di contrarre rapporti stando sul luogo può tradursi in qualche notevole vantaggio economico anche se la nostra occupazione debba restare strettamente provvisoria e temporanea. Sarebbe prevalsa una decisione dilatoria, per cui dovrebbe cominciarsi dal chiedere il ritiro delle nostre truppe dalla penisola balcanica, come mezzo indispensabile per predisporre la nostra spedizione in Caucaso2. Nel frattempo si sarà chiarita la situazione generale. Ciò che sommamente mi preoccupa è precisamente tale situazione. L’evento ha dimostrato che la transazione Tardieu, pur non apparendo soddisfacente in se stessa, era relativamente accolta dalla grande maggioranza del popolo italiano in via di liberazione dall’attuale incubo. Ciò è stato dimostrato dalla reazione di delusione che mi viene segnalata da Roma, in seguito a qualche notizia pessimistica circa tale soluzione. Come telegrafai ieri sera a

V.M.3 oggi o domani si saprà qualche cosa di definitivo; e, in relazione alle diverse ipotesi possibili, io mi riprometto di incontrarmi posdimani con Colosimo in una stazione di frontiera, per le risoluzioni da prendere. Ho raccomandato a Colosimo di recarsi da V.M. per conferire prima di tale colloquio.

719 1 Vedi D. 722.

720 1 Non pubblicati.

721

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 6 giugno 1919.

Nel pomeriggio di oggi si trattarono questioni di poco rilievo. Fui tuttavia informato da Lloyd George che oggi effettivamente la questione delle frontiere italiane fu ampiamente discussa e che Wilson riconobbe la necessità di risolverla al più presto. Aggiunse che egli sta formulando una specie di controprogetto, che si riservava di fare vedere nel pomeriggio di oggi ai suoi esperti e che avrebbe in seguito comunicato a me. Chiesi se questo controprogetto importasse ulteriori rinunzie da parte nostra e la risposta fu negativa, ma affatto generica. Siccome parlavo con Lloyd George di sfuggita, non potei avere altre indicazioni; ma andrò a trovarlo domattina per vedere più precisamente di che si tratta.

720 2 In quest’ottica fu disposto il ritiro della 35ª divisione dai Balcani. Orlando ne diede comunicazione a Clemenceau in data 7 giugno.3 Vedi D. 710.

722

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 3673. Roma, 6 giugno 1919.

Con telegramma 662 del 31 maggio u.s.1 sono stato informato della chiusura dei lavori della Commissione coloniale e del rinvio delle decisioni al Consiglio dei quattro.

Nel caso che la questione del Giubaland debba essere riesaminata, io devo sempre fermamente insistere nei concetti più volte espressi e riassunti nel mio telegramma 5923 del 25 maggio ultimo2, che cioè è necessario che il confine arrivi fino a Moyale, facendo chiaramente rilevare che ciò rappresenta non una concessione ma il modo di esercitare una azione economica garantitaci dagli accordi esistenti. Solo nella ipotesi, che devo escludere, che ciò non si volesse riconoscerci, indicavo come un minimum la linea Sorian-Wager-Dumasa-Dolo, mentre la linea sulla quale Lord Milner vuole fermarsi è assolutamente arbitraria e priva il territorio che ci si vuole concedere di luoghi d’acqua e di pascoli, indispensabili.

Non v’è da farsi illusioni circa il valore pratico degli accordi con i quali si propone di regolare tutta la questione che la linea di confine offerta dagli inglesi lascerebbe aperta, rendendo difficilissimo a noi e agli inglesi, ma specialmente a noi, il governo di quelle turbolenti popolazioni. A parte ciò, devo chiamare tutta l’attenzione di V.E. su quanto segue. Attualmente il Governo del B.E.A.3 mantiene nei territori del Giubaland circa millecinquecento ascari; e poiché nessuna minaccia esterna rende necessario l’impiego di forze militari ai fini della difesa, tale contingente è a ritenersi unicamente destinato ad affermare il dominio inglese fra quelle popolazioni e ad impedire che il latente stato di ribellione non degeneri in aperta rivolta da parte del-l’uno o dell’altro dei vari gruppi etnici, o in lotte cruenti fra di loro.

In diverse precedenti circostanze, a seguito di movimenti collettivi contro l’autorità del Governo ed ultimamente dopo aver repressa la rivolta degli Aulean, gli inglesi ordinarono il disarmo delle popolazioni, ma per le difficoltà e le resistenze incontrate, tale determinazione poté essere portata ad effetto solo nei riguardi di alcuni dei gruppi, mentre altri continuano a disporre di considerevole numero di fucili.

Se tale stato di cose dovesse permanere all’atto del passaggio del dominio dei suddetti territori dall’Inghilterra all’Italia, questa sarebbe posta di fronte a conseguenze di non lieve rilievo. Sorgerebbe, infatti, la necessità di sostituire immediatamente un contingente di truppe non inferiore a quello che verrà ritirato dagli inglesi, e ciò perché, non essendo completato il disarmo, solo la permanenza sul posto di forti presidi potrà impedire che quelli rimasti in possesso delle armi non si valgano della loro superiorità a danno di quelli che si trovano privati di ogni mezzo di difesa.

2 Non pubblicato. Ma sulla questione si veda anche il D. 719.

3 British East Africa.

Questa immediata sostituzione di presidi italiani a quelli inglesi, oltre a costituire una impossibilità per le difficoltà dei reclutamenti, chiusi in Arabia e necessariamente prudenti e limitati in Somalia, costituirebbe un mutamento non opportuno della politica seguita sempre in Somalia, per cui le truppe regolari sono unicamente adibite alla difesa contro nemici esterni, comuni al Governo e alle popolazioni.

Si aggiunga che, per la mancanza di un confine, sia naturale che etnico, fra i territori che verrebbero ceduti all’Italia e quelli che continuerebbero a rimanere all’Inghilterra, il disarmo a cui il Governo italiano volesse poi addivenire, esporrebbe le nostre future popolazioni alle facili prepotenze e razzie di gruppi che rimanessero armati in territorio inglese, ripetendosi così la lunga storia dei nostri rahanuin per tanti anni vittime delle razzie dei merehan della riva destra del Giuba.

Giacché pertanto il Governo del B.E.A. ha in corso di esecuzione un programma di disarmo delle popolazioni del Giubaland, sarebbe di grande utilità, sia per il tranquillo passaggio della regione dall’una all’altra amministrazione, sia per una pacifica convivenza in futuro dei nostri e dei sudditi inglesi, che tale programma potesse avere, almeno nella massima sua parte, attuazione prima della presa di possesso da parte dell’Italia dei territori a noi ceduti.

722 1 Si tratta evidentemente del T. 622 del 31 maggio (qui D. 658).

723

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1642/231. Parigi, 6 giugno 1919 (perv. il 7).

In conformità alle istruzioni datemi dall’E.V. mi sono procurato iersera un colloquio con il signor Pichon al quale ho segnalato le notizie recate dai giornali italiani secondo le quali l’esercito francese d’Oriente cederebbe a prezzo ridotto materiale bellico all’esercito serbo e fornirebbe truppe per presidiare le regioni meridionali della Jugoslavia, liberando così truppe serbe che si recherebbero sul fronte della Drava. Feci osservare al ministro come queste notizie turbassero gravemente l’opinione pubblica italiana e fossero in contrasto con le misure prese dalla Conferenza della pace per impedire le ostilità fra austriaci e jugoslavi. Il signor Pichon si mostrò assolutamente sorpreso di quelle notizie, affermando che ignorava assolutamente i fatti esposti, che egli credeva inventati di sana pianta. Dietro mia preghiera mi promise di assumere informazioni e farmene poi conoscere il risultato1. Insistetti per mio conto sull’opportunità d’una smentita che venisse dal Governo francese. Su questo punto trovai il signor Pichon molto esitante; egli non ardisce mai infatti assumere alcun impegno che pregiudichi le decisioni del presidente del Consiglio ministro della guerra.

Nel corso della conversazione il signor Pichon mi disse che desiderava conferire prossimamente coll’E.V. intorno a notizie che gli erano giunte di certa azione spiegata da italiani a Vienna e che sarebbe pregiudizievole alla Francia. Non volle indursi a precisare maggiormente per quanto lo invitassi a farlo. Mi rispose che aveva ancora bisogno di consultare alcuni documenti in proposito; solo mi disse che si trattava di informazioni molto precise che gli venivano dal signor Allizé.

723 1 Con lettera dello stesso 6 giugno (comunicata a Sonnino da Bonin, con T. Gab. 233 urgente,in pari data) Pichon provvedeva a smentire le voci di iniziative filo serbe della Francia.

724

IL SEGRETARIO GENERALE PER GLI AFFARI CIVILI DEL COMANDO SUPREMO, D’ADAMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, E AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

T. ESPRESSO 25189 RR. Abano, 6 giugno 1919, ore 13.

In relazione conferenza avuta stamane con intervento generale Segre e riassumendo segnalazioni fatte precedentemente, comunicasi quanto segue.

Verso fine aprile Governo comunista Budapest si rivolse Missione italiana armistizio Vienna allo scopo addivenire patto economico con Italia per cui sindacato ungherese avrebbe ritirato da Regno viveri, tessuti e calzetterie. Ungheria avrebbe pagato con valori esteri e italiani e garantito forti temperamenti programma comunista, libero Governo italiano delegare per controllo apposito organo. Ministero esteri cui erasi prospettata questione trovò patto economico inconciliabile con blocco, ammettendo invece appoggio attività sindacati privati diretta preparare ripresa traffi

ci. In seguito a ciò Governo ungherese propose formazione sindacati italiano e ungherese non sottoposti ingerenza Governi e offrì versare subito Missione armistizio Vienna oro e moneta cartacea a copertura forniture alimentari avvenire. Governo ungherese versò finora 15 milioni corone banconote non stampigliate e 3 milioni oro preannunziando in caso sollecite forniture pagamenti fino a 50 milioni corone valute estere e 50 milioni oro. Telegramma 30 maggio p.p. n. 251891 con cui questo Segretariato generale prospettava proposta a Ministero esteri, non ebbe finora riscontro. Giusta gravame prodotto da Banca emissione austro-ungarica Vienna a quella Missione armistizio, sembrerebbe che versamenti fatti a questa siano stati prelevati da un importo asportato illecitamente da Governo comunista da succursale detta banca Budapest e contrabbandato con cooperazione soldati italiani in Austria Tedesca. Benché missione armistizio siasi dichiarata estranea al riguardo venne pregata fare ulteriori indagini. Frattanto Governo ungherese, per evitare che proprietà spettanti ditte ungheresi in territori che verranno da Conferenza pace assegnati presumibilmente a

724 Il telegramma fu inviato anche alla PCM, al MAE e al Ministero dell’industria commercio e lavoro.1 Non rinvenuto.

altri Stati non vadano perdute, trattandosi valori circa 100 milioni corone, fece a Missione armistizio proposta che queste proprietà vengano amministrate da sindacati italo-ungheresi riservandosi diritto di rivendicare per sé in avvenire non lontano tali valori. Trattative suddette di cui marchese Tacoli, nostro commissario politico in Ungheria, è informato, diedero colà adito a voce sostenuta da Bela Kun di appoggio dato da Italia a Governo comunista. Appoggio Italia è desiderato da tutti partiti Ungheria. Bela Kun lo considererebbe punto partenza per forte attenuazione suo programma. Pregasi impartire urgenza istruzioni2. Qualora non fosse desiderata continuazione trattative iniziate Missione armistizio Vienna troverebbe, sebbene non facilmente, modo restituire Governo ungherese somme già ricevute. Governo ungherese inizierebbe tal caso trattative con altri Governi fra cui Jugoslavia dalla quale ebbe già proposte concrete.

725

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. RR. PERS. Sofia, 6 giugno 1919.

È stato un vero miracolo, se attraverso la sconcertante crisi morale e materiale in cui si dibatte la Bulgaria si è riuscito e si riesce tuttora a mantenere l’ordine.

Contribuire a svelare in momento propizio e con ogni cautela la disastrosa situazione che la Conferenza sta preparando alla Bulgaria, senza però provocare una violenta reazione come quella d’Ungheria; preparare gli animi anche alla peggiore delle ipotesi senza attirare sopra di sé nessuna parte dell’odio che si sta sordamente accumulando contro l’Intesa già accusata di essere complice del più atroce inganno alla buona fede di un popolo che gettò le armi fidandosi della giustizia di nazioni civilizzate e della parola proclamata al mondo; contribuire a frenare le correnti dissolventi di certi partiti estremi capaci di trascinare il paese verso l’abisso; ecco, se non erro, parte del compito delicatissimo che spetta ai rappresentanti dell’Intesa in Bulgaria. E siccome non tutti concepiscono alla stessa maniera i doveri e gli interessi degli alleati in Bulgaria e nei Balcani, tale compito è oltremodo arduo; esso incombe quindi e sopratutto all’Italia. In special modo, ho dovuto, personalmente, badare al pericolo di essere ingiustamente sospettato di creare ostacoli all’esecuzione dei piani dell’Intesa contro il nemico, sia dal punto di vista militare attuale, sia dal punto di vista del dopo pace che si sta preparando nei consigli di Parigi.

Prima della pace, lasciare attaccare e schiacciare i bulgari dai greco-serbi in un momento in cui gli eserciti alleati, tuttora sotto comando unico, impongono anche alle nostre truppe un obbligo incompatibile coi nostri interessi, coi nostri sentimenti e coll’onore stesso degli alleati, è una evenienza da combattere con tutti i mezzi leciti.

Vi sarà poi l’altro grave pericolo per l’esistenza di questo paese immediatamente dopo la firma della pace: la trama abilmente ordinata dai serbo-greci aiutati dal generale Franchet d’Esperey che vuole disarmare e rendere inerme la Bulgaria, strappandole i denti come disse la regina di Romania, lasciandola poi al suo triste fato dopo il trattato di pace. Come V.E. ha intuito, questo Governo s’illudeva troppo sulla buona volontà di tutti i componenti dell’Intesa. Poco a poco il Theodoroff cedeva le armi e smobilitava, per far prova di sincerità ed ottenere il beneficio della generosità delle grandi potenze. Egli ieri l’altro mi diceva di aver deciso la smobilitazione di ulteriori contingenti che avrebbe ridotto l’esercito a 45.000 uomini. Questa doveva essere la risposta ad una domanda del generale Franchet d’Esperey intesa a diminuire le forze bulgare, che ho segnalato telegraficamente a V.E1.

Per buona fortuna, una più matura riflessione ha convinto il presidente del Consiglio che lasciare il paese disarmato in balia delle cupidigie greco-serbe sarebbesegnare la fine della Bulgaria in mezzo a spaventevoli massacri. È stato deciso quindi di raddoppiare la vigilanza e di mantenere l’esercito in condizioni di poter far fronte a qualche colpo di mano dei serbo-greci aiutato da eventuali disordini interni al momento della firma della pace.

Lo Stato Maggiore bulgaro è persuaso di avere il mezzo di sbaragliare i greci purché non intervenga una delle grandi potenze della Intesa. Esso intuisce sopratutto, dopo alcuni amichevoli accenni e raccomandazioni, che, prima di tutto, la Bulgaria non deve dar pretesto a credere che essa vuole provocare o aggredire. Se invece — cosa da non escludersi — i greco-serbi aggredissero, la difesa si dovrebbe fare ad oltranza, ma soltanto dopo la dimostrazione che nessuna provocazione venne da parte bulgara.

Tali le intenzioni di questo ambiente ufficiale che si lascia guidare da consigli disinteressati e discreti.

Ripeto: all’interno vi è sempre l’incubo di qualche sommossa prodotta dalla perdita della Tracia o dei distretti occidentali. Gli elementi intellettuali verrebbero spazzati via e forse anche il re.

I socialisti si organizzano cogli agrari estremi, col visibile intento di impossessarsi del potere ed instaurare la repubblica, senza badare alla patria che ne sarebbe compromessa nella sua stessa esistenza.

È facile immaginare i violenti sentimenti di ribellione e di odio contro sopratutto i greci. Lo stesso Theodoroff, da trenta anni deputato di Zaribrod — che i serbi starebbero per annettersi — persona reputata intesofila e moderata, stenta a trattenere i fremiti di sdegno e di vendetta. Egli mi diceva ancora ieri: «Se si crede di erigere una muraglia greco-jugoslava-polacca, contro la Bulgaria ed altri, noi la sfonderemo; questa volta combatteremo colla forza irresistibile della giustizia offesa, dell’affronto patito, col coraggio della disperazione».

In quanto all’Italia il suo prestigio si è profondamente radicato nella popolazione. La condotta imprudente di Franchet d’Esperey e l’istinto della nazione in cerca di un salvatore, fa volgere gli sguardi verso i nemici della Grecia e della Serbia.

«Non vi è bisogno dell’alleanza di cui certuni, per gelosia, ci sospettano — mi ha spesso ripetuto il signor Theodoroff —; l’Italia ha compiuto e compie una missione

d’onore nei Balcani; essa è sempre stata conseguente ed onesta. In tali condizioni le alleanze si stringono nelle ventiquattrore. Non vi pentirete del bene che ci avete fatto o voluto fare». In altri termini, il giorno in cui i jugoslavi o greci attaccassero l’Italia, la Bulgaria sarebbe pronta a minacciare o anche attaccare i nostri nemici. Se anche la Delegazione italiana non riuscisse nel suo intento di salvare almeno le antiche frontiere di Bulgaria, l’effetto morale della nostra azione non muterebbe sostanzialmente.

Qui si crede a nuovi conflitti al momento in cui si cercherà di applicare le decisioni della Conferenza che si prevedono, dai più influenti e meglio in grado di giudicare, assolutamente inaccettabili dalla Bulgaria. Le solite atrocità ed i massacri ricomincerebbero. I greci contano sull’aiuto militare della Società delle Nazioni o della Francia e della Jugoslavia, ma tale combinazione politico-militare non spaventa troppo questi ambienti, purché la Romania si dimostri neutrale o amica. Si conta poi sul ritorno della Russia nella scena internazionale colla speranza di vederla più trattabile e conciliante dopo i disastri bolscevichi.

Re Boris, che ogni tanto ho l’occasione di vedere, si palesa spesso di buon senso, se non di esperienza che la sua giovane età non ha potuto ancora procurargli. La sua preparazione morale, per la crisi nazionale e sociale prossima a verificarsi, sembra degna di ogni encomio. Egli è pronto a fare ogni sagrifizio per salvare l’ordine coll’avvenire del paese. L’agitazione socialista e bolscevica contro il potere organizzato e contro la monarchia lo rende però assai scettico se non pessimista. Le circostanze purtroppo giustificano in buona parte i suoi timori.

724 2 Vedi poi D. 769.

725 1 Si tratta del T. 218 del 4 giugno, non pubblicato.

726

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1678/278. Praga, 7 giugno 1919, ore 8,30 (perv. ore 16 dell’8).

Mio telegramma n. 2601.

La missione militare italiana è partita ieri sera. Data la gravità della situazione militare non si sono avute naturalmente manifestazioni popolari. Nel comunicato Stefani riferisco cordiale saluto presidente Repubblica2. Con l’opportunismo che distingue questa popolazione giornali accennano appena partenza missione italiana inneggiando invece Francia e missione militare francese dai cui sperano e invocano aiuti contro Ungheria.

2 Già il 24 maggio, in occasione dei festeggiamenti per l’anniversario della costituzione dell’esercito cecoslovacco, il presidente Masaryk aveva conferito al generale Piccione la carica di generale onorario di tale esercito, dandone notizia a Vittorio Emanuele III, con un telegramma in cui esaltava l’operadell’Italia nella formazione delle legioni cecoslovacche (T. 11989 di Borsarelli a Sonnino del 29 maggio).

726 1 Non rinvenuto.

727

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, GALANTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1714/129. Belgrado, 7 giugno 1919, ore 11,40 (perv. ore 18 del 10).

Mio telegramma n. 1231.

Anche ministro di Francia ha comunicato a questo Governo che delegati Regno dei serbi-croato-sloveni essendo stati ammessi come tali alla Conferenza della pace Francia riconosce nuova fusione2. Egli rimetterà presto nuove credenziali.

728

IL CONSOLE GENERALE, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1669/1051 UFF. STAMPA. Vienna, 7 giugno 1919, ore 14 (perv. ore 10 dell’8).

Passai serata con Pflügl cristiano sociale tirolese sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Segue rapporto. Manifestò spirito assai tollerante tutto preoccupato questione Tirolo. Dispera salvataggio Alto Adige. Tuttavia verrà tentato allora ogni mezzo. In ogni caso Tirolo vorrebbe unirsi Baviera. Allizé non mostrò contrarietà tale progetto. Tirolesi sperano anche Italia favorevole. Vorrebbero trattare direttamente con noi. Tendenza unione Tirolo e Voralberg alla Baviera aumenterebbe autonomia e restaurazione Wittelsbach. Essendo cessati attacchi contro Schumacher fu sospesa sua partenza dalla Delegazione. Osservai che scoperta tale manovra avrebbe fatto pessima impressione. Disse trattarsi solo di sospensione e che passaporto per Falzer è pronto. Progetto Tirolo indipendente affatto abbandonato. Nessuna ragione politica e economica per mantenere unione con Vienna.

S.H.S. da parte del Governo britannico.

2 Il riconoscimento francese va collocato al 5 giugno secondo il T. 1835/13477 di Biancheridel 7 giugno.

727 1 Con T. 1621/123 del 5 giugno Galanti aveva dato notizia del riconoscimento del Regno

729

IL GOVERNATORE DELLA DALMAZIA, MILLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 19231. Zara, 7 giugno 1919, ore 15,30 (perv. ore 8,15 dell’8).

Arcivescovo Zara intimidito da presidente Giunta provinciale dalmata signor Ivcevich ha pubblicato seguente lettera: «Per troncare ogni ulteriore polemica sui giornali circa la mia firma, dichiaro che nel tempo, quando a mia saputa e con mio consenso fu apposto il mio nome sulla lista degli slavi di Zara, io ero, come io sono anche adesso, per la unione di tutta Dalmazia alla Jugoslavia. Zara 4 giugno 1919. Dr. Vinkopulisic arcivescovo». Questa lettera è in contraddizione con quanto ebbe a dichiarare a funzionari italiani pronti a testimoniare, ed a spirito della sua lettera precedente1. La pubblicazione inopportuna, a mio parere, fattasi a Roma sulla «Tribuna» e «Idea nazionale» con commenti della prima lettera, lo ha, come egli dichiara, messo in una difficile situazione. Me ne aveva personalmente accennato senza precisare presidente Giunta provinciale dalmata signor Ivcevich, la quale ho proposto sia sciolta Comando supremo affari civili, con risposta negativa; è fra i peggiori nostri nemici, ed esplica azione a noi nociva, patibile anche procedimento penale. Salvo ordini in contrario telegrafici che attenderò fino lunedì sera, disporrò martedì internamento, con dovuti riguardi, detto presidente in Italia. Informo perdiamo qui giornalmente terreno, perché jugoslavi ricorrono ogni arte fidandosi nostra longanimità, per cui ritengo indispensabile provvedere d’urgenza.

730

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 663. Parigi, 7 giugno 1919, ore 16,45.

A telegramma n. 122911. Disposta occupazione Isparta Burdur Egherdir. Prego informare anche Sforza.

729 1 Si veda D. 171. 730 1 Non rinvenuto.

731

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AI COMMISSARI POLITICI A VIENNA, BORGHESE, E A BUDAPEST, TACOLI

T. 665 SEGRETO. Parigi, 7 giugno 1919, ore 20.

Questione ungherese. Da indagini eseguite è risultato quanto segue: incoraggiati dai francesi, Windischgrätz e Wasany sonosi ripetutamente incontrati in Svizzera con serbi. Ne sarebbe derivato progetto accordo militare per ottenere: 1) rovesciamento Governo bolscevico; 2) istituzione Governo favorevole accordo che dovrebbe stabilire regno dualista serbo-ungherese; 3) rinunzia da parte Serbia alla Batska. A tale uopo sono stati inviati a Vienna e Parigi speciali messi nonché a Belgrado Lazzaro Markoviƒ onde sottoporre progetto sanzione Governo serbo. Parallelamente queste trattative altri ungheresi appartenenti partito contadini fra cui deputato Mataraszy e signor Moldovanyi hanno avvicinato in Svizzera nostri fiduciari ai quali hanno fatto presente necessità per Ungheria ottenere accordo con Italia su tutti i problemi di comune interesse e con la Romania sulla base di una equa risoluzione controversie territoriali, intese di natura economica e militare nonché reciproche garanzie per le minoranze. Non sarebbero neppure alieni questi ungheresi di accedere all’idea di una unione personale fra Ungheria e Romania. Sussidiariamente essi si proporrebbero indebolire blocco jugoslavo a mezzo propaganda fra croati dissidenti. Da parte romena gli stessi nostri fiduciari hanno avute proposte identiche. Per rendere attuabile progetto di cui si tratta tanto ungheresi che rumeni convengono necessità costituzione Governo con appoggio partito contadini. Uomo indicato sarebbe Laovasi1 attualmente internato Budapest il quale dovrebbe ottenere, d’accordo con Karolyi, che bolscevichi cedano nelle sue mani il potere. A tal uopo verranno a Vienna giovedì prossimo delegati plenipotenziari rumeni i quali si incontreranno con la S.V. e con gli ungheresi Mataraszy e Moldovanyi che saranno avvertiti. Essi sperano ottenere liberazione Laovasi per assicurarsene preventivamente il concorso e aiutarlo poscia ad assumere il potere. Salvo a rivolgersi ad altri se non risultasse conveniente una simile combinazione. Tutti gli informatori e interessati dichiarano voler procedere con la massima rapidità per prevenire accordi in corso fra partito reazionario e serbi di cui sopra è cenno. Informo V.S. che un accordo fra Ungheria e Romania sarebbe conforme vedute Regio Governo, il quale pone da parte sua come base di tale accordo una intesacomune per indebolire ed isolare il blocco jugoslavo. È pertanto utile che una sua azione sia diretta agevolare intesa fra romeni ed ungheresi senza tuttavia che tale azione possa comprometterci in alcun modo. Sarà quindi utile Ella si serva di fiduciari abili che potrebbero all’occorrenza venire sconfessati. Voglia infine tener presente che successo si impernia sulla possibilità ottenere che successori attuale Governo condividano idee suesposte e attiro quindi Sua attenzione sulla necessità di non impegnarsi prima di avere sufficienti garanzie circa gli uomini che verranno designati.

(Per Vienna) Ho telegrafato nello stesso senso a commissario italiano Budapest dandogli istruzioni concordare sua azione con la S.V.

(Per Budapest) Il presente telegramma è stato da me anche diretto a commissario italiano Vienna col quale Ella vorrà concordare sua azione.

731 1 Forse si tratta di Márton Lovászy.

732

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 7 giugno 1919.

Grazie suoi due telegrammi1.

Nostro pubblico segue trattative Parigi con ansioso interessamento. Penso sempre2 che intervento in Georgia anche se forse non sarà fonte di immediati urti con la Russia, sarà non benvisto nel nostro paese. Sarà molto difficile limitare la quantità delle forze da mandare al Caucaso, e ritengo che una volta iniziato l’intervento queste forze dovranno finire per essere ingenti.

Sono molto lieto di sentire che si tratta di togliere nostre truppe dalla Macedonia3. Ho veduto il ministro Colosimo che le porterà i miei migliori saluti.

733

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 10282. Roma, 7 giugno 1919 (perv. l’8).

Yemen.

Nota di Vostra Eccellenza n. 3459 del 17 maggio scorso1.

È pervenuto anche a questo Ministero il rapporto n. 14 in data del 28 marzo del signor J. Habib2, dragomanno del R. Consolato in Hodeida, sulla situazione nel Yemen.

Per quanto concerne la convenienza cui Vostra Eccellenza accenna di assecondare da parte nostra le aspirazioni di capi e popolazioni yemenite per un concorso diretto dell’Italia alla sistemazione della regione, questo Ministero osserva che tutto il problema del Yemen è sottoposto all’esame ed alla decisione del Congresso della pace, cosicché qualunque azione di nostra iniziativa che non fosse interamente conforme alle direttive del Congresso potrebbe porci in una situazione delicata e imbarazzante. Sembra, quindi, conveniente attendere a questo riguardo il risultato delle deliberazioni del Congresso della pace.

732 1 Vedi DD. 720 e 721. 2 Il re aveva espresso più volte a Orlando, e ultimamente con un telegramma del 6 giugno, lesue perplessità sull’opportunità di un intervento in Georgia.3 Vedi D. 720 citato. 733 1 Non rinvenuta. 2 Non rinvenuto.

734

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. POSTA 717. Costantinopoli, 7 giugno 1919 (perv. il 15).

Telegramma di V.E. n. 10642 del 13 maggio1.

Mentre occupiamo le coste turche da Adalia a Scalanova ed abbiamo truppe a Konia e in altri centri di quel vilayet, mostrando con ciò di ritenere di nessun valore l’autorità sovrana ottomana, mi sembra non opportuno che — per ciò che accade o accadde in una colonia italiana — noi mostriamo di credere che la Sublime Porta abbia qualche potere.

Aggiungo che la diffusione da me qui data alle notizie sulla pacificazione libica, ed il grande effetto morale che ne ho tratto, mi farebbero desiderare non correr rischio qua si creda, sulla base di nostri nuovi reclami, che noi abbiamo delle ragioni di preoccupazione in Libia.

Vorrei quindi astenermi da nuovi passi, anche poi per questa finale ma essenziale considerazione: che è illusorio supporre, col Governo ottomano ridotto a ciò che è, ch’essi possano sortire il benché menomo risultato2.

734 1 Con il T. 10642 Borsarelli aveva pregato Sforza di compiere a Costantinopoli gli opportunipassi per ottenere dalla Porta il rispetto dei patti di armistizio non osservati in Libia.2 Con T. 10848 del 18 giugno, comunicando a Colosimo il telegramma di Sforza, Borsarellirilevava di condividerne completamente il modo di vedere.

735

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. PER CORRIERE 861. Londra, 7 giugno 1919.

Mio telegramma (per posta) n. 7881.

Sir Samuel Hoare, presidente del Consiglio per le importazioni (Board of Trade) mi ha inviato una lunga lettera, in risposta al memorandum che gli avevo consegnato ed alle varie considerazioni da me svoltegli nei frequenti nostri colloqui.

Deputato Hoare riconosce che un arresto subitaneo nel commercio fra Inghilterra e l’Italia avrebbe gravi conseguenze, ed aggiunge che vedrebbe con grande piacere qualsiasi azione diretta a rafforzare i vincoli commerciali tra i due paesi.

Egli promette tutto il suo appoggio presso le autorità inglesi in questo senso; e spiega, poi, quali siano state le funzioni del Consiglio da lui diretto. Il Consiglio era puramente consultivo; e doveva esaminare la questione dell’importazione dall’esclusivo punto di vista delle condizioni interne inglesi. I problemi internazionali, connessi con le importazioni e le esportazioni, restano di competenza del Foreign Office, al quale spetta esporre al Board of Trade tutti gli argomenti diretti a modificare le sue decisioni, e ciò al fine di armonizzarle con gli accordi internazionali esistenti e con la politica generale interalleata.

La lettera dell’Hoare mi sembra importante perché assicura alla nostra causa la cooperazione di un personaggio politico influente, sia per la sua posizione sociale, che per la sua qualità di presidente di un Consiglio, che è stato chiamato a regolare tutta la complessa materia delle restrizioni alle importazioni, ed i cui pareri sono stati costantemente adottati dal Board of Trade.

Per confermare il Hoare nelle sue buoni disposizioni verso di noi, gli ho, in risposta alla lettera ora citata, inviato immediatamente un nuovo memorandum, approntato dal professor Pardo, del quale segnalo a Vostra Eccellenza la cordiale collaborazione. In questo memorandum ho creduto opportuno ricordare che il Governo italiano non aveva finora imposte nuove restrizioni all’importazione delle merci inglesi in Italia, per quanto le denuncia dell’accordo da parte del Governo inglese avrebbe potuto giustificare tale provvedimento. Ho rilevato, anzi, che il recente decreto del 13 maggio u.s. circa l’Istituto nazionale dei cambi, aveva reso sensibilmente più facile il pagamento delle merci acquistate all’estero da parte di importatori italiani, facilitando in tal modo le transazioni commerciali con l’estero, e promuovendo l’invio di merci dall’Inghilterra in Italia.

Ho accennato al fatto che il Board of Trade aveva finora seguito costantemente il parere dato dal Consiglio delle importazioni; ed ho messo in rilievo la necessità che persona influente e competente prospettasse al Board of Trade le ragioni di ordine internazionale e di politica generale che militano per temperare il punto di vista prevalentemente protezionista seguito dal predetto Consiglio. Ho spiegato come le merci

italiane importate in Inghilterra, mentre non danneggiano alcuna industria prettamente inglese, hanno grande importanza per l’economia nazionale dell’Italia; e l’ho informato che il nostro delegato commerciale aveva sottoposto al Board of Trade una proposta tendente a sostituire un nuovo accordo a quello denunziato dal Governo inglese, accordo che certamente sarebbe riuscito vantaggioso ai due paesi. Ho infine fatto appello alla sua preziosa cooperazione, perché il Board of Trade si induca ad accettare questa proposta.

D’altra parte informo Vostra Eccellenza che il Consiglio delle importazioni sopra menzionato ha terminato i suoi lavori, e che il Board of Trade ha promesso al nostro delegato commerciale di dare una risposta esauriente e definitiva in merito alla questione delle importazioni italiane in Inghilterra.

Da parte mia continuo a tenermi in contatto sia con le autorità inglesi, che con varie personalità politiche, per ottenere una soluzione confacente alle nostre domande; e non mancherò di informare Vostra Eccellenza di ogni ulteriore svolgimento della questione.

735 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

736

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL

NOTA 1826. Parigi, 7 giugno 1919.

L’opera del comandante Levi Bianchini si è svolta dall’agosto fino alla fine di novembre in Palestina, Siria ed Egitto, dove ne è risultata una azione assai utile al nostro prestigio e una diffusione delle nostre idee liberali. In questo primo periodo le difficoltà incontrate dal comandante nello svolgimento della sua missione non furono molto gravi ed egli ne approfittò per studiare a fondo il paese ed il sistema di amministrazione inglese. Dietro vive insistenze del r. ministro al Cairo e del capitano Soragna inviato, per conto del R. Ministero, a Gerusalemme, dai quali si ricevettero rapporti molto favorevoli, si consentì a prolungare la missione e, dopo una breve permanenza in Europa, il comandante ritornò in Palestina rimanendovi dal febbraio fino ai primi di maggio. In questo secondo periodo le condizioni furono particolarmente difficili, e concordemente fu riferito al R. Ministero che si deve per molta parte alla fermezza e al tatto di detto ufficiale nonché alle savie disposizioni da lui suggerite in seguito al servizio di informazioni che egli aveva potuto iniziare, se furono evitati quegli eccessi e quei massacri che nello stesso torno di tempo si ebbero a lamentare in Egitto e in India. Le autorità inglesi riconobbero l’utilità dei servizi del comandante e la saggezza del suo comportamento in un telegramma di cui già fu inviata copia a V.E.1. Conse

guenza diretta di questa azione è una grande fiducia di tutti gli elementi locali nell’avveduta opera di questo ufficiale e una quantità di amicizie che mercé sua e attraverso la di lui persona potranno tornare utili al nostro paese.

Le autorità inglesi in vari modi manifestarono il desiderio che il comandante ritornasse in Palestina a continuare la sua opera saggia e moderatrice ma, come fu prospettato verbalmente a V.E., è opinione di questo Ministero che l’influenza procacciatasi da detto ufficiale debba essere sfruttata a scopo più diretto.

L’elemento israelita sefardita in Mediterraneo ha una grande importanza; dai centri di Salonicco di Smirne e di Costantinopoli vengono continui appelli per una più stretta unione con Trieste Livorno e in genere con l’Italia e si tratta di elementi i quali conoscono bene il paese dove vivono e sono attratti verso di noi dalla nostra politica realmente liberale alla quale negli ultimi tempi fa contrasto specialmente quella della Francia. Gli elementi israeliti mediterranei, i quali se non avversi sono almeno refrattari al sionismo, potrebbero venire federati in una unione che farebbe capo ad un ufficio di segreteria di Roma il quale sarebbe incaricato di raccogliere e accentrare tutto quanto ad essi si riferisce. Quando si rifletta alla probabilità di un movimento panturco e quando si consideri che nei paesi sia in Arabia che Turchia in caso di movimenti xenofobi l’unico elemento che ne rimarrebbe esente è l’elemento ebraico, non si può disconoscere l’enorme importanza che per noi avrebbe l’aver anche in tempi gravi gente a noi devota nei paesi pressoché isolati e in circostanze normali avere copia d’informazioni e d’influenza politica e commerciale.

Si propone dunque a V.E. di approfittare dell’esperienza e della posizione personale che detto comandante gode presso gli israeliti e presso le autorità inglesi per volerne fare un agente di collegamento tra le forze anzidette e la madre patria.

La missione e la nave che V.E. potrebbe affidare a detto comandante avrebbe un carattere commerciale e su di essa sarebbero imbarcati uno o due delegati commerciali indicati da questo Ministero. L’azione politica potrebbe essere svolta da detto comandante in base a direttive impartitegli dal Ministero degli esteri delle quali sarà data conoscenza a V.E.

I risultati ottenuti dal Levi Bianchini in Palestina, il tatto e l’equilibrio dimostrato in varie difficili occasioni danno sufficiente affidamento che egli saprà non urtare alcuna suscettibilità delle persone o delle autorità con le quali verrà in contatto. Ma naturalmente perciò si richiede che gli venga lasciata una gran latitudine e che

V.E. voglia confermargli la fiducia che dal R. Ministero degli affari esteri si ripone in lui. In altre parole salvo quelle limitazioni e quelle garanzie di carattere militare professionale, l’impartire le quali è prerogativa di V.E., penso che il comandante Levi Bianchini dovrebbe avere larga indipendenza d’azione riferendo direttamente all’E.V. ed al Ministero degli esteri.

Quanto alla data d’inizio della missione, mi riservo di indicarla a V.E. con esattezza tra qualche giorno poiché potrebbe presentarsi una occasione favorevole per utilizzarlo in missione temporanea di circa un mese a Costantinopoli e nella regione caucasica. Il campo d’azione dello stazionario dovrebbe andare da Alessandria d’Egitto fino a Costantinopoli in un primo periodo, salvo ad estenderlo in seguito da Costantinopoli fino a Baku. Senza avere la pretesa d’indicare quale potrebbe essere la nave meglio adatta a questa missione, si fa presente che essa dovrebbe essere un poco rappresentativa, in maniera da poter ricevere a bordo qualche autorità e dare un’impressione di snellezza e di potenza quali facili a riscontrare in tipi simili a quelli del nostro «Coatit».

Circa la durata della missione, essa dovrebbe essere per ora quella necessaria ad una crociera nei mari suddetti, salvo a deciderne di comune accordo la continuazione quando si siano avuti i precisi e sicuri risultati della visita ai porti di Levante e del Mar Nero.

736 1 Il riferimento è al T. 1810 di Sonnino a Revel del 6 giugno che riporta un telegramma delgenerale Clayton a Balfour in cui si afferma: «Commandant Bianchini has been most useful as a memberof the Zionist Commission. He has always co-operated closely with military authorities by whom his services are much appreciated. I trust his Government will allow him to return as his influence is wiselyexercised in direction of moderation».

737

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU, IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, LLOYD GEORGE E IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

MEMORANDUM. Parigi, 7 giugno 1919.

MEMORANDUM AS TO A SUGGESTED BASIS FOR SETTLEMENT OF THE ADRIATIC QUESTION, SUBMITTED FOR ELABORATION AND DEFINITION BY EXPERTS

First. A free state to be set up within the following limits, except as it may be deemed best by the experts to realign these limits to correspond with the natural configuration of the country: beginning at the «American» line on Parallel 14° just north of Kirchheim, and following the line south to Fianona on the Istrian Peninsula, where it should run to the sea, extending it from Fianona southward around the Island of Cherso, thence northward and around the Island of Veglia, striking the mainland just west of the Bay of Buccari, and running thence north and northeast to Mount Risnjak, and thence northwest to join the «London» line due east of Adelsberg or Zirknitz, and thence northwestward along the «London» line to the point of beginning.

Second. Fiume, within this free state, to be a corpus separatum only in the limited sense in which it has been a corpus separatum under the sovereignty of Hungary. The state to enjoy absolute self-government under the superintendence of a Commission of the League of Nations consisting of two representatives of Italy, one representative of the free state itself, one representative of the Kingdom of the Serbs, Croats and Slovenes, and one representative representing a power other than these and chosen by the Council of the League of Nations.

Third. Full guarantees and safeguards to be provided that the States lying back of the Port of Fiume shall have free use of and access to the port upon terms similar to those upon which the use of the Port of Dantzig is secured to Poland. Full guarantees and safeguards also as to rights of residence without discrimination of nationa

737 Edito in FRUS, vol. VI, pp. 249 sgg. Il memorandum, rimesso ad Orlando a nome anche diClemenceau e Lloyd George, viene tuttavia ricordato come «memorandum Wilson». La traduzione italiana del documento reca le seguenti annotazioni manoscritte: «Consegnato dal pres. Wilson per conto delsignor Clemenceau, del signor L. George e di lui stesso, al signor Orlando il 7 giugno 1919».

lity, and as to equal opportunities for the use and investment of capital in the development of the port or of its business, without discrimination between nationalities.

Fourth. At the end of a period of five years from the signing of the agreements upon which this settlement is based, a plebiscite to be taken within this free state as a unit (not by parts) for the determination of the question whether the people of the state desire to be placed under the sovereignty of Jugo-Slavia, or under the sovereignty of Italy, or to remain a free state under the League of Nations. A special commission to be provided for the conduct and superintend this plebiscite, which shall have the right to lay down the conditions under wich it is to be held. One of those conditions to be that no one shall have the right to vote in the plebiscite who was not a resident of the area included within the state on the first of August, 1914.

Fifth. The islands surrounded by a red pencil mark on the attached map1 to be assigned in sovereignty to the Kingdom of Italy, with the exception of those in the immediate vicinity of the Port of Sebenico, on the condition that Italy is to maintain no fortifications whatever on those islands and no naval bases. The same limitations to be imposed upon the Kingdom of the Serbs, Croats and Slovenes with regard to the islands remaining in their possession.

Sixth. The rights of national or racial minorities to be guaranteed and safeguarded within all the districts in question in this settlement by both the sovereignties concerned.

Seventh. The City of Zara to be created a free city under the League of Nations, representation of the city in respect of all its foreign relations to be assigned to Italy.

Eighth. The Assling Junction triangle to be definitely assigned to the Sovereignty of Jugo-Slavia.

738

IL MINISTERO DELLA GUERRA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 8049. Roma, 7 giugno 1919 (perv. il 10).

A seguito del foglio 7300 in data 3 corrente1 si trasmette l’unito foglio2 col quale viene richiesto a questo Ministero il transito per l’Italia di carri ferroviari trasportanti materiali della Croce Rossa americana destinati in Albania.

738 La nota è firmata, «per il ministro», dal generale addetto Malladra.

1 Non rinvenuto.

2 Non si pubblica.

Al riguardo questo Ministero non ha che a confermare quanto ha esposto col suo foglio sopracitato circa l’opportunità di evitare una maggiore penetrazione degli americani in Albania, dato che essi svolgono colà una intensa azione di propaganda contraria ai nostri interessi.

Deve segnalare inoltre come sia ormai necessario porre un freno alla molteplicità di enti degli S.U. d’America che si rivolgono direttamente alle autorità centrali del

R. Governo per ottenere le più disparate concessioni e autorizzazioni.

Cessato lo stato di guerra, la cooperazione di unità dell’esercito americano alla nostra fronte e quindi la necessità di provvedere, talvolta con la massima urgenza e spigliatezza di procedura, alle varie occorrenze, sembra che debba ripristinarsi la via regolare dalle comunicazioni e dei rapporti con le autorità del R. Governo, per modo che esse siano rivolte per mezzo degli enti ufficialmente stabiliti in Italia e accreditati presso il R. Governo.

Sull’opportunità della concessione di cui all’unito foglio della C.R.A., questo Ministero si rimette alle decisioni di codesto, esprimendo per parte sua parere contrario; ritiene poi che sulla possibilità tecnica di continuare a gravare i nostri trasporti ferroviari e marittimi con materiali provenienti dall’estero, non strettamente necessari, sia da interpellarsi da codesto Ministero il competente Ministero per i trasporti3.

737 1 L’edizione FRUS reca qui la seguente nota: «No map accompanies the minutes». La traduzione italiana del documento reca invece la seguente annotazione manoscritta: «Le isole segnate sono: ilgruppo di Lussin e giù giù tutte le isole del canale Zara Sebenico fino a Curbavoja, il gruppo di Lissa eCozza, Cozzivi e Lagosta».

739

L’ESPERTO TECNICO, NOBILI-MASSUERO, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

L. 95. Parigi, 7 giugno 1919 (perv. il 9).

Non contenti dei 720.000 Kmq. di territorio e dei due milioni e mezzo di abitanti acquistati nel Togo e nel Camerun, i coloniali francesi appuntano i loro desideri verso altri paesi africani che si trovano sotto il dominio di piccole nazioni. In tale tendenza sembrano guidati da uno spirito imperialistico assai simile a quello che aveva invasato i pangermanisti e che è assai bene illustrato da questa affermazione contenuta nella nota del «Temps» del 6 corr.:

«Djibouti abandonné ce serait une cassure irrémédiable dans la grande route française qui encercle le globe et que notre mission sera demain d’organiser».

Dunque i coloniali francesi intendono encercler le globe e vanno in cerca di nuovi paesi da organizzare. Henri Lorin nella «Dépêche Coloniale» del 5 corr. mese ne ha trovato uno e di brillante avvenire: il Congo Belga. «Non si potrebbe — egli scrive — associare gli interessi della grande colonia belga con quelli dei nostri possedimenti dell’Africa occidentale e centrale? E perché non estendere questa cooperazione alle vicine colonie della Spagna e del Portogallo?».

Le domande hanno speciale valore non tanto pel giornale quanto per l’uomo da cui provengono. Henri Lorin, come l’E.V. ben conosce, è autore di diverse opere di economia coloniale, segretario generale della Società di geografia commerciale di Parigi e, quel che più conta in questo momento, comandato al Gabinetto del presidente Clemenceau con l’incarico di seguire le questioni economico-coloniali. E poiché la mia breve esperienza m’insegna che, prima di compiere qualche passo in materia coloniale, il Governo francese suole far muovere la penna dei suoi vari Fidel, così non mi sembra di essere arrischiato esprimendo il dubbio che l’articolo su citato possa preannunziare l’intavolazione di pratiche col Belgio per un’intesa, per ora economica, riguardante il Congo.

Pel caso in cui tale eventualità si avverasse, mi permetto sottoporre all’esame dell’E.V. la convenienza di avviare da parte dell’Italia col Belgio, per quanto riguarda il Congo, accordi simili a quelli che si stanno trattando col Portogallo relativamente all’Angola.

Qui, non so per quali motivi, si pongono da un canto, dalle speciali commissioni che se ne dovrebbero occupare, le questioni economiche riguardanti i nostri rapporti con le colonie ed i protettorati degli altri paesi, non preoccupandosi della situazione che si viene creando all’Italia, alla quale, mentre non sono stati assicurati compensi coloniali sufficienti a fornirle le materie prime tropicali delle quali ha bisogno, si preparano condizioni tali per cui le sarà reso oltremodo difficile l’approvvigionamento diretto di tali materie dalle colonie altrui.

L’Italia dovrà, così, continuare a comperare a Londra o a Marsiglia, a caro prezzo, l’esuberanza e lo scarto delle materie prime di origine africana destinate alle industrie inglesi e francesi.

Ma se tale danno non potrà evitarsi, sembra che si possa provvedere a tempo a non lasciarci soppiantare anche in paesi che, a quanto mi si dice, ci aspettano a braccia aperte.

Un altro motivo dovrebbe spingere l’Italia a precedere la Francia in un organico piano di collaborazione economica col Belgio per quanto riguarda il Congo e consisterebbe questo nella probabile partecipazione di capitale italiano nella ferrovia del Katanga, in conseguenza degli accordi in corso col Governo portoghese circa l’Angola.

Come già scrissi nel mio rapporto n. 82 del 24 maggio u. sc.1, sembra che poderosi interessi italiani vadano orientandosi verso il Congo Belga. Se questa azione privata verrà sorretta dal Governo e coordinata con l’iniziativa Solari, potrà l’Italia fare

ciò che Lorin vorrebbe fosse compiuto dalla Francia: istituire cioè una linea di navigazione col Congo Belga e con l’Angola. Mediante accordi economici con il Belgio ed il Portogallo, senza rinunziare alle sue rivendicazioni coloniali nell’Africa Orientale, potrà l’Italia trovare nel lato opposto di quel continente un campo di lavoro che la compensi, almeno in parte, sia dell’avarizia francese che del protezionismo avvicinantesi a rapidi passi negli imperi coloniali altrui2.

738 3 Annotazioni manoscritte di Manzoni: «14/VI [...] credo che l’attuale concessione debbafarsi; che si possa dire di non poter in avvenire concedere ulteriori facilitazioni se non chieste a traversotramite regolare del tempo di pace; che la propaganda americana non vi sarebbe se l’azione americanafosse stata prevenuta da saggia azione nostra». A sua volta, con T. 10874 del 19 giugno, Borsarelli, dopoaver rilevato la difficoltà di opporre un rifiuto alle richieste della Croce Rossa americana e la necessitàche ogni mutamento di procedure dovesse applicarsi ugualmente a tutti i paesi, così concludeva: «Quantoalla migliore difesa contro l’asserita invadenza nord americana in Albania essa, a mio avviso, è da trovarsi in una efficace ed intensa azione nostra nel prevenire quei bisogni locali ai quali la C.R. americanatende a dare soddisfazione».

739 1 Non rinvenuto.

740

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, E AL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA

T. GAB. 164 BIS. Roma, 8 giugno 1919, ore 7,30.

Comandante «Duilio» telegrafa in data 6 quanto segue: «Comando inglese rispondendo mia nota citata mio telegramma 423 mi partecipa avere comunicato alto commissario greco quanto segue: 1) nessuna truppa greca deve rimanere sud linea congiungimento Ayasoluk Aidin né a sud ferrovia Aidin-Nazli. 2) Che occupazioni greche fatte fuori Aidin Nazli devono considerarsi provvisorie e in attesa(...) relativi che Conferenza Parigi assegna greci. 3) È fortemente deplorabile che forze armate, qualunque potenza, compiano occupazione località con intenzioni precedere decisioni Conferenza Parigi1.

ALLEGATO

APPUNTO DELL’ESPERTO TECNICO, GALLI

[Parigi], 8 giugno 1919.

Le istruzioni che il comando navale inglese ha dato all’alto commissario greco a Smirne non sono esattamente conformi a quelle che il 4 corr. Hardinge assicurava a Vannutelli sarebbero state mandate.

Il punto 2 fa anzi credere che i greci non debbano ritirare le loro truppe dai luoghi occupati fuori della linea Aidin Nazli, mentre invece noi esigiamo che esse siano subito ritirate ed a rispetto delle decisioni del Consiglio dei quattro e ad evitare incidenti spiacevoli per i greci.

Converrebbe perciò chiarire nuovamente la cosa con Hardinge.

Comunque le nostre truppe hanno ormai precise istruzioni e potrebbe essere utile lasciarlo capire agli alleati come ai greci.

È da ritenersi che la deplorazione di cui al punto 3 possa riferirsi anche a distaccamenti militari di grandi potenze, oltre quelli dell’Italia cui può essere anche diretta la allusione2.

739 2 Annotazione manoscritta a margine: «S.E. il ministro desidera che se ne scriva agli Esteri».

740 1 Sulla questione si veda D. 706. Ad essa si riferisce anche un breve appunto dell’espertotecnico Carlo Galli, dello stesso giorno, che qui si allega. Il testo in arrivo reca poi, a margine, laseguente annotazione manoscritta di Galli: «Circa il punto 2 del presente telegramma mi richiamo aquanto scritto ieri [in realtà l’8 giugno, cfr. Allegato] a proposito di analoga comunicazione fattamidagli uffici militari, confermando essere necessaria una conversazione con Hardinge per nuove preciseistruzioni. 10/6/1919».

741

IL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1707/1152. Atene, 8 giugno 1919, ore 13,30 (perv. ore 8 del 10).

Ho già precedentemente riferito a V.E. le voci riportate dalla stampa così serba che greca circa preteso rinnovamento del trattato di alleanza tra la Grecia e la Serbiaspecialmente per quanto riguarda le clausole militari del medesimo. È da notare che le informazioni che davano come già raggiunto un accordo in proposito sono sempre venute da parte della stampa serba, mentre quelle greche non hanno mai mancato di esprimere parere che un rinnovamento del patto dovrà tener conto delle mutate condizioni derivate dalla guerra e dall’espansione dei territori dei due Stati e che occorre vengano trattate fra di essi le questioni territoriali ancora pendenti. Gli accenni comparsi a tale proposito nello «Elefterios Tipos», in una intervista concessa da Politis al direttore del giornale, secondo cui il ministro degli affari esteri greco aveva espresso dei dubbi sulla attuale validità del trattato serbo-greco (mio telegramma 1067)1, sono ricomparsi in un altra intervista pure attribuita al signor Politis al direttore del «Journal de Genève» e che non fu smentita. Rimanevano tuttavia sempre le dichiarazioni fatte da Conduriotis, ministro di Grecia a Belgrado, a un giornalista di Salonicco, per quanto ad esse non si potesse attribuire soverchia importanza essendo notoria la leggerezza e la fatuità di questo diplomatico che è inoltre fra i rarissimi greci aventi sentimenti serbofili.

Le informazioni da me raccolte mi inducono ritenere che, se di nuovo accordo si è trattato, l’iniziativa è venuta da parte serba, ma che non è stato finora concluso.

Per meglio sincerarmene ne ho tenuto (...) parola con questo ministro degli affari esteri. Il signor Diomidis mi disse era lieto che io gliene avessi accennato. Egli poteva insomma assicurarmi che tutto quanto era stato scritto in proposito era una pura invenzione giornalistica fondata sul linguaggio inconsulto del Conduriotis il quale per averlo tenuto non sarebbe più tornato a Belgrado ed ha aggiunto che Venizelos è troppo accorto e prudente per assumere nel momento attuale nuovi impegni con la Serbia.

741 1 Non rinvenuto.

740 2 Annotazioni m.s. a margine «Si potrebbe incaricare S.E. Imperiali».

742

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1704/223 RR. PERS. Sofia, 8 giugno 1919, ore 17 (perv. ore 18 del 10).

È stato di passaggio Sofia signor Crane amico personale di Wilson, che si reca Turchia nota missione americana. Egli ha fatto confidenze dalle quali apparirebbe che delegazione americana nonché presidente sarebbero sotto influenza personale di Venizelos. Questi fra le altre cose profitterebbe della sua conoscenza della complicata situazione attuale per far prevalere una politica tortuosa contraria alla Bulgaria. Metamorfosi Lansing sarebbe diffidenza verso tale politica. Dalle cose riferitemi sembrerebbe che per contrastare efficacemente intrighi greci, cui la stessa politica francese presterebbe mano, converrebbe fra altro cautela seguire linea di condotta energica nei Balcani, appoggiandoci anche alla Bulgaria a cui fra poco potenze, dopo successiva smobilitazione, non saranno più in grado imporre propria volontà a favore della Grecia. Sarebbe logico pensare che per tali considerazioni Franchet d’Esperey farebbe ora sforzo per indebolire Bulgaria nonché scalzare nostra influenza con ogni mezzo.

743

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 8 giugno 1919, ore 19,30 (perv. ore 11,50 del 9).

Il ministro Colosimo l’avrà certamente intrattenuto della grande importanza di fare qualche cosa per alleviare il caro viveri nelle grandi città.

Per quello che può valere riferisco che oggi persona molto seria e molto pratica della Russia mi ha detto che, per affermarsi anche temporaneamente nelle regioni ricche della Georgia, occorrerebbero almeno centomila uomini, e che queste forze, dovendosi molto frazionare, per azioni di sorveglianza, sarebbero facilmente esposte a seri pericoli, anche di infezione bolscevica, come sarebbe parzialmente successo alle truppe francesi nel Mar Nero.

744

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 12844. Roma, 8 giugno 1919, ore 24.

Riferimento ai telegrammi da Addis Abeba n. 59 e 64 del 28 e 26 maggio

n. 1868 della raccolta1.

Pochi giorni prima che giungessero i due telegrammi sopra citati questo ambasciatore d’Inghilterra segnalava con lettera particolare al sottosegretario di Stato il rincrudirsi delle rivalità fra ras Tafari e l’imperatrice, appoggiata dal fitaurari Apte Ghiorghìs, ed accennava all’opportunità che il Regio Governo desse al proprio rappresentante in Addis Abeba le stesse istruzioni impartite dal Governo britannico al proprio ministro in Etiopia, di far cioè intendere ai suddetti rivali quale danno potrebbe causare all’Etiopia, nei suoi rapporti coll’Europa, lo scoppio di un moto rivoluzionario.

Il sottosegretario di Stato, presi accordi col Ministero delle colonie, rispose il 30 maggio scorso a sir J. Rennell Rodd, pure privatamente, che non aveva ancora avuto notizia dell’aggravarsi delle rivalità fra capi abissini, che ad ogni modo ove ci giungesse conferma delle notizie da lui comunicate non avremmo avuto alcuna difficoltà di suggerire al conte Colli di mettersi d’accordo col suo collega di Inghilterra per informare tanto l’imperatrice quanto il fitaurari Apte Ghiorghìs e ras Tafari del pregiudizio che avrebbe causato in Europa una rivoluzione che fosse scoppiata in Etiopia. Questo suggerimento avrebbe dovuto dal r. ministro in Addis Abeba essere dato come se fosse di propria iniziativa, per evitare che potesse sorgere qualsiasi anche menomo dubbio che l’Italia si mischiasse negli affari interni dell’Abissinia.

Informo l’Eccellenza Vostra che invio copia di questo telegramma alle Regie Ambasciate in Parigi e Londra e La prego di farmi conoscere le istruzioni ch’Ella credesse impartite loro in proposito.

745

IL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI, AL MINISTRO DEL TESORO, STRINGHER

T. 3052. Parigi, 8 giugno 1919.

Essendosi in massima deciso la nostra occupazione militare temporanea della regione caucasica per uno scopo esclusivamente economico bisogna preparare un programma pratico di attuazione. A mezzo dell’ingegnere Nogara vennero già sonda

745 Il telegramma, controfirmato da Sonnino, fu inviato al MAE con preghiera di comunicazioneurgente a Stringher.

ti i gruppi finanziari russi interessati nell’industria petrolifera i quali si sono dichiarati pronti ad accogliere nelle imprese già esistenti la collaborazione finanziaria italiana coll’impegno di dirigere esclusivamente nell’Italia i loro prodotti di esportazione e reciprocamente di fornirsi in Italia di materiale di impianto. Per quanto riguarda le nuove intraprese gli stessi gruppi finanziari sono d’accordo di riservare al capitale italiano almeno il 50 per cento di partecipazione.

L’ing. Nogara esprime molto fermamente l’opinione che l’azione economica italiana per essere rapida sicura e fruttifera deve essere fatta in base ad accordo con i gruppi finanziari russi integrando con accordo politico. Delle trattative di massima sono già in corso1 e prima che esse prendano una forma definitiva desidero conoscere telegraficamente anche il suo pensiero.

744 1 Vedi DD. 635 e 612.

746

IL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI, AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

L. 432. Parigi, 8 giugno 1919.

Con riferimento al mio telegramma n. 622 del 31 maggio u. sc.1 ultimo comma, mi pregio trasmettere qui acclusa a V.E. la relazione da presentarsi da Lord Milner, dal signor Simon e da me al Consiglio supremo interalleato (Consiglio dei quattro) sui lavori della Commissione istituita il 7 maggio u. sc. per l’applicazione dell’articolo 13 del Patto di Londra2:

Due punti dell’unita relazione meritano uno speciale chiarimento: quello riguardante la concessione di un deposito di carbone alla Francia nel territorio di Gibuti, e quello riguardante la nostra richiesta di mandato sul Togo.

Esclusa per la recisa opposizione dell’Inghilterra la possibilità di fare accordare alla Francia un punto franco di scalo nell’Arabia meridionale (isole Farsan o Scekh Said), dovetti ricorrere all’offerta di uno scalo nel territorio di Gibuti come argomento di maggiore efficacia nelle trattative coloniali, a nostro favore.

Quanto alla nostra richiesta di mandato sul Togo (fatta, si può dire, in extremis, quando l’opposizione francese per Gibuti si era palesata irreducibile), essa parve tale da poter costituire una ragionevole soluzione della complicata questione, considerata specialmente la reale situazione delle cose creatasi dopo la seduta del 7 maggio del Consiglio dei quattro. In quella seduta infatti, ad onta delle osservazioni di S.E. l’on.

746 La lettera con gli allegati fu trasmessa in copia a Orlando in pari data, con L. 434.

1 Vedi D. 658.

2 Non si pubblica. Edita in SALATA, D. 9.

Orlando, l’assegnazione dei mandati coloniali alla Francia ed all’Inghilterra ebbe valore di cosa giudicata. Se era quindi già assai discutibile che noi riaprissimo la questione in seno ad una Commissione che aveva per unico scopo quello di definire i compensi spettanti all’Italia per l’articolo 13 del Patto di Londra, ben più arduo, per non dire impossibile, sarebbe stato per noi chiedere il Camerun che costituisce l’unico compenso, pur se ricco e vasto, ottenuto dalla Francia in Africa.

E ciò prescindendo da considerazioni di maggior dettaglio riguardanti la potenzialità economica del Togo, che, da recenti dati qui accuratamente raccolti, risulta tutt’altro che trascurabile.

È anche unito alla presente lettera il testo per la relazione della Commissione coloniale nella redazione primitiva presentata dal segretario francese3, nonché copia della breve nota accompagnatoria del segretario italiano4.

ALLEGATO I

L’ESPERTO TECNICO, PIACENTINI, AL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI

NOTA. Parigi, 6 giugno 1919.

Mi pregio rimettere qui accluso a V.E. un esemplare della «Relazione della Commissione coloniale» da presentarsi al Consiglio dei quattro, relazione redatta dai segretari francese e inglese, signori Duchêne e Vansittart, e dal sottoscritto, per incarico di V.E., del signor Simon e di Lord Milner.

Il primitivo testo della relazione, che pure accludo qui in copia, era stato redatto dal segretario francese signor Duchêne. Non ho creduto poterlo accettare perché poco chiaro, e troppo incompleto nella esposizione dei lavori della commissione e perché contenente affermazioni inesatte a riguardo dell’Italia. Ho quindi io stesso redatto un nuovo testo che — salvo poche modificazioni — è stato approvato all’unanimità dai tre segretari incaricati, come quello che riproduceva in modo obbiettivo i lavori della commissione e le ragioni per cui la commissione stessa aveva creduto di rimettere al Consiglio dei quattro il mandato affidatole.

Copia della relazione è stata inviata dal sig. Vansittart a lord Milner che trovasi a Londra.

Il sig. Duchêne ne ha a sua volta dato comunicazione al sig. Simon, che in massima la ha accettata, pur rilevando essere, a parer suo, un po’ troppo lunga.

Mi permetto non ritenere interamente giusto tale rilievo; la relazione consta solo di 6 pagine, e la materia trattata, e specialmente le ragioni della divergenza tra i criteri italiani e quelli degli alleati, richiedevano chiarezza e adeguato sviluppo.

ALLEGATO II

CRESPI A COLOSIMO

APPUNTO. Parigi, s.d.

In seguito alle riserve espresse dai rappresentanti della Francia e dell’Inghilterra in merito alla portata delle nostre pretese coloniali, ogni decisione è stata rimessa al Consiglio Supremo interalleato. Lo stato della discussione al momento della sospensione dei lavori era il seguente:

1) L’Italia accetta sotto certe riserve di definire in seguito fra i due Governi la proposta inglese concernente lo Jubaland;

2) L’Italia accetta dall’Inghilterra la rettifica della frontiera della Cirenaica e dell’Egitto;

3) La Francia e l’Inghilterra non credono poter dare la loro adesione all’incorporazione della Somalia Francese e della Somalia inglese nei possedimenti italiani;

4) L’Italia non accetta la parte del Tibesti offerta dalla Francia e ritira la domanda che essa aveva rivolta a questa potenza in vista della rettifica della frontiera occidentale e meridionale della Libia; di conseguenza l’Italia intende che resti aperta fra essa e la Francia la questione coloniale africana;

5) L’Italia sarebbe pronta a rinunciare ad ogni pretesa sulla costa francese dei Somali e sul Somaliland inglese se le fosse affidata l’amministrazione dell’antica colonia tedesca del Togo;

6) I rappresentanti della Francia e dell’Inghilterra considerano questa nuova domanda come inconciliabile con il mandato che essi hanno ricevuto dal Consiglio Supremo Interalleato il 7 maggio 1919;

7) La Francia accetta la rettifica della frontiera occidentale della Libia che le era stata domandata prima e mantiene l’offerta che ha presentato all’Italia in vista di cercare le basi di una nuova delimitazione nella regione del Tibesti5.

745 1 Sulla questione Nogara ebbe il 9 giugno un colloquio con Sazonov, ministro degli esteri delGoverno provvisorio russo di Omsk, e ne riferì ampiamente a Sonnino in una lettera dello stesso giorno(edita in SONNINO, Carteggio, D. 457).

746 3 Non si pubblica.4 Vedi All. I. Si pubblica inoltre (All. II) un breve appunto di Crespi per Colosimo sullo statodella discussione al momento della sospensione dei lavori.

747

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL COMANDO SUPREMO UFFICIO OPERAZIONI

NOTA 12143. Parigi, 8 giugno 1919.

Nel mattino di ieri 7 giugno il Comitato militare di Versailles ha discusso, su richiesta del Consiglio dei quattro, un progetto di intervento militare interalleato in Ungheria, inteso a metter termine agli attacchi delle truppe ungheresi contro gli czeco-slovacchi.

747 La nota, firmata da Cavallero come rappresentante militare permanente nel Consiglio supremo di guerra, fu inviata per conoscenza al Ministero della guerra, Div. S.M., al 1° aiutante di campo delre e al MAE.

Poiché, fin dall’inizio della seduta si rivelò manifesta, da parte dei francesi e in minor grado anche degli inglesi, la tendenza a considerare necessaria ed urgente l’effettuazione di operazioni militari in Ungheria con occupazione di Budapest per parte di truppe serbe, ho ritenuto mio dovere di far osservare che, prima di decidere per l’intervento, si dovessero ricercare le cause dell’azione militare intrapresa dagli ungheresi contro gli czechi; ed ho fatto rilevare come secondo notizie pervenute da sicura fonte al Comando supremo, l’azione ungherese dovesse considerarsi come una reazione contro una grave provocazione czeca. Risultava invero che il 27 aprile

u.s. il Governo czeco-slovacco aveva dato alle proprie truppe l’ordine di oltrepassare la linea d’armistizio fissata dal generale Franchet d’Esperey e di occupare le località situate oltre tale linea che gli ungheresi avrebbero dovuto sgombrare perché occupati ad oriente a contenere l’avanzata romena. Ho anche fatto considerare come la puntata czeca, effettivamente eseguita, tendesse a minacciare la regione dei monti Matra, dove sono gli ultimi giacimenti metalliferi che ancora rimangano alla nuova Ungheria, e ciò mentre già una gran parte della nuova Ungheria è invasa dai romeni; circostanza questa cha spiega agevolmente la violenza della reazione ungherese, la quale ha respinto gli czechi al di là della linea di armistizio da essi precedentemente violata.

Ho dunque concluso, nonostante la recisa opposizione del rappresentante francese, che una azione politica, colla quale ambo le parti vengano richiamate all’osservanza della linea d’armistizio, potrebbe meglio giovare che non una azione militare; la quale si presenterebbe del tutto ingiustificata. Questa tesi ha trovato appoggio nel rappresentante americano il quale, dopo aver ricordato la recente invasione dell’Ungheria orientale, compiuta dai rumeni, espresse dei dubbi sulla convenienza di un’azione militare condotta con elementi rumeni e serbi, dimostratisi finora così poco docili agli ordini della Conferenza.

Mi sono associato a tale dichiarazione, facendovi aggiungere le mie precedenti osservazioni; il tutto venne allegato al progetto del Comitato di Versailles.

In seguito a ciò, fu deliberato di dare al progetto un carattere strettamente tecnico, sopprimendo qualsiasi accenno alla convenienza di operazioni militari ed esprimendo soltanto il parere che sia necessario affrettare il rinforzo dell’esercito czecoslovacco. A questo proposito, non ho potuto ragionevolmente oppormi a che venisse deliberata la provvisoria cessione alla Czeco-Slovacchia di materiali da guerra già appartenenti al cessato impero austro-ungarico, disponibili in Austria; ho ottenuto però che tale cessione venga effettuata per cura della Commissione italiana d’armistizio di Vienna anziché per l’intermediario del generale Hallier come il rappresentante francese proponeva.

In seguito a tali deliberazioni il Consiglio dei quattro, riunitosi nel pomeriggio di ieri, ha deliberato di mandare al Governo ungherese un messaggio telegrafico con l’intimazione di sospendere, entro 48 ore, le ostilità contro gli czeco-slovacchi1.

La questione verrà discussa nuovamente in seno al Consiglio dei quattro domani alle ore 11, e credo vi interverranno anche i rappresentanti militari.

Il progetto compilato dal Comitato militare di Versailles non ha ancora avuto l’approvazione formale, per quanto riguarda i rinforzi da dare all’esercito czeco-slovacco, ma è prevedibile che tale approvazione non mancherà domani. In tal caso, mentre il trasporto, attualmente in corso, dei battaglioni czeco-slovacchi rimasti in Italia non potrà essere accelerato che subordinatamente alle condizioni del servizio ferroviario, dovrà invece essere effettuata la consegna dei materiali da guerra, i quali sarebbero prelevati sul patrimonio dell’ex esercito austro-ungarico, esclusivamente a cura della nostra Commissione d’armistizio, e bene inteso senza pregiudizio della definitiva destinazione dei materiali di cui si tratta.

Si riterrebbe opportuno che il generale Segre fosse preavvisato di quanto sopra, per sua norma.

746 5 Un accordo per la rettifica della frontiera italo-francese in Libia fu poi firmato il 12 settembre 1919 ma venne ratificato dal Parlamento francese solo il 31 gennaio 1923. La rettifica di frontiera trala Somalia italiana e la colonia britannica del Kenya si ebbe dopo lunghi negoziati con la cessione delGiubaland, con il trattato di Londra del 15 luglio 1924.

747 1 Il telegramma per il Governo di Budapest, dello stesso giorno, è edito in FRUS, vol. VI. pp. 246 sg.

748

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AI COMMISSARI POLITICI A VIENNA, BORGHESE, E A BUDAPEST, TACOLI

T. 670. Parigi, 9 giugno 1919, ore 12, 30.

(Per Budapest) Suo telegramma 31 riservatissimo1.

(Per Vienna) Borghese ha telegrafato da Budapest aver avuto informazione circa trattative czechi ungheresi per azione militare contro Italia e che a tal fine Trumbic troverebbesi Vienna e truppe serbe sarebbero state allontanate fronte ungherese per concentrarsi nostra frontiera.

(Per tutti) Pur sembrando inverosimile che simili trattative si svolgano Vienna prego controllare. Presenza Trumbic potrebbe invece avere relazione con progetto accordo serbo ungherese di cui mio telegramma segreto 6652.

748 1 Del 7 giugno. Non pubblicato.2 Vedi D. 731.

749

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1710/727. Costantinopoli, 9 giugno 1919, ore 15,25 (perv. ore 9 del 10).

Nella ultima visita gran visir chiestomi quale fosse a mio parere suo compito più essenziale in Parigi, gli risposi mantenimento capitale Costantinopoli e gli consigliai di accentuare come prima necessità logica la minima riduzione sovranità turca (...). Gli dissi che l’interesse turco era evitare per la (...) possibile mandati singoli ma che le riforme dell’amministrazione fossero affidate alle tre grandi potenze europee con corrispettiva Turchia vedere soppresse capitolazioni. Gran visir mi chiese (...) circa i mandati Turchia asiatica. Gli ripetei che nostro massimo interesse era integrità ottomana ma che egli ben comprendeva come delle variazioni nell’equilibrio del Mediterraneo ci potevano imporre speciali doveri. Gran visir chiese se a mio avviso un mandato in Asia comporterebbe occupazione militare. Gli risposi che il nostro Governo preferirebbe sempre la formula di collaborazione e d’accordo che escluda o riduca ad un puro minimo formale le baionette. Alto commissario inglese, gran visir dicevami, teme azione francese per un mandato francese Costantinopoli; essere egli convinto che un mandato a tre potenze non funzionerebbe qui ed essere personalmente favorevole mandato americano. Gli chiesi come ci si poteva domandare (...) provvedere occupazione Caucaso colle porte Mar Nero esclusivamente in mano altrui.

750

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA

T. 675. Parigi, 9 giugno 1919, ore 17.

Comando Supremo telegrafa quanto segue: «Generale Battistoni riferisce che giorno 31 maggio si è recato Mughla.

Autorità locali turche del Sangiaccato di Menteshe hanno proposto a generale di proclamare Governo indipendente offrendo protettorato a Italia. Intanto hanno chiesto ulteriore occupazione da parte truppa italiana: generale conta occupare piana di China e Girova (a sud-est di Aidin) appena avrà forze disponibili. Generale Battistoni chiede quale debba essere suo atteggiamento di fronte proposta delle autorità di Mughla».

750 Il telegramma fu inviato per conoscenza a Bonin, Preziosi, alla P.C.M. ed alla Sezione militare.

Ho risposto al Comando Supremo quanto segue:

«Non abbiamo alcun interesse favorire in Asia Minore costituzione Governi indipendenti ed accettarne protettorato. Ciò del resto contrasterebbe con direttive politica R. Governo, tendenti mantenimento sovranità ottomana, direttive costantemente fatte presenti e ricordate chiaramente anche con mio telegramma n. 6001 che non può dare luogo a dubbie interpretazioni. Poiché d’altro canto Mughla trovasi molto a sud Aidin non può neanche sussistere pericolo occupazione greca».

751

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 9 giugno 1919.

Ringrazio V.M. del telegramma di questo pomeriggio1.

Nella seduta antimeridiana dei Quattro si discusse a lungo sulle modificazioni alla parte finanziaria del trattato di pace con la Germania, con tendenze alquanto discordanti. In fine della seduta, essendosi stabilito di non fare la riunione pomeridiana, io feci osservare che avevo da dare la risposta al memorandum consegnatomi da Wilson, sabato2. Allora Wilson mi disse che avrebbe gradito che la risposta fosse fatta con un altro memorandum. Ho curato di redigerlo questo pomeriggio e, dopo essere stato approvato dalla delegazione, fu rimesso questa sera3. Il documento è redatto con molta misura e fermezza: esso fa la storia di tutte le trattative, mettendo in rilievo lo spirito di conciliazione da cui l’Italia è stata animata: ma appunto tale allusione deve servire a persuadere che siamo arrivati ad un limite estremo di concessione, al di làdel quale non possiamo andare. È mia impressione che questa risposta determinerà l’inizio di un nuovo periodo di asprezza da parte di Wilson.

751 Il medesimo testo fu trasmesso a Petrozziello per Colosimo, con telegramma delle ore 22

dello stesso giorno.1 Non pubblicato.2 Vedi D. 737. 3 Vedi poi D. 753.

750 1 Vedi D. 630.

752

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE E ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI

T. 679.185. Parigi, 9 giugno 1919.

Il signor Giers ambasciatore russo a Roma mi comunicava che il generale inglese comandante la missione inglese a Ekaterinodar aveva informato il generale Denikin che l’Inghilterra aveva deciso di ritirare prossimamente le sue truppe di occupazione nel Caucaso da Batum a Baku e che ad esse si sarebbero sostituite due divisioni italiane. Le relazioni inglesi con i russi in questi ultimi tempi erano state ottime e l’Inghilterra aveva fornito e seguitava fornire al generale Denikin moltissimo materiale di guerra e merci d’ogni genere. Giers mi chiedeva se potessi fornirgli qualche chiarimento intorno ai nostri intendimenti. Ho risposto che effettivamente alla richiesta inglese di sostituire nel Caucaso le nostre truppe alle sue, non potendo essa seguitare a mantenervele per la urgenza in cui si trovava di concentrare le sue forze per effetto delle necessità della smobilitazione, avevamo consentito, ritenendo con ciò di recare pure un servizio alla Russia, coll’impedire che tali territori lasciati indifesi non cadessero nelle mani del bolscevismo e per tutelarvi le ragioni della civiltà e dell’ordine pubblico. Non avevamo alcuna mira di conquista o di stabile occupazione di quelle terre; speravamo sì, con l’intesa e il buon accordo coi russi di avere pure modo, mediante tale occupazione provvisoria, di sviluppare maggiormente i nostri interessi economici e commerciali nel Mar Nero, e di poterci assicurare eventualmente qualche concessione di sfruttamento di miniere o di sorgenti di petrolio, sottentrando magari nei diritti già posseduti dai tedeschi in quei paraggi.

Da principio il Governo inglese aveva fatto balenare la prospettiva di concessioni eventuali a favore dell’Italia di mandati politici su quei territori; ma che non avevamo ritenuto che fosse il caso di parlarne, dichiarando che tutta questa impresa doveva restare estranea ad ogni questione di reparto di mandati nell’Asia Minore e nell’impero già ottomano.

Avevamo prima d’impegnarci definitivamente voluto mandare sui luoghi, come già avevo informato altra volta il Giers, una piccola missione capitanata dal colonnello Gabba, perché riferisse sulle possibilità dell’impresa e sulle sue proporzioni. Il colonnello Gabba era tornato a Parigi per riferire le sue impressioni dopo pochi giorni di visita laggiù1. Le repubbliche locali di Georgia, di Azerbaigian, di Batum, ecc. avevano accolto favorevolmente la prospettiva della sostituzione della nostra occupazione a quella inglese, agli scopi di difesa militare, pur insistendo sul loro desiderio di una normale assoluta indipendenza politica.

752 Il telegramma fu inviato contestualmente al Comando Supremo, a Thaon di Revel ed a Crespi. E fu trasmesso in copia al reggente l’ambasciata ad Arcangelo, Tomasi della Torretta, con n. 9879 SP. che riproduce l’intero testo, con esclusione solo dell’ultimo capoverso. Così edito in SONNINO, Diario, III, pp. 338 sgg.

1 Vedi poi D. 755.

Le istruzioni del R. Governo erano di dichiarare nettamente a quei Governi locali che non potevamo dar loro alcun affidamento di indipendenza e che ogni nostra intromissione presso il Governo della Russia ricostituita avrebbe dovuto limitarsi a raccomandare la concessione a quelle popolazioni della maggiore possibile autonomia, secondo gli intendimenti generali della Conferenza della pace e le comunicazioni da essa fatta al generale Kolciak, come capo del Governo di Omsk e nello spirito delle assicurazioni date dallo stesso Kolciak nelle sue risposte alla Conferenza stessa. Il signor Giers si dichiarava soddisfatto di queste mie comunicazioni e ne avrebbe riferito a Sazonov col quale avrei potuto discorrere ulteriormente della cosa. Personalmente egli si compiaceva che si moltiplicassero e diventassero sempre più intime le relazioni nostre colla Russia del Mar Nero. Egli consigliava di mandare presso il generale Denikin un nostro ufficiale in missione di collegamento, come avevano fatto gli inglesi e i francesi. Appena fosse stato riconosciuto ufficialmente dalla Conferenza il Governo di Omsk, consigliava pure mandarvi come rappresentante dell’Italia un esperto diplomatico, come avevano già fatto sotto forma diversa gli inglesi, i francesi e gli americani.

Ho risposto che per parte mia approvavo l’idea e ne avrei riferito al presidente del Consiglio ed al generale Diaz. Avvertito che occorreva procedere con tatto e misura nel far mostra di un’intesa perfetta fra noi ed il generale Denikin in tutta questa faccenda, per non destare inutili diffidenze e sospetti per parte dei Governi locali e delle loro delegazioni.

Alla domanda di Giers se l’invito all’occupazione caucasica ci fosse venuto dal Comitato dei quattro oppure dalla sola Inghilterra, ho risposto che l’invito era partito dal Governo inglese, ma che i quattro ne avevano avuto poi piena notizia.

753

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, LLOYD GEORGE, E AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON

MEMORANDUM. Parigi, 9 giugno 1919.

REPLAY OF ITALIAN DELEGATION TO THE MEMORANDUM OF JUNE 7TH ON THE ADRIATIC QUESTION

1) SUMMARY OF THE ANTECEDENTE.

The Adriatic question was discussed by the Four (both in individual conversations and collectively) during the week from April 13th to 20th. This discussion convinced the Italian Delegation of the difficulty of inducing the heads of the Allied and Associated

753 Risposta al Memorandum Wilson (vedi D. 737). Testo per Wilson e Lloyd George. A Clemenceau fu ovviamente inviata una versione francese. La risposta della Delegazione italiana era statapreparata da Orlando con Aldrovandi il pomeriggio del 9 (Vedi D. 751). Edita nel testo italiano in ALDROVANDI, Nuovi ricordi, pp. 53 sgg.

Governments to accept the full programm of the Italian claims as set forth in the requests submitted to the Conference. It was after arriving at this conclusion that Signor Orlando, at the sitting on April 20th, whilst maintaining his personal conviction as to the justice of the full program of the Italian claims (more especially with regard to Fiume), announced that in view of the dissent of his three Colleagues he would reduce his demand to the integral execution of the conditions set forth in the Treaty of London. And as the President of the United States declared that his Government, not being bound by that Treaty, did not intend to give his adherence, a series of negotiations were entered into for the purpose of arriving at a formula of agreement such as would eliminate this contrast. The Italian Government lent itself in a very conciliatory spirit to this attempt, desirous as it was of finding a possible basis of agreement.

The first stage in the negotiations towards this end took place between the 22nd and 23rd April, between the Italian Delegation and Mr. Lloyd George. The Italian Delegation proposed a compromise1 of which the essentials features were: 1st: The line of the Alps as far as the sea to the east of Volosca; 2nd: Fiume under Italian sovereignty; 3rd: All the islands of the Treaty of London, with the exception of Pago, to Italy; 4th: Zara and Sebenico under the jurisdiction of the League of Nations with the mandate to Italy.

To this communication Mr. Lloyd George replied through Mr. Kerr, that he considered an agreement impossible so long as Italy demanded the sovereignty of Fiume, but that he thought that on other points an arrangement might be arrived at.

The Italian Delegation had not yet given its reply on this point, when the breaking off of the negotiations was announced at a meeting of the Four on the afternoon of April 24th.

We will not go into another phase of the negotiations which took place between some members of the Italian Delegation and some members of the American Delegation relating to certain proposals which had been drafted by Mr. Milner2, and which are annexed to the present statement as Annex I3.

2) THE TARDIEU PROPOSAL.

On may 28th a second stage in the negotiations was entered on by the presentation of a proposal drafted by Monsieur Tardieu, which forms Annex II to this statement4. It was deemed that this proposal offered a «basis for discussion», subject however to the general reservation made by President Wilson that he meant first to ascertain whether this «basis» could also be considered acceptable by the Yougoslavs. For his part Signor Orlando declared that, except in so far as the three islands of Lesina, Curzola, and Meleda were concerned, he be could make no further concessions, nor make any further renounciations than those called for by the document presented by M. Tardieu.

2 Vedi D. 514.

3 Non si pubblica.

4 Vedi D. 636, All.

A period of suspense ensued during which Signor Orlando, although the fact that the proposal attributed to M. Tardieu was described as a «basis for discussion» entitled him to insist on this point at the time of the definite settlement to be entrusted to experts, nevertheless, in view of the exceptional importance which he attributed to the matter, took care to place in the hands of his three colleagues, accompanied by a letter5 dated June 5th, a concrete plan of the frontier which the Italian Delegation intended should be assigned to the new State about to be formed.

On June 7th Signor Orlando received a counterproposal6 which has been examined by him and his colleagues of the Delegation, and to which he now replies.

3) COMMENTS ON THE MEMORANDUM OF JUNE 7TH.

In comparing the new memorandum with the Tardieu «basis of discussion» proposal, it can be seen that in no particular has the Tardieu proposal been modified in a sense favourable to Italian aspirations; on the contrary, it has been modified to their detriment in the following points:

I. In fixing the frontier of the new free State the Tardieu proposal took as its starting point the West of Volosca; the line delineated in the memorandum starts from the Fianona, thus taking away from Italy integral possession of the Istrian Pensinsula;

II. The Tardieu proposal indicated Saint Peter as the north-west frontier line; this line is considerably prolongued in the memorandum to beyond Circhina (Kirchheim);

III. The Tardieu proposal assured to Fiume autonomous rights in conformity with the diploma of Maria Theresa; the memorandum admits only such autonomies as Hungary has in fact subsequently maintained and observed;

IV. -The Tardieu proposal established a plebiscite after fifteen years; the memorandum restricts this period to five years and adds the condition that the plebiscite must be taken in the State as a whole and not by zones as fixed for the Saar Valley, and recently also for the district of Klagenfurt; V.- In Dalmatia the Tardieu proposal gave Italy Zara and Sebenico together with their administrative districts; the memorandum radically denies Italy’s right to Sebenico; it further denies Italy’s sovereignty right over Zara, making it a free city under the League of Nations without any allusions to its administrative district;

VI. As regards the islands, Meleda, Curzola and Lesina are definitely eliminated; Italy is further deprived of the island of Cherso, which the Tardieu proposal gave her, and which the memorandum assigns to the new State; the islands facing Sebenico are likewise taken away;

VII. The Tardieu proposal spoke of general neutralisation; the memorandum restricts such neutralisation to the islands only;

VIII. The Assling Triangle is definitely assigned to the Yougoslavs.

The number and seriousness of the reductions made on the Tardieu basis of agreement, when compared to the explicit statement made by Signor Orlando in the

sitting of the 28th May, explain, without need of further comment, the absolute impossibility for Italy — much to our regret — to accept as a basis of discussion the new proposal now suggested.

The history of the antecedents of these negotiations briefly referred to above, amply proves the conciliatory spirit which has animated Italy in her efforts to find some form of compromise acceptable to the Four Powers; but it also proves that Italy, in accepting the Tardieu proposal, with the precisions set forth in the letter of June 5th, as basis of discussion, had thereby reached the utmost limit of concession beyond which she could not go.

753 1 Vedi D. 277.

753 5 Si tratta, più esattamente, della lettera del 4 giugno di Orlando a Wilson (qui D. 702) ed aLloyd George, inviata in francese a Clemenceau con data 5 giugno.6 Vedi D. 737.

754

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

L. RR. Roma, 9 giugno 1919.

Mi sono recato subito da Sua Maestà, il quale era evidentemente inquieto dato che i giornali, già (per indiscrezioni di Parigi) avevano stamane pubblicato che Wilson ci negava Sebenico.

Gli ho esposto la situazione e gli ho sottoposto la carta. Per spiegazioni d’indole militare, domani chiamerà il ministro della guerra. Ma nel complesso, è rimasto turbato, sia per le proposte Wilson in se stesse, sia per la ripercussione che potranno provocare in paese, sia per la difficoltà ad uscirne convenientemente. Non può dare consigli, ma ritiene che, pur non rompendo, occorra dire francamente che le proposte non sono soddisfacenti.

Per la Georgia ti ha ancora telegrafato1. Sue informazioni escludono che noi dobbiamo gettarci in simigliante impresa. Occorrono centomila uomini, con pericolo interno nostro, con possibilità d’inquinamento dell’anima dei nostri soldati, con quasi certezza che non potremmo ricavarne benefici apprezzabili.

Sua Maestà ritiene che dovrebbero essere ritirate perfino le nostre truppe da Arcangelo.

Altro tema: l’azione di Giardino2. L’ho rassicurato, non sui propositi del generale, ma sulle disposizioni prese. Egli ha dichiarato che bisogna difendere il Parlamento e che i propositi attribuiti a Giardino sarebbero intesi alla menomazione dei diritti edella funzione del Parlamento. È pronto a prendere il fucile per difendere le prerogative parlamentari.

754 Manoscritto autografo.

1 Vedi D. 743.

2 Il riferimento è alle voci — per altro subito smentite da tutti gli indiziati — circa una congiura politico-militare (partecipi, tra gli altri, D’Annunzio, Federzoni e appunto Giardino) intesa ad abbattereil Governo Orlando, sciogliere il Parlamento e le organizzazioni operaie e riprendere la guerra alla frontiera orientale.

Circa la comunicazione delicata che mi hai incaricato di fargli3, ti è grato per la riserva ed il tatto con cui hai risposto a monsignor Cerretti; ma ritiene che la proposta, se accettata, sarebbe di danno a noi ed al Vaticano; annullerebbe tutti i benefici di tante lotte culminate con la legge sulle guarentigie; ed egli andrebbe via, piuttosto che sobbarcarsi ad un concordato simigliante.

Insiste per dare una sensazione che provvedimenti son pronti per eliminare il grave inconveniente del caro della vita.

755

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE IN TRANSCAUCASIA, GABBA, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

RAPPORTO 2. Parigi, 9 giugno 1919.

La missione militare italiana in Transcaucasia a me affidata è sbarcata a Batum il 9 maggio 1919; accolta col maggior favore dai Governi locali, assistita in ogni modo dai comandi inglesi, ha potuto in poco tempo compiere molto e proficuo lavoro. Il 22 maggio il sottoscritto raggiunse a Baku la sezione Marina, che vi si era recata fin dal 16. A Baku il 23 ebbi notizie circa la nuova situazione creatasi nel Caspio in dipendenza dei fatti seguenti:

Occupazione da parte dei bolscevichi di Fort Alexandrovsk; tentativi infruttuosi da parte della flottiglia inglese per scacciarneli (22-23 maggio); presa di possesso da parte dell’armata volontaria del gen. Denikin della città di Petrovsk e della località Derbent; pratico annullamento del Governo della Repubblica dei montagnari del Caucaso; avanzata dei bolscevichi verso Askabad e Krasnovodsk in Transcaspio; rottura delle relazioni commerciali postali ecc. con Lenkoran per l’insurrezione bolscevica che vi si sta svolgendo.

Il complesso di tali fatti, costituenti una situazione nuova, lo avere potuto già venire a contatto con tutti i Governi locali e colle personalità più rappresentative del Caucaso, prendendo per tal modo possesso del complesso problema affidato alla missione ed avviando trattative e intese in tutti i campi, mi indussero a prendere la decisione di far sollecito ritorno per riferire al più presto a cotesta Delegazione; infatti il giorno 26 con S.A.R. il duca di Spoleto, col comandante Granafei e col console generale Valeri sono partito da Batum a bordo del r. esploratore «Guglielmo Pepe».

La missione ha trovato, come è noto, la Transcaucasia divisa in tre repubbliche indipendenti di Georgia, di Azerbaigian, di Armenia (ex russa), ed un distretto: quello di Batum governato direttamente dagli inglesi. Ritengo però di dovere qui subito una

pregiudiziale ed è quella che è, a mio credere, assolutamente impossibile trattare il problema del futuro assetto della Transcaucasia indipendentemente da quello analogo del Caucaso settentrionale; questo si era, come pure è noto, rivendicato in libertà formando la Repubblica indipendente del Caucaso settentrionale, o dei montagnari del Caucaso; la missione è venuta a contatto coi fieri rappresentanti di questa repubblica, eredi delle gloriose tradizioni di resistenza alla dominazione russa, impersonate nel-l’eroe nazionale Shamil; ma tale repubblica sta attraversando in questi giorni delle ore tragiche e vede la sua esistenza in serio pericolo, anzi praticamente annullata dal-l’atteggiamento e dall’azione del generale Denikin; al riguardo una protesta diretta alla Conferenza della pace mi fu consegnata in Tiflis il 25 maggio dai rappresentanti della repubblica in questione, protesta che ho consegnato alla sezione esteri.

L’atteggiamento del generale Denikin è di capitale importanza per lo studio e la trattazione del problema caucasico. Passando per Costantinopoli ho voluto interrogare al riguardo il generale Milne e ne ho avuto le seguenti dichiarazioni:

«La politica inglese verso Denikin è, almeno per quanto risulta al predetto generale, personale della sola Inghilterra; gli aiuti, inviati a Denikin a cura degli inglesi (armi, munizioni e viveri) hanno il solo scopo di porlo in buone condizioni per combattere energicamente i bolscevichi».

Ora è fuori dubbio che Denikin da tempo mantiene contegno passivo sul fronte bolscevico ed invece ha assunto contegno attivo verso la Repubblica georgiana e verso quella dei montagnardi. Allego al riguardo due proteste del Governo georgiano; una diretta alla missione1, una ai rappresentanti georgiani presso la Conferenza2, ed aggiungo che tutti i personaggi politici ai quali ho parlato in Transcaucasia accusano apertamente l’Inghilterra di tradimento e violazione dei principi wilsoniani; sta il fatto che tutta l’azione inglese è stata nei riguardi dei popoli caucasici pregiudicata ed influenzata dall’aiuto dato a Denikin; le cose sono giunte ad un punto tale che sarà necessario, ed in ciò anche i comandanti inglesi concordano, fissare un limite meridionale all’armata volontaria in modo che non siano pregiudicati i principi predetti e le decisioni della Conferenza circa l’avvenire delle repubbliche caucasiche. Tale limite potrebbe partire dal Mar Nero coincidendo fino all’Elbrus col confine amministrativo del distretto di Suchum; seguire quindi la riva destra del Baksan e poi quella di Terek; la Repubblica dei montagnari potrebbe così riprendere la sua vita politica ed amministrativa, le repubbliche della Georgia e dell’Azerbaigian anch’esse sarebbero con immenso vantaggio sollevate dalle gravissime preoccupazioni per la propria esistenza, che in questo momento le rendono nervose ed inquiete.

E per esaurire l’argomento aggiungo che la presenza degli inglesi, pregiudicata dall’aiuto dato a Denikin, è in generale malvista: eccone alcune ragioni a complemento e conferma di quelle già esposte nei miei telegrammi. Il carattere inglese, rigido e chiuso, non può andare d’accordo con quello delle popolazioni locali. La provvisorietà della presenza nella regione ha allontanato le autorità inglesi dall’occuparsi a fondo delle popolazioni stesse, delle loro aspirazioni e del loro benessere; la scarsezza delle forze ha loro impedito di intervenire energicamente a momento opportu

2 Non rinvenuta.

no; la messa in vigore (20 aprile) della legge marziale per chi attenti ad un inglese o ai materiali dell’esercito di occupazione, l’adozione di altre misure restrittive sono state male accolte; il contegno delle truppe provenienti dalla Mesopotamia ha lasciato alquanto a desiderare. Di qui una serie di equivoci e malintesi che hanno condotto ad una reale tensione di rapporti tra comandi inglesi e Governi locali; a ciò si aggiunga la decisione, da tempo nota ai comandi e resa di pubblica ragione all’atto del nostro arrivo, di lasciare il paese e si avrà la ragione del senso di sollievo reciproco: degli inglesi per andarsene, dei caucasici per vederli andar via.

Reputo però opportuno aggiungere che ho trovato i comandi inglesi in genere bene orientati, l’organizzazione militare è in buona efficienza; credo che un giudizio equanime non potrà disconoscere il servizio che l’Inghilterra ha reso a questi paesi occupandoli militarmente nel primo periodo della loro nuova esistenza.

A parte ogni esagerazione, l’accoglienza fatta alle missione italiana, ufficialmente preannunciata dagli inglesi come arrivante per preparare la effettiva e pronta sostituzione delle truppe italiane a quelle inglesi, è stata simpaticamente calorosa ed in talune circostanze entusiastica; la cosa appare tanto più significativa quando si consideri come, purtroppo, nulla fosse la conoscenza dei sacrifizi dell’Italia sopportati durate la guerra europea, dei risultati conseguiti. Le calorose accoglienze sono state universali così da parte delle repubbliche di Georgia e di Azerbaigian, come di quella dell’Armenia ex russa e del Caucaso settentrionale; esse hanno preso forma nell’ansiosa domanda dell’epoca in cui arriveranno le nostre truppe e nelle più ampie offerte alle varie forme della nostra penetrazione.

Posso pertanto esporre i seguenti concetti che reputo fondamentali:

1) Tutte e quattro le repubbliche vogliono l’indipendenza e ritengono fermamente che la Conferenza di Parigi vorrà loro concederla;

2) La soluzione del problema alla delimitazione generale della regione caucasica, come quella delle questioni territoriali esistenti tra le varie repubbliche, dovrà essere oggetto delle cure più minuziose; ritengo potrà avvenire in modo soddisfacente, vista la buona volontà che anima quelle popolazioni ed il sincero desiderio di pace che dimostrano;

3) La necessità di un intervento europeo che, rispettando l’indipendenza delle singole repubbliche, tuteli l’ordine pubblico, faccia rispettare le decisioni della Conferenza, garantisca l’inviolabilità delle frontiere contro i nemici esterni, è universalmente riconosciuta;

4) L’intervento italiano è sicuramente e sinceramente bene accetto;

5) L’idea federativa, mirante a riunire le quattro repubbliche caucasiche in un unico blocco, incontra anch’essa il generale favore. Mentre scrivo è tuttora riunita in Tiflis una conferenza dalla quale è possibile che già esca abbozzata, se non rifinita, la federazione caucasica: ma certamente l’opera di cementarla, guidarla, porla a contatto col mondo sarà riservata alla nazione europea che, sicura di sé stessa e certa di lavorare per la pace e per la civiltà, interverrà in questa regione. Affronto il problema della maggiore o minore convenienza per l’Italia di assumere l’incarico: è d’uopo non nascondere la mole e l’importanza; ma in ragione di essa enormi possono essere i vantaggi che è lecito ripromettersene: come è naturale, dipenderà da noi che tali vantaggi siano praticamente realizzati.

Non mi occupo del fatto incontrovertibile che di fronte alle supreme ragioni della pace e della civiltà una potenza europea dovrà intervenire in Caucaso, prendendo senza soluzione di continuità la successione degli inglesi; viene naturalmente fatto di pensare alla Francia che da tempo tiene in Caucaso una missione militare: recentemente questa è stata rinforzata: il capo ne è intraprendente ed intrigante al massimo. Io credo che, se noi non decideremo di andare al Caucaso, l’Inghilterra non potrà abbandonarlo: sarebbero l’anarchia e la mano libera al bolscevico, sarebbero il ricominciare dei massacri, la rovina economica della regione.

Quali vantaggi troverà l’Italia al Caucaso? Io credo di poter affermare, e di ciò riporto la fresca e nitida impressione di tutti i membri della missione, che tutti i punti assegnati nelle direttive affidatemi potranno essere raggiunti. I delegati tecnici della missione sono tutti al lavoro: le offerte, le richieste già pervenute, le possibilità intravedute sono enormi in tutti i campi; si tratta solo di stringere, non appena sia presa la decisione di inviare le truppe: non credo che senza tale forma di intervento diretto potrà conchiudersi molto.

Si tratta di un paese ricco, fertile, dotato di alcune riserve grandiose, come quelle del petrolio di Baku ed anche di Groznyj qualora la Repubblica dei montagnari risorga e l’idea federativa si attui; si tratta di una regione per la quale passano e nella quale si riassumono comunicazioni di importanza mondiale.

Come ho detto nel mio telegramma n. 283, a parte la questione delle truppe, l’Italia dovrà impiegare personali, competenze tecniche, mezzi di ogni sorta in quantità grandiose; tale impiego dovrà naturalmente essere fatto con programma ben definito e con metodo pratico e graduale.

È fuori di dubbio che quando si sarà riformata una Russia (qualunque ne esca la compagine: unitaria o federale) essa getterà lo sguardo nella regione caucasica, che fu già la perla della corona dei Romanov; è fuori di dubbio, d’altra parte, che l’idea panturca e panislamica risorgente si rivolgerà anch’essa verso questa regione, ove i mussulmani parlanti turco sono in prevalenza numerica sulle altre nazionalità; perciò è necessario che queste repubbliche, le quali aspirano a vivere libere e indipendenti, siano strette in un solo blocco, ed io credo che la cosa sia possibile, ma è necessario impostare fin d’ora bene la questione.

Anzitutto occorre una chiara e netta dichiarazione preventiva delle nostre intenzioni: essa, stabilendo che noi interveniamo al Caucaso soltanto in via temporanea, per tutelare l’indipendenza di quei popoli ed avviarli al prospero avvenire, facendoli risorgere economicamente, ci sarà utilissima così nei riguardi del Caucaso stesso, come del mondo russo, come del mondo mussulmano. E per nessun motivo l’Italia dovrà dipartirsi dalla dichiarazione lealmente esposta: nei limiti di essa le possibilità sono enormi. Naturalmente dovrà essere in precedenza ed in primo tempo intervenuto un accordo od una dichiarazione nei riguardi di Denikin: a questo dovrà essere richiesto l’allontanamento del rappresentante a Batum nella persona del generale Romayoschi4 ex governatore russo del distretto, la presenza del quale è stata dagli inglesi ammessa con poca opportunità; a me pare inoltre è a considerare che per nes

4 Recte, forse, Romanovskij.

sun motivo noi potremmo perseverare nell’attuale politica inglese di fornirgli aiuti di armi, munizioni e viveri.

Altra questione assai grave colla quale sono venuto a constatare è quella del Turkestan russo e dei turcomanni: la espongo brevemente.

In Transcaspio si è formato un Governo provvisorio con sede ad Askabad, allo scopo di opporsi alla discesa dei bolscevichi: in Krasnovodsk esiste una assemblea costituente dei turcomanni (nomadi abitanti una fascia lungo il confine persiano). I bolscevichi premuti a nord dall’avanzata dell’ammiraglio Kolciak si sono gettati su Merv e l’hanno occupata. Quindi il Turkestan è stato invaso dal panico: Askabad è in pericolo; ciò produrrà naturalmente un riflusso di profughi verso Krasnovodsk che gli inglesi occupano secondo le condizioni del generale Sabblewovh5 comandante di Baku a solo scopo di impedire sorprese dal mare per parte dei bolscevichi che volessero impadronirsi di quel porto. Qualora Askabad fosse presa, il suddetto generale mi ha detto che si prenderebbero provvedimenti: prima di tutto quello di rinforzare il presidio di Krasnovodsk. La sera del 24 maggio u.s. quando ero in partenza da Baku il console del Turkestan mi ha consegnato le copie degli acclusi telegrammi6 che sono assai significativi e dimostrano tutta la gravità della questione.

Io credo che intervenendo in Transcaucasia saremo obbligati a trattare col Governo bolscevico e con quello che lo sostituirà allo scopo di riaprire il traffico del petrolio di Baku verso il Volga e che nello stesso tempo ci sarà necessario assumere un controllo completo della navigazione del Caspio. Ciò naturalmente richiede una serie di provvedimenti e riorganizzazione della flottiglia secondo quanto proporrà la sezione marina della missione.

Riapertura della navigazione mercantile nelle varie direzioni, specialmente per quanto riguarda le navi cisterna.

Soluzione della questione di Lenkoran che richiederà trattative lunghe e forse una spedizione combinata.

Occupazione di Krasnovodsk con istituzione delle necessarie missioni o residenze in Turkestan.

Per quanto riguarda Petrovsk e Derbent, esse non meno che Vladikavkaz e Groznyj dovranno essere comprese nel piano generale di occupazione del Caucaso settentrionale.

L’affrettata partenza mi ha impedito di recarmi a Erivan per prendere contatto diretto col Governo di quella repubblica; però a Tiflis avevo avuto colloqui con i suoi rappresentanti; gli armeni si ritengono male trattati dagli inglesi, che troppo favoriscono, secondo loro, i mussulmani; la accusa per mio conto è infondata; gli inglesi nella scottante questione del Zangezur ed altre analoghe sono nel giusto ed anche noidovremo attenerci alla loro condotta. È inutile parlare di soluzioni particolari sulla questione armena senza affrontare la questione pregiudiziale:

l’Armenia ex russa sarà lasciata indipendente, oppure riunita all’Armenia ex turca?

6 Non rinvenuti.

nella affermativa della prima ipotesi chi ne avrà il controllo: la potenza che avrà il controllo del Caucaso, oppure quella che avrà il mandato per l’Armenia ex turca?

Per mio conto per regioni geografiche, etniche ed economiche credo che l’Armenia ex russa non possa essere staccata dal nesso indissolubile della federazione caucasica; se per regioni etniche si dovesse davvero costituire la più grande Armenia opino che sarebbe necessario il più stretto accordo fra le due potenze controllanti, affinché all’Armenia ex russa restasse libero l’accesso attraverso la federazione caucasica ai porti del mar Nero e del Caspio.

Qui sorge naturalmente una questione ed è quella relativa al porto di Batum; credo che il distretto di Batum dovrà riunirsi alla Georgia o in base ad autodecisione della popolazione o in base a un deliberato della Conferenza, ma opino che Batum debba essere costituita in porto libero, capolinea della ferrovia Batum-Baku, la quale naturalmente sarebbe posta sotto il controllo diretto della potenza europea che interverrà nel Caucaso.

Allego da ultimo una relazione sulla situazione politica ed economica delle varie repubbliche del Caucaso compilata dal console Valeri7, la cui opera di intelligente e profondo conoscitore dei luoghi e degli uomini del Caucaso è stata di inestimabile valore per la missione.

754 3 Il riferimento è alle trattative per un accordo di massima tra l’Italia e il Vaticano che avrebbedovuto includere il riconoscimento di una sovranità statuale e l’ingresso della S. Sede nella Società delleNazioni. Il segretario di Stato Gasparri aveva delegato a trattare con Orlando monsignor BonaventuraCerretti, arcivescovo di Corinto e segretario per gli affari straordinari della Segreteria di Stato. Dopo lacaduta del Ministero Orlando si ebbero altre conversazioni con Nitti sull’argomento ma sempre senzaesito. Sulla questione si veda anche D. 779.

755 1 Del 25 maggio, a firma Gegeckori. Non si pubblica.

755 3 Vedi D. 504.

755 5 Recte, forse, Shuttleworth.

756

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE A BERLINO, BENCIVENGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 227. Berlino, 9 giugno 1919 (perv. il 26 agosto).

Nel bollettino n. 1495 del 5 corrente dell’Agenzia telegrafica «Wolff», è riportata la seguente comunicazione, datata Berlino 5 giugno.

«Come l’Inghilterra si accanisca sistematicamente contro il commercio tedesco, lo dimostra un articolo nell’opuscolo di maggio della “British Export Gazette”, nel quale si legge che si è fondato un grande sindacato commerciale, Abissinian Cooperation Ltd, con due milioni di marchi di capitale. È noto che prima della guerra la maggior parte dell’importazione in Abissinia era nelle mani di case germaniche e austriache. Siccome dovranno passare diversi anni, prima che queste case possano riprendere la loro attività commerciale, gli inglesi nel frattempo vogliono impossessarsi di quel mercato»

Prendendo atto di questa comunicazione, sembra che sarebbe interessante stabilire quali siano le zone nelle quali la Germania dovrà rinunziare ad esercitare un’influenza commerciale, per dirigervi una corrente da parte dei nostri esportatori.

Posto quanto sopra, mi sembra possa essere conveniente che agenti commerciali destinati a venire in Germania, primo fra tutti il commendatore Labriola, sentissero direttamente quali mercati la Germania sia costretta a perdere in seguito alla nuova situazione in cui essa si trova.

Stabilito questo, e poiché senza dubbio la Germania ha tutto l’interesse che in detti mercati le subentri l’Italia piuttosto che altre nazioni, si potrebbero addirittura stringere accordi di dettaglio nel senso non solo di sostituire la Germania in modo generico sul mercato, ma anche di subentrarle nei dettagli della organizzazione della sua attività sul mercato stesso.

755 7 Non rinvenuta. Di Valeri si veda comunque la relazione del 14 giugno (qui D. 800). 756 La nota fu inviata per conoscenza a Ciuffelli e al Comando supremo a Parigi.

757

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 1995.466 RIS. Londra, 9 giugno 1919 (perv. il 15).

Le notizie da Washington, che segnalano il delinearsi di una viva animosità contro il convenuto schema della Lega delle Nazioni, che sarebbe colà considerato la prova evidente di come la diplomazia inglese abbia saputo giocare a tutto vantaggio della Gran Bretagna l’imperizia del presidente, mi consigliano a riferire a Vostra Eccellenza quanto ebbe a dirmi — al momento del manifesto di Wilson — persona che mi ha sempre fornito notizie riscontrate poscia esatte, e della quale, per debito d’onore, non posso fare il nome.

Detta persona, cui io domandavo insistentemente se fra l’Inghilterra e l’America fossero stati convenuti accordi scritti, specie in riguardo alla politica di pace, durante la visita di Balfour in America o quella del presidente a Londra1, mi faceva in tutta confidenza le seguenti dichiarazioni, di cui in allora presi preciso ricordo:

1) L’Inghilterra, nel considerare la natura della guerra in cui essa si era impegnata, venne di buon’ora alla conclusione che la dottrina dell’«Equilibrio delle potenze» e l’altra della «Lega delle Nazioni» erano la medesima cosa; e che la guerra da essa combattuta rappresentava al postutto un tentativo inteso a piegare due potenze uscite fuori dalla Lega.

Senonché l’Inghilterra rifletteva che la popolazione sua e delle due grandi alleate latine somma a 120 milioni; e questo blocco sarebbe rimasto sempre, anche in caso di vittoria, contro un blocco nemico di molto superiore, cui con ogni probabilità si sarebbe pure congiunta la Russia bolscevica o la nuova Russia. Pertanto essa cominciò di buon’ora la sua attiva propaganda in America, disponendola ad un solo

scopo: ottenere dall’America la garanzia della pace. Essa era pronta a qualsiasi sacrificio per tale risultato, eccetto a quello dello smembramento del suo impero (e ciò a riguardo specialmente del Canada).

2) Nella luce di queste premesse, si osserva bene lo sforzo compiuto dall’Inghilterra nel trascinare l’America nella politica mondiale, mediante un’assidua politica indiretta. E le missioni del signor Balfour e di Lord Reading2, non ebbero, al postutto, che quello scopo.

3) Le due missioni fallirono nel solo punto della questione della libertà dei mari. Così, quando il presidente venne a Londra, gli sforzi britannici si raccolsero per dimostrargli come quella questione andava giudicata, non già nel rispetto della sola Inghilterra, o dell’Impero britannico, ma bensì nella luce dell’ideale americano della Lega delle Nazioni; rilevandosi che il blocco eventuale della flotta inglese non avrebbe contraddetto alla Lega delle Nazioni, poiché sotto questa Lega non vi sarebbero stati neutrali. In conseguenza, Wilson avrebbe dichiarato di essersi sbagliato, riconoscendo di non aver compreso la questione in rapporto all’istituenda Lega.

4) Da questo momento il Governo britannico si mise a disposizione di Wilson per coadiuvarlo con ogni possibile mezzo.

Egli, invero, era venuto in Europa senza conoscenza reale delle questioni europee. Il solo suo «adviser» che possedesse una qualche conoscenza superficiale dell’Europa, era il colonnello House; il quale però si trovava ad essere circondato da «cranks and experts of one idea».

5) Stanti tali difficoltà, il presidente, sprovvisto di un piano concreto, accettò col più grande piacere l’assistenza di esperti britannici per concretare uno schema reale per lo stabilimento della Lega delle Nazioni. Gli esperti furono lord Robert Cecil ed il generale Smuts, ed un funzionario del Foreign Office (mi pare comprendere accennasse a Crowe). Mio interlocutore disse a questo punto quasi testualmente: «Wilson’s gratitude was seen in this, that he has allowed himself to be very largely influenced by British ideas, and above all by British working out of his own ideas throughout the whole Conference».

6) Al presidente mancò una siffatta cooperazione da parte della Francia e del-l’Italia; e pertanto Wilson si appoggiò sempre più sull’Inghilterra, colla quale d’altra parte veniva a trovarsi ognora più d’accordo. Questo sincronismo era prodotto specialmente, come si è detto innanzi, dalla volontà dell’Inghilterra di cedere su tutto, tranne che sullo smembramento dell’Impero, pur di ottenere la garanzia americana della pace.

Durante questo tempo la Francia e l’Italia seguivano una politica prettamente particolarista, la quale metteva loro molto spesso in urto con le idee del signor Wilson; e ciò quando esse due potenze avrebbero avuto anche maggiore interesse del-l’Inghilterra ad assicurarsi la garanzia americana.

Stante tale politica britannica, non sorprende il riconoscimento, da parte di Wilson, del protettorato inglese sull’Egitto, ed il suo atteggiamento favorevole in altre questioni.

7) Così «we have Daniel’s3 eating his own words all over England on the Navy question, just as we have the support of Wilson on the Italian question by Lloyd George».

Senonché, sarebbe assolutamente da escludersi ogni idea d’un raggiunto compromesso fra l’Inghilterra e Wilson circa la questione italiana. E si deve escludere poiché, al riguardo, il punto di vista inglese non è la stesso di quello di Wilson. «Wilson’s point of view is absolute»; quello inglese «is by no means absolute: it is subject for instance to the treaty of 1915 but it serves as a support or buttress of Wilson’s idea. There has been no deal with regard to the Italian question». Siccome io vi dicevo altra volta, gli inglesi sono pronti ad attuare il trattato del 1915, benché credano che ciò sia “unwise”. Essi sono pronti di nuovo a rivedere il trattato del 1915 e ad erigere Fiume «as an indipendent and suvereign city, if Italy on the other hand will compromise over Dalmatia».

Però Wilson non desidera alcuna delle due soluzioni. Egli vuole che Fiume divenga croata e che il trattato del 1915 sia completamente riveduto. Il mio interlocutore concludeva: «Indubbiamente, se il Governo italiano potesse essere indotto a convenire in una delle due soluzioni proposte dall’Inghilterra, gli inglesi tenterebbero di persuadere Wilson a non opporsi alla prima di esse od a garantire la seconda.

Egli ripeté poi che, stante tutto quanto egli aveva detto, si era bensì creato un fondamentale «rapprochement» fra l’Inghilterra e l’America, ma che esso erasi prodotto sempre, «upon general lines and never in the form of a particular bargain, and certainly never a bargain upon the Italian question».

757 1 In aprile-maggio 1917 Balfour aveva guidato una missione britannica negli Stati Uniti con ilcompito di organizzare la cooperazione tra i due paesi, dopo la dichiarazione di guerra americana allaGermania. Wilson era stato in visita a Londra dal 26 al 31 dicembre 1918.

757 2 Lord Reading dal 1917 al 1918 era stato alto commissario e ambasciatore speciale britanniconegli Stati Uniti.

758

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AGLI INVIATI A BERNA, PAULUCCI, A L’AJA, SALLIER DE LA TOUR, A STOCCOLMA, ORSINI BARONI, E A COPENAGHEN, SACERDOTI

T. 680. Parigi, 10 giugno 1919, ore 10.

Consiglio Superiore Blocco ha deciso quanto segue:

«Indipendentemente da garanzie che siano state date da codesto Governo o dai rispettivi importatori o associazioni contro riesportazione merci e importazione ed esportazione prodotti indigeni, tale riesportazione ed esportazione può per ora aver luogo verso Czeco-Slovacchia, Polonia, Austria, Romania, e territori della Serbia, Slavonia, Croazia senza preventivo permesso dei comitati interalleati eccetto per quanto riguarda consegna in transito per Germania».

Prego agire in conseguenza.

757 3 Il riferimento è evidentemente a Lord Reading (Rufus Daniel Isaacs).

759

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO A LISBONA, SERRA

T. 681. Parigi, 10 giugno 1919, ore 12.

Suo telegramma 531.

Articolo «Temps» dovuto subdola manovra francese tendente complicare trattative in corso per concessioni agricole in Angola tra Italia e Portogallo, allo scopo di render necessario intervento Francia la quale intenderebbe così soddisfare suo debito coloniale verso Italia in base articolo 13 Patto di Londra. Tutti giornali italiani hanno rivelato strano modo di procedere del «Temps» che chiama in causa terza potenza in questione tra Francia e Italia. «Temps» di ieri sera otto corrente2 pubblica lettera Alfonso Costa che esprime sua viva sorpresa per proposta «Temps». Per opportuna norma V.S. informola trattative circa concessioni agricole Benguela iniziatesi qui fra Solari e rappresentanti portoghesi Conferenza pace. Trattative amichevolmente avviate sono del tutto private e sono basate sulla cooperazione capitale e mano d’opera italiani con capitale terriero portoghese. Governo italiano vede di buon occhio e incoraggia tali iniziative che si presentano vantaggiose per i due paesi amici e alleati ma intende in modo assoluto che questione non abbia alcun carattere politico. Governo italiano mette anzi a base trattative in parola riconoscimento più ampio e più sincero che sovranità portoghese su Angola rimarrà inalterata. Senza indicare per ora nome Solari V.S. può servirsi precedenti informazioni per opportune comunicazioni a codesto Governo.

760

IL CONSOLE GENERALE, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1730/1080 UFF. STAMPA. Vienna, 10 giugno 1919, ore 22 (perv. ore 10 del 12).

Piscel comunica. Da ottima fonte apprendo che delegazione austro-tedesca farà massimo sforzo per ottenere trattative dirette con Italia in questione Brennero1. Temesi che desiderato accordo possa essere ostacolato gelosia francese e tentativo particolaristi tirolesi. Quando potesse essere salvato nesso politico ed economico Alto Adige con rimanente Austria Tedesca sarebbero accettate condizioni assai più

2 Porta la data del 9. La lettera di A. Costa vi è datata «Parigi, 6 giugno».

limitative delle proposte neutralizzazioni accennate da Bauer. Neutralizzazioni potrebbero essere imposte presidenza Tirolo. Si accetterebbe fino al Brennero diritto permanente italiano di occupazione e fortificazione militare.

Nessuna resistenza a modificazione confine Trentino con aggiudicazione ad Italia di zona tattica sul versante tirolese e sulla regione Alta (...) e distretti giudiziari Egna e Caldaro. Costituzione intero Tirolo come zona franca senza linea doganale verso Italia e verso Germania verrebbe accettata se necessario per salvare Sud Tirolo.

759 1 Non rinvenuto. Vedi poi D. 854.

760 1 Sulla questione si veda poi D. 819.

761

IL CONSOLE GENERALE, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1731/1086. Vienna, 10 giugno 1919, ore 22 (perv. ore 10 del 12).

Signor Fenyo ministro del Governo comunista ungherese a Vienna ha presentato oggi alla missione italiana copia del testo della nota di Bela Kun che risponde alla nota dell’Intesa. Governo ungherese dichiara essere disposto a vivere in pace con tutti; sono gli czecoslovacchi, rumeni e jugoslavi che hanno rotto la convenzione militare del 13 novembre e sono entrati nel territorio della Repubblica comunista ungherese. Governo ungherese è pronto a cessare ogni ostilità affinché Intesa abbia modo di fare adottare analoga decisione ai Governi czecoslovacco rumeno e jugoslavo. Governo ungherese ritiene che, per la cessazione delle operazioni di guerra, per esecuzione della convenzione militare del 13 novembre, per la soluzione di tutte le questioni connesse e di tutte quelle di carattere economico, gli Stati interessati riuniscano una conferenza a Vienna. Nel rimettere tale nota Fenyo dichiarò in via riservata essere desiderio del suo Governo che presidenza di tale conferenza fosse assunta da delegato italiano.

762

VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. Roma, 10 giugno 1919.

Grazie suo telegramma1.

Da quanto mi ha detto ministro Colosimo vedo come le proposte di Wilson siano molto peggiorate rispetto alle cosiddette proposte di Tardieu. Mi ha fatto impressione la evidente parzialità verso i jugoslavi nelle questioni del bacino dell’I

sonzo e per tutto quanto riguarda Fiume e la Dalmazia, questioni che qui appassionano molto tutto il paese. Comprendo quindi bene la sua naturale resistenza.

762 1 Vedi D. 751.

763

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 10 giugno 1919.

Delle tre possibilità che si presentavano in seguito alla nostra risposta negativa, e cioè di una attitudine aggressiva, dilatoria o conciliante, pare si delinei quest’ultima probabilità. Oggi1 difatti Clemenceau ha accennato ad una ulteriore transazione secondo la quale si tornerebbero ad esaminare le frontiere del nuovo Stato e si darebbe Zara in piena sovranità all’Italia. Lasciai cadere questo discorso, mantenendo ferma la nostra pregiudiziale di non poter accettare nessuna riduzione sulla proposta Tardieu. Oggi fu quasi del tutto concordata la risposta ai tedeschi sulla questione delle riparazioni. La mia impressione è che le concessioni siano in gran parte verbali.

764

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 735. Costantinopoli, 10 giugno 1919 (perv. il 15).

Miei telegrammi n. 644 e 680 del 24 e 30 maggio1 e telegramma di Vostra Ecellena n. 680 del 6 giugno2.

Giusta l’autorizzazione pervenutami, ho fatto dar lettura al principe ereditario del seguente testo di telegramma da me composto:

«Prego Vostra Eccellenza informare S.A.I. il principe ereditario Abdul Megid Effendi che Sua Maestà il re a cui venne presentato il telegramma da lui direttogli il 24 maggio3 m’incarica di far pervenire a S.A. l’espressione della sua viva simpatia per la Turchia e per la dinastia degli Osmanli assicurando che Sua Maestà e il Suo Governo tengono particolarmente a cuore il rispetto della sovranità della nazione ottomana».

2 Numero errato. Si tratta forse del T. 648 del 5 giugno di Sonnino a Biancheri.

3 Con il telegramma del 24 maggio Abdul Megid aveva chiesto l’alto intervento del sovranoitaliano perché fosse assicurato il rispetto dei diritti della nazione ottomana e per una pace duratura inOriente.

Il principe Abdul Megid si mostrò riconoscentissimo di questo messaggio e mi pregò di far pervenire a Sua Maestà il re l’espressione della sua gratitudine.

Il principe è fratello di quel Yusuf Izzedin, ora defunto, di cui Sua Maestà ricevette la visita a Roma poco prima dell’inizio della guerra libica.

Dicesi valga intellettualmente meglio dell’attuale sultano, il che per altro non è molto dire.

Della comunicazione da me fatta i giornali turchi hanno dato notizia e l’impressione nel pubblico turco è stata ottima.

763 1 Il riferimento è alla seduta a.m. del 10 giugno del Consiglio dei quattro.

764 1 Non pubblicati. Il T. 680 di Sforza è del 31, non del 30 maggio.

765

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, WILSON, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU, E AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, LLOYD GEORGE

L. Parigi, 10 giugno 1919.

As is known, the Jugoslav troops, without any provocation, began, on May 27th, an advance in Carinthia. The Allied and Associated Governments sent to the Belgrade Government on the 31st of May a telegraphic message intimating the suspension of hostilities and the withdrawal of the troops beyond the southern boundary of the Klagenfurt basin.

In spite of this intimation and in spite of the announcement made on the evening of June 3rd by the Serbian Minister of Foreign Affairs to the representative of the French Republic at Belgrade, to the effect that hostilities had ceased, the Jugoslavs continued their advance, and on the morning of the 6th entered Klagenfurt, which was occupied at first by a body of Serbian cavalry and by two companies of Serbian infantry.

After the 6th the advance was continued, and at midnight, between June 8th and 9th, the Jugoslavs deployed their troops to the west and to the north of Klagenfurt. At that time indeed, the Jugoslavs were at less than half a march in distance of the Tarvis-Villach-St. Veit railway faced only by weak contingents of Austrian troops.

Thus the only free railway line that Italy has connecting Trieste with Vienna is now threatened, for the Jugoslav troops may reach it in a few hours’time, in which case all communications between Trieste and the hinterland would be completely cut off. Indeed, it appears that the Jugoslavs have already threatened to march on Villach and on St. Veit, which are situated on that line.

The Italian Government, in view of this possibility which affects its direct interests, mindful of the fact that the remonstrances of the Conference have so far been disregarded by the Jugoslavs, and seeing that all other possible measures would be too late to be effective, finds itself compelled, under the terms of the Armistice of November 3rd, 1918, to take the necessary steps to ensure the working of the TarvisVillach-St. Veit-Vienna railway.

I therefore deem it necessary to instruct the Italian Supreme Command1 to take the requisite steps to safeguard the aforesaid railway line up to and including St. Veit, and I consider it my duty to give you prompt information thereof.

766

L’ESPERTO TECNICO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 10 giugno 1919.

È noto a V.E. che il duca Tommaso Gallarati Scotti è stato chiamato a Parigi per avere rapporti con alcune personalità del mondo cattolico francese1, per avere notizie circa le tendenze per la soluzione del problema dei Luoghi Santi e per vedere quali potrebbero essere le basi di un eventuale accordo transazionale per l’assestamento dei santuari.

I punti tenuti presenti furono:

1) Abolizione del protettorato;

2) Eventualità che il mandato politico sia affidato all’Inghilterra;

3) Che l’Inghilterra faccia base della sua politica una colonizzazione sionistica con fisionomia autonoma;

4) Che i santuari possano essere conservati dalle nazioni secondo i loro diritti storici e che la questione dei Luoghi Santi non sia risolta dall’Inghilterra come mandataria, ma previ accordi con le nazioni interessate.

Ciò premesso, il duca Gallarati ebbe alcuni colloqui preliminari di cui riferisce sinteticamente quanto si riferisce a questo argomento:

«Rividi il cardinale Amette arcivescovo di Parigi che trovai in condizioni di spirito palesemente inquiete per la Conferenza della pace che, non concludendo con rapidità le questioni capitali, dà modo alla Germania di rialzare la testa e di intrigare coi nemici di ieri. Della questione di Palestina parlò con piena sfiducia che si potesse salvare la posizione morale e i diritti storici dei latini. L’Inghilterra si era già messa per una via nettamente imperialista e in Palestina agiva già da padrona assoluta, trattando duramente le missioni francesi e permettendo anzi che contro di esse si facesse una campagna insolente. Il cardinale era persuasissimo che l’Inghilterra avrebbe cer

cato di sradicare ogni influenza estranea alla sua, appoggiandosi però al sionismo. Anche l’internazionalizzazione dei santuari, promessa, non dava nessuna garanzia di poter resistere alla tenace invadenza inglese. Il cardinale non vedeva possibilità di accordi in proposito con uomini politici francesi. Dello stesso proposito Denys Cochin parlò con simpatia, ma negando che egli potesse avere sufficiente autorità presso i delegati della Conferenza, per far loro comprendere l’importanza anche politica che per la Francia e per l’Italia aveva la nostra posizione in Palestina. Disse che meglio valeva accordarsi in proposito col Vaticano e mi consigliò di parlare in argomento a monsignor Cerretti.

Monsignor Cerretti, al quale parlai come esponente dei desideri dell’Associazione dei missionari cattolici, mi riconfermò in forma più discreta quanto mi aveva detto il cardinale Amette. Disse che però Balfour gli aveva assicurato che l’Inghilterra avrebbe riconosciuto i diritti storici preesistenti e nominato una commissione internazionale per accertare questi diritti. Esposi a monsignor Cerretti il mio punto di vista ossia che, salvo il mandato politico dell’Inghilterra sulla Palestina, la posizione di diritto delle nazioni latine alleate fosse risolta tra loro in base ad accordi, per cui venissero a cessare le ragioni di attrito o di sopraffazione, e i santuari, veramente internazionalizzati, avessero nella compagine del nuovo assetto palestinense una fisionomia autonoma, garantita dalla Lega delle Nazioni piuttosto che dall’Inghilterra. Mi pareva che, anche dal punto di vista cattolico, fosse conveniente di salvare questa oasi di latinità, dalle tre correnti che avrebbero presto avuto il sopravvento: l’anglo-sassone protestante, la sionistica e la greco ortodossa.

Monsignor Cerretti parve persuaso e mi disse di ritornare da lui dopo che avesse nuovamente parlato a Balfour in proposito. Mi confessò tuttavia che il problema di Palestina era per lui secondario in questo momento e rientrava in una soluzione di problemi più vasti.

Il colloquio con Denys Cochin si ricollega direttamente a quello che ebbi con lui nell’aprile scorso2 ed in cui era rimasto d’accordo sulle mie proposte e nella previsione della fine del protettorato. Questa volta egli mi fece comprendere che la situazione era profondamente mutata dalla stessa questione della S. Sede di fronte alla Lega delle Nazioni, per cui monsignor Cerretti era a Parigi. Si trattava, anzitutto, di vedere se l’Italia avesse consentito ad ammettere qualche soluzione dell’indipendenza della S. Sede diversa da quella garantita da una legge interna dallo Stato italiano, presa in accordo con la Lega delle Nazioni. Una simile, e a suo parere, non impossibile soluzione, sarebbe stata tale da mutare la base su cui risolvere tutti gli altri problemi di carattere politico religioso, primo fra tutti quello di Palestina.

La stessa questione del protettorato gli pareva strettamente connessa con la soluzione più generale. Non mi nascose che su questo punto il Governo francese ed in modo particolare Pichon sono tenacissimi. Certo che il giorno in cui il papa entrasse in un pieno accordo con la Lega delle Nazioni, il protettorato francese cadrebbe da sé come inutile. Ma rimanendo invece pressoché invariata l’attuale attitudine degli Stati verso la S. Sede, la Francia farebbe tutto il possibile, e sarebbe nell’interesse del papa, di conservare il protettorato o almeno tutte quelle forme di privilegio compati

bili col nuovo ordine di cose. Su questo punto il Ministero degli esteri francese è deciso a non cedere preventivamente verso altre nazioni.

Riassumendo il discorso di Denys Cochin e cercando anche di interpretare alcuni lati che egli ha appena accennato, si può ridurlo a questo schema:

1) I nostri reciproci rapporti in Palestina non potranno essere trattati, prima che dalla più vasta e grave questione della S. Sede emerga se la situazione di privilegio che ha la Francia è destinata a scomparire.

2) Caduto il protettorato e parificate nella Lega delle Nazioni Francia e Italia di fronte alla S. Sede, non rimarrebbe che una questione di onori e di custodia di santuari, dove un accordo sarebbe indispensabile e facile a raggiungersi perché perderebbe l’attuale carattere di competizione politica.

3) Se la posizione non mutasse, la S. Sede rigraviterebbe probabilmente verso la Francia ed in tal caso essa pensa che le converrebbe di trattare unilateralmente la questione con la S. Sede, di cui confiderebbe di aver più facilmente l’appoggio.

Il Cochin si dichiarò disposto a trattare questi punti di vista, amichevolmente, con l’ambasciatore Bonin e con me.

Con questi colloqui mi sembra esaurito il mio incarico.

Ritengo però conveniente di attendere la risposta di monsignor Cerretti sul punto di vista di Balfour e di avere uno scambio di vedute, presente l’ambasciatore Bonin, con Denys Cochin».

765 1 La questione di un eventuale invio di truppe in Carinzia, a salvaguardia delle comunicazioniferroviarie con Trieste, si era già posta agli organi responsabili italiani ai primi di maggio (v. qui D. 381) edera stata sollevata da Orlando in Consiglio dei quattro nella seduta pomeridiana del 26 maggio (v. FRUS, vol. VI, p. 46). Ora, con Nota 8276 SP. dello stesso 10 giugno, corredata di un appunto sulla «situazioni inCarinzia dal 5 al 9 giugno», il generale Diaz aveva sottolineato l’urgente necessità di provvedere alla sicurezza delle comunicazioni ferroviarie tra Italia e Austria, procedendo all’occupazione della Pontebbana finoa St. Veit. Conseguentemente, il 14 giugno le truppe italiane avanzarono nella zona Villach-St. Veit a protezione della linea ferroviaria minacciata dall’avanzata jugoslava.

766 1 Vedi D. 380.

766 2 Vedi D. 380 cit.

767

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO.

T. 1733/33. Budapest, 11 giugno 1919, ore 10 (perv. ore 9 del 12).

Questo ministro affari esteri in nota indirizzata capo di questa missione militare dichiara che: «Allo stato attuale Fiume deve essere considerato come appartenente allo Stato ungherese».

Finora malgrado alcune difficoltà era stata questa missione militare ad apporre i visti passaporti per Fiume e rilasciare documenti perseverando considerare Fiume italiana.

Prima rispondere alla nota prego V.E. telegrafarmi quale concetto io debba seguire e quali norme debba adottare nelle pratiche.

767 Trasferito a Vienna come commissario politico dal 6 giugno (v. D. 717, nota), Borghese eratornato per qualche giorno a Budapest, in assenza di Tacoli.

768

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1726. Roma, 11 giugno 1919, ore 14,45 (perv. ore 6 del 12).

Regime armi. Seguito mio telegramma del 9 corrente1. Invio oggi stesso per posta mie vedute2 circa progetto franco-inglese per controllo armi e munizioni. Alla lettera unisco uno studio già predisposto sull’Atto di Bruxelles3 in rapporto con traffico armi in Etiopia sotto duplice aspetto dello stato di fatto e del supposto programma pel dopo guerra.

Riassumo qui ad ogni buon fine mie vedute circa riorganizzazione in questione per tutti i paesi che si trovino nelle condizioni della Etiopia siano pure considerati Stati indipendenti: 1) Divieto fabbriche armi e munizioni; 2) Impedita o ridotta minime proporzioni importazioni armi e munizioni; 3) Ogni richiesta transito armi e munizioni presentata ad una potenza con possedimento sul mare deve essere da questa potenza portata direttamente a conoscenza delle altre potenze che hanno possedimenti confinanti con lo stesso paese, per un concorde assentimento. Oppure, richiesta deve essere rivolta ad un bureau centrale che prima di accordare nulla osta dovrà ottenere assentimento di tutte le potenze confinanti; 4) Transito armi e munizioni potrà essere rifiutato al caso torbidi pericoli secondo fu previsto dall’articolo 5 Atto Bruxelles.

Non ho bisogno di chiamare attenzione di V.E. su importanza dello argomento per noi specialmente in vista dell’accordo esistente Francia e Inghilterra, su progetto che parrebbe dovesse provocare la opposizione di questa. Ma noi conosciamo il grande interesse britannico di [non] disgustare l’Etiopia per ottenere quando che sia da essa un accordo per Lago Tsana salvaguardi deflusso acque Nilo.

769

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. 699. Parigi, 11 giugno 1919, ore 19.

Suo telegramma 125771.

Sono contrario a che si dia seguito a proposta Governo ungherese per accordo fra costituendi sindacati due paesi circa proprietà ungheresi.

2 Si tratta della lettera n. 3699 dello stesso 11 giugno, non pubblicata.

3 Il riferimento è all’Atto generale di Bruxelles del 2 luglio 1890.

768 1 Non pubblicato.

769 1 Del 5 giugno. Non pubblicato.

770

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A VITTORIO EMANUELE III

T. Parigi, 11 giugno 1919.

Ringrazio V.M. del telegramma di ieri1.

Mi conforta il pieno assenso di V.M. sulla nostra attitudine di assoluta resistenza al controprogetto Wilson. Dopo le pratiche di una ulteriore transazione iniziata da Clemenceau, e da me fatte cadere, la nostra questione non è stata più trattata. È fuori di dubbio che a noi conviene tale attitudine di resistenza passiva. Maggior pensiero mi dà invece la situazione interna su cui il collega Colosimo mi ha oggi fatto comunicazioni di un tono più allarmato che le precedenti2. Mi duole pure assai di constatare, dalle notizie del collega, che nel seno del Gabinetto sorgono dissidi ed incertezze che sono sempre dannosi, ma possono riuscire fatali in momenti così difficili. D’altra parte tale situazione richiederebbe immediatamente la mia presenza costà, e Colosimo infatti mi fa appelli in tale senso. In relazione all’apertura della Camera io avrei potuto aspettare sino a sabato; ma non so se le comunicazioni di Colosimo impongono di anticipare ancora. Ho telegrafato in tale senso a Colosimo3 e mi tengo pronto. Debbo però rilevare che una tale anticipazione della partenza da Parigi potrebbe dare luogo a malevole interpretazioni, essendo il momento in cui si stringa la risposta alla Germania.

771

IL CONSOLE GENERALE, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1759/1113. Vienna, 12 giugno 1919, ore 21 (perv. ore 16 del 13).

Seguito mio telegramma 1036 del 10 corrente1.

Agitazione in senso rivoluzionario si accentua. Si afferma che essa coinciderebbe con movimenti quali dovrebbero scoppiare nei paesi dell’Intesa. Locale ministro degli affari esteri ha chiesto, con sua nota alla missione italiana, di poter soprassedere alla riduzione della guardia popolare2 motivando tale richiesta col fatto che conflitti armati si svolgano fra Czeco-Slovacchia ed Ungheria in immediata vicinanza frontiera austro

2 Si tratta in realtà di un telegramma delle ore 21,20 del 10 giugno (non pubblicato).

3 Il telegramma è delle ore 15,30 dello stesso giorno. Orlando partì poi per Roma nella tardaserata del 12 giugno insieme ad Aldrovandi.

2 La Guardia popolare austriaca (Volkswehr) contava, alla fine del 1918, oltre 120 battaglioni,contro una trentina prevedibili in base all’armistizio di Villa Giusti. Perciò ai primi di aprile Segre neaveva chiesto la riduzione.

tedesca. Mi sono trovato d’accordo con generale Alberti, il quale sostituisce Segre, nel senso di accondiscendere alla richiesta per non dare motivo a maggiore agitazione della guardia popolare. Missione militare francese e signor Allizé sono d’avviso che converrebbe inviare qui da Innsbruck e Schwaz due battaglioni italiani ed uno francese. Bauer però mi ha detto che ritiene improbabile un movimento rivoluzionario.

770 1 Vedi D. 762.

771 1 Non pubblicato.

772

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO

T. 10510 R. Roma, 12 giugno 1919.

Come è noto a V.E., si trovano attualmente a Roma alcuni ucraini con a capo il sig. Mazourenko, i quali si dicono rappresentanti del Direttorio presieduto dal sig. Petljura (quale organo investito del potere nella Repubblica democratica socialista ucraina), e tendono in vari modi a farsi riconoscere come membri di una missione diplomatica ucraina in Italia. Siccome il Direttorio, conformemente alle direttive generali della politica dell’Intesa della questione russa, non fu riconosciuto né dal R. Governo né da alcuna delle potenze alleate ed associate, così non si può in alcun modo ammettere in quelle persone una veste ufficiale qualsiasi. Il sig. Mazourenko ed i suoi colleghi vennero ricevuti da questo Ministero soltanto a titolo privato e fu loro chiaramente e ripetutamente detto che il R. Governo avrebbe permesso lo svolgimento della loro opera soltanto quando essa si fosse tenuta nei dovuti limiti, ed all’infuori di ogni carattere ufficiale.

Risultando poi, anche per pubblicazioni avvenute in vari giornali, che essi cercano di annodare relazioni economiche coi principali nostri enti commerciali, ritengo opportuno far rilevare che attualmente il Direttorio ucraino non ha alcuna base reale, territoriale, essendo l’Ucraina già facente parte dell’ex Impero russo tutta occupata dai bolscevichi di Mosca. Sarà pertanto opportuno mettere in guardia, colla dovuta cautela, anche i nostri commercianti, perché non abbiano a concludere ora rapporti concreti coi rappresentanti di quel Governo, che non si trova, per il momento almeno, nella possibilità di mantenere gli impegni che potrebbe assumere.

772 Il telegramma fu inviato contestualmente ai Ministeri dell’interno, del commercio, dell’agricoltura, degli approvvigionamenti, della guerra, della marina e alla giunta tecnica interministeriale pressoil Ministero del tesoro.

773

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL COMANDO SUPREMO, UFFICIO OPERAZIONI

T. 8565 SP. Parigi, 12 giugno 1919.

Pregasi comunicare d’urgenza a generate Segre1 seguente testo di telegramma diretto il 31 maggio dal Consiglio dei quattro al Governo jugoslavo2. «Noi desideriamo richiamare l’attenzione del Governo del Regno serbi croati e sloveni sulla situazione in Carinzia ove le ostilità sospese nello scorso gennaio sono state riprese. Il Consiglio delle principali potenze alleate ed associate è a conoscenza che mentre il Governo austriaco ha offerto negoziati per un armistizio e sottomette ogni questione alla decisione della Conferenza, le forze jugoslave hanno continuato le loro operazioni ostili ed hanno dimostrato di non essere disposte ad accettare l’armistizio proposto. Il Consiglio delle principali potenze alleate ed associate desidera si sappia che tale azione dovuta solo alle forze jugoslave, portando, come di fatto, ad un inutile spargimento di sangue e alla continuazione di disordine e sofferenze nella regione in cui detta azione si svolge, non può che pregiudicare la causa di coloro che sono responsabili della continuazione di dette ostilità. In conseguenza, esso esige siano date esplicite istruzioni immediatamente al locale comando jugoslavo perché cessi ogni operazione ostile in quella zona, e siano ritirate le truppe sulla frontiera fissata dalla Conferenza e comunicata oggi alla delegazione dei serbi, croati e sloveni, come temporaneo confine sud del bacino di Klagenfurt, il cui controllo è da cedersi dall’Austria alle potenze alleate ed associate per un periodo di sei mesi. Alle armate austriache è stato ordinato di ritirarsi al nord del confine del detto bacino di Klagenfurt».

Il generale Segre deve pertanto dare conoscenza di quanto sopra alle autorità militari serbo create slovene con le quali è a contatto ed esigere il ritiro delle loro truppe al confine stabilito, ritiro da attuarsi in quel termine minimo di tempo che i rappresentanti delle potenze alleate ed associate convocate a Klagenfurt concreteranno.

773 Il T. fu inviato per conoscenza al Ministero degli esteri ed alla Presidenza del Consiglio.

1 Su richiesta di precise direttive (avanzate da Cavallero con Foglio 8485 SP. dell’11 giugno).Sonnino, con Foglio 1906 del 12, aveva disposto «voler comunicare al generale Segre dover egli ingiungere alle due parti contendenti di attenersi alle istruzioni contenute nel telegramma» del 31 maggio. Sullaquestione si veda anche il D. 680.

2 Edito in FRUS. vol. VI, pp. 134 e sg.

774

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, DELLA TORRE, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1971/... Berna, 12 giugno 1919 (perv. il 13).

Seguitando telegramma in cifra avantieri1, ho l’onore d’informare V.E. che membri missione lussemburghese sono ripartiti oggi Lussemburgo2. Entrambi dichiararono esser ferma volontà del popolo lussemburghese opporsi ogni mezzo eventuale annessione oppure unione Belgio mentre sarebbe disposto ammettere unione nazionale con Belgio e Francia; pretendono avrebbe avuto affidamento favorevole Clemenceau autonomia Granducato e assicurazione Bourgeois Lussemburgo farebbe parte Lega Nazioni. Soggiunsero dinastia Nassau divenuta popolarissima dopo che nazione lussemburghese comprese conservazione granduchessa costituiva migliore garanzia indipendenza Stato Lussemburgo.

775

IL VICECONSOLE IN MISSIONE IN SIRIA, TUOZZI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1965/15. Il Cairo, 12 giugno 1919 (perv. il 13).

Mio telegramma 131.

Ieri sera notabili mussulmani cattolici e ortodossi della città circa un centinaio si riunirono per decidere circa desiderata da presentare commissione americana. Mussulmani e cattolici furono d’accordo chiedere annessione Palestina alla Siria riservando, in una Assemblea generale da tenere Damasco da delegati delle due regioni, chiedere circa potenze protettrici da scegliere e modalità governo paese. Furono nominati due delegati musulmani ed un cattolico. Ortodossi si astennero. Continua evidentemente l’equivoco nelle aspirazioni locali. Musulmani chiedevano annessione significando rimanere attraverso emiro gruppo dominante paese, cattolici lavorati dalla Francia intendono per annessione protezione francese, ortodossi ben lavorati da locale governatore inglese non vogliono assumere alcun atteggiamento. Aspira

1 Non rinvenuto.

2 Una delegazione lussemburghese era stata ascoltata in Consiglio dei quattro nella sedutapomeridiana del 28 maggio. Vedi FRUS, VI, pp. 93 sgg.

zioni israeliti sono note. Tali atteggiamenti più o meno accentuati a favore americani troveranno (...) in tutta la Palestina.

Mi sembra non dover tener conto nota divisione locale che, nonostante loro contraria azione politica nel paese, Francia ed Inghilterra già sono d’accordo tranne forse su questione Caifa che ha già nota importanza come capolinea ferrovia Hegiaz e che restando agli inglesi diventerebbe capolinea Mediterraneo ferrovia Bagdad danneggiando attuale commercio fra Mesopotamia Siria. Per parte nostra allo stato delle cose mi sembrerebbe opportuno sostenere per Palestina scissione questione mandati da quella Luoghi Santi; questi dovrebbero essere custoditi da potenze cristiane con guardia e amministrazione internazionale. Tale programma chiaramente sostenuto dall’Italia anche a mezzo stampa avrebbe enorme eco in popolazione cristiana.

Prego telegrafarmi se tale punto di vista entra nelle vedute di V.E. per svolgere localmente un’azione in tal senso.

774 1 Il telegramma, firmato dal ministro a Lussemburgo, temporaneamente residente a Rorschach,fu trasmesso da Berna e controfirmato da Paulucci.

775 1 Non rinvenuto.

776

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1773/322. Washington, 12 giugno 1919 (perv. ore 9 del 14).

Mio telegramma n. 241 diretto a Roma1.

Colla mozione Knox la posizione dei repubblicani verso la Lega delle Nazioni e verso la Conferenza di Parigi sembra avere preso forma definitiva. I repubblicani si dichiarano in favore di un trattato che sia soltanto trattato di pace e per un intervento armato senza previo impegno in caso di attacco tedesco. Le maggiori difficoltà che si frapponevano all’opposizione repubblicani alla Lega erano due: l’esistenza in paese di un largo elemento che, pur favorevole a limitare le obbligazioni americane in Europa, era anche favorevole alla Lega delle Nazioni; l’intima connessione esistente fra trattato di pace e Lega, onde non era possibile distinguere questa da quello e il Senato trovavasi dinnanzi al dilemma di approvare tutto e assicurare così la pace e la ripresa di affari tra Stati Uniti e Germania oppure, volendo evitare il suffragio alla Lega, di prolungare indefinitamente lo stato di guerra. Queste difficoltà spiegano le perplessità da parte repubblicani in quest’ultimo periodo. La mozione Knox gira la prima difficoltà e professa di poter risolvere la seconda. In ordine alla prima difficoltà, la mozione Knox sposta la opposizione alla Lega, dalla questione di merito ad una questione di forma. Dichiara che la Lega modifica la costituzione degli Stati Uniti e chiede che per la sua approvazione si osservi la procedura speciale stabilita, la quale non è quella che si segue per l’approvazione di un trattato. In ordine alla seconda dif

ficoltà la mozione Knox professa di credere che la separazione fra Lega e trattato sia possibile solo se il trattato riservi agli Stati partecipi il diritto di decidere più tardi l’adesione o meno alla Lega e gli Stati Uniti deleghino nel frattempo, per quel che li riguarda, a commissione diplomatica le funzioni altrimenti conferite dal trattato ai delegati americani alla Lega delle Nazioni. La ratifica del trattato e la conseguente ripresa di affari con la Germania divengono possibili così senza la ratifica della Lega. La mozione presentata da Knox si collega colla mozione Lodge del marzo scorso (mio telegramma n. 109)2 e con tutta la discussione in Senato e fuori, a proposito della Lega delle Nazioni e in genere sulla portata e sui limiti della partecipazione americana alle cose di Europa, i quali la mozione stessa mira appunto a definire intimando al presidente e alle potenze alleate che un trattato di pace che vada oltre incontrerà la opposizione del Senato. La lotta si imposta colla mozione Knox fra le tendenze internazionaliste rimproverate a Wilson e un vigoroso nazionalismo americano professato dai suoi oppositori politici. Colla mozione Knox i repubblicani rispondono al tentativo di Wilson di porre il Senato innanzi al fatto compiuto della pace firmata e della Lega convenuta, e a loro volta si adoperano per forzare il riconoscimento del diritto del Senato ad influire sulla Conferenza di Parigi e a screditare in paese e fuori il presidente. Alla mozione Knox si riconoscono pregi di abilità non comuni ed è manifesta la ricerca del favore degli elementi più diversi. Oltre alla posizione che assume di fronte alla Lega palesemente abilmente, è a notarsi, infatti, che mentre bada alla Francia e all’Inghilterra, pronunziandosi per un aiuto armato in caso di attacco tedesco, cerca le simpatie degli elementi liberali trovando modo di denunziare incidentalmente le manchevolezze e le pecche del trattato presente. Sopratutto si rivolge però a quanti in America sono contrari ad una partecipazione troppo larga degli Stati Uniti alle cose di Europa. La mozione finora segue il suo corso normale e si trova innanzi al comitato degli affari esteri. Nella situazione presente ne pare assicurato il favore di pressoché tutti i repubblicani e di qualche democratico3. Ma su tutti sovrasta il senso della gravità del momento attuale e quanta parte vi abbiano i risentimenti e le lotte partigiane e personali.

776 1 Con T. 241 in arrivo a Roma il 4 maggio, Arone aveva informato il MAE della posizione deirepubblicani e in particolare di Lodge nei confronti della Lega delle Nazioni.

776 2 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.3 Con T. 324 del 13 giugno Arone comunicava poi l’approvazione della mozione in Comitatoaffari esteri del Senato con 8 voti contro 7 e il passaggio in discussione al Senato per il 17.

777

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 4081. Roma, 12 giugno 1919.

AVVENIMENTI INTERNI IN ETIOPIA

Il telegramma posta n. 10000 dell’E.V.1 si è incrociato col mio espresso n. 4021 del 3 giugno corr.2. L’E.V. ritiene che convenga illuminare l’Inghilterra sulla questione di ras Tafari, nel senso di far intendere a Londra la convenienza sia di sottrarre quest’ultimo all’influenza francese, sia di non sostenerlo a preferenza dell’imperatrice e di Apte Ghiorghìs per quanto concerne le divergenze attualmente sorte fra loro.

Nel precitato mio espresso, tenuto conto che il r.ministro in Addis Abeba ha accennato di aver ragione di credere che tanto il Governo inglese quanto il Governo francese sono propensi a sostenere ras Tafari, rappresentavo all’E.V. la convenienza di far presente non soltanto al Governo inglese, ma anche al Governo francese, che un atteggiamento a solo favore di ras Tafari, oltre ad essere in contrasto con l’art. 3 dell’accordo di Londra del 19063, potrebbe riuscire pericoloso per lo stesso ras Tafari e per lo statu quo in Etiopia, perché potrebbe divenire un incentivo per l’erede del trono a giudicare una partita, per la quale egli non ha né la capacità, né la forza necessarie, e a gettare così il paese in una funesta anarchia, che le tre potenze alleate hanno interesse di evitare.

Il mio modo di vedere è quindi sostanzialmente concorde con quello manifestato dall’E.V., e certamente sarebbe anche desiderabile che il Governo britannico ben si adoperasse per sottrarre ras Tafari all’influenza francese; ma a tal riguardo la nostra azione a Londra, e non ho bisogno di dirlo all’E.V., richiede molta cautela per non far ricadere, nel contrasto degli interessi in Etiopia, sulla sola Italia, di fronte al Governo etiopico, la taccia di volere l’isolamento di quell’impero, come già si ebbe a verificare per il traffico delle armi, con evidente danno dei nostri interessi in Abissinia. A parte questa considerazione, della quale la dura esperienza passata ci obbliga a tenere massimo conto, manifesto i miei dubbi circa la effettiva esistenza di un programma di separata azione di Francia e Inghilterra in Etiopia, mentre da più segni appare una tendenza ad una azione concorde franco-britannica in Etiopia con nostra esclusione4. Di ciò intrattengo V.E. con altro telegramma odierno5.

2 Vedi qui D. 692.

3 Vedi D. 13, nota 3.

4 In calce annotazione manoscritta: «13/VI-Cerruti-Comunicherei a Parigi-L’esistenza diaccordi franco-inglesi non è da escludersi; ma l’azione suggerita tende anche a chiarire questo stato dicose per poter, eventualmente, decidere sul da farsi a tutela e sviluppo nostri interessi».

5 Si tratta del T. Posta 4117 dello stesso giorno, non pubblicato.

777 1 Non rinvenuto.

778

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 4306. Roma, 12 giugno 1919.

YEMEN

Comunico all’E.V. il telegramma n. 57 in data 29 maggio u.s.1 col quale il governatore dell’Eritrea ha riassunto le informazioni fatte assumere direttamente sulla costa araba da persona di fiducia.

Come l’E.V. ben vede, le notizie sono di due ordini ben distinti: le une concernono l’azione inglese nell’Asir e nel Yemen, le altre riflettono i traffici tra l’Eritrea e la Costa Araba.

AZIONE INGLESE NELL’ASIR E NEL YEMEN

Dalle informazioni risulta:

1) L’Idris2 dopo insistenti richieste del nostro informatore, ha confidato di essere stato ridotto a firmare, durante la guerra, un accordo con gli inglesi, per averne la protezione in caso di attacchi;

2) Gli inglesi avrebbero facoltà di impiantare nell’Asir un hangar per servizio d’aviazione;

3) A Gizan vi è un medico indiano, che verosimilmente è un emissario inglese presso l’Idris;

4) Gli inglese sovvenzionano l’imam Jahia.

La politica inglese di assorbimento dell’Arabia continua per tal modo con regolare svolgimento. Nella lunga precedente corrispondenza, ho facilmente preveduto che l’Idris avrebbe dovuto finire col cedere alle pressioni inglese ed ho dovuto osservare che in tale ipotesi, ora verificatasi, lo statu quo nel Mar Rosso e nella penisola arabica sarebbe rimasto turbato a danno dell’Italia e come potenza rivierasca nel Mar Rosso e come potenza musulmana coloniale. E proponevo o di agire con libertà di azione per una ripresa di efficaci relazioni presso l’Idris, o di addivenire ad una schietta ed esplicita intesa con l’Inghilterra nei riguardi dell’Arabia, sulla base dell’indipendenza della regione e dell’indipendenza dei capi, con libertà commerciale ed economica. Al presente, trattare con l’Idris dopo il suo accordo con gli inglesi non ci è possibile, almeno per ora.

Dico per ora, perché ogni indizio fa credere che l’Idris si sia piegato obtorto collo alla pressione inglese, con la speranza di ottenere i porti di Confuda e di Hodeida, e che egli in caso di disillusione, tenterà di eludere ogni impegno. In ciò ci convince il suo atteggiamento ostile al re dell’Hegiaz, protetto inglese, e la sua simpatia

2 Si tratta di Muhammad al Idrisi, emiro dell’Asir.

verso il movimento nazionalista egiziano e verso il partito di Abbas Pascià. Anche l’imam Jahia, benché sovvenzionato dagli inglesi, trattiene con sé gli ufficiali di razza araba degli antichi presidi turchi e non consegna le armi e le munizioni delle disciolte truppe turche.

Non essendo adunque questo per noi un momento favorevole per trattare utilmente con quei capi arabi, non rimane che agire alla Conferenza della pace, per ristabilire lo statu quo d’equilibrio nel Mar Rosso ad ottenere che venga assegnata alla nostra diretta influenza e protezione tutta o parte della costa orientale del Mar Rosso prospiciente alla colonia Eritrea, e ci venga consentita la occupazione dell’arcipelago delle Farsan. A quest’ordine di idee evidentemente si riferisce il telegramma n. 9925 dell’E.V.3 che, a proposito di un concorso diretto dell’Italia nella situazione dello Yemen, riconosce che il problema di quella regione è uno di quelli la cui soluzione è attesa al Congresso della pace.

Solo in tal modo noi potremo cercare di guarentire una vigorosa esistenza all’Eritrea, che nell’altra sponda del Mar Rosso trova il naturale suo respiro, col pieno gradimento di quelle popolazioni arabe che tante manifestazioni di simpatia ci hanno ripetutamente rivolte.

TRAFFICI FRA L’ERITREA E LA COSTA ARABA

Dalle informazioni risulta:

1) Nella convenzione con gli inglesi, l’Idris si sarebbe riservata piena libertà di commercio con l’Eritrea;

2) Continua l’invio di derrate da Aden per l’Idris. Sambuchi di Gibuti fanno buon traffico anche di petroli con Gizan.

Sul tale incresciosa questione ho lungamente intrattenuto codesto Ministero, ed in ultimo, col telegramma-posta n. 3732 del 21 maggio u.4 riassumevo il dannosissimo stato di cose che viene creato all’Eritrea dalla persistenza del blocco inglese, verso il quale la riserva dell’Idris nulla può valere. In quel telegramma-posta mi esprimevo così:

«Le autorità britanniche di Aden prima addussero che il blocco era necessario per impedire il contrabbando di guerra a favore delle truppe turche, e concedendo a stento che soltanto cinque sambuchi andassero mensilmente al solo porto di Gizan, con limitazione però delle merci da trasportare, paralizzarono i traffici naturali del-l’Eritrea con l’altra sponda del Mar Rosso; e poscia, quando il blocco non era più giustificabile nei riguardi della Turchia e delle truppe turche, che avevano deposto le armi nella regione, presero a pretesto l’anormale stato interno dello Egitto per impedire che la nostra influenza commerciale si svolga dalla Eritrea verso la Costa Araba.

Debbo ripetere che tutto ciò è profondamente penoso e dannoso. Il governatore dell’Eritrea avverte che al divieto non sottostanno né Aden, né Gibuti, e ci induce a protestare nel modo più energico contro un procedimento che è patente violazione del nostro diritto.

4 Vedi qui D. 563.

Non possiamo andare incontro alla completa perdita dei mercati della costa araba, che furono sempre dell’Eritrea, e non possiamo consentire che la nostra autorità scapiti completamente di fronte ai nostri sudditi eritrei e specialmente ai notabili e commercianti indigeni di Massaua, che sono un elemento vitale per i traffici della Colonia.

Se il Governo britannico o le autorità britanniche di Cairo e di Aden, preoccupate dei casi di Egitto, credono sinceramente di adottare ancora misure precauzionali, non hanno che a dircelo lealmente, per procedere di accordo ad una buona guardia da terra e da mare».

L’E.V. a tale mio telegramma-posta rispose col n. 9754 del 29 maggio5 u. chiedendo particolari sulla notizia secondo la quale né Aden né Gibuti sottostanno al divieto di commerciare con la costa araba del Mar Rosso. Mentre attendo dal Governo dell’Eritrea risposta telegrafica in proposito, fo intanto rilevare all’E.V. che la notizia è confermata col telegramma n. 57, qui annesso, del Governo dell’Eritrea.

L’E.V. con lo stesso telegramma-posta n. 9754 mi informa che quei particolari le erano necessari affinché codesto Ministero potesse essere in grado «di riprendere la propria azione al fine di regolare le questioni connesse col blocco sulla costa araba, conformemente agli interessi della Colonia Eritrea».

In tale azione io confido fermamente perché, come l’E.V. ben vede, la situazione che viene creata ai nostri traffici nel Mar Rosso non è più tollerabile.

E pertanto rimango nella fiduciosa attesa di un sollecita favorevole soluzione6.

778 1 Non si pubblica.

778 3 Non rinvenuto.

779

L’ESPERTO TECNICO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 12 giugno 1919.

In seguito all’incarico ricevuto il duca Tommaso Gallarati Scotti ha frequentato in questi giorni ed ha avuto colloqui con personalità del mondo letterario filosofico e religioso con le quali ragioni di studio gli rendevano più facili e naturali i rapporti, da René Doumic a Emile Boutroux, da Denys Cochin a Paul Claudel. Egli ha pure veduto e parlato con uomini non illustri, ma che per la loro posizione erano assai bene informati delle correnti di pensiero e delle tendenze politiche del momento attuale. Per quanto riguarda l’argomento suo egli si è formata la convinzione:

6 Annotazione manoscritta a margine: «15/6 Cerruti. Cominciare col dare corso alla primaparte inviando copia a delegazione pace insieme con copia del nostro 9925 e, poi, conferire circa la 2ªparte (blocco costa araba)».

779 La relazione non è firmata ma si può con certezza attribuire a Galli dal confronto con l’analoga relazione del 10 giugno, firmata appunto da Galli (qui D. 766), trasmessa unitamente a questa daSonnino alle ambasciate a Parigi e Londra ed al MAE con T. 1940 del 15 giugno.

1) Che la questione della Palestina passa in seconda linea di fronte al problema della politica religiosa in genere;

2) Che la presenza di mons. Cerretti preoccupa fortemente quei francesi che vorrebbero una politica di conciliazione fra il Vaticano e la Francia;

3) Che la sua presenza a Parigi avrebbe questo scopo: fare entrare il papa nella Lega delle Nazioni; trovare le basi di una conciliazione con l’Italia;

4) Che il problema non ha più anche per gli stessi cattolici fondamento sentimentale-religioso; ma si pone realisticamente come elemento nella competizione per il primato politico.

Specialmente interessanti sono i colloqui con Denys Cochin e con Paul Claudel che riflettono in modo diverso il punto di vista dei cattolici francesi di fronte alle questioni della S. Sede, che riferiamo nella loro sostanza integrale.

«Ho riveduto Denys Cochin che ho trovato soprattutto preoccupato del problema della S. Sede nei rapporti con l’Italia. Egli non mi nascose il suo disappunto per il segreto con cui mons. Cerretti sta trattando la questione di un riavvicinamento del papa all’Italia. A lui mons. Cerretti non ha detto niente, anzi in questi ultimi tempi è diventato riservatissimo con tutte le personalità francesi del mondo cattolico ed ha assunto un tono di mistero che lascia supporre egli stia trattando esclusivamente con l’Italia. Ciò si accorda alle voci correnti in Parigi di sue relazioni con la Delegazione italiana. L’eventualità di una simile soluzione di conciliazione tra Vaticano e Governo italiano allarma i cattolici francesi e probabilmente il Governo. Secondo i cattolici francesi esiste oggi un’occasione unica per risolvere in qualche modo la posizione del pontefice, e questa è offerta dalla Lega delle Nazioni che potrebbe garantire, in forme acconsentite dall’Italia e non ledente la sua sovranità statale, quella indipendenza della S. Sede che risponde al desiderio dei cattolici di tutto il mondo. Sarebbe una soluzione che, togliendo l’attuale forma di attrito tra Vaticano e Italia, non allarmerebbe i cattolici delle altre nazioni, che non possono acconsentire a veder risolto in modo unilaterale un problema di valore universale. Una conciliazione con l’Italia non rappresenterebbe, dati i tempi che corrono e la fragilità delle forme di Governo attuali, che un contratto temporaneo, non tale da dare un affidamento di stabilità ai cattolici delle altre nazioni. La posizione del pontefice e la libertà della Santa Sede non sarebbe mutata nella sostanza. Concorde come discorde, il papa sarebbe sempre in balia delle mutazioni possibili di Governi. Quel qualsiasi compromesso che potesse oggi essere trovato con la monarchia italiana, potrebbe essere disfatto violentemente domani da una repubblica italiana. Inoltre agli occhi dei cattolici di tutto il mondo il papa apparirebbe un poco alle dipendenze di un re, un grande cappellano di una monarchia. Oltre a ciò le competizioni politico-religiose si acuirebbero. La Francia diventerebbe custode più gelosa dei suoi privilegi ed il papa, per mantenere un apparente equilibrio, dovrebbe mantenerli. Non così se la questione fosse risolta dall’Italia, ma dall’Italia nella Lega delle Nazioni stessa.

A queste osservazioni del Cochin risposi che io non sapevo di trattative in corso tra Governo italiano e S. Sede. Che d’altronde non ritenevo possibile una conciliazione che mi appariva come un anacronismo. Che essa in questo momento non poteva convenire all’Italia per ragioni di politica interna. Essa infatti avrebbe risvegliate fortissime correnti anticlericali a danno dello stesso Vaticano e sarebbe stata interpretata come una inabile mossa di difesa sociale, venuta anche sotto questo punto di vista fuori di tempo.

Da un punto di vista assai diverso considera il problema Paul Claudel, il grande poeta interprete di un rinnovamento cattolico, il letterato oggi più noto, ma che ha un lato della sua fisionomia morale rivolto alla politica e ai problemi pratici e che è stato recentemente nominato ministro a Copenaghen. Egli è l’intimo amico di Berthelot ed è assai considerato al Ministero degli esteri.

Parlandogli della Palestina di cui conosce bene i problemi, mi disse che la questione di Palestina è indissolubilmente legata al problema [papale]. Trattarlo come problema a sé non ha senso, occorre sapere il pensiero del Vaticano in proposito e i suoi nuovi orientamenti politici. Sa che si sta lavorando per far entrare il papa nella Lega delle Nazioni. Crede che chi lavora a ciò faccia opera contraria agli interessi veri della S. Sede. Il capo di una religione universale non dovrebbe ambire di entrare in quella «topaia», in quel ridicolo «calderone» che è la Lega delle Nazioni, istituto nato ieri e che non dà nessuna garanzia di stabilità e di autorità reale. Probabilmente il papa non riuscirà ad entrarvi. Troppe ragioni rendono impossibile la partecipazione del pontefice romano nella Lega.

Allora il papa dovrà pure trovare una base temporale. Questa base non gli può essere offerta che o dalla Francia o dall’Italia. Ciò dipenderà da quale delle due nazioni troverà prima uomini abbastanza intelligenti e liberi per fare il passo di conciliazione con la S. Sede. Chi ha girato il mondo sa quale incalcolabile potenza potrebbe acquistare una nazione i cui interessi politico-religiosi avessero l’appoggio della S. Sede. Oggi soprattutto, dopo la guerra, nell’opera di ricostruzione e di espansione. In Francia forti correnti dell’opinione pubblica anche non cattolica sentono la gravità di questo problema dal punto di vista realistico e l’urgenza di provvedere in proposito. Ma il Claudel non crede che la mentalità di Clemenceau sia abbastanza agile per liberarsi da certi preconcetti radicali e settari. Gli uomini che gli stanno più vicino non capiscono il valore del problema per una indifferenza religiosa che diventa antagonismo politico.

D’altra parte Benedetto XV ha perduto nella coscienza francese durante la guerra il suo prestigio morale. Dal lato sentimentale, religioso, una conciliazione della Francia con questo pontefice è assai meno sentita che per il passato.

È probabile quindi che l’Italia abbia la favorevole occasione di fare per la prima il passo che avrà incommensurabili effetti nell’espansione e nel prestigio morale della latinità. Questo passo non gli pare cosa difficile. Il potere temporale è morto, ben morto anche nella coscienza dei cattolici di tutto il mondo. Non lo si può salvare internazionalizzando quattro camere del Vaticano, come vorrebbero alcuni. Né al papa, né all’Italia converrebbe d’altronde mettere troppo i punti sugli «i». Il problema posto sul terreno giuridico e dottrinale appare insolubile ma nella pratica non lo è. Si tratta di un atto di riconoscimento del valore universale che ha il Papato, si tratta di togliere il carattere antipatico di «stipendiato» del Regno d’Italia, che ha il papa nella legge delle guarentigie. Si tratta più di spirito nuovo che di lettera di vecchi trattati. Ma io dubito, dice il Claudel, che i vostri uomini politici siano più liberi dei nostri dalle pressioni settarie e forse mancano, almeno a giudicare quanto si dice, di quell’«esprit de finesse» che è una dote naturale del vostro popolo. Ma se anche il problema non sarà risolto oggi, si ripresenterà domani perché nasce dalla realtà, e allora si vedrà chi arriverà prima: Francia o Italia1».

778 5 Non rinvenuto.

779 1 Annotazione manoscritta a margine: «Data copia al conte Aldrovandi per il presidente, 12-6-19».

780

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1990/288. Praga, 13 giugno 1919, ore 8 (perv. ore 0,30 del 15).

Stampa czeco slovacca ha velatamente, platonicamente, ma apertamente attaccato missione militare italiana facendola assurdamente responsabile del disastro militare czeco slovacco in Slovacchia1. Ho ripetutamente protestato vivamente presso Governo anche per sua attitudine passiva. Ho anche ribattuto a mezzo intervista da me stesso redatta.

Ritengo però conveniente che incaricato d’affari czeco slovacco sia informato della pessima impressione che questi attacchi producono sul Regio Governo2.

781

IL MINISTRO A STOCCOLMA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1781/491 RIS. Stoccolma, 13 giugno 1919, ore 13 (perv. ore 15 del 14).

Mi risulta che tra gli Stati neutrali va tentando affermarsi corrente la quale, preoccupata dalla posizione nella quale potenze minori verranno trovarsi nella Lega Nazioni, vorrebbero adesione loro fosse per solo due anni. Questa corrente sta cercando una delle grandi potenze che schierandosi dalla sua parte ne diriga azione. Questo ministro affari esteri, come sempre molto guardingo e alieno prendere iniziative, a chi cercava indurlo prendere attiva parte a questo movimento consigliava indagare pensiero Branting. Questi si è espresso in senso favorevole a porre limite breve tempo all’adesione alla Lega, pur rendendosi conto difficoltà attuare quel divisamento contro volontà grandi potenze. Ritiene Lega Nazioni quale oggi si presenta costituirebbe vero soffocamento potenze minori; tuttavia non considera ancora chiusa ogni porta per speranza. Anzitutto non è impossibile che qualche grande potenza si rifiuti firmare patto. Inoltre crede che tendenza stringere potenze minori perderebbe aspetto minaccioso se Germania e Austria fossero fin d’ora chiamate farne parte.

2 Con T. 8480 del 14 giugno a sua volta il ministro della guerra Caviglia chiedeva sulla questione: «una pronta, energica azione da parte del nostro inviato straordinario a Praga affinché sia megliotutelata l’opera dei nostri ufficiali».

780 1 Nella prima settimana di giugno le truppe rosse ungheresi avevano battuto i romeni a norddel Tibisco e occupato l’importante città slovacca di Kolice.

782

IL MINISTRO A STOCCOLMA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1780/497 RIS. Stoccolma, 13 giugno 1919, ore 13 (perv. ore 16 del 14).

Governo svizzero ha fatto tastare il terreno a questo Governo per conoscere se sarebbe disposto partecipare azione comune Stati neutrali per provocare rescissione trattato Lega Nazioni. Governo svedese pur essendo in principio non alieno prendere parte a quell’eventuale azione ha risposto desidera una proposta formale da prendere in esame.

783

IL DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, BARZILAI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A TORINO

T. Parigi, 13 giugno 1919, ore 13,20.

Ebbi stamane lungo colloquio Sonnino; riguardo firma trattato Germania riuscii dire molte cose di quelle che, come dimostrò l’ultima volta tentativo otto giorni or sono, non si possono dire riunione ufficiale senza suscitare in lui opposizioni violente che tolgano possibilità continuare. Feci osservare, ascoltato serenamente, che secondo mio avviso con firma Trattato e Patto annesso andiamo pregiudicarci irrimediabilmente. Se scarsa buona volontà prima firma mostrarono alleati ad assicurarci anche solo Patto Londra, quando loro cose siano a posto è facile immaginare come ci tratteranno sia per eventuale transazione sia riconoscimento trattato. Dopo avere ponderatamente riletti articoli Statuto Lega che a tua volta ti prego riesaminare, sono convinto che anche con pochissima cattiva volontà attraverso articoli dodici e tredici ci possono incastrare nell’arbitrato e attraverso articolo venti nella nullità del Patto Londra. E tutto questo dopo avere noi dato riconoscimento giuridico nostro avversario e ammessa competenza Lega decidere sull’arbitrato o decisione Consiglio, e dopo avere dato vita legale sanzioni boicottaggio stabilite per punire i recalcitranti.

Conclusi esprimendogli opinione che dopo Fiume perderemmo Patto Londra e dopo questo anche garanzie possesso territoriale che Lega potrebbe costringerci abbandonare parti contestate quando non si volesse addirittura far entrare controversia anche maggiori pretese avversarie. Mi rispose che era ben convinto che si andava

783 Trasmesso da Battioni al prefetto di Torino con le seguenti annotazioni: «Prego compiacersifar consegnare a S.E. Orlando seguente telegramma cifrato» e «S.E. Barzilai che parte stasera mi incaricacomunicare». Orlando era partito per Roma, con Aldrovandi, la sera del 12.

incontro disastro ma che non c’era niente fare perché anzi non firmando peggiorava situazione. Replicai che sarebbe sempre stato tanto guadagnato fronte unità paese e coscienza europea quando non fossimo noi legalizzare anticipatamente nostro concorso strumenti e procedimenti destinati opprimerci. Restammo naturalmente tutti e due propria opinione senza però incidenti od invettive alcuna specie come avviene quando gli si dicono cose anche gravi a quattro occhi. Circa tesi subordinata della riserva gli dissi che secondo me in ogni caso essa doveva essere ampia e precisa e si doveva richiedere che alleati e associato accogliessero ampliatamente perché altrimenti sarebbe vana ciò che in ogni caso tu devi ben chiaramente precisargli inviandogli documento. Egli insistette perché appena giunto Roma come accordo tu glielo spedisca e ritiene che molto generico debba essere richiamo a tua precedente dichiarazione che aveva sostanza e portata diverse. Ciò premesso credo che grave questione firma deve essere a Roma seriamente ponderata perché, mentre come tu dici giustamente finora nulla è pregiudicato, tutto potrebbe esserlo in un momento solo. Verrò da te pomeriggio domenica. Molti elementi che qui non si hanno potrebbero essere raccolti e utilizzati prima entrare via senza uscita. Intanto come dissi ieri e ripetei stamani a Sonnino provocando in verità solo scatto conversazione, credo che prima firmare bisognerebbe chiedere Patto Londra se non altro come affermazione ufficiale definitiva nostro diritto, lasciando a chi vuole responsabilità negarlo giustificando col rifiuto ogni eventuale nostra deliberazione. Circa dichiarazione o riserva che dir si voglia, concetto fondamentale mi pare sia quello che Delegazione italiana ritiene inapplicabili disposizioni Patto Società nazioni che prevede un assetto già stabilito, a quelle sistemazioni e a questioni connesse che, formando oggetto Conferenza, non siano state da questa risolute. Dichiarazione di questo genere non esclude che noi o successori possano innanzi firma domandare Conferenza Patto Londra. Naturalmente noi od altri per rifiuto riserva o quello successivo eventuale domanda Patto Londra serberemmo intatto diritto non firmare. Per supremo interesse paese ed enorme responsabilità tua e nostra occorre dunque questione firma non sia pregiudicata. Non sappiamo tra altro cosa possa uscirne dalla situazione parlamentare e non si deve legar mani alcuni. Riguardo sincera amicizia debbo dirti quanto altri veri amici tuoi dicono che cioè se altri vuol provocare crisi tu devi restar fermo al proposito annunziatomi di non tentare vane rappezzature per scongiurarla. Da questa fase mi diceva ieri sera persino Coppola tu puoi uscire senza rimprovero e paese senza grave danno. Ma forse altri uomini più impregiudicati e liberi possono evitare ciò che tu e Delegazione attuale meno facilmente potrebbero.

784

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1784/755. Pera, 13 giugno 1919, ore 15 (perv. ore 15 del 14).

Dall’arrivo nostre truppe Konia ho cercato stringere personali rapporti col capo dei dervisci di Konia1; la conversazione di cui al telegramma di V.E. n. 6672 non è che una proposta ed il suo argomento non ha reale importanza.

L’importanza è che egli si dichiara pronto porre tutta la sua influenza al nostro servizio ed ha insistito presso di me sopra opportunità staccare Anatolia dal sultano nel che egli spera un vantaggio personale. Su questo punto gli ho risposto con estrema riserva. Riferisco dettagliatamente con odierno telegramma posta n. 7543. Egli torna lunedì a Konia. Ho avvertito comando Konia rendergli onori all’arrivo e trattarlo in seguito massima cortesia ma se volesse parlare politica invitarlo scrivermi provvedendo trasmettermi in modo sicuro le sue lettere.

785

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 13174. Roma, 13 giugno 1919, ore 18.

Telegramma di V.E. n. 643 del 4 corr.1 e tel. raccolta arrivo Parigi n. 16932.

Sembra che ormai si abbia a contare sui fatti seguenti:

1) Il signor Venizelos ha stretto intese con il Patriarcato ecumenico per il maggiore raggiungimento possibile delle aspirazioni del Patriarcato, e cioè, della sua preponderanza morale come forza religiosa in tutto il Levante; dell’insediamento del centro del culto nella chiesa di Santa Sofia che per effetto della vittoria delle armi greche viene restituita alla fede cristiana ed alla liturgia ortodossa. Ne conseguiranno:

2 Non pubblicato.

3 Nel T. Posta 754, Sforza precisa su questo punto: «Gli risposi: noi desiderare la integrità dellaTurchia e il mantenimento della sovranità del sultano come il mezzo che oggi ci appariva più sicuro per garantire il graduale e libero sviluppo della nazionalità turca; non ignorar noi tuttavia la importanza ed il valore dicerte forze regionali, come quella della sua illustre famiglia; poter essere egli certo che a quelle forze noisaremmo lieti di far ricorso perché, ovunque dovesse affermarsi una speciale influenza italiana, là noi vorremmo che questa influenza si basi non tanto sulle nostre baionette quanto sul consenso dei migliori. Per ovvieragioni di prudenza non mi spinsi più in là, ma il Gran celebì si mostrò soddisfatto della mia risposta».

2 Si tratta del T. 1693/1151 di Romano Avezzana, da Atene, del 7 giugno. Non pubblicato.

la fusione dell’azione politica greca con quella del Patriarcato ecumenico;

la soppressione della Chiesa autocefala di Atene.

Il Patriarcato potrà così meglio svolgere l’azione di assorbimento di altre chiese ortodosse autocefale, ed il suo ingrandimento avverrà con pari aumento dell’influenza della Grecia.

2) Il signor Venizelos ha preso intese in tale campo di influenza religiosa con la Chiesa anglicana e a traverso essa con il Governo di Londra. Il signor Venizelos per questo tramite avrà verosimilmente raggiunto, se già non lo aveva ottenuto direttamente col viaggio agli Stati Uniti del primate della chiesa di Atene, anche la comunità protestante americana e strette con essa intese per ottenere al Patriarcato ecumenico i più lati vantaggi possibili per la sua espansione morale in Levante.

La questione dei Luoghi santi in Palestina non sarà, verosimilmente, stata trascurata.

La tendenza dell’Inghilterra a regolarla essa: l’assenza di manifestazioni elleniche in proposito e quindi di dissensi riguardo alla Grecia con Inghilterra e con Stati Uniti d’America fa credere che tra Grecia e Inghilterra siano già avvenute intese di comune soddisfazione.

Queste intese non possono evidentemente che ostacolare le aspirazioni italiane, quelle dei latini e quelle della Chiesa cattolica in particolare.

3) Tra Italia, Latini e Chiesa cattolica, dovrebbesi dunque fare fusione di propaganda e d’azione per contrastare l’azione dei greci, dei protestanti dell’Inghilterra e dell’America protestante, e colpirla nei suoi due punti massimi del programma: questione dei Luoghi santi, Santa Sofia.

Senza la vittoria su questi due punti del suo programma, il Patriarcato ecumenico avrà troncata la via della sua egemonia in Levante.

4) Si è per tali motivi che questa direzione generale degli affari politici ritiene attirare l’attenzione della Eccellenza Vostra sulla necessità di intensificare l’azione nostra sulla questione di Santa Sofia, quella del Cenacolo e, per essa, dei Luoghi santi. E poiché la questione di Santa Sofia è essenzialmente questione che interessa la Chiesa di Roma più che l’Italia, il Vaticano non potrà negare all’Italia compensi per l’aiuto che essa potrà dargli. Questi compensi devrebber’esser formulati come già indicato nella relazione di quest’ufficio del 18 maggio scorso3. L’Ufficio dà all’avviso del conte Sforza: «che il Vaticano non si impegnerà in modo assoluto» il valore che esso può avere: quello cioè che il Vaticano cercherà di impegnarsi il meno possibile; ma l’Ufficio deprecherebbe immensamente che la nostra azione non avvenisse.

L’Ufficio non ha ora mezzi di relazioni dirette con il Vaticano, il conte Senni essendo partito da Roma; esso suggerisce che l’azione sia ora svolta costì presso mons. Cerretti, valendosi dell’opera del conte Gallarati Scotti.

Quanto alla rivendicazione del Cenacolo, l’Ufficio attira di nuovo l’attenzione di Vostra Eccellenza sull’importanza per l’Italia di rivendicare essa alla Chiesa Latina, e al mondo cattolico, quello che sarà certamente il più venerato santuario dei cristiani. Esso spera quindi che Vostra Eccellenza vorrà far svolgere la più intensa azione al riguardo.

784 1 Si tratta del Gran celebì (Gran signore) della confraternita dei Mevlevì.

785 1 Non pubblicato.

785 3 Si tratta molto probabilmente della Nota del 17 maggio (qui D. 527).

786

IL COMANDANTE IN ALBANIA, S. PIACENTINI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI E AL COMANDO SUPREMO, UFFICIO OPERAZIONI

T. 5500. Valona, 13 giugno 1919, ore 21,50.

Comunicasi per doverosa informazione seguente telegramma del 16° Corpo d’Armata: «8359. Informatore comunica che rivoluzione Kossovo già raggiunto serie proporzioni; centinaia di rivoltosi con bandiera albanese scesero provincia Prizren giungendo a circa tre ore dalla città. Entusiasmo albanesi; anche popolazione nazionalità serba rifiutasi prendere armi contro rivoltosi, uniscesi loro dimostrazioni chiedendo la repubblica. Voci raccolte nostri informatori affermano che a Dibra si è ingenerata seria preoccupazione nelle autorità militari e sfiducia dei soldati. Gen. Ferrero Giacinto».

787

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 1999/900 RIS. Londra, 13 giugno 1919 (perv. il 15).

Ieri mi fu riferito al Foreign Office medesima notizia contenuta in prima parte telegramma n. 128441.

A titolo confidenziale mio interlocutore si dolse vivamente atteggiamento ministro di Francia in Addis Abeba. Rilevò quindi eccellenti relazioni intercedenti fra ministro d’Inghilterra e Colli, osservando che i due rappresentanti avevano sempre cercato di procedere d’accordo. Durante discorso ricordai questione Gibuti e pericolo insito commercio d’armi che, giusta informazione di cui tacqui fonte (mio telegramma n. 839)2, avrebbe di nuovo ripreso colà. Mio interlocutore dichiarò non essere a lui giunta finora alcuna informazione circa suddetta attività, della quale comunque egli aveva sempre temuto ripresa dalla firma dell’armistizio europeo3.

2 Non rinvenuto.

3 Sulla questione, con T. 13248 dello stesso giorno a Sonnino, Manzoni esprimeva l’avvisoche «sarebbe opportuno intavolare uno scambio di vedute col Governo britannico per concordare conesso una linea di condotta ferma, mediante la quale richiamare la Francia alla stretta osservanza dell’accordo stipulato in Londra il 13 dicembre 1906 per la repressione del contrabbando delle armi e munizioninel Mar Rosso, nel Golfo d’Aden e nell’Oceano indiano, col quale si ribadivano le disposizioni degli articoli VIII-XIII dell’Atto generale di Bruxelles del 2 luglio 1890».

787 1 Vedi D. 744.

788

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1752/242. Parigi, 13 giugno 1919 (perv. stesso giorno).

Facendo seguito al mio telegramma di ieri n. 2411 mi affretto trasmetterle in copia una lettera che ho testé ricevuto dal signor Pichon sulla situazione delle nostre truppe al Montenegro.

Quanto scrive il signor Pichon mi conferma nella opinione che ho già espressa all’E.V. nel mio telegramma lettera n. 2382. Mentre infatti sarà facile far rilevare a questo ministro degli affari esteri che la dichiarazione dei nostri capi militari si spiegava benissimo, al momento in cui fu fatta, con il telegramma del generale Franchet del 30 aprile, ora è indispensabile per il prestigio di quel nostro comando e per prevenire incidenti sempre spiacevoli, dichiarare in modo preciso al Governo francese se il Regio Governo intende che le truppe italiane al Montenegro continuino a restare sotto il comando interalleato, nel qual caso sarà necessario inviare ad esse nuove istruzioni, ovvero se il Regio Governo intende che dipendano d’ora in poi esclusivamente dal nostro Comando Supremo3.

Prego in tutti i casi l’E.V. di pormi in grado di rispondere prontamente al signor Pichon4.

PICHON A BONIN LONGARE

Parigi, 12 giugno 1919.

Le Général Tahon qui sous l’autorité du Général Franchet d’Esperey commande les forces alliées du Montenegro, a reçu du Lieutenant Colonel Chiesa, commandant la garnison italienne d’Antivari, puis du Général Piacentini, la déclaration que les garnisons italiennes du Montenegro relevaient directament du Commandement italien et étaient indépendantes du Commandement interallié.

Je n’ai pas besoin de Vous rappeler que les troupes d’occupation du Montenegro sont placées, depuis le début, sous le Haut Commandement du Général Franchet d’Esperey. Rien n’est venu depuis lors modifier cette situation.

Le Gouvernement de la République, comme le Gouvernement Royal luimême, avait bien envisagé, il y a quelques mois, l’évacuation de ce pays par les troupes alliées; mais ainsi que vous l’a rappelé ma lettre du 22 mai dernier5, il est revenu sur cette décision à la demande expresse du Gouvernement Italien. La situation n’est donc pas modifiée, et les conditions dans lesquelles le Commandement

2 Dell’11 giugno. Non pubblicato.

3 Sulla questione Paternò stese per Sonnino una breve Relazione. Vedi Allegato I.

4 Vedi poi D. 797.

5 Vedi D. 584.

interallié s’exerce au Montenegro demeurent les mêmes. Dans ces conditions, l’attitude du Général Piacentini et du Lieutenant Colonel Chiesa est véritablement inexplicable.

Je vous serais donc reconnaissant de bien vouloir provoquer d’urgence l’envoi d’instructions précises destinées à mettre fin à cette situation, en rappelant à ces officiers que les contingents alliés qui occupent le Montenegro, étant soumis à l’autorité du Général Franchet d’Esperey, demeurent en conséquence placés sous les ordre du Général Tahon, chargé par lui du Commandement des forces alliées dans ce pays.

ALLEGATO I

L’ESPERTO TECNICO, PATERNÒ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 13 giugno 1919.

Circa il quesito posto da S.E. il conte Bonin con l’unito telegramma la Sezione militare risponde che dal punto di vista prettamente militare è indifferente che il colonnello Chiesa dipenda o no dai francesi. La questione va invece posta dal punto di vista della tutela delle nostre aziende in Montenegro6. Al riguardo il Comando Supremo, il colonnello Chiesa e questa Sezione militare esprimono concordemente il parere, cui l’ufficio si associa, che un ritorno sotto il Comando francese significherebbe praticamente la mainmise completa di serbi e francesi sulla Compagnia d’Antivari.

L’Ufficio è del parere quindi di ottenere prima dal Governo francese tutte le garanzie chieste nel telegramma 01862 del 10 corrente7 e di aderire dopo alla domanda relativa alle truppe di occupazione. Il conte Bonin avrebbe così libertà di trattare, come ne esprime il desiderio, separatamente le due questioni.

Si attendono le decisioni di V.E.

ALLEGATO II

APPUNTO SUGLI INTERESSI ECONOMICI ITALIANI IN MONTENEGRO

Il capitale italiano in Montenegro è rappresentato dalle seguenti iniziative:

1) Compagnia d’Antivari la quale comprende: a) il porto di Antivari; b) la ferrovia Antivari Vir Pazar; c) il servizio di navigazione sul lago di Scutari;

2) il monopolio dei tabacchi in tutto il Montenegro con sede principale a Podgoritza e varie succursali nello Stato.

3) la Bonifica di Dulcigno con un cospicuo impianto idrovoro a Dulcigno.

L’occupazione interalleata ha prodotto i seguenti risultati:

Sequestro da parte delle autorità francesi e serbe di tutto il naviglio della compagnia, la quale non ha potuto nonostante ripetuti reclami rientrarne in possesso ed iniziare i trasporti che le sono affidati in forza di una convenzione stipulata molti anni or sono fra la compagnia medesima ed il Governo montenegrino.

Sequestro del monopolio dei tabacchi e impossibilità ai concessionari di rientrare in possesso degli immobili e gli altri impianti.

Ostacoli opposti anche all’esercizio della ferrovia fra cui organizzazioni di servizi lungo la Bojana in concorrenza alla Compagnia di Antivari. Richiesta da parte del Governo francese di assumere l’esercizio della linea e del porto.

A questi fatti si aggiunge il particolare trattamento usatoci per i palazzi della R. Legazione in Cettigne.

Sotto l’occupazione austriaca fu permesso che la custodia fosse esercitata dal cancelliere e dai cavas della Legazione. Con l’occupazione interalleata la Legazione giace incustodita e danni non lievi sono stati arrecati. Il Comando italiano ha fatto di tutto per inviare sul posto un ufficiale o una guardia ma i serbi che comandano a Cettigne non lo hanno permesso.

I danni avuti dall’Italia ammontano, per i fatti che precedono, a molti milioni di lire.

788 1 Non rinvenuto.

788 6 Sugli interessi economici italiani in Montenegro si è rinvenuto un appunto senza data e senzafirma che si è ritenuto opportuno pubblicare qui in allegato (All. II).7 Non pubblicato.

789

L’ESPERTO TECNICO, LEVI, AL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI

PROMEMORIA. Parigi, 13 giugno 1919.

In seguito ad ordini di S.E. Crespi prospetto la seguente questione:

Risulta che da parte inglese si sta studiando l’eventuale ripartizione fra gli alleati dei territori che verranno man mano guadagnati sulla Russia bolscevica in seguito al ripiegamento dei bolcevichi stessi. Tale ripartizione sarebbe semplicemente diretta a stabilire delle sfere d’influenza per quanto ha tratto al ripristino delle comunicazioni ferroviarie, fluviali ecc. e alla riorganizzazione in genere del servizio trasporti che si ritiene essere indispensabile per il ritorno della vita normale in quei paesi.

Allo stato di fatto esistendo già delle commissioni tecniche ferroviarie americane, inglesi, francesi e inglesi rispettivamente in Siberia, nella zona del Caucaso e del basso Don, in Romania, in Polonia, risulterebbe che queste stesse commissioni estenderebbero la loro influenza sui territori russi. Sembrerebbe inoltre che un organo interalleato dirigerebbe l’azione di tutti.

Stando così le cose, qualora noi non prendessimo nessuna iniziativa, verremmo esclusi dai compiti suddetti. Cosa questa che potrebbe non corrispondere al nostro interesse.

Tenuto presente che noi dovremo probabilmente istituire nel Caucaso una commissione ferroviaria italiana, si chiede se non sia il caso di esigere che nell’ipotesi summenzionata questa commissione estenda i suoi compiti alla Crimea per poi interporsi fra la zona d’influenza inglese e quella francese. Oppure se da parte del R. Ministero esteri non si creda di indicare quale altra zona sarebbe conveniente farci attribuire1.

790

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1792/756. Costantinopoli, 14 giugno 1919, ore 15 (perv. ore 10 del 15).

Costituitasi qui anche col mio appoggio un’associazione per la difesa del diritti degli abitanti di Rodi e Coo. Essa mi ha rimesso memoriale chiedente le due isole siano restituite alla Turchia e se ciò non è possibile siano lasciate Italia «che durante sette anni con una buona amministrazione applicata ugualmente a cristiani e musulmani ha conquistata la riconoscenza di queste».

Invio memoriale con rapporto odierno1.

791

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD HELSINGFORS, GRAZZI

T. 712. Parigi, 14 giugno 1919, ore 18,30.

Telegramma di V.S. n. 511.

Il Regio Governo pur nutrendo viva simpatia per le aspirazioni nazionali finlandesi non crede per il momento di poter procedere ad un formale riconoscimento del-l’indipendenza della Finlandia come hanno fatto gli altri alleati ed associati. Regio

Governo intrattiene cordiali rapporti di fatto con il Governo finlandese ma è d’avviso che il riconoscimento definitivo dovrà coincidere con la sistemazione di tutte le altre questioni che riguardano la Russia2.

789 1 In calce annotazioni manoscritte: «13/6/19 Occorre risposta per domattina ore 9. Trombetti».E poi «Secondo una prima divisione di sfere di attività in Russia fra Francia ed Inghilterra, l’Ucraina e laCrimea erano riservate alla Francia. Infatti Francia occupò Crimea che fu poi obbligata di evacuare sottola pressione dei bolscevichi. È quindi da supporre che se e quando i bolscevichi scompariranno da quellaregione, la Francia reclamerà a suo beneficio la istituzione della Commissione ferroviaria in Crimea.Data risposta al generale Levi, 14/6/19».

790 1 Con T. 728 del 17 giugno Sonnino rispose suggerendo che il memoriale fosse diretto allapresidenza della Conferenza della pace. Sulla questione vedi anche D. 652.

791 1 Vedi D. 691.

792

IL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1806/1166. Atene, 14 giugno 1919, ore 19,45 (perv. ore 9 del 16).

Faccio seguito al suo1 telegramma 1160.

Risulta dai preparativi in corso che tutta la divisione dell’arcipelago, di cui un reggimento è già a Smirne, sarà in questi giorni sbarcata in Asia. Con la prima divisione che già vi si trova il numero delle truppe greche con i reparti di gendarmeria ed i servizi verrebbe a sorpassare così i trentamila uomini. Ciò oltre alle truppe di Bessarabia il cui comandante generale Nider è già giunto a Smirne. La spedizione greca prende sempre più carattere di una occupazione definitiva.

793

IL CONSOLE GENERALE, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1801/1146. Vienna, 14 giugno 1919, ore 20,30 (perv. ore 9 del 15).

Miei telegrammi 1036 del 101 e 1113 del 12 corrente2.

Sono informato da generale Alberti che colonnello Lenoble, il quale funge da capo della missione militare francese in sostituzione generale Hallier, gli aveva fatto comprendere che egli si sarebbe adoperato per far venite qui a tutela nostri ordini il battaglione francese che si trova a Schwaz. Nelle ultime 24 ore la situazione si è però qui grandemente migliorata, sia perché Comando Supremo italiano ha concesso una proroga alla riduzione della Volkswehr sia perché il consiglio dei lavoratori di Vienna ha pubblicato una dichiarazione in cui si afferma che esso è il solo organo competente a decidere di ogni questione che interessa il ceto operaio e che esso non si lascerà

2 Vedi D. 771.

forzare la mano da comunisti che rappresentano appena la 20ª parte dei socialisti e sono in massima parte stranieri. Opinione oggi, secondo quanto mi risulta, è che nessun movimento rivoluzionario grave si verificherà. Sarebbe pertanto desiderabile che non avesse luogo invio del predetto battaglione francese, il quale è voluto dalla missione militare francese principalmente per fare cosa grata al partito cristiano-sociale. Tale partito, con cui Allizé è in buoni rapporti, contrario all’unione dell’Austria alla Germania e favorevole alla federazione danubiana, aspira infatti al potere, ma teme la Volkswehr e perciò desidera invio di forze dell’Intesa specialmente della Francia. Osservo del resto che battaglione francese di Schwaz si trova sotto gli ordini del comando militare italiano ad Innsbruk.

791 2 Il riconoscimento ufficiale italiano si ebbe poi il 27 giugno, con il Governo Nitti.

792 1 Recte «mio». Si tratta del T. 1738/1160 di Romano, dell’11 giugno. Non pubblicato.

793 1 Non pubblicato.

794

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1796/896 RIS. Londra, 14 giugno 1919, ore 21 (perv. ore 10 del 15).

Inghilterra e America1. Informazioni finora riferite a V.E. concordano tutte nel concetto che queste sfere ufficiali sono disposte a ritenere che Wilson saprà vincere opposizione Senato ed assicurare garanzie americane alla pace. Ho riferito pure come dette sfere cerchino profittare siffatte garanzie col procedere intanto ad una attiva propaganda in favore Lega. Malgrado siffatte concordi informazioni ho creduto tuttavia doveroso indagare quale direzione sarebbe per prendere politica inglese nel caso America rifiutasse quelle garanzie.

Mie indagini sono pervenute a raccogliere seguenti informazioni che telegrafo a

V.E. unicamente per quel valore indiziario che potranno avere eventualmente. Nel caso prospettato, a quanto mi è stato detto, politica inglese si disporrebbe adunque: 1) Conclusione effettiva alleanza con due attuali alleati latini. 2) Fare del Baltico un mare d’influenza inglese e tale da rendere possibile controllo e rifornimenti Russia. Cosicché si tenterebbe: dare alla Danimarca una sicurezza di neutralità permanente garantita dalla conclusa nuova triplice alleanza (Inghilterra, Italia, Francia); annettere alla Danimarca il Canale di Kiel. 3) Obbligo per trattato Olanda a partecipare al blocco di guerra inglese in caso di conflitto europeo. 4) Fare una politica d’intimidazione verso il Governo svedese, appoggiandola con armi economiche. 5) Rendere vitale una repubblica germanica anche a costo di rinunziare pattuita indennità di guerra e con eventuale revisione trattato di pace.

Secondo mie informazioni, politica di Lloyd George, quale essa appare, dal riconoscimento del Governo ammiraglio Kolciak, dal desiderio del mantenimento dello Stato turco, dal sollecito riconoscimento della Germania a partecipare alla Lega, sarebbe solamente «istintiva» della nuova possibile orientazione politica ingle

se. A parte qualsiasi valutazione del grado di autenticità del piano suesposto si può notare che esso prospetta l’ipotesi della costituzione di un blocco europeo sotto il controllo inglese, contemplando tuttavia alcune misure di sicurezza contro la Germania e Russia la cui futura posizione viene ancora considerata con riserva.

794 1 Vedi D. 776.

795

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Roma, 14 giugno 1919, ore 23 (perv. ore 13,20 del 15).

Situazione interna, per quanto riguarda ordine pubblico è migliorata, ma non si escludono [movimenti] dipendenti dagli accordi internazionali, sui quali influiranno senza dubbio rapporti delle quattro potenze con ammiraglio Kolciak, come io per altro prevedevo.

Compagine ministeriale lascia desiderare, ma nel lungo Consiglio ministri di oggi sembrò prevalere la tendenza di procedere verso la Camera per chiederne il giudizio. Consiglio continuerà domani. Nella relazione da me fatta delle ultime pratiche a Parigi, parlai della riserva relativa alla non applicabilità della Lega delle Nazioni. Colleghi ritennero tutti tale riserva avere una importanza grandissima, anche per i suoi nessi col Patto di Londra, e ritennero che l’ammissione di tale riserva ha un valore che oltrepassa anche la semiquestione di metodo e tocca la sostanza dei nostri diritti. Io confido che essa sarà accettata. La lettera è partita stasera1.

796

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 908. Londra, 14 giugno 1919.

Vaticano ed Inghilterra

La notizia apparsa sul «Daily Telegraph», e cioè che il Governo britannico abbia deciso di autorizzare la nomina di un nunzio apostolico in Londra, non è stata rilevata da questa stampa. Aggiungo ad ogni buon fine che di essa non mi è stato fatto cenno alcuno al Foreign Office, e che io mi sono astenuto, in mancanza di istruzioni di V.E., dal fare assaggi sotto qualsiasi forma o titolo presso quel dicastero.

795 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 458. 1 Vedi DD. 799 e 810.

Comunque, parmi opportuno segnalare a V.E. che da qualche tempo ho notato il formarsi di una corrente favorevole alla costituzione di una permanente rappresentanza britannica presso il Vaticano. Questa corrente, che ha seguaci al Foreign Office, agisce prevalentemente sulla considerazione che rapporti intimi ed assidui col Vaticano sono resi necessari dalla situazione in Irlanda, e dall’insieme della politica irlandese. Parmi quindi probabile (sotto espressa riserva di ulteriori investigazioni) che questa corrente si sia pure fatta propiziare la nomina di un rappresentante del Vaticano in Londra.

Senonché inclino a credere che una tale nomina, o meglio lo stabilimento di normali e permanenti rappresentanze diplomatiche fra il Vaticano e questo Governo, non sia per essere troppo bene accetto ai liberali inglesi. Malgrado le apparenze, qui regnano sempre grandi circospezione e diffidenza verso la Chiesa romana. A ciò devesi pure aggiungere che è ancora vivo il disappunto sentito per l’azione del papato, ritenuta scarsa e scolorita, nel Belgio e nella Francia durante l’occupazione germanica; ed altresì che permangono tuttora, egualmente vive, le recriminazioni per l’atteggiamento del clero cattolico in Irlanda, in stretta unione coi Sinn Feiners.

Segnalo infine a V.E. che il solo giornale che ha commentato la notizia di cui trattasi: lo «Spectator», la critica prevalentemente sotto il riflesso che tale misura: 1) porterebbe qui intrighi pericolosi; 2) darebbe forza ai cattolici irlandesi; 3) significherebbe incoraggiamento al potere temporale, cui ogni interesse inglese contrasta in modo assoluto.

Mi riservo riferire ulteriormente sulla questione.

797

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE

T. POSTA. Parigi, 14 giugno 1919.

Suo teleg. Gab. 2421.

Non ho difficoltà ad autorizzare il colonnello Chiesa a porsi alla dipendenza del comando francese. Ma poiché gli ordini del predetto comando non si sono sempre contenuti entro i limiti prettamente militari ed hanno invece invaso il campo economico, come ne fanno fede i reclami presentati dalla compagnie italiane e di cui è cenno nel mio telegramma n. 01862 del 10 corr.2, prego V.E. di far presente al signor Pichon che il R. Governo considera che la subordinazione gerarchica del nostro distaccamento al comando interalleato non può implicare la rinunzia da parte nostra all’esercizio effettivo nonché al controllo delle aziende italiane in Montenegro e neppure una qualsiasi modificazione o sospensione delle convenzioni italo-montenegrine

2 Non pubblicato.

che regolano tali aziende. Il passo di V.E., diretto a patrocinare i reclami della Compagnia d’Antivari e del Monopolio dei tabacchi presso codesto Governo, si ricollega appunto con tale concetto che converrà pertanto prontamente esporre al signor Pichon, allo scopo di evitare che il comando francese in Montenegro si avvalga dei poteri conferitigli per scopi puramente militari che non possono, come tali, mutare la posizione giuridica e di fatto delle nostre commissioni e ancora meno arrecare un danno qualsiasi ai nostri connazionali3.

797 1 Vedi D. 788.

798

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. POSTA 13310. Roma, 14 giugno 1919.

In relazione ai miei telegrammi n. 12749 e 12942 del 7 e 10 corrente1, trascrivo qui appresso la seguente nota pervenuta dal Ministero dell’interno:

«È venuto a conoscenza di questo Ministero che l’articolo 18 del trattato di pace testé presentato dagli alleati ai delegati dell’Austria a St. Germain contiene le seguenti disposizioni:

Art. XVIII

Le Gouvernement autrichien remettra sans délai aux Gouvernements alliés ou associés intéressés les archives, régistres, plans, titres et documents de toute nature concernant les administrations civile et militaire, financière, judiciaire ou autres des territoires cédés. Si quelques-uns de ces documents, archives, registres, titres, ou plans avaient eté déplacés, ils seront restitués par le Gouvernement autrichien sur la demande des Gouvernements alliés ou associés intéressés.

L’Autriche rendra respectivement à chacun des Etats alliés ou associés intéressés tous les actes, documents et mémoires historiques possédés par ses établissements publics, qui ont un rapport direct avec l’histoire des territoires cédés et qui en ont été éloignés pendant les dix dernières années. Cette dernière période, en ce qui concerne l’Italie, remonte à la date de la proclamation du Royaume (1861).

Questa formula prescinde evidentemente dallo stato di fatto in cui si trova il patrimonio archivistico, bibliotecario ed artistico italiano in confronto dell’ex impero austro ungarico; e dalle operazioni compiute dai funzionari italiani aggregati alla missione militare di armistizio per assicurare di fatto al nostro Governo il possesso del prezioso materiale da rivendicarsi dall’Austria.

Il Ministero dell’interno si crede pertanto in dovere di richiamare l’attenzione di codesto on. Dicastero sul pericolo di lasciare sussistere la proposta formula nella sua redazione attuale. E, in verità, tale formula non tiene in nessun conto le spogliazioni alle quali fin dal secolo XVIII furono soggetti i nostri archivi pubblici, le biblioteche e le gallerie; non tiene conto che ben prima del 1861 non solamente negli Stati che costituivano allora il Regno d’Italia, ma altresì nelle provincie ora liberate, si esercitò prepotentemente sovrana la facoltà da parte della monarchia scomparsa di asportare dalle loro sedi naturali le serie intere di documenti, codici ed opere d’arte e d’antichità che costituivano la gloria del Trentino (1805) dell’Istria e della Dalmazia (1853). Non tiene alcun conto del principio della territorialità dei documenti e monumenti storici letterari e artistici affermata fin dal secolo XVIII e dal trattato di Vienna e solennemente riconosciuta nei trattati di Zurigo (1859) e di Vienna (1866) e nella convenzione di Firenze (1868). Trascura infine la propizia occasione di rivendicare al nostro paese ciò che, contro il nostro buon diritto, fummo costretti a cedere con quei trattati.

Se dunque tale formula dovesse servire di base alla discussione, che i delegati austriaci si sono riservati di fare a St. Germain, il R. Governo si troverebbe nella dolorosa condizione di dovere restituire senz’altro tutto quel patrimonio che ci era stato rapito e che, con l’approvazione data da S.E. il ministro degli affari esteri il 29 novembre u.s., fu recuperato e concentrato a Trento, a Venezia, Mantova e Milano.

Ciò, mentre implicherebbe definitiva rinuncia ad una parte considerevole del patrimonio storico nazionale, sanzionando le spogliazioni compiute dalla cessata monarchia degli Asburgo, verrebbe persino ad avvalorare le lagnanze raccolte da quella stampa straniera che si compiacque di fare apparire i nostri funzionari depredatori delle collezioni viennesi. È questo proprio quando un accordo testé stipulato fra essi ed i dirigenti degli archivi austriaci ha riconosciuto solennemente il principio della territorialità degli archivi, ammettendo che essi debbano seguire la sorte dei rispettivi territori e quindi attribuendosi al Governo italiano tutti i documenti pertinenti ad uffici che avevano sede in Italia e dovevano perciò rimanervi.

Notisi che ad evitare appunto i danni morali e materiali che ora si ha ragione di temere, apposita commissione interministeriale aveva predisposto in tempo utile e consegnato a codesto on. Ministero lo schema di apposite disposizioni da inserirsi nel trattato di pace, unendovi un primo elenco di documenti da rivendicarsi dall’Austria.

A tutela degli interessi materiali e morali del nostro paese, sembrerebbe necessario un urgente riesame della questione, sulla base dei principi fermati nello schema anzidetto e degli elementi di fatto testé accennati, ed in tale senso si rivolge viva istanza a codesto on. Ministero, con preghiera di comunicazioni. Colosimo2».

Prego Vostra Eccellenza di mettermi in grado di dare una risposta a S.E. Colosimo3.

797 3 A margine annotazione manoscritta: «il conte Bonin pensa che è meglio incaricarne i militari».

798 1 Nei due telegrammi citati (per altro a firma Biancheri) era stato già sollevato il problema delpatrimonio storico asportato dai territori italiani prima del 1861.

798 2 Essendo Orlando titolare anche del Ministero dell’interno, Colosimo, come vice presidentedel Consiglio, ne assumeva l’interim in sua assenza.3 Vedi poi D. 880.

799

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, CLEMENCEAU

L. Roma, 14 giugno 1919.

Several times already, during private conversations with each of my three colleagues, I had the opportunity to call their attention to the peculiar difficulties which Italy would have faced should the signature of the Conditions of Peace with Germany take place before the settlement of the future Italian boundaries.

I very clearly expressed this same idea at a meeting of the Four, and, to be precise, during the afternoon of April 24th last, President Wilson objecting to my argument remarked:

«Strictly speaking the decisions in regard the Italian frontiers do not affect the Peace with Germany but only with the Austrian Hungarian Empire. Henceforth certainly I could see no inconsistency between Italy taking part in the Treaty with Germany and reserving the Treaty with Austria».

To such remark of the President I replied with a few commentaries of political character, but I insisted, above all, in pointing out that:

«The signature of the Peace Treaty with Germany implies also the signature of the Covenant of the League of Nations. One of the clauses of said Covenant contemplates reciprocal guarantees for the territories of the signing Powers. The result would be that Italy would engage itself to guarantee the territories of other countries, without being itself guaranteed».

I concluded by saying: «Such conditions would prevent me from signing the Peace with Germany, in case territorial questions with Austria were not previously settled».

The question was not given, at the time, any further consideration, nor was afterwards taken up again, because until a few days ago, the hope had been entertained that after the settlement of the Italian frontiers with Austria, it would also have been possible to settle the Italian oriental and adriatic boundaries, as well as some other important questions interesting Italy. But as unfortunately such possibility seems to have vanished, the question put down in a formal way during the meeting of April 24th comes again in its integrity.

Having given such question a new and careful consideration for it concerns an indispensable guarantee of the interests of my country, I must ask you to agree with the following reserve, viz. that the Italian Delegation is of opinion that the clauses of the League of Nations, just because they refer to a territorial asset already established, do not apply to any of those arrangements and to those questions connected with them, which form the object of the Peace Conference and which have not been settled yet.

799 La lettera, indirizzata a Clemenceau nella sua qualità di presidente della Conferenza dellapace, fu consegnata da Sonnino ai tre Grandi nella riunione a.m. del Consiglio dei quattro del 16 giugno.Vedi SONNINO, Diario, vol. III, pp. 340 sg. e qui D. 810. Edita in FRUS, vol VI, pp. 485 sg.

While I have the honour to bring the aforesaid to your knowledge it remains understood that my colleague Baron Sonnino, who fully represents me at the Conference, will have the opportunity to discuss the matter with you and to reach a decision about it.

Identical communication has been sent to President Wilson and to Mr. Lloyd George.

800

IL CONSOLE VALERI ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

RELAZIONE. Parigi, 14 giugno 1919.

Conversazioni avute con:

Carlo [?] Tcheidze e C. Ovardgialadze (Delegazione della Repubblica di Georgia).

Valeri. Spiega gli obbiettivi che si propone di realizzare l’Italia con l’eventuale penetrazione in Transcaucasia e sostituzione del contingente di truppe italiane a quelle britanniche: riferendo la favorevole accoglienza che il Governo della Repubblica georgiana fece alla Missione militare italiana nella sua recente permanenza in Transcaucasia, domanda quale impressione abbia avuto la delegazione georgiana dal recente scambio di telegrammi fra i delegati della Conferenza della pace e l’amministrazione Kolciak.

Tcheidze. Impressione di crudele disinganno: da oltre un anno abbiamo proclamato la nostra indipendenza nazionale: l’esperienza di questo periodo ha dimostrato che malgrado le tragiche ristrettezze economiche cantate [?] dal blocco di Denikin, e le aggressioni armate dei suoi volontari e nonostante l’azione poco benevola verso di noi svolta dagli inglesi, tuttavia il paese ha conservato la fiducia nel nostro nuovo Governo mostrandosi meritevole di realizzare le aspirazioni di libertà. Io stesso, leader alla ex Duma dell’impero russo del partito social-democratico russo, fui uno dei più importanti fattori della rivoluzione del marzo 1917, in forza degli avvenimenti ed a ragion veduta passai al nazionalismo georgiano nell’intima convinzione essere l’indipendenza nazionale l’unica salvezza del mio paese.

Nella massima buona fede ci siamo orientati verso l’Europa chiedendo, contro generosi compensi di penetrazione economica, soccorsi morali, culturali, economici a condizione che essa riconosca e difenda la nostra indipendenza. Ed eravamo lietissimi che siffatto mandato fosse affidato agli italiani verso i quali ci sentiamo particolarmente attratti per affinità di temperamento ed analogia di storia. Ma tale orientazione deve seguire direttamente e non pel tramite vizioso della Russia.

800 Il documento fu trasmesso in copia dalla Sezione Militare al C.S., al colonnello Gabba, allaPCM e al Gab. MAE con F. 8844 SP. del 17 giugno.

La Lega delle Nazioni si propone nuovamente di gettarci in braccia della Russia nella ignoranza, io presumo, della feroce oppressione di cui il nostro sventurato paese fu oggetto per oltre un secolo nonché della mentalità russa, che non hanno mutato né la rivoluzione del 1917 né il terrore bolscevico. La crudele esperienza di un centennio d’inganni e di sopraffazioni ci esclude la possibilità di prestare fede oggi alle promesse di Kolciak, domani a quelle della costituente russa.

Riconosciamo eque le richieste dei creditori della Russia ed onestamente assumiamo l’impegno di pagare la quota che ci spetta: ne sono sufficienti garanzie le ricchezze pressoché inesauribili dal nostro suolo, legname, sete, ecc. e del sottosuolo, manganese, carbone, rame ecc. Assicurandoci il benessere di una esistenza nazionale indipendente, le dette ricchezze naturali poniamo, in forma di concessioni od altro, a disposizione di voi italiani, in compenso del vostro concorso morale, economico e culturale.

La Russia è il paese delle eventualità le più inverosimili: nessuno può fare oroscopi sul suo assetto in prossimo avvenire. Non è neppure da escludere, ma in ogni caso in un avvenire lontano, l’eventualità di una Russia federativa democratica, ed in tal caso soltanto allora potrebbero studiarsi nuovi atteggiamenti dei nostri Stati verso la Russia.

Ma, durante questo periodo, come potrà svolgersi la nostra vita nazionale? E quale valore giuridico avranno le concessioni di sfruttamento delle nostre ricchezze naturali, qualora voi non ne riconosciate che noi ne siamo i legittimi possessori?

A consolidare la vitalità politica, finanziaria, economica e militare del Transcaucaso, è allo studio un progetto di confederazione transcaucasica composta dalle repubbliche di Georgia, dell’Azerbaigian, dei Montanari del Nord e dell’Armenia ex russa, qualora questa, nel suo futuro aspetto resti indipendente dall’Armenia ex turca.

Noi abbiamo da più di un anno proclamata l’indipendenza della Georgia, e soltanto la violenza potrà distruggerla.

Non possiamo disconoscere la nostra incommensurabile debolezza di fronte alle grandi potenze europee e tanto più di fronte alla Società delle Nazioni, ma ci auguriamo che tanta ingiustizia a nostro danno non venga commessa.

Valeri. Faccio osservare che le presenti condizioni finanziarie ed economiche della Repubblica di Georgia sono pressoché catastrofiche e, anche al dire del ministro Gegeckori, a scongiurare torbidi ed anarchia nel paese, si rende indispensabile il pronto ed energico soccorso di una potenza europea: e ciò potrebbe succedere qualora si decidesse di abbandonare il paese a se stesso.

Tcheidze. A siffatta domanda risponde evasivamente. Pertanto, comprendendo il sottinteso della mia domanda che celava il desiderio di conoscere quale potrebbe essere l’accoglienza alla penetrazione italiana in seguito alla nuova situazione creata-si, egli mi ha lasciato capire, anche in forma di sottinteso, che potrebbe venire considerata come un caso di forza maggiore.

Alì Mardan-Bek Topscibasceff (Presidente della delegazione della Repubblica dell’Azerbaigian).

Valeri. Apre la conversazione come sopra.

Topscibasceff. Sono dolentissimo che la mia domanda di presentazione al presidente on. Orlando od a S.E. il ministro degli esteri l’on. Sonnino non sia stata tuttora accolta.

Allorché fui ricevuto dal presidente degli S.U. Wilson, questi mi dichiarò esplicitamente: 1) la questione dell’assetto della Transcaucasia sarà discussa dopo la conclusione della pace con i nostri nemici; 2) la Società delle Nazioni accoglierà con simpatia l’idea di una confederazione transcaucasica. Ed ora, dopo avere propugnato il sacro principio della autodecisione dei popoli, dopo un anno di esperienza di vita libera ed indipendente, la Conferenza della pace, senza neppure interpellarci, tratta con un autogoverno di un popolo dilaniato dall’anarchia e dalla guerra civile per riunirci alla Russia che per decenni ha calpestato indegnamente i nostri più sacri sentimenti nazionali, i nostri più elementari diritti all’esistenza.

Questa delegazione a nome del Governo e del popolo azerbaigiano, protesta nel modo più energico contro tale violazione della nostra indipendenza nazionale. Il giorno in cui la Russia, qualunque abbia ad essere il suo assetto politico, si accingesse a riconquistare il Caucaso, essa troverà tutto il popolo azerbaigiano armato a difesa della propria indipendenza.

A quella delle potenze d’Europa cui sarà affidato il mandato di controllo sul Transcaucaso (e noi diamo ogni preferenza all’Italia), siamo disposti di fare le più larghe concessione di compensi economici, riconosciamo la nostra quota di debiti lasciati in successione dall’ex Impero russo, possiamo anche rimetterci al suo arbitrato per dirimere ardue questioni di confini con le repubbliche limitrofe, ma la nostra indipendenza politica deve essere rispettata, e d’altra parte, quando in tali condizioni si stabiliranno con la Russia rapporti di buon vicinato, non sarà impossibile di trovare un accordo per facilitarle le forniture dei nostri prodotti di nafta necessari alle sue industrie.

Haidar Bammate (Delegato della Repubblica dei Montanari del Caucaso del nord).

Valeri. Apre la conversazione come sopra.

Bammate. Pur riconoscendo che lo scambio di telegrammi fra la Conferenza e Kolciak non ha carattere decisivo, tuttavia stabilisce che il nostro problema deve essere strettamente compreso in quello dell’assetto della Russia e ci mette di fronte al fatto compiuto dell’occupazione del nostro territorio da parte di Denikin; ciò avvenne contrariamente alle dichiarazioni formali del generale inglese Thomson il quale riconobbe la nostra indipendenza e ci assicurò aiuto contro qualunque offensiva di Denikin.

Le sue promesse non furono mantenute.

Siamo distrutti da due fuochi, l’occupazione Denikin e l’esplosione bolscevica.

Irremovibile è la nostra volontà di conservare l’indipendenza nazionale.

Protestiamo energicamente contro ogni tentativo di riunirci alla Russia.

Riponiamo la nostra ultima speranza nella generosità dell’Italia.

Fummo iniziatori e continuiamo coi delegati dell’Azerbaigian, della Georgia le trattative per concretare l’idea di una confederazione transcaucasica.

801

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA

T. 715 RIS. Parigi, 15 giugno 1919, ore 9.

Mi riferisco al foglio di V.E. del 12 giugno n. 83931 circa le riduzioni ed il rimpatrio delle truppe dislocate fuori d’Italia. In considerazione delle nuova situazione che si sta creando in Russia, tanto in Siberia che ad Arcangelo, sia dal punto di vista militare che politico, in seguito ai passi intrapresi presso l’ammiraglio Kolciak dalle potenze alleate, sono d’avviso che per il momento è opportuno soprassedere al ritiro dei nostri contingenti in Estremo Oriente e Murmania.

Per quanto riguarda le truppe italiane in Murmania trasmetto a parte un telegramma della R. Ambasciata di Londra2 con il quale il War Office domanda esplicitamente che le truppe italiane siano mantenute nella regione avvertendo che occupazione interalleata non si prolungherà probabilmente oltre novembre.

Le ragioni addotte da codesto Ministero ed a me note, in favore del ritiro del contingente italiano dalla Siberia, hanno certamente grande valore, ma sembra a questo Ministero che la questione potrebbe essere risolta con una progressiva sostituzione anziché con immediato ritiro. Le corrispondenze intervenute fra questo Ministero e quello della guerra avevano del resto condotto ad adottare questa soluzione. I recenti avvenimenti e la possibilità che la questione russa entri in una fase risolutiva consigliano per il momento di non portare alcuna modificazione allo stato delle cose ora esistenti perché l’Italia possa nella soluzione politica della questione stessa conservare l’attuale posizione di compartecipazione all’occupazione interalleata in Murmania e Siberia.

Circa le forze dislocate in Albania confermo il parere espresso anche recentemente che, in considerazione delle circostanze attuali e della occupazione già progettata nella regione presidiata dai serbi, gioverebbe, anziché ritirare delle unità, mantenere in efficienza i reparti dislocati in Albania completandone gli effettivi.

Sarò perciò grato a V.E. se vorrà riesaminare questione e telegrafarmi in proposito.

801 1 Non pubblicato. Sulla questione si veda D. 369.2 Si tratta del T. 881 dell’11 giugno, non pubblicato.

802

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO, BIANCHERI

T. 717. Parigi, 15 giugno 1919, ore 12.

Suo telegramma n. 125281. Eventuale invio di truppe italiane nel Caucaso è stato contemplato al Consiglio Supremo di Versailles ove America è anche rappresentata.

803

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMANDO SUPREMO

T. 718. Parigi, 15 giugno 1919, ore 16.

In data 11 corrente il conte Senni da Smirne telegrafa quanto segue: «n. 617. Questo alto commissario greco mi ha dichiarato avere dato ordine tassativo al comandante delle truppe greche di ritirarsi nord linea Ayasoluk-Aidin e nord linea Aidin-Nazli. Ho preso atto, rammentando che occupazione zona Aidin-Nazli è arbitraria. Alto commissario ingiunge comando nostre truppe intensificare inoltre sorveglianza sud ferrovia ove mi risulta si sono verificati in questi giorni attacchi bande armate. Ho comunicato quanto precede generale Battistoni. Consiglierei occupazione da parte nostra Denizli che è centro esclusivamente turco a noi favorevole e punto importante salvaguardia alta valle Meandro. Identico telegramma invio alto commissario»1.

Prego codesto comando telegrafarmi se riterrebbe opportuna o possibile immediata occupazione Denizli2 eventualmente sopprimendo qualche occupazione a sud in località che non possono essere minacciate da occupazione greca3.

803 Il telegramma fu inviato per conoscenza anche alla DICP, Sezioni Militare e Marina, alleAmbasciate a Parigi e Londra e alla Legazione in Atene.

1 Questa prima parte riproduce il T. 1775/13197 di Biancheri a Sonnino del 13 giugno.

2 L’occupazione di Denizli, e possibilmente di Nazilli (Nazli), era stata richiesta anche da Ferrante il 13 giugno (come da T. 13327 di Biancheri a Sonnino del 15 giugno).

3 In calce alla minuta in partenza annotazioni manoscritte di C. Galli: «Nota. Denizli si trovasulla linea ferroviaria di Aidin, però a sud del parallelo di Aidin. Quindi stando alla lettera della deliberazione del 19 maggio non dovrebbe essere occupata dai greci. È centro granario di grossa importanza edesclusivamente turco. Non fu compreso nelle prime rivendicazioni greche, anzi escluso esplicitamente;però Venizelos lo ha richiesto con recente memoriale per altro, a mia notizia, non preso in esame ancorada nessuna commissione. La occupazione di Denizli limiterebbe ad est l’avanzata greca. La si potrebbeforse effettuare alleggerendo talune occupazioni a sud che non paiono assolutamente indispensabili».

802 1 Con T. 12528 del 5 giugno Biancheri aveva dato notizia della richiesta di informazioni avanzata dall’ambasciatore degli Stati Uniti in merito ai risultati della missione italiana nel Caucaso.

804

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 724. Parigi, 15 giugno 1919, ore 16.

A telegramma 130571.

Prego telegrafare regio console Innsbruck per sua opportuna notizia e norma di condotta che regie autorità possono bensì ricevere e riferire ogni comunicazione relativa regime Tirolo ma devono astenersi assolutamente dal fare per conto loro qualsiasi proposta, dare qualunque affidamento ed entrare in discussioni, per non incoraggiare tendenze dirette ad includere nel trattato di pace condizioni limitanti in qualsiasi modo nostra piena sovranità sulla predetta regione2.

805

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Roma, 15 giugno 1919, ore 20 (perv. ore 23,20).

Sempre a proposito nota riserva1, che ti arriverà domani mattina e sulla cui assoluta necessità è inutile insistere, ti prego di consentirmi il suggerimento di tenerne prima parola privatamente con qualcuno dei tre, che potrebbe essere Lloyd George. A lui infatti io parlai più diffusamente della cosa, sotto forma di una riserva pubblica che noi avremmo fatto all’atto della firma della pace con la Germania. Egli allora mi rispose non contestando tale nostro diritto, ma dicendo che sarebbe stato preferibile non darvi la forma di una riserva pubblica, ma di contentarci che di tale riserva ci fosse dato atto da una deliberazione del Consiglio dei quattro. Io credo che tu potresti trattare con lui nel senso di attuare questa ultima soluzione, che avrebbe il valore di una concessione da parte nostra; ove tu trovassi insormontabili ostacoli alla ammissione della proposta stessa, potresti a caso perduto dichiarare l’imprescindibile necessità di riferirmene. Io do tanta importanza alla cosa che, in un caso simile, riterrei possibile

2 Una comunicazione di analogo tenore fu inviata al Comando supremo e, per conoscenza, alMinistero della guerra, Divisione S.M., dalla Sezione militare della DICP, con T. 8789 SP. del 16 giugno afirma Pariani.

805 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 459.

1 Vedi D. 799.

una immediata partenza apposita dall’Italia, anche a costo di lasciare che la continuazione della discussione alla Camera sull’esercizio provvisorio fosse sostenuta da altri2.

804 1 Il T. 13057 del 12 giugno riproduceva il T. 33 di Chiovenda da Innsbruck dell’11 giugno, nelquale si dava notizia di un colloquio, autorizzato da Badoglio, tra alti ufficiali italiani (il generale Sani eil colonnello Rossi) e il deputato tirolese Reut-Nicolussi sul futuro del Tirolo, in particolare sull’ipotesi dicostituzione di uno Stato tirolese indipendente e neutralizzato ovvero di una sua unione alla Germania,con occupazione militare italiana, ma contro conservazione dell’Alto Adige.

806

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 13357. Roma, 15 giugno 1919, ore 22.

Il signor Roux1, consigliere di questa Ambasciata di Francia, in due recenti conversazioni, pur dichiarando di non parlare ufficialmente, mi ha espresso la spiacevole sorpresa causata negli ambienti francesi dalle pubblicazioni della stampa italiana, la quale accusa la missione Allizé di avere due scopi ben precisati, e cioè:

1) Contrastare gli interessi italiani.

2) Adoperarsi per la costituzione di una confederazione danubiana.

Circa il primo punto disse non essere nemmeno il caso di discuterlo, datane l’assurdità. Quanto al secondo, insistette che la missione Allizé non ha mai avuto fra i suoi fini di tendere a promuovere una simile confederazione, e mi lesse in proposito una lettera giuntagli da un ufficiale addetto alla missione Allizé.

Il signor Roux, alludendo ad una corrispondenza da Parigi pubblicata dal sig. Vettori sul «Giornale d’Italia» del 14 corrente, deplorò che la stampa italiana affermi essere la Francia responsabile del recente rovescio militare czeco-slovacco, e ne trasse argomento per aggiungere che, secondo informazioni correnti, la missione italiana di Vienna avrebbe tre ufficiali di collegamento col Governo di Bela Kun al quale avrebbe fornito il seguente materiale bellico:

5 biplani Caproni;

2 monoplani;

2 tanks.

Ho risposto al signor Roux che tale affermazione mi sorprendeva e che non avevo avuto sentore né della voce che egli mi riferiva e ancor meno della consistenza della notizia corsa: che ne avrei ad ogni modo riferito a Vostra Eccellenza.

È questa la seconda volta che il consigliere di quest’Ambasciata di Francia viene a parlarmi in forma, egli dice, del tutto personale, ma senza pur sempre fare astrazione dalle nostre reciproche funzioni, dell’atteggiamento generale della stampa italiana a riguardo della Francia, lagnandosene molto, ed all’azione sua attribuendo la diminuente simpatia che si osserva nelle relazioni tra le due opinioni pubbliche. Oggi il signor Roux ha accennato anche al fatto che in qualche articolo di giornali italiani siasi già parlato dei tedeschi come se non fossero ancora dei nemici.

806 1 Si tratta di François Charles-Roux.

805 2 Vedi poi D. 810.

807

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI SONNINO E ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 20168 G.M. UFF. OP. Abano, 15 giugno 1919, ore 23,30.

Comunicasi seguente telegramma pervenuto da Comando 3ª armata: «Generale Grazioli telegrafa da Fiume che Sem Benelli con senatore Pullé in una delle due sedute consiglio nazionale hanno fatto approvare costituzione esercito fiumano e prestito cento milioni incaricando Benelli organizzazione. Generale Grazioli cerca fare opera moderazione e impedire che gesto assuma carattere grave e provochi incidenti. Fa riserva riferire più ampiamente. Generale Vaccari».

808

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1818/13368. Roma, 16 giugno 1919, ore 16 (perv. ore 10 del 17).

Questa Ambasciata britannica mi ha ora1 diretto nota nella quale, premesso che nella eventualità di un rovesciamento attuale regime comunista in Ungheria, prigionieri ed ostaggi, tra i quali vi sono quindici ex ministri, ecc. corrono rischio essere uccisi, chiede se Italia, come sola potenza alleata che abbia un rappresentante a Budapest, sia disposta assumere la responsabilità della protezione prigionieri predetti. Prego V.E. fornirmi direttive per risposta2.

808 1 Più precisamente si tratta di una nota del 13 giugno, come risulta dall’analoga comunicazione fatta da Manzoni all’Ambasciata a Londra con T. 13856 del 21 giugno.2 Vedi poi D. 845.

809

L’INCARICATO D’AFFARI A BUCAREST, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1944/60 RR. Bucarest, 16 giugno 1919, ore 20,55 (perv. ore 15 del 24).

Take Jonescu ha scritto a re Ferdinando dicendo che proprio disegno era stato la costituzione mediante opportuna transazione di una unione balcanica composta di greci jugoslavi rumeni e czeco-slovacchi, alla quale avrebbero dovuto aderire polacchi; ma che tale disegno non aveva potuto attuarsi a causa della nefasta politica d’intransigenza di Bratianu, la quale aveva riscontro solo in quella della Delegazione italiana che era d’idee così antiquate, egoiste e ingenue da credere poter agevolmente invocare trattato del 1915.

810

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. 3211 PERS. Parigi, 16 giugno 1919.

Telegrammi tuoi del 14 e 15 corrente1.

Potei vedere stamane Lloyd George un quarto d’ora prima dei Quattro. Quindi avendo ricevuto durante la seduta dei Quattro tue lettere2, le presentai ai destinatari illustrando la questione al Consiglio e spiegando che questa era l’unica forma per evitare una nostra dichiarazione pubblica all’atto della firma del trattato con la Germania. Dopo breve discussione in cui Lloyd George favorì, Clemenceau tacque, e Wilson fece alcune osservazioni agrodolci, fu deliberato che il Consiglio prendeva atto («take formal note») della tua comunicazione allegando al processo verbale la tua lettera a Clemenceau3. La riserva dunque non si rende pubblica almeno per ora. Mi pare di avere così pienamente e pacificamente raggiunti gli scopi voluti.

810 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 463. 1 Vedi DD. 795 e 805. 2 Vedi D. 799. Cfr. SONNINO, Diario, vol. III, p. 340.3 Vedi D. 799 cit.

811

IL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1830/35413 S.M. RR. Roma, [16] giugno 1919 (perv. ore 10 del 17).

Risposta suo 715 del 15 corrente1.

In relazione accordi presi nota riunione tenuta costà notifico che per corpo di spedizione italiano Murmania trattasi non di pronto rimpatrio, ma di graduale riduzione, nel senso che saranno rimpatriati senza sostituzione militari classi anziane da congedare e militari che più a lungo tempo non hanno usufruito licenza ordinaria. Per tale modo rimarrà sempre Murmania rappresentanza esercito italiano, finché non saranno dati ordini per rimpatrio definitivo e totale del corpo di spedizione. Quanto al corpo di spedizione Siberia orientale è nota sua speciale composizione e scarsa fisionomia italiana, poiché una sola compagnia esercito italiano ha servito per inquadramento circa duemila irredenti. Tale corpo si è finora comportato ottimamente sotto tutti rapporti specialmente d’ordine, disciplina e morale. Come già da me esposto nella nota riunione non è possibile sua permanenza Siberia, né d’altra parte è conveniente invio colà in sostituzione sua altri reparti esercito italiano permanente e che inoltre non potrebbero arrivare in Siberia che fra tre mesi almeno. Per ora non è disponibile che un solo piroscafo che trasporterà elementi più anziani e aventi già da tempo diritto congedo. Per quanto riguarda forze militari Albania prego ripetermi ultima parte suo telegramma 715 giunto indecifrabile.

812

L’ESPERTO TECNICO, PATERNÓ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 16 giugno 1919.

In conformità delle istruzioni riservate di V.E. ho l’onore di riferire quanto segue:

1) Il rifornimento di armi ai bolscevichi ungheresi sarebbe effettivamente avvenuto da parte di italiani non aventi veste ufficiale1.

2) Sembra quindi doversi escludere che ciò sia stato fatto dal Comando Supremo, ma non sembra altrettanto sicuro che nostre autorità militari della 3ª Armata non ne fossero a conoscenza.

812 1 Annotazione ms. a margine: «Si continuino ricerche al riguardo. S[onnino]».

3) La stampa francese si prepara ad attaccare i nostri rappresentanti in Ungheria accusandoli di connivenza col Governo di Bela Kun.

4) Questi attacchi hanno lo scopo di allontanare da noi gli ungheresi antibolscevichi e spingerli verso Belgrado.

5) Il primo risultato tangibile di questa propaganda (francese) è la «mainmise» di Allizé sul Governo di Szeged, su cui i francesi vogliono esercitare una pressione per indurlo ad un accordo con i serbo-jugoslavi.

6) Questo risultato è collegato col progetto di accordo ventilato in Isvizzera e che è già in discussione a Vienna e a Belgrado.

7) È quindi urgente che Borghese inizi il suo lavoro a Vienna per assodare su quali persone possiamo contare per la formazione di un Governo amico che non può essere composto di rappresentanti del vecchio regime, che non incontrerebbero mai il favore popolare perché contrari alla riforma delle proprietà e probabilmente non entusiasti di un accordo con i rumeni.

811 1 Vedi D. 801.

813

L’ESPERTO TECNICO, MARCHETTI FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE. Parigi, 16 giugno 1919.

Con telegramma in partenza n. 131081 la Direzione generale degli affari politici, riferendo un desiderio del Governo cinese per l’acquisto dei sommergibili da 400 tonnellate della casa Ansaldo che recano i numeri di costruzione 133 e 134, domanda se nulla osta da parte di Vostra Eccellenza. Il Ministero della marina e la Presidenza del Consiglio hanno già significato la loro approvazione, purché accordi di carattere internazionale non ostacolino questa vendita.

La questione si riconnette a quella della fornitura di armi alla Cina che forma oggetto di discussione fra le potenze. Il ministro americano a Pechino avrebbe proposto di sospendere ogni fornitura di armi al Governo cinese fino a che non sia cessato il conflitto fra il Nord e il Sud. A questo progetto si dice abbiano già aderito il Giappone, la Francia e l’Inghilterra. La R. Legazione in Pechino avrebbe anche consigliato al R. Governo di accedere a quest’accordo. Ignoro quel che abbia proposto in proposito la Direzione generale degli affari politici, poiché parte dell’incartamento è stato restituito a Roma.

A parte ogni considerazione di indole politica, la proposta del ministro americano non sembra al sottoscritto — concesso anche che essa sia fatta in buona fede — possa recare un serio rimedio alle condizioni speciali della Cina. Basta conoscere quel paese per comprendere come un contrabbando di armi per via di mare, sia in favore del Nord, come in quello del Sud, sia cosa relativamente facile. Reca meravi

glia soprattutto la sincerità dell’adesione giapponese a chi conosce come quel Governo abbia già messo mano su due importantissimi arsenali cinesi. Come è noto la Cina, durante la gestione del barone Aliotti a Pechino, collocò una ordinazione di armi in Italia per l’ammontare di oltre 30 milioni. Sarebbe ingiusto che un accordo internazionale, di più che dubbia efficacia, venisse a frustrarci di questa occasione che si presenta all’industria italiana di penetrare e farsi apprezzare in Cina. Del resto la temporanea sospensione della fornitura di armi a quella Repubblica finirebbe per offrire, il giorno in cui essa cessasse, un vero privilegio agli Stati Uniti che potranno avere a quell’epoca materiale bellico disponibile e trovarsi in grado di far concorrenza all’Italia ed al Giappone il quale possiede i mezzi più efficaci per imporre alla Cina, quando che voglia, l’acquisto preferenziale dei suoi prodotti.

Tornando alla questione dei due sottomarini, non si vede per quale ragione dovrebbe esserne vietato l’acquisto alla Cina quando la stessa Casa Ansaldo poté liberamente vendere, nel 1916, due dei suoi sommergibili e i relativi piani di costruzione al Governo giapponese, il quale potrebbe sempre, quando se ne presentasse l’occasione, fornire alla Cina sommergibili di tipo italiano costruiti nei suoi arsenali.

La R. Legazione in Pechino comunica il suo assenso all’acquisto che la Cina vorrebbe oggi fare presso il Cantiere Ansaldo e la Direzione generale degli affari politici, considerato che quella r. rappresentanza esprimeva pochi mesi fa il suo parere favorevole alla proibizione di vendita alla Cina di materiale bellico, interpreta questo mutamento d’opinione nel senso che non verranno fatte opposizioni dai rappresentanti alleati in Cina.

Proporrei pertanto, nell’unito schema di telegramma2, di accertarsi positivamente circa l’eseguibilità della vendita in questione. Alla ditta Ansaldo San Giorgio farei poi conoscere che il R. Governo non fa opposizione alla cessione dei suoi sommergibili alla Cina, ma, poiché sono in corso fra le potenze alleate ed associate accordi relativi alla sospensione temporanea di vendita di armi alla Cina, ritiene anzitutto opportuno accertare che una tale cessione possa avvenire senza creare difficoltà internazionali.

813 1 Del 12 giugno. Non pubblicato.

814

PROMEMORIA DEL PROFESSOR GALLAVRESI

PROMEMORIA. Parigi, 16 giugno 1919.

RECRIMINAZIONI CZECHE

Il signor Benes — ministro degli esteri della Repubblica czeco-slovacca — mi ha manifestato in una conversazione confidenziale tutto il suo scoramento per l’aiuto che egli afferma tanto considerevole recato dagli italiani ai bolscevichi ungheresi nei loro attacchi contro gli czeco-slovacchi.

Egli afferma di avere le prove, comunicategli da quegli stessi intermediari dei quali si valsero i nostri ufficiali, del copioso materiale di armi e munizioni trasmesso alle truppe di Bela Kun. Non può trattarsi di un’iniziativa spensierata di qualche ufficialetto che volesse fare degli affari — come io gli facevo supporre ammettendo per un istante la dannata ipotesi — giacché è compromessa la responsabilità di persone di grado elevato. Aveva però l’aria di alludere piuttosto ad ufficiali superiori che ai nostri diplomatici principe Borghese e marchese Tacoli, per quanto al primo rimproverasse il lungo indugio a Budapest ed i continui intrighi con Bela Kun.

Poiché io gli negavo assolutamente la menoma consistenza di queste voci, certo diffuse a nostro danno dalla propaganda jugoslava, adducendo la minaccia che costituisce il bolscevismo per la monarchia italiana forse più che per altri stati meno vicini, e le minacce di sciopero rivolte contro lo Stato italiano dai sovversivi appunto per la guerra fatta a Bela Kun, il signor Benes insistette nel dire che certo l’Italia ufficiale è stata correttissima e cordiale verso il giovine Stato czeco-slovacco, che ha aiutato nell’organizzarsi. Egli ritiene trattarsi, piuttosto che di manchevolezze individuali, di un movimento militarista sul genere di quelli che hanno fatto tanto parlare in Italia in questi ultimi giorni, polarizzato contro gli jugoslavi anche a costo di recare danno agli czechi ed agli stessi rumeni. Questi sarebbero non meno irritati degli czechi dal-l’appoggio che gli italiani, secondo lui, da tanto tempo danno ai comunisti ungheresi.

Di fronte ad una nuova mia smentita, che cioè né la missione del generale inglese Smuts, né quella del maggiore americano Bonsal a Budapest, erano iniziative italiane, e che anzi l’Italia auspicava la prossima liberazione dell’Ungheria dal giogo bolscevista, il Benes replicò citando la denuncia fatta dall’Italia nel Consiglio dei quattro di un preteso sconfinamento czeco-slovacco a danno dei comunisti magiari. All’osservazione che, senza entrare nell’esame della genesi di deliberazioni supreme che erano e dovevano essere segrete, era ben naturale che gli italiani non potessero globalmente accettare tutto il programma czeco-slovacco che comprendeva anche l’assurdo corridoio fra gli czechi e gli jugoslavi, il Benes ammise che in tale opposizione al corridoio gli italiani erano stati d’accordo cogli inglesi e cogli americani, ma credette di riscontrare una diffidenza italiana contro gli czechi in doloroso contrasto con la fraternità d’armi creata sui campi di battaglia nella lotta contro il nemico comune, lotta di cui la memoria del compianto Stefánik era il simbolo. Il Benes assicura che egli ha raccolto come una sacra eredità il pensiero dello Stefánik, di una sempre più intima amicizia fra Italia e Czeco-Slovacchia, ma che si trova paralizzato dagli atteggiamenti italiani testé da lui deplorati.

A mia volta, osservai che la situazione fatta ai valorosi soldati italiani della missione Piccione non era degna di loro, essendosi essi trovati subordinati contro ogni previsione al comando straniero del generale Pellé. Il Benes ammise di aver fatto un errore di omissione, non facendo conoscere al Governo italiano tempestivamente gli accordi presi col Governo francese, ma mi pregò di riflettere come sarebbe stato impossibile in pieno conflitto italo-jugoslavo affidare agli italiani l’organizzazione dell’esercito di un popolo come lo czeco, così sensibile ai legami di solidarietà slava.

Il Benes si vanta di aver dato prova della sua lealtà contrastando, ed egli crede molto più efficacemente che non abbiano potuto fare i rappresentanti italiani, le velleità francesi di resurrezione dell’Austria sotto forma di confederazione danubiana che hanno avuto come esponente il lavorio di Allizé e di Pinon. Deve però confessare che la mentalità degli italiani che scrivono, come il prof. Borgese in un recente articolo del «Corriere della Sera», in modo da risvegliare le diffidenze dell’Europa contro gli czechi, od operano in favore dei comunisti ungheresi, come quei disgraziati ufficiali, o semplicemente, come troppi collaboratori del generale Piccione (non il generale stesso), simpatizzano apertamente per gli oppressori magiari contro gli oppressi czeco-slovacchi, non rende facile il compito di dissipare i malintesi lungamente diffusi ad arte dall’Austria e dalla Germania fra gli italiani e tutte le popolazioni di razza slava, gli czechi compresi.

813 2 Non si pubblica. Vedi poi D. 824.

815

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

NOTA 4185. Comando Supremo, 16 giugno 1919.

ARMISTIZIO SEGRETO TRA A.U. E SERBIA NEL MAGGIO 1915

In seguito ad una prima segnalazione del Ministero della marina, la nostra Missione di Vienna riusciva a procurarsi in originale, presso l’Ufficio informazioni del Ministero della guerra di Vienna, il documento che si allega in copia e tradotto1.

Come appare dall’ultimo attergato, anche il documento originale è una semplice copia di vari attergati con i quali il vero documento fu successivamente trasmesso dal Comando Supremo delle forze austro-ungariche operanti nei Balcani al capo di S.M., quindi al Ministero della guerra e finalmente al Ministero degli esteri ove deve ora trovarsi.

Esso è sufficiente però per provare in modo irrefutabile che, nella imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia, la Serbia conduceva trattative con il Comando austro-ungarico per concludere un armistizio segreto della durata di tre mesi nel caso in cui l’Italia fosse realmente entrata in guerra.

Non è possibile ora dire se fu realmente concluso e se l’accordo intervenne per i punti c) ed f) ancora discussi dei quali non si conosce la portata. Tale mancanza di ulteriori dati non attenua però minimamente l’estrema gravità del fatto che sottopongo agli apprezzamenti ed al giudizio della E.V. per quell’uso che crederà farne.

In realtà rilevasi che dopo l’entrata dell’Italia in guerra continua, sulla fronte austro-serba, l’inazione che già aveva caratterizzata la situazione su questo fronte nel periodo precedente, dopo le importanti operazioni del dicembre del 1914, seguite da qualche attività nel febbraio dell’anno successivo. Tale inazione dura poi anche nei mesi di giugno e luglio e solo verso la metà di agosto si inizia qualche attività maggiore che va poi accentuandosi per culminare alla fine di settembre e ai primi di ottobre con l’offensiva di Mackensen e l’entrata in guerra della Bulgaria.

815 La nota fu inviata per conoscenza a Sonnino, al Ministero della guerra, al capo di S.M. dellamarina e alla DICP Sezione militare. 1 Non si pubblica.

Nello stesso periodo però, indizio veramente singolare, attive operazioni vennero invece svolte dai serbi in Albania ove essi procedettero alla occupazione di Tirana, Elbassan e Durazzo.

816

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Roma, 17 giugno 1919, ore 12,35 (perv. ore 13,45).

A tuo telegramma 32111. Prendo atto con compiacimento del successo ottenuto a proposito della saputa riserva. Ti prego poi di considerare se il momento attuale non sia propizio per fare una pressione al fine di ottenere una soluzione, sviluppando questioni adriatiche2. Non si tratta qui di aprire trattative, cosa da cui tu ripugni e certamente con ragione. Si tratta, invece, di sapere se alcuno dei nostri alleati non possa riassumere qualche iniziativa, quale sarebbe ad esempio la proposta fatta da Lloyd George3 prima della saputa rottura avvenuta in seguito alla dichiarazione di Wilson del 20 aprile. Se ti fo tale suggerimento, egli è perché da un lato la situazione interna (che è sempre estremamente grave) e dall’altro lato la situazione internazionale (per l’ansietà di questi giorni di attesa della risposta tedesca) coincidono nel rendere estremamente desiderabile di poter pervenire ad una conciliazione.

816 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 464.

1 Vedi D. 810.

2 Nello stesso senso Orlando si esprimeva lo stesso giorno con Crespi (con telegramma delleore 10,50) invitandolo a parlarne poi «immediatamente» con Sonnino.

3 Vedi D. 277.

817

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 127. Vienna, 17 giugno 1919, ore 15 (perv. ore 9,30 del 18).

In seguito ordine V.E. riassumo direzione commissariato politico Ungheria1. Salvo ordine contrario intenderei non prendere permanente dimora Budapest2 per molteplici considerazioni e cioè per uniformarmi pratiche seguite nostri alleati e non dare alimento alle voci correnti circa nostri rapporti con Governo bolscevico e per restare contatto con questo ambiente e specialmente stampa. Continuerò invece fare, come per il passato, frequenti e secondo esigenze più o meno prolungate visite Budapest dove mi recai finora nove volte in due mesi e mezzo. Pregherei pertanto inviarmi telegrammi Vienna, Ambasciata italiana.

818

IL CONSOLE GENERALE, MACCHIORO VIVALBA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1857/1172. Vienna, 17 giugno 1919, ore 15 (perv. ore 20 del 19).

Telegramma di V.E. 6701 e mio telegramma 10732.

Da ulteriori informazioni pervenutemi mi risulterebbe che Trumbiƒ è stato realmente visto a Vienna da un suo conoscente. Finora non è stata trovata traccia di lui in alcun albergo ma per esperienza da me già acquistata a Ginevra so che Trumbiƒ sa circondarsi di molti misteri scendendo generalmente in casa di qualche amico. Alla missione militare italiana risulta inoltre che Jugoslavia cercherebbe di venire ad accordi diretti con Austria Tedesca in base progetto presentato da Korosetz. Bauer avrebbe risposto di tenere ogni cosa in sospeso essendo la sua politica ora diversamente orientata e cioè evidentemente nel senso di accordarsi con l’Italia per la questione dell’Alto

2 Vedi poi qui D. 841.

2 Non rinvenuto.

Adige e di valersi di noi per la questione della Carinzia Stiria. È probabile che presenza Trumbiƒ si colleghi al progetto Korosetz. Continuo le mie indagini.

Informo inoltre che il 27 maggio missione militare trasmetteva al Comando Supremo copia di un rapporto della delegazione jugoslava a Praga diretto al Ministero esteri Belgrado in cui era detto che Governo czeco slovacco si dichiarava pronto a tenere in iscacco Austria Tedesca ed eventualmente Ungheria in caso di guerra fra Italia e Jugoslavia.

Era detto in tale nota che in tale caso Czeco Slovacchia si sarebbe unita alla Polonia. Governo czeco slovacco chiedeva in compenso diretto e sicuro accesso all’Adriatico e domandava invio plenipotenziari jugoslavi a Praga. Ciò premesso non sarebbe improbabile che Trumbiƒ fosse appunto il plenipotenziario in questione ed abbia proseguito da Vienna per Praga. Prego telegrafarmi urgenza se Comando Supremo abbia comunicato a V.E. testo di tale rapporto di cui ho avuto conoscenza solo in questi giorni e che (...) ad ogni buon fine per corriere3.

A risparmio di tempo sembrerebbe ad ogni modo desiderabile questa missione militare mi comunicasse tutte le sue informazioni politiche affinché io possa telegrafare direttamente a V.E. Prego telegrafarmi in questo senso affinché io possa valermi del suo telegramma presso missione militare.

817 1 Tornato come commissario politico a Budapest il 5 maggio 1919 (vedi D. 416), Tacoli avevaricevuto ordine di rimpatrio il 22 maggio (vedi D. 570). Ma a Vienna, sulla via del ritorno a Roma, loaveva raggiunto un contrordine di Sonnino che gli ordinava di ritornare provvisoriamente a Budapest,mentre Borghese veniva spostato a Vienna al posto di Macchioro. Anche questa volta Borghese non mancòdi avanzare le sue perplessità (T. 35 RIS. PERS. a Sonnino del 14 giugno) osservando fra l’altro: «Ritengodestinazione Tacoli qui, designato da fiduciario Kun Bela come “il migliore amico dell’attuale Governo” edal pubblico come il maggior fautore delle “note trattative commerciali”, decisa inopportunamente».

818 1 Vedi D. 748.

819

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, BORGHESE

T. 735. Parigi, 17 giugno 1919, ore 19.

Apprendo che ambasciatore Austria-Ungheria1 a Berlino ha ricevuto una lettera di Bauer nella quale ministro affari esteri austriaco si mostrerebbe desideroso avere scambio di idee con rappresentante politico italiano Vienna circa questioni interessanti due paesi2. Circa Tirolo meridionale Bauer scrive che l’Austria sarebbe disposta ammettere fortificazioni italiane sul Brennero o altro punto strategico ed occupazione militare italiana immediata in caso di guerra purché regione non dipendesse amministrativamente ed economicamente dall’Italia. Secondo ministro degli affari esteri austriaco, Germania acconsentirebbe a tale transazione.

Quanto precede per sua esclusiva informazione personale non intendendo R. Governo entrare affatto in tale ordine di idee.

819 Il telegramma fu inviato per conoscenza alla Sezione militare della DICP e ad Aloisi a Parigi.

1 Recte, evidentemente, Austria Tedesca.

2 Bauer ne aveva parlato già direttamente a Macchioro (come da T. 1188 del 18 giugno diMacchioro a Sonnino). Sulla questione si veda anche D. 760.

818 3 Copia del rapporto della delegazione iugoslava a Praga, datato 4 maggio, fu trasmesso daMacchioro a Sonnino lo stesso giorno con lettera confidenziale 1173.

820

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO DEI TRASPORTI MARITTIMI E FERROVIARI, DE NAVA

T. 736. Parigi, 17 giugno 1919, ore 19.

Stamane Lloyd George mi ha detto che Governo britannico non è assolutamente in grado di fornire il tonnellaggio necessario al trasporto di truppe italiane al Caucaso1. Lloyd George soggiunge che, se le truppe italiane tardassero ad arrivare oltre il limite stabilito, egli sarebbe costretto a ritirare le truppe britanniche senza attendere l’arrivo di quelle italiane.

Una tale eventualità sarebbe per noi di evidente pregiudizio e potrebbe produrrela necessità di difficili operazioni militari. È quindi indispensabile provvedere senz’altro a destinare per nostro conto il tonnellaggio necessario al trasporto delle truppe italiane ed a tal scopo interesso V.E. a prendere d’urgenza gli accordi opportuni con i Ministeri interessati informandomene telegraficamente, dovendo io dare sollecita comunicazione a Lloyd George della data inizio trasporto nostre truppe2.

821

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ

T. 737 RR. Parigi, 17 giugno 1919, ore 19.

Mi riferisco telegrammi di codesto Segretariato civile circa rifornimenti armi e viveri Governo bolscevico ungherese.

Come è noto a V.E. questione è stata sollevata in Consiglio supremo economico da alleati che hanno formulato loro accuse in base seguenti informazioni:

1) Commissione americana Vienna avrebbe saputo tramite missioni francese inglese che venti carri munizioni provenienza sconosciuta consegnati a Governo bolscevico avrebbero passato frontiera Bruck 25 maggio.

2) Alla stessa frontiera automobili militari italiani portanti 25 milioni corone sarebbero stati fermati e poi lasciati passare su dichiarazione che denaro costituiva pagamento del Governo ungherese per merci già consegnate da missione militare Vienna.

820 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 466. Il telegramma fu inviato per conoscenza alla PCM, alComando supremo, ai Ministeri della guerra e della marina, a Crespi e alle Sezioni militare e marinapresso la DICP.

1 Data la scarsità di navi italiane, le autorità militari britanniche si erano inizialmente dichiarate disposte a provvedere al trasporto delle nostre truppe nel Causaso (T. 73 di Revel a Orlando, Sonnino eDiaz in data 18 aprile).

2 Vedi poi DD. 834 e 858.

Inoltre missione Allizé sarebbe in possesso documenti provanti nostro rifornimento armi Bela Kun. D’altra parte secondo telegramma 25189 di codesto Segretariato civile a questa Sezione militare1 parrebbe fossero effettivamente corse intese con Governo bolscevico per costituzione sindacato e che Governo stesso avesse versato forte somma nostra missione militare Vienna, mentre istruzioni Ministero esteri, pure ammettendo possibilità predisporre trattative con sindacati privati, escludevano si desse loro esecuzione e si effettuassero spedizioni finché non si avesse in Ungheria Governo responsabile2.

Borghese su mie istruzioni sta compiendo Vienna rigorose indagini. Intanto Tacoli ha dichiarato quanto segue: «Da Vienna mai vennero mandati Ungheria né armi né munizioni né viveri eccezione fatta per un vagone quindicinale viveri per italiani Budapest: discutendo però con Segre circa opportunità smentita voci corse contro di noi Segre si mostrò riluttante dichiarando non sapere quale fosse azione comando 3ª Armata e comando militare Fiume»3.

Per poter decidere se sia possibile, come sarebbe opportuno, smentire accuse fatteci ed in ogni modo in quali termini rispondere alleati occorre conoscere come effettivamente fatti si svolsero. Epperò prego V.E. voler disporre rigorosa inchiesta interpellando uffici codesto Comando Supremo, comando 3ª Armata, comando militare Fiume e generale Segre per sapere con tutta precisione se e quale azione sia stata esercitata da nostra autorità, se e da chi ritirate somme da Governo ungherese e ove ora si trovino, se e quali documenti probatori siano stati rilasciati nonché ogni altro elemento atto chiarire questione4. Gradirò conoscere risposte che verranno date ed in generale esito inchiesta nonché avviso V.E.

2 Vedi DD. 578 e 769.

3 Tanto risulta dal T. 1774/1112 di Macchioro del 12 giugno. Dello stesso 17 giugno è poi unbreve appunto dattiloscritto consegnato a mano da Pichon a Sonnino con una serie di informazioni intesea provare le relazioni esistenti e gli accordi stabiliti tra il Governo di Budapest e il Governo italiano. Lostesso Tacoli, per altro, con T. 128 delle ore 20 sempre del 17 giugno, riferiva le nuove «voci sempre piùinsistenti e precise» su forniture italiane all’esercito rosso ungherese. Sulla questione si veda anche larelazione di Paternò a Sonnino del 16 giugno (D. 812).

4 In data 19 giugno, con T. 251.89 del Comando supremo a firma Badoglio, questa richiesta diinformazioni fu inviata alla Missione italiana per l’armistizio a Vienna. In data 20 giugno (con T. stessonumero 251.89) Badoglio rispondeva a Sonnino (vedi qui D. 851).

821 1 Vedi D. 724.

822

IL MINISTRO AD ATENE, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1843/1171. Atene, 17 giugno 1919, ore 19,10 (perv. ore 10,10 del 18).

Mi riferisco mio telegramma 11491.

Questo ministro affari esteri mi ha confermato che l’esercito greco è pronto occupare la Tracia non appena sarà autorizzato a farlo. Se ciò dovesse avvenire sarebbe desiderabile autorizzazione venisse possibilmente ritardata fino a che le nostre truppe non siano ritirate dalla Bulgaria allo scopo di evitare che, qualora l’occupazione incontri resistenza da parte bulgari e turchi, il comando dell’Armata d’Oriente affidi, anche parzialmente, a noi il compito di ristabilire l’ordine. Il ritardo inoltre non può che mettere sempre più in luce, dopo esperienza di Smirne, quali e quanti elementi di future complicazioni contenga l’attribuzione alla Grecia di territori etnicamente poco omogenei, di difficile difesa e sproporzionati alla sua forza di espansione. Per quanto riguarda la Tracia ricordo anche l’opinione Venizelos nel 1913, riferita testualmente nel mio telegramma n. 10363 del 24 febbraio scorso2 e confermata nel 1915 in una (...) memoria al re Costantino.

823

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. URG. Roma, 17 giugno 1919, ore 22,40 (perv. il 18).

Ricevo da codesto colonnello Pariani addetto alla delegazione militare italiana un telegramma numero 88741 relativo ad una richiesta che Clemenceau ti avrebbe fatto circa il contributo che Italia potrebbe dare contro Baviera nel caso di mancanza

2 Si tratta in realtà, molto probabilmente, del T. 389/1036 del 25 febbraio 1919, in cui è riferitoche nel marzo 1913, alla Camera dei deputati, Venizelos avrebbe dichiarato: «che la Grecia non vorrebbeTracia nemmeno se le fosse offerta, perché possesso Tracia rappresenterebbe per la Grecia un indebolimento dal punto di vista militare».

823 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 467.

1 Per rispondere alle domande di Sonnino il colonnello Pariani, della Sezione militare dellaDICP, con T. 8874 SP. del 17 giugno aveva chiesto al Comando supremo una serie di dati in merito allapossibilità di un contributo italiano ad un intervento in Baviera. Copia del dispaccio era stata inviata, perconoscenza, anche alla PCM e al MAE. Di qui il fraintendimento e la reazione di Orlando (di cui anchein un telegramma di Battioni a Petrozziello del 18 giugno). Si veda poi anche il D. 832.

di firma da parte della Germania. Mi sorprende che questa notizia mi sia pervenuta in maniera così indiretta, data la grande importanza di essa e mi domando se vi sia qualche equivoco. La mia impressione che nettamente ti esprimo è che, dato l’attuale stato di irritazione dell’opinione pubblica italiana per mancata soluzione delle nostre questioni adriatiche, il richiesto nostro concorso militare nel momento attuale aggraverebbe di molto una tale esasperazione. Sono ben lontano dall’idea di voler mettere un prezzo ad un atto che si collega con la nostra qualità di alleati; ciò non sarebbe degno e lo escludo assolutamente. Ma si può bene replicare che difficilmente l’Italia potrebbe dare il concorso richiesto, mentre essa stessa è incerta circa i possibili attacchi contro la sua frontiera orientale, per lasciar chiaramente intendere che la sistemazione della nostra frontiera orientale rappresenta una condizione materialmente e moralmente indivisibile dalla ipotesi del nostro concorso, che noi ben volentieri vorremmo dare2. Vedrai tu stesso i nessi che passano tra tale argomento e il telegramma di stamattina numero 9963.

822 1 Il T. 1664/1149 del 6 giugno riportava informazioni su una possibile imminente avanzatadell’esercito greco in Tracia.

824

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. 1978. Parigi, 17 giugno 1919.

Con riferimento al suo telegramma n. 13108 del 12 giugno corrente1, ho il pregio comunicarle il seguente telegramma da me spedito alla R. Legazione in Pechino2:

«Il R. Governo che, nell’ipotesi di una sua adesione al progetto di proibizione temporanea dell’importazione di armi in Cina, intenderebbe sempre mantenere escluse da detto accordo le ordinazioni già fatte in Italia, prega la S.V., a proposito del desiderio espresso dalla Cina di acquistare due sommergibili Ansaldo, di accertarsi dagli alleati che nessuna difficoltà si frapponga eventualmente costì dagli alleati all’effettuazione di tale vendita».

Prego pertanto far conoscere alla Ditta Ansaldo San Giorgio che il R. Governo non fa opposizione di principio alla cessione dei suoi sommergibili alla Cina, ma, poiché sono in corso fra le potenze alleate ed associate accordi relativi alla sospensione temporanea di vendita di armi alla Cina, ritiene anzitutto opportuno accertare che una tale cessione possa avvenire senza creare difficoltà internazionali.

Dal tenore del telegramma inviato a Pechino potrà rilevare la S.V. quale sia, dopo un recente esame della questione, il mio punto di vista per quanto riguardi un eventuale adesione dell’Italia agli accordi per una temporanea sospensione di fornitu

ra di armi alla Cina. Pur dubitando che una simile misura possa avere efficacia, vista la facilità con cui può esercitarsi ogni contrabbando costiero di tale specie in Cina, non ho difficoltà ad aderire ad un siffatto accordo, purché restino impregiudicati i diritti relativi a contratti di forniture d’armi già stipulati fra il Governo cinese e i fornitori italiani3.

823 2 Una breve comunicazione nello stesso senso fu fatta poi da Orlando a Crespi, a mezzo Battioni, con telegramma delle ore 22,40 dello stesso giorno.3 Si tratta probabilmente del telegramma delle ore 12,35 a Sonnino (D. 816).824 1 Non pubblicato.2 Si tratta del T. 738 delle ore 19 dello stesso giorno, non pubblicato.

825

L’AMBASCIATORE, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, IMPERIALI, AL SOTTOSEGRETARIO PERMANENTE AL FOREIGN OFFICE, HARDINGE

PROMEMORIA. Parigi, 17 giugno 1919.

Il telegramma diretto il 19 maggio u.s. dal Consiglio dei quattro all’ammiraglio Calthorpe a Smirne stabiliva che: 1) i greci potessero inviare truppe dovunque nel sangiaccato di Smirne e nel cazà di Aivali;

2) che l’invio di truppe fuori di queste circoscrizioni e dentro il vilayet di Aidin non potesse avvenire senza il preventivo consenso del comandante più anziano delle flotte alleate trovantisi a Smirne;

3) che in nessun caso truppe potessero essere inviate a sud della linea Ayasoluk-Aidin.

Ciò nonostante i greci occuparono quasi subito Aidin come altre località fuori delle circoscrizioni anzidette senza giustificato motivo (repressione di disordini) ed il comando inglese di Smirne a reclami delle nostre autorità rispondeva non avere istruzioni.

Si dovrebbe quindi ritenere che le occupazioni anzidette siano avvenute senza attenersi alle istruzioni dei Quattro.

Soltanto il 7 ed 8 corrente il comandante inglese ha notificato alle nostre autorità di avere dato istruzioni all’alto commissario greco di non inviare truppe a sud della linea Aidin-Nazli, ed ha aggiunto che le occupazioni fatte fuori da detta linea debbono considerarsi provvisorie.

Si osserva:

1) che il consenso alla occupazione a nord della linea Aidin-Nazli contiene implicitamente ed esplicitamente una interpretazione estensiva delle istruzioni del Consiglio dei quattro i quali volevano che la occupazione di località fuori delle circoscrizioni di cui al comma I avvenisse previo esame di caso per caso;

2) che la dizione «fuori della linea Aidin-Nazli» non è chiara, potendosi intendere che le occupazioni a sud della linea stessa vengono mantenute provvisoriamente.

825 Il promemoria era stato preparato da Galli in data 10 giugno e consegnato, in versione riveduta, da Imperiali a Hardinge, il 17 giugno, come risulta da annotazione m.s. a margine. Si pubblica quila versione riveduta.

Si rende quindi necessario telegrafare al comandante inglese a Smirne che le intenzioni del Consiglio dei quattro non erano certo quelle di consentire occupazioni in blocco, ma di permetterle in relazione a necessità ben chiare e giustificate caso per caso; che per conseguenza nessuna ulteriore occupazione può essere consentita fuori delle note circoscrizioni senza il consenso del comandante più anziano; che le occupazioni a sud della linea Aidin-Ayasoluk debbono immediatamente cessare, e le guarnigioni greche ritirate.

È altresì il caso di esaminare se non convenga stabilire che nelle ulteriori deliberazioni del comandante più anziano non debba intervenire il consiglio dei comandanti delle flotte di tutte le principali potenze alleate ed associate, oppure che non si debba invitare il comandante più anziano (attualmente inglese) a riferire alla Conferenza di tutti i casi più gravi nei quali sia richiesta la sua decisione.

824 3 Per una più dettagliata esposizione della questione vedi D. 813.

826

IL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

RELAZIONE PERSONALE. Vienna, 17 giugno 1919.

Fino dai tempi del regime Karolyi, di fronte alla penuria di viveri che diveniva giornalmente più preoccupante in Ungheria e specialmente nella capitale, mi si chiese d’indagare se il Governo italiano avrebbe acconsentito ad una fornitura di vettovaglie e successivamente di altri articoli di prima necessità al Governo ungherese, mediante un’apertura di credito da coprirsi con un quantitativo di legname di proprietà del Governo ungherese, tagliato e su piede da somministrarsi in un periodo determinato di tempo. A questa proposta si riferiva il mio telegramma n. 43 del 5 marzo scorso1. Alle mie obbiezioni principalmente circa l’ubicazione del legname e le conseguenti difficoltà che avrebbe incontrato il trasporto del medesimo, venne studiata, a garanzia della summentovata apertura di credito, la concessione da parte del Governo ungherese di una fra varie garanzie reali di cui si poteva avere la scelta (monopolio dei grani, regia dei mulini, tranvie di Budapest ...).

Venuto in Italia in congedo, intrattenni verbalmente dell’ultima proposta a Roma il Regio Ministero, a Milano la Banca commerciale (perché eventualmente assumesse l’affare) ed anche a Parigi vari membri di codesta Delegazione. Dette conversazioni ebbero però carattere piuttosto accademico, perché nel frattempo, caduto il Governo Karolyi, il progetto non presentava più un interesse immediato, ma solo una speranza per un futuro che allora non si giudicava troppo lontano.

Ritornato al posto, in una delle mie prime gite a Budapest, dove, come a V.E. è noto, evitai di prendere fissa residenza a differenza di quanto avevo praticato al tempo del regime Karolyi, mi fu chiesto se il progetto potesse essere sotto una od

altra forma riesumato. La modificazione principale proposta si riferiva alla forma del pagamento per il quale, riconoscendosi la impossibilità di fornire garanzie reali non più disponibili secondo i principi comunisti applicati in Ungheria, in virtù dei quali ogni attività economica è statizzata, veniva offerto il versamento effettivo di una certa quantità di oro e di valute in pagamento per la merce somministrata.

Mentre trasmettevo per debito d’ufficio la proposta a codesta Delegazione col mio telegramma 65 (rimasto senza riscontro)2 nel quale obbiettivamente esponevo il pro ed il contro della proposta quali erano stati esaminati e discussi nella mia intervista col commissario ungherese per i rifornimenti che la aveva sollecitata, feci ad ogni modo osservare a titolo personale al commissario stesso che a mio avviso si presentavano due difficoltà difficilmente sormontabili:

1) Che il Regio Governo non si sarebbe probabilmente indotto a trattare col Governo di Budapest;

2) Che l’Intesa aveva deciso di applicare nel modo più rigoroso all’Ungheria il regime di blocco, né sembrava disposta ad ammettere parziali eccezioni come al tempo del regime Karolyi. Ritenevo pertanto indispensabile di trovare una formula che girasse tali difficoltà.

Qualche giorno dopo (verso la metà d’aprile) mi venne presentata una proposta concreta di cui ecco le linee principali:

1) Il contratto non sarebbe corso più da Governo a Governo, ma fra un ente ungherese ed analogo ente italiano rispettivamente autorizzati dal proprio Governo;

2) L’esecuzione del contratto avrebbe avuto luogo a fine blocco. Il Governo italiano si sarebbe da parte sua adoperato per affrettarne la levata. Su questa ultima clausola, a mia richiesta, non si insistette.

Erano insomma — sono lieto di constatarlo — a due mesi di distanza, le condizioni sotto le quali l’E.V., come dal telegramma 6603, giudicava possibile di avviare trattative di indole economica in Ungheria.

L’affare cominciava a delinearsi come non privo d’interesse. Ne telegrafai pertanto a V.E. col mio n. 71 cui non ottenni risposta4.

Sprovvisto d’istruzioni, ma convinto che la trattativa non dovesse lasciarsi cadere nell’interesse della nostra futura politica in Ungheria, assillato da continue pressioni da parte ungherese per una risposta preliminare in senso positivo o negativo — nel qual caso il Governo ungherese avrebbe aperto trattative altrove — decisi di spingermi fino all’estremo limite delle mie facoltà, precisando l’affare dal punto di vista commerciale con tutte le riserve che a me parevano indispensabili dal punto di vista politico, riservando l’autorizzazione del Regio Governo per passare alla conclusione definitiva.

Da parte ungherese l’ente autorizzato a trattare veniva designato nella «Kriegsgetreide Gesellschaft», organismo costituito da Tisza all’inizio della guerra

3 Telegramma di Sonnino a Borghese del 6 giugno, non pubblicato.

4 Non rinvenuto. Annotazione manoscritta a margine: «Trasmesso dal Gabinetto alla sezioneeconomica che non rispose».

per l’acquisto, requisizione e distribuzione dei viveri in Ungheria, organismo che pure dipendendo dal Ministero degli approvvigionamenti aveva personalità propria e carattere privato, che aveva continuato a funzionare e tutt’ora funziona sotto i vari regimi succeduti in Ungheria, mantenendo la propria azione in un campo strettamente amministrativo, diretto infine da persone di provata competenza tecnica, estranee alla politica, ma per convincimento individuale niente affatto inclini al regime comunista. Per abboccarsi coi rappresentanti del costituendo analogo ente italiano, giungevano sollecitamente a Vienna, tenendosi pronti a partire per Innsbruck, il sig. Russo ed il sig. Bessenyei, direttore e vice direttore delle predetta società ed il consigliere aulico sig. Stern direttore della Società Frigorifera Ungherese. Detti signori desiderarono abboccarsi anche con questa missione militare, presso la quale si volle anzi redigere un progetto di contratto: contratto al quale mi astenni di intervenire per considerazioni di competenza, essendo mio avviso che di questo affare dovessero interessarsi l’amministrazione tecnica competente da un lato, ossia l’Ufficio approvvigionamenti che ha a Vienna il proprio rappresentante, per il lato commerciale, ed il commissario politico per l’Ungheria, ossia il sottoscritto, per il lato politico, l’uno e l’altro procurandosi parallelamente le rispettive autorizzazioni dai propri superiori dicasteri.

Sempre privo di istruzioni fui lieto della momentanea presenza a Vienna del comm. Giuffrida per esporgli minutamente l’affare e chiedergli, se lo trovasse a suo avviso consigliabile, di esporlo in Italia al proprio Ministero nonché al Ministero degli affari esteri e di entrambi sollecitare il consenso. Di tanto informavo il Regio Ministero degli affari esteri col mio telegramma n. 86 rimasto senza riscontro5.

Col comm. Giuffrida si ebbe una conferenza coi delegati della Kriegsgetreide Gesellschaft, conferenza che convinse immediatamente e pienamente il comm. Giuffrida e valse a gettare una base pratica del progetto, in quanto si preventivava in 150 milioni circa l’ammontare dell’importo dei viveri ed in 250 quello degli articoli, tessuti, cuoi, ecc. da fornirsi dall’Italia, si convenne grosso modo dei prezzi, ecc. ecc., si fissava la percentuale aurea a quella cartacea dei versamenti in garanzia da farsi dal sindacato ungherese. Ferma immutabile restava la condizione sine qua non della esecuzione del contratto a fine blocco, condizione che dai delegati ungheresi venne facilmente accolta, nel loro convincimento della immediata caduta del regime bolscevista, della necessità di far trovare pronte risorse al nuovo Governo, come della inutilità di sollecitarle per l’attuale.

Il comm. Giuffrida nel partire mi prometteva, appena giunto in Italia, di occuparsi della designazione o della costituzione dell’ente italiano che avrebbe dovuto concludere l’affare, del sollecito invio del rappresentante del medesimo ed in pari tempo di mettere esattamente al corrente anche il Ministero degli affari esteri perché mi fossero finalmente date istruzioni in uno od in altro senso, essendo ormai giunto il momento di concludere o di desistere.

Infatti verso la metà dello scorso maggio giungeva a Vienna per questo scopo il comm. De Benedetti, direttore dell’Istituto nazionale di credito e di cooperazione che doveva assumere la conclusione dell’affare dalla parte italiana.

Giova ora interrompere l’esposto per analizzare sommariamente l’affare. Esso aveva ed ha evidentemente tre aspetti: economico, finanziario, politico. Per quanto concerne i primi due, resomi sommariamente conto della importanza per le nostre industrie di procurarsi a breve scadenza un’importante sbocco in Ungheria, assicurandosi una notevole precedenza sui nostri concorrenti, smaltendo a condizioni estremamente vantaggiose importanti stoks di merci che si sarebbero fatte strada dopo il primo necessario invio di viveri; resomi conto della solidità della copertura offerta al nostro credito, con le infinite svariate prospettive di trasformarla, appena un regime capitalista succedesse al comunista, in garanzie d’altra natura quasi a nostra scelta; altra preoccupazione non potevo avere che di passare, per un esame più serio ed approfondito, l’affare medesimo all’organo competente che doveva essere ed era l’Ufficio approvvigionamenti (comm. Giuffrida) ed ebbi la soddisfazione di averne larghissimi elogi.

Ma fu naturalmente il punto di vista politico dell’operazione che attrasse specialmente la mia attenzione e mi spinse ad incoraggiare le prime aperture in attesa di sottoporlo all’approvazione definitiva di V.E. e su questo terreno debbo dire che mi lasciai immediatamente sedurre dalla combinazione. La questione del vettovagliamento è in questo momento e sarà per lungo tempo la questione cardinale per ogni Governo che sorgerà in Ungheria. Se l’attuale regime comunista è in procinto di soccombere sotto la marea d’impopolarità che giornalmente sale è quasi per intero dovuto al fatto che la popolazione urbana è affamata e comprende che il Governo non ha il modo di sfamarla. Se, d’altra parte, il nuovo regime che succederà quando che sia all’attuale non potrà da parte sua risolvere immediatamente lo stesso problema, incontrerà difficoltà gravissime e forse sarà destinato a crollare a sua volta; mentre se il regime medesimo, qualunque esso sia, troverà al quesito una pronta soluzione, si costituirà immediatamente una base di popolarità che esso potrà largamente sfruttare ai propri fini. Essere pertanto in grado di fornire questo mezzo indispensabile d’imperio non al Governo bolscevista, privo di vitalità e già condannato dall’Intesa, ma al futuro Governo ungherese che l’Intesa vorrà riconoscere, può significare acquistare immediatamente un’influenza che nessuna per quanto abile azione diplomatica può procurarci. Né basta. La garanzia aurea e cartacea offerta a garanzia (non in pagamento) nella presente combinazione può venire a sua volta rimessa a disposizione del futuro Governo contro concessioni d’altra indole facilmente costituibili con un regime capitalista, contribuendo ad aumentare ed a radicare la predetta influenza. Poiché è parimenti indubbio che gli imbarazzi finanziari immediati del nuovo Governo saranno altrettanto considerevoli di quelli pel vettovagliamento, poiché è savio prevedere che il Governo comunista alla sua caduta non lascerà al proprio successore risorse di cassa apprezzabili, mentre fin d’ora giornalmente quanto rappresenta un valore commerciabile in Ungheria prende il volo (senza metafora) per altri lidi quando non è impiegato a scopo di propaganda.

Bisognava però che l’affare fosse sano, fosse, cioè, e rimanesse assolutamente inattaccabile ed avesse valore impegnativo per qualsiasi Governo che fosse per assumere la successione del Governo bolscevista. Ciò credetti raggiungere dando alla convenzione l’aspetto di un contratto stipulato non dal Governo ma da un ente privato, sì, ma per tradizione di molti anni unicamente competente in affari del genere ed aggiungendovi la condizione sospensiva della levata del blocco.

In tal modo nessun Governo avrebbe potuto impugnare il contratto né tacciarlo di mala fede: non impugnarlo trattandosi di operazione evidentemente vantaggiosa e che non rientrava negli atti del precedente Governo bolscevista; non tacciarlo di mala fede perché stipulato col rispetto di tutte le sanzioni al medesimo applicate. Restava la difficoltà del pagamento per la opposizione che avrebbe potuta venire dai terzi riguardo alla provenienza delle somme, specialmente della valuta aurea, non ufficialmente ma sicuramente tolta dai fondi della Banca dell’impero austro-ungarico in liquidazione. E la previsione si dimostrò poi esatta. Si sarebbe potuto rispondere che detta banca aveva già concesso prestiti al Governo di Karolyi, che nel caso presente i fondi non erano devoluti a profitto del Governo bolscevista ma di un Governo futuro di gradimento dell’Intesa che avrebbe in ogni modo dovuto compiere la medesima operazione con gli stessi mezzi. Per tagliar corto fu convenuto che i fondi sarebbero stati dati non in pagamento, ma a garanzia del pagamento, distinzione della più alta importanza poiché riservava al futuro Governo la facoltà di rientrare in possesso degli stessi fondi. In sostanza tale operazione dava come risultato di porre in salvo i fondi medesimi sottraendoli alla sorte riservata ai valori che si trovano entro le mani dei bolscevisti.

Circondata di queste garanzie la combinazione in parola aveva una reale notevole importanza come mezzo di affermazione per la nostra futura politica in Ungheria, al servizio della quale non si credette di porre l’intervento armato. Era un risultato pratico tangibile della nostra azione diplomatica, un successo nostro di fronte agli altri Governi e ciò spiega a sufficienza l’accanimento col quale, appena conosciuto, venne da questi attaccato.

Affari di questa natura, però, vanno accuratamente studiati in una fase preparatoria ma poi tradotti rapidamente in atto sotto pena di tralignare.

Fu quanto, disgraziatamente, avvenne di questo.

I ritardi, inesplicabili per loro, nel ricevere la chiesta risposta esasperavano i membri della commissione ungherese presenti a Vienna, i quali avendo da prima calcolato in poche settimane il termine necessario per concludere, vedevano questo limite giornalmente protrarsi senza previsione di durata. In seno alla medesima sorgevano divergenze di vedute, taluno dei membri essendo proclive ad interrompere ormai ogni trattativa con noi per prestare l’orecchio ad offerte consimili di fonte americana, olandese o svizzera. D’altra parte i contatti con la missione militare, necessari per calmare le impazienze dei delegati ungheresi, si moltiplicavano, erano spiati e commentati. Si diffondeva piano piano la persuasione che gli italiani fossero buoni amici dei bolscevisti ungheresi.

Frattanto verso i primi giorni del maggio scorso, in previsione di una crisi ritenuta imminente dal Governo bolscevista, la commissione faceva istanza perché si facesse venire da Budapest, per metterla in sicuro a Vienna, parte dei fondi contemplati nella combinazione. Io interrogavo in proposito col mio telegramma n. 114 rimasto senza riscontro6. Ma il tempo stringeva, gli avvenimenti incalzavano e d’accordo con la missione militare venne deciso di ricevere quei fondi in deposito tempo

raneo, nell’interesse e per conto del sindacato italiano nella probabile ipotesi di conclusione dell’affare.

Il trasporto però di tali fondi, poco curato nei particolari, diede luogo ad una enorme pubblicità immediatamente e largamente sfruttata da quanti potevano avervi interesse. Erano quelli i giorni in cui cominciavano a circolare le prime voci di compiacenze italiane per il Governo bolscevista ungherese e le prime accuse di forniture di armi e di viveri. Non occorse di più per stabilire un nesso fra quelle voci e l’effettivo trasporto dei valori. Ne derivò una vivacissima campagna nella stampa e nella opinione pubblica con carattere a noi decisamente ostile, specialmente nei circoli viennesi.

Esonerato nel frattempo dalle mie funzioni in Ungheria, non potei al riguardo assumere iniziativa alcuna e, del resto, non lo avrei forse neppure ben potuto, come non lo poté che saltuariamente e frammentariamente, e cioè per mezzo di smentite a talune asserzioni di fatto, il capo della missione militare il quale ebbe a dirmi di non poter avventurarsi in una campagna sistematica di stampa e di contropropaganda non potendo garantire in modo assoluto se non dei fatti della missione medesima, mentre non escludeva la possibilità di rapporti corsi fra il Governo ungherese ed alcuni nostri alti comandi militari (III Armata, Trieste, Fiume). E così le voci continuarono a circolare indisturbate trovando largo credito.

Per quanto mi concerneva, e cioè limitatamente alla necessità di prendere una decisione circa l’affare in questione, che il principe Borghese mi aveva pregato di condurre in fondo come colui che l’aveva iniziato, esponevo la situazione a Vostra Eccellenza prospettando appunto tale necessità col mio telegramma n. 1227, al quale non ottenni risposta.

L’eco dei clamori sollevati contro di noi, giungeva frattanto alla Eccellenza Vostra che ordinava di troncare qualsiasi trattativa col Governo ungherese, contemplando solo la possibilità di trattative fra enti privati italiani e ungheresi con esecuzione a fine blocco8. Siccome la combinazione studiata rientrava in queste ultime linee e non aveva un solo momento avuto carattere di trattativa da Governo a Governo, nessun provvedimento sarebbe stato necessario prendere al riguardo. Invitai ciononostante il De Benedetti a non concludere a meno di esplicito consenso di Vostra Eccellenza che — restaurato nel frattempo nelle mie funzioni primitive in Ungheria — sollecitavo col mio telegramma 1319 che a tutt’oggi non ha avuto riscontro.

Tale invito ripetei al predetto signore qualche giorno più tardi quando mi annunziò di essere finalmente autorizzato a concludere un primo affare iniziale della modesta portata di 7 ad 8 milioni. A tale infatti erasi ristretto il brillante piano originale.

A meglio chiarire l’indole delle trattative corse per questo affare, debbo aggiungere che ebbi in proposito due sole conferenze con persone del Governo e cioè col commissario del popolo (ministro) degli approvvigionamenti Erdelyi, conferenze indispensabili dipendendo dalla buona volontà del Governo di autorizzare o meno la «Kriegsgetreide Gesellschaft» a trattare. Nella prima di dette conferenze furono

8 Si tratta del T. 660 del 6 giugno, sopra citato.

9 Non pubblicato, porta in realtà la data del 18 giugno, ore 14,15. Annotazione manoscritta amargine: «Da Vienna in data 18 fu risposto il 21».

esposte ed esaminate le linee generali del progetto. La seconda fu da me desiderata per ribadire il concetto della esclusione assoluta dei Governi nella operazione, declinando in via assoluta per me ed escludendo per qualsiasi personaggio ufficiale ungherese di intervenire al contratto come da parte ungherese chiedevasi allo scopo di far risultare l’autorizzazione dei rispettivi Governi alle parti contraenti di trattare. Tale autorizzazione sostenni dover essere compito dei contraenti di ottenere.

Ogni altra trattativa seguì il tramite della delegazione ungherese di Vienna.

Indubbiamente il carattere privato delle trattative avrebbe potuto assai meglio salvaguardarsi anche nella forma se fin da bel principio avessi avuto sotto mano persona non rivestente carattere ufficiale per trattare l’affare, come alla fine fu designata nella persona del signor De Benedetti.

Dopo quanto precede e inutile aggiunga che ogni trattativa è ora sospesa.

826 1 Non pubblicato in serie sesta, vol. II.

826 2 Vedi D. 263. Annotazione manoscritta a margine: «Trasmesso dal Gabinetto alla sezione economica che non rispose».

826 5 Del 1° maggio. Non pubblicato.

826 6 Del 17 maggio. Non pubblicato. Annotazione manoscritta a margine: «Risposto dal comm.De Martino il 23 maggio e di tale risposta Tacoli fece menzione in un suo successivo telegramma».

826 7 Non rinvenuto. Annotazione manoscritta a margine: «Fu incaricato di rispondere il M. Esteri».

827

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE PRESSO LE DELEGAZIONI NEMICHE, CASATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 25 RP. CONFID. Versailles, 17 giugno 1919.

Prima di iniziare la discussione delle condizioni di pace occorre mettere in chiaro una questione fondamentale, la cui oscurità renderebbe impossibile intendersi, sia per il giudice che per le parti: ciò che infirmerebbe ogni equo giudizio.

In molti punti del trattato si rivela una evidente incertezza relativamente al soggetto col quale deve essere concluso il trattato stesso.

La delegazione non può rappresentare altro che la Repubblica fondata il 12 novembre 1918 sui territori di popolazione tedesca, già appartenenti alla monarchia.

Il trattato fa menzione di un’Austria come guerreggiante contro l’Intesa. In realtà, soltanto lo Stato austro-ungarico poteva in quel tempo compiere azioni di carattere internazionale.

La Repubblica austro-tedesca, fondata dopo la cessazione delle ostilità, non poté certamente trovarsi in guerra con nessuno.

È detto al paragrafo 3 della introduzione che, in Austria, alla monarchia succedette un Governo repubblicano. Ciò non risponde al vero essendosi formati sul terreno dell’antica monarchia ben sei Stati uno dei quali è la Repubblica austro-tedesca.

L’Austria Tedesca non può, come si richiederebbe nel trattato, cedere dei territori che non possiede e non ha mai posseduti. Ben volentieri ammette per ogni nuovo

827 Il documento reca come oggetto: «Una nuova nota della Delegazione austriaca (Sunto dellanota n. 4 (Posizione giuridica) presentata il 16 giugno alle ore 19». Casati la inviò contestualmente ancheal Comando Supremo, Uff. operazioni e alla Sezione militare della DICP.

Stato il diritto al suo proprio territorio; ma eguale diritto domanda sul territorio che le appartiene.

L’Austria Tedesca non può essere obbligata a mantenere impegni che furono contratti dall’antica monarchia.

L’Austria Tedesca non potrà essere chiamata responsabile di danni causati da altri successori della ex monarchia; né può essere considerata come già belligerante; la guerra fu condotta unicamente dalla monarchia austro-ungarica e dall’imperiale regio esercito.

I danni derivanti da azioni di guerra dovranno quindi essere addebitati in comune a tutti i successori della monarchia.

Contrariamente al concetto dominante nel trattato, tutti questi successori hanno ammesso il principio che il patrimonio dell’ex monarchia è una eredità comune. L’Austria Tedesca, che nessuno vorrà considerare sola erede delle attività, non potrà dunque essere chiamata unica erede delle passività.

Non vi è nessuna ragione per considerare l’Austria Tedesca ad una stregua diversa dagli altri successori: non si può invocare né il suo nome, né la sua estensione, né una particolare partecipazione nella guerra. L’Austria Tedesca rifiuta la responsabilità della politica estera seguita sotto la monarchia, giacché questa fu sempre in mano di ministri d’altra nazionalità. Anche nel Parlamento la frazione tedesca rappresentò sempre una minoranza.

Poiché il trattato considera l’Austria Tedesca (il più piccolo ed il più debole dei nuovi Stati) come solo erede della ex monarchia e responsabile degli obblighi e degli errori commessi da ungheresi, polacchi, czechi e sloveni, la Delegazione domanda che la conferenza o chiarisca il principio adottato o tolga dal trattato tutte quelle disposizioni che derivano dalla erronea identificazione della Repubblica austro-tedesca con la ex monarchia.

828

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1862/918. Londra, 18 giugno 1919, ore 2,40 (perv. ore 9 del 19).

Signor Miljukov ha fatto a titolo confidenziale le seguenti dichiarazioni.

1) La Russia nazionale chiederà agli Alleati di riconoscere tutte le convenzioni [e i] trattati (?) conclusi con la Russia. Governo russo si dichiarerà poscia pronto a riconoscere il sopravvenuto stato di cose e quindi a rinunziare ai diritti di già acquisiti.

2) Costantinopoli e terre musulmane dell’Asia minore dovrà restare alla Turchia. Dardanelli dovranno essere neutralizzati ed i forti smantellati. Qualora invece gli stretti fossero per essere internazionalizzati, i Governi alleati dovrebbero riconoscere alla Russia una parte preminente nel controllo internazionale. In ogni caso dovrebbe essere vietato alle navi da guerra d’ogni potenza d’entrare nel Mar Nero ma dovrebbe essere permesso a quelle russe il libero passaggio. Dovrebbe altresì essere stabilito il principio dalla libertà di commercio anche in tempo di guerra.

3) Province baltiche e Finlandia: nuova Russia non può accettare mantenimento indipendenza quegli Stati, benché essa sia stata riconosciuta da alcuni Governi alleati. Nuova Russia non è stata battuta e quindi non può ricevere imposizioni. Essa è disposta tuttora riconoscere autonomia detti Stati.

4) Completa opposizione della nuova Russia alle pretese polacche sulla Lituania e sulla Russia bianca. Disposizioni a non entrare in combinazione federativa con la Polonia.

5) Relazioni economiche e politiche della Russia con gli altri Stati europei si baseranno sul principio della libera concorrenza e di gelosa cura a non fare nascere preminenza di controllo o di prestigio da parte di una singola potenza.

Miljukov ha fatto due volte cenno a necessità di «rinunzie bilaterali» e cioè che a rinunzia russa corrispondano rinunzie degli alleati.

829

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,

AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

T. 742. Parigi, 18 giugno 1919, ore 13.

TRAFFICO ARMI E MUNIZIONI

Riferimento nota di V.E. 11 corrente n. 36991 debbo fare rimarcare che pur essendo indiscutibile interesse nostro contenere entro limiti ristretti produzione commercio armi e munizioni in Etiopia e pur non dovendosi escludere che qualche modificazione del progetto anglo-francese possa ottenersi in tal senso, non si può neppure disconoscere che nessuno degli accordi attualmente vigenti ha sortito l’esito desiderato finché la Francia ebbe interesse contrario. Praticamente parlando l’Etiopia si è armata grazie ai francesi ed in loro profitto, ponendoci in luce sfavorevole in confronto elemento indigeno e perciò in condizioni disagevoli dal punto di vista politico. Ora, intervenuto accordo anglo-francese, nostra opposizione non ne impedirebbe attuazione ma solo eventualmente la ritarderebbe.

Le stesse misure restrittive circa questo traffico contenute Atto generale Bruxelles sono soggette denunzia. L’effetto immediato sarebbe di porci in cattiva luce presso Governo etiopico senza tangibili vantaggi. D’altronde Governo britannico è interessato in più larga misura che noi non siamo nella definizione di questa vertenza e non deve escludersi che nostra attitudine meno ostile al progetto di quella preveduta possa indurlo a mutare la sua di completa adesione se ciò gli convenisse. Ciò premes

so, e pur tendendo a conseguire modificazioni restrittive, non crederei opportuno che ce ne facessimo propugnatori e sarei anzi di parere che lo schema proposto potesse eventualmente essere da noi accettato. Con tale procedimento noi miglioreremo almeno la nostra posizione politica in Etiopia e, concorrendo alla fornitura delle armi, con qualche opportuno temperamento, potremo vigilarne il munizionamento, tenendo presente che arma proferita è sempre il nostro Wetterli 1870-87. Qualsiasi altra nostra attitudine mi sembrerebbe assolutamente sterile.

Noto che, contrariamente all’impressione ricevutane dall’E.V., art. 10 progetto prevede nell’ultimo alinea possibilità rifiutare autorizzazione transito in caso di torbidi.

Sarò grato all’E.V. di farmi conoscere se Ella convenga nelle premesse e conclusioni suesposte.

La prego inoltre di voler designare ufficiale di marina, possibilmente capitano corvetta, che abbia esperienza della vigilanza di questo traffico nel mar Rosso e possa essere nominato secondo nostro delegato.

829 1 Non pubblicata. Vedi T. 1726 di Colosimo dell’11 giugno (qui D. 768).

830

IL MINISTRO A STOCCOLMA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1885/512. Stoccolma, 18 giugno 1919, ore 14,25 (perv. ore 9 del 20).

È venuto stamane prendere congedo da me signor Wirgo incaricato d’affari Estonia, che parte per Parigi dietro invito suo ministro. Questi gli ha ordinato raggiungere al più presto sua nuova destinazione Roma perché, egli mi ha detto, sembra che Governo italiano sia stato non bene informato sul conto Estonia. Porta infatti come prova che Governo italiano come pure Governo francese subordinerebbero riconoscimento indipendenza suo paese alla concessione di una base navale alla Russia, pretesa questa che Governo Estonia considera inaccettabile. Governo attuale Estonia si è affermato (...) nella popolazione pur essendo (...) contro tedeschi. Un gruppo truppe generale von der Goltz trovasi Wenden minacciando ala sinistra truppe estoni. Queste avrebbero voluto attaccare tedeschi, ma mi consta America si è opposta di guisa che estoni saranno costretti ritirarsi. Sul fronte bolscevico regna calma che Wirgo attribuisce armata rossa. Wirgo smentisce voce occupazione Ban(...)el di cui al mio telegramma 4741 che egli assicura concorso fonte tedesca.

830 1 Il T. 1681/474 da Stoccolma del 7 giugno riferiva di preoccupazioni svedesi per le notizie diun accordo militare e di trattative commerciali tra l’Inghilterra e l’Estonia, tali da compromettere l’equilibrio e la libertà del Baltico.

831

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CONSOLE GENERALE, MACCHIORO VIVALBA, A VIENNA

T. 745. Parigi, 18 giugno 1919, ore 16.

Suo telegramma 11591.

Non possono essere vistati che passaporti emananti da autorità serbe come tali. Non devono quindi essere vistati passaporti recanti formula «Rappresentanza del Regno dei serbi, croati e sloveni».

832

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 18 giugno 1919, ore 21,10.

Per rispondere alla domanda fattami da Clemenceau riguardo ad eventuale azione militare nostra in Baviera, occorre sapere quali furono gli accordi presi tra nostra commissione e Foch, nell’ipotesi della mancata firma del trattato per parte Germania. Pregai quindi immediatamente questo ufficio militare di riferire a Diaz informandone contemporaneamente la Presidenza, perché questa potesse subito considerare la questione nei riflessi interni1. Non mi parrebbe prudente nella risposta a Clemenceau di collegare strettamente la questione dei nostri eventuali minori aiuti con la soluzione immediata e sollecita della questione adriatica. Questa soluzione non dipende che in piccola parte dalla buona volontà francese, e il nostro procedere verrebbe interpretato come un ricatto. Ciò ci può nuocere politicamente anche per la questione dell’Alto Adige, e riuscirebbe tanto più grave se poi pel fatto, possibile se non probabile, della cessione2 da parte della Germania, non sorgesse il bisogno effettivo del nostro concorso militare in Baviera. Credo ci convenga dichiarare sinceramente e nettamente quale maggiore concorso potremmo eventualmente dare, facendo insieme risaltare quali possono essere le odierne difficoltà nostre, a cagione del peggioramento generale della situazione interna, per effetto del grave3 ritardo verificatosi nelle trattative di pace, e allegando anche i pericoli che può presentare la situazione tuttora incerta del nostro confine orientale.

832 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 468. La minuta manoscritta reca la data del 17 giugno.

1 Vedi D. 823 e poi D. 842.

2 Nella minuta si legge: «firma».

3 Nella minuta: «grande».

831 1 Del 16 giugno. Non pubblicato.

833

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 11683 OP. Abano, 18 giugno 1919, ore 21,50 (perv. ore 0,15 del 19).

Risposta 88741.

Situazione truppe Caucaso rende evidentemente inattuabile qualsiasi nostro concorso nel senso accennato2. Di questa impossibilità tenni parola ripetutamente al maresciallo Foch che, rendendosene conto, nulla ebbe ad obiettare. Per avere disponibile non rilevante quantità truppe occorrerebbe piena sicurezza verso S.H.S. con formali e assolute garanzie, cosa che parmi impossibile si verifichi dati atteggiamento e intendimento che costantemente si manifestano da tutte le parti. Suddetta comunicazione ho diretto anche a S.E. Orlando.

834

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO DIAZ, AL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO

T. 11684 OP. Abano, 18 giugno 1919.

Riferimento telegramma V.S. 8711 S.P. del 14 corrente1 circa rifiuto autorità inglesi concessione per nota spedizione preventivamente convenuta sorge dubbio che sia intervenuto qualche fatto nuovo che non consiglia più a dette autorità facilitare a noi effettuazione spedizione e sostituzione truppe britanniche. Prego pertanto assumere informazioni intese a scoprire reali motivi del nuovo atteggiamento autorità inglesi così diverso da quello inizialmente seguito allorché ci spingevano ad aderire proposta spedizione.

833 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 470. Il telegramma fu inviato tramite la DIPC, Sezione

militare. 1 Del 17 giugno, a firma Pariani. Non pubblicato. Si veda D. 823.2 Si tratta dell’eventuale intervento in Baviera (vedi D. 832).

834 Il telegramma fu inviato per conoscenza a Orlando e Sonnino. 1 Non rinvenuto. Sulla questione vedi il D. 820.

835

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 251. Parigi, 18 giugno 1919.

Il nuovo ministro del Portogallo, signor Joâo Chagas, è venuto ieri a farmi visita d’etichetta e dopo i convenevoli d’uso ha condotto il discorso sull’articolo del «Temps» che proponeva di compensare l’Italia degli ingrandimenti coloniali della Francia e dell’Inghilterra insediandola nell’Angola.

Egli mi disse che quell’articolo aveva prodotto una vivissima emozione in Portogallo e aveva ferito l’amor proprio nazionale trattando la più bella colonia portoghese come una res nullius. Egli aggiungeva subito che dell’articolo non si poteva far nessuna colpa all’Italia che vi era del tutto estranea; egli considerava però che l’articolista ci aveva reso ciò nondimeno un cattivo servizio creando sospetti fin qui inesistenti che potevano rendere difficili eventuali intese economiche fra i due paesi per lo sfruttamento di quella colonia, intese possibili soltanto se escludessero ogni velleità di conquista. Lo stesso marchese Solari, diceva il signor Chagas, si è già accorto che uomini di finanza portoghesi, con i quali egli era vicino ad accordarsi per i suoi progetti di collaborazione, ora si mostrano restii a continuare le trattative.

Il signor Chagas, che mi parlò sempre nel tono più amichevole e deferente verso l’Italia e il suo Governo, conchiudeva che farebbe ottima impressione una qualche assicurazione ufficiale che il nostro ministro a Lisbona desse a quel Governo che l’articolo del «Temps» non rifletteva le idee del Governo italiano. Gli osservai che qualche cosa di equivalente era stato da noi fatto mediante il passo compiuto presso di lui dal comm. Piacentini, di cui era stata data notizia alla agenzia «Havas». Il signor Chagas, pur riconoscentissimo a quella comunicazione, osservava che non aveva avuto un carattere ufficiale e che una dichiarazione del nostro ministro a Lisbona la completerebbe assai opportunamente.

Ho lasciato per mio conto cadere il discorso evitando ogni parola che potesse far sorgere nell’animo del mio interlocutore le speranze che la dichiarazione di cui egli parlava si sarebbe fatta. L’Eccellenza Vostra rimane quindi pienamente libera di dare il seguito che crederà alla conversazione che riferisco.

836

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,

AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO

NOTA 1984. Parigi, 18 giugno 1919.

È giunto a Parigi l’on. comm. Ostini, r. console generale a Gondar, con incarico da parte del Ministero degli affari esteri (Direzione generale affari politici) di esporre a questa Delegazione le attuali condizioni dell’Etiopia.

Il comm. Ostini ha inoltre indicato quale via dovrebbe seguirsi alla Conferenza di Parigi pel raggiungimento di risultati utili e conformi ai nostri grandi interessi in Abissinia, qualora le trattative attualmente in corso pel conseguimento del nostro programma coloniale, imperniato sulla cessione di Gibuti all’Italia, non dovessero essere coronate da successo.

Il modus procedendi proposito dall’on. Ostini sarebbe il seguente:

1) Perdurando le trattative per Gibuti iniziare — a mezzo del r. ambasciatore a Parigi — pratiche ufficiose con autorevoli uomini politici francesi, ad es. il Tardieu, per un’intesa franco-italiana in Abissinia, su queste basi:

a) gestione di grandi affari abbraccianti l’intiero Impero etiopico — quale il monopolio dei tabacchi, la regia degli alcool ecc. per parte di una società franco-italiana;

b) reciproco appoggio e reciproca garanzia — risultante da accordi scritti — tra Francia e Italia, per un’azione economica libera ed indipendente, per imprese italiane nelle zone d’influenza italiana e per imprese francesi nelle zone d’influenza francese.

Tali zone — consistenti in massima nell’Abissinia occidentale (zona italiana) e Abissinia orientale-Harar (zona francese) — dovrebbero essere ben precisate in speciale intesa, a completamento e chiarimento dell’articolo 4 dell’Accordo di Londra del 1906.

In queste nuove intese scritte, la Francia dovrebbe impegnarsi a far prontamente realizzare all’Italia in Abissinia quanto il trattato del 1906 già le riconosceva in diritto, e cioè la costruzione di una ferrovia italiana nell’Ovest pel congiungimento del-l’Eritrea col Benadir, e la concessione di necessarie zone di rispetto della ferrovia e conseguente sfruttamento agricolo di esse.

2) Raggiunta su queste basi un’intesa con la Francia, svolgere analoga azione

— sempre con l’appoggio francese — verso l’Inghilterra pel riconoscimento esplicito dei nostri diritti circa la ferrovia e lo sfruttamento agricolo dell’Ovest etiopico. Per tali trattative con l’Inghilterra potremo valerci dell’interesse che questa ha di sempre meglio assicurare il regime idraulico delle acque del lago Tzana, concedendo nella zona del lago stesso, che verrebbe a trovarsi sotto l’influenza italiana, maggiori facilitazioni all’Inghilterra per lo studio e l’esecuzione dei lavori tendenti ad assicurare il regolare deflusso delle acque del Nilo.

Prego V.E. volermi far conoscere — possibilmente per telegrafo — se tale modus procedendi corrisponda alle vedute di codesto Ministero, per poter eventualmente iniziare le opportune trattative.

837

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

NOTA 3734. Roma, 18 giugno 1919.

S.E. Crespi mi ha rimesso da Parigi, con lettera 432 dell’8 corrente1, copia della relazione da presentarsi da Lord Milner, dal signor Simon e da lui stesso al Consiglio supremo interalleato sui lavori della Commissione, istituita il 7 maggio u.s., per l’applicazione dell’art. 13 del Patto di Londra.

Per poter esaminare questo documento è necessario, anzitutto, mettere a punto la questione così come è risultata nei riguardi nostri dopo la seduta del 7 maggio, nella quale fummo messi di fronte ad un fatto compiuto diplomatico per avvenuto accordo di Francia ed Inghilterra all’infuori dell’Italia per la spartizione dei mandati in Africa.

Tuttavia, se è vero, come il signor Simon tenne a far rilevare all’on. Crespi2, che il barone Sonnino presenziò a quella seduta del Consiglio dei quattro senza fare osservazione, non è men vero che è inserito nel verbale di quella seduta che l’E.V. fece notare che l’Italia non avrebbe dovuto essere esclusa dalla partecipazione ai mandati coloniali, giustamente sostenendo che se il mandato è un onere l’Italia è pronta ad accettarlo, e se è un vantaggio l’Italia ha il diritto di esserne a parte. Questa riserva di V.E., per quanto gli Alleati vogliano negarle valore, è per noi importante, in quanto costituisce il solo punto al quale possiamo attaccarci per potere ancora interloquire in materia di mandati.

Persuasi, dunque, di averci esclusi dai mandati, gli alleati hanno voluto ridurre le nostre domande coloniali a quelle che possono essere contenute nello articolo 13 del Patto di Londra, il quale dice:

«Art. 13 — Dans le cas où la France et la Grande-Bretagne augmenteraient leurs domaines coloniaux d’Afrique aux dépens de l’Allemagne, ces deux Puissances reconnaissent en principe que l’Italie pourrait réclamer quelques compensations équitables notamment dans le règlement en sa faveur des questions concernant les frontières des colonies italiennes de l’Erythrée, de la Somalie et de la Lybie et des colonies voisines de la France et de la Grande Bretagne».

Con il solo presidio di siffatto articolo la Commissione ha affrontata la discussione; discussione resa più ardua dalla presenza nella Commissione del ministro Simon, cioè del più fiero, del più aperto e del più personalmente interessato oppositore della parte nodale del nostro programma, e cioè del passaggio a noi di Gibuti.

Detto tutto ciò ben chiaro per riconoscere le gravi difficoltà di fronte alle quali la Commissione si è trovata, devo dichiarare che è stato bene che la Commissione non sia arrivata a una conclusione, poiché se le proposte dei nostri commissari fosse

837 La nota è parzialmente edita in SALATA, pp. 221 sgg.

1 Vedi D. 746.

2 Nota del documento: «Veggasi telegramma De Martino, Parigi 16 maggio 1919, n. 2201». Sitratta del T. 532 già 2201 del 15 maggio (qui D. 500).

ro state accettate, ci troveremmo di fronte ad una situazione molto difficile specialmente rispetto ai due punti che seguono:

1) Particolarmente mi ha sorpreso la proposta della nostra Commissione, che, cioè, acquistando Gibuti, saremmo stati disposti a cedere alla Francia nel territorio stesso di Gibuti una area per stabilirvi un deposito di carbone e i magazzini necessari al commercio. Ciò potrebbe far pensare che la Commissione, mentre negoziava, non tenesse presente a che cosa noi precisamente mirassimo con la richiesta di Gibuti, e cioè alla esclusione della Francia dalla Etiopia; e non comprendesse che anche un solo piede della Francia a Gibuti significa permanenza del traffico delle armi e la permanenza della invadenza e dell’intrigo francese ai nostri danni in Etiopia.

Eppure questo concetto è stato esposto e ripetuto mille volte, nel modo più chiaro, in tutta la corrispondenza antica e recentissima su questo argomento; ed è stato esplicitamente accolto e fatto proprio dallo stesso barone Sonnino.

Ora, appunto questo vitale sostanziale interesse nostro, da noi così tenacemente affermato e difeso, sarebbe stato compromesso se gli Alleati avessero accolta la proposta italiana.

Non riesco a comprendere che cosa possa avere a ciò indotto la Commissione; e non può essere stato nemmeno il desiderio di arrivare ad un successo ad ogni costo; poiché così si sarebbe arrivati soltanto ad un insuccesso.

2) L’altro punto è quello che riguarda la richiesta del mandato sul Togo. Ho sostenuto e dimostrato che il diritto di amministrare per mandato una delle colonie già tedesche non può infirmare in nessun modo il diritto che ci viene dal Patto di Londra e non ritorno su ciò, tanto più che V.E. stessa ha così autorevolmente ed opportunamente elevato in proposito speciale riserva nel Consiglio dei quattro.

È bensì vero che prendendo in esame con il mio telegramma 3450 del 13 maggio u.s.3 la relazione De Martino del 9 stesso mese trasmessami con lettera 014904, io convenivo nella opportunità di fare una domanda di partecipazione ai mandati in Africa qualora le difficoltà per Gibuti fossero insormontabili, ma doveva trattarsi di un compenso non per una nostra rinunzia ma per una questione rimasta insoluta; ed io certo non potrei dare il mio assentimento ad una formula che dicesse che «l’Italie serait prête à renoncer à toute prétention sur la Côte Française des Somalis et sur la Somaliland britannique si l’administration de l’ancienne colonie allemande du Togo lui était confiée».

Vi è una differenza non di forma ma di sostanza che non sfugge certo alla E.V. L’Italia che da un diniego di Francia e Inghilterra trae argomento per chiedere con maggior forza un mandato, non è l’Italia che si dice pronta a rinunziare a ciò che sosteniamo essere ragione di vita o di morte per il nostro avvenire coloniale.

Ricorderò che il marchese Salvago pensò che avere il Togo avrebbe potuto offrire a noi il vantaggio di acquistare un mandato molesto a Inghilterra e a Francia, che avrebbe potuto darci maggiore probabilità di un buon risultato in eventuali negoziati successivi per permuto del Togo stesso con Gibuti e con il Somaliland britannico5.

4 Vedi D. 444.

5 Nota del documento: «Telegramma n. 261, Parigi 28 gennaio 1919». È pubblicato in seriesesta, vol. II, D. 132.

A parte questa considerazione, che come V.E. vede, ha un valor molto aleatorio, resta il fatto che non certo per il Togo l’Italia avrebbe potuto barattare il suo interesse vitale. Ed anche, a parte ciò, io mi domando se, per il solo acquisto come mandato del Togo, varrebbe la pena di creare fra noi e la Germania, a guerra finita, una ragione di profondo insanabile rancore come è quello che deriverebbe da una occupazione territoriale, tanto più che non sarebbe avvenuta per virtù di nostre armi.

Ricapitolando6:

1) È bene che la Commissione non sia arrivata a conclusioni, poiché una conclusione sulla base della proposta italiana, specialmente per Gibuti, sarebbe stata pericolosa per i nostri interessi;

2) La nostra questione coloniale deve essere ripresa in esame intatta ed impregiudicata dal Consiglio supremo interalleato;

3) La nostra riserva per i mandati vive, e noi dobbiamo mirare non al Togo ma al Camerun. Anche senza il Camerun, il vantaggio territoriale conseguito dalla Francia in Africa è cospicuo se si pensa che ha ripreso quanto aveva ceduto alla Germania nel Congo, e che ad ogni modo non è giusto che noi soffriamo i danni della avidità britannica anche nei riguardi della Francia;

4) Non dobbiamo consentire che ci si riduca nei confini della lettera dell’articolo 13 del Patto di Londra, il quale deve essere interpretato in modo estensivo per il contributo da noi portato, dal 1915 in poi, anche direttamente nel campo coloniale in Libia e in Somalia, e per tutto quanto nel gioco militare e diplomatico è intervenuto dal 1915 ad oggi;

5) Di fronte ad una persistente inflessibile intransigenza francese, alla quale io non posso rassegnarmi a credere (come ripetevo a V.E. nel mio telegramma 2043 del 6 corrente)7 è senza dubbio preferibile lasciare aperta la questione delle colonie africane piuttosto che accettare, peggio ancora se offerte da noi, soluzioni che sarebbero la definitiva condanna dello avvenire coloniale della Italia in Africa.

837 3 Vedi D. 479.

838

IL COLONNELLO VICENZI AL MINISTERO DEGLI ESTERI

RAPPORTO. Roma, 18 giugno 1919.

Ieri ed oggi ho avuto due lunghi colloqui col generale rumeno Iliescu proveniente da Parigi ed in partenza questa sera stessa per Bucarest via Valona-CorizaSalonicco-Costantinopoli-Sofia.

Egli ha trattato due argomenti:

1) accordo rumeno, bulgaro, ungherese;

2) lavorio di propaganda per sfruttare a vantaggio della Rumania e della Italia la presenza di circa un milione di arumeni sparsi a sud del Danubio fuori dei confini politici della Rumania.

1) Accordo rumeno, bulgaro, ungherese.

Il generale Iliescu ha dichiarato che le ragioni di dissidio fra Rumania da una parte e Bulgaria ed Ungheria dall’altra sono facilmente eliminabili e che esse sono addirittura trascurabili, qualora vengano comparate alle ragioni di attrito o di odio fra queste tre nazioni e la Serbia o Jugoslavia che dir si voglia. Ha aggiunto che il presidente del Consiglio signor Bratianu è di questo avviso e che d’intesa col signor Bratianu egli si fermerà qualche giorno a Sofia per tastare il terreno per un accordo con la Bulgaria sulla base di alcune concessioni, che egli è autorizzato a fare.

Il generale Iliescu mi ha detto che di questo suo programma ha già parlato a Parigi col comm. De Martino e col colonnello Castoldi ed ha insistito sul fatto che per la buona riuscita di questo piano la Rumania conta moltissimo sull’appoggio dell’Italia, con l’intesa però che la via da Sofia e da Budapest per Roma passi per Bucarest.

Ha concluso tirando la seguente somma: «15 milioni di rumeni, 35 di polacchi, coi quali siamo già in via di concludere un’alleanza militare economica, 10 milioni di ungheresi, 5 milioni di bulgari, totale 65 milioni. Aggiungendo ad essi 40 milioni di italiani, che avrebbero un incarico di direzione e di cementazione, si arriverebbe ad un complesso imponente di più che cento milioni».

Ha accennato in ultimo alla esistenza in Rumania di una corrente in favore di un’alleanza con la Grecia, corrente che sarebbe capitanata da Take Ionescu e dal generale Averescu, ma ha dichiarato che questa corrente va indebolendosi ogni giorno e che è da considerare più che altro come un residuo dei vecchi accordi e dei tempi in cui si parlava di fidanzamento del principe Giorgio di Grecia con la principessa Elisabetta di Rumania e si nominava ministro ad Atene un grecofilo ed e Roma idem.

Il generale Iliescu non ha visto in questi giorni il ministro di Rumania in Roma e mi ha detto di diffidarne per il motivo su espresso.

2) Lavorio di propaganda per sfruttare a vantaggio della Rumania e della Italia la presenza di circa un milione di arumeni sparsi a sud del Danubio fuori dei confini politici della Rumania.

Questo lavorio di propaganda dovrebbe essere in relazione col programma di accordo rumeno, bulgaro, ungherese allo scopo di: a) «embêter» serbi e greci, facendosi forti del principio dei diritti delle minoranze voluto dalla Conferenza di Parigi; b) costituire un «trait d’union» materiale, economico, vivente fra Italia e Rumania.

Per l’attuazione di questo programma (sorto e sviluppatosi nella mente del generale Iliescu a Parigi dopo lunghi colloqui col colonnello Castoldi) il suddetto generale si propone di:

a) recarsi prima di tutto in Albania ed in Macedonia per constatare de visu lo stato di fatto nei riguardi degli arumeni, in modo da poterne poi parlare con maggioreautorità a Bucarest a Sua Maestà il re di Rumania. (È da notare che il generale Iliescu ha con se come ufficiale d’ordinanza il tenente prof. Papahagi di Avdela nel Pindo);

b) organizzare saldamente due nuclei principali di arumeni del Pindo e del Timok;

c) collegare poi questi due nuclei principali con le isole di arumeni dislocate lungo le vie legionarie dall’Adriatico al Mar Nero.

Questo collegamento è facilitato all’atto pratico del fatto che gli arumeni esercitano in Albania ed in Macedonia, sotto una forma direi quasi di monopolio, la funzione di scambio commerciale. Ciò facilita, ripeto, il collegamento materiale e rappresenta un mezzo utile ed efficace per agevolare gli interessi economici dell’Italia e della Rumania.

Per la parte che ci riguarda più direttamente (organizzazione degli arumeni del Pindo) il generale Iliescu si propone di svolgere la sua opera attirando quelle popolazioni (dedite eminentemente alla pastorizia e che per necessità di pascoli sono obbligate durante il periodo invernale a scendere dalla montagna alla pianura) verso l’Adriatico anziché verso l’Egeo od, in altri termini, verso l’Albania anziché verso la Grecia. Mezzo: l’interesse, che in un primo tempo dovrebbe presentarsi sotto le seguenti forme:

a) distribuzione gratuita di vasti pascoli invernali in territorio albanese;

b) acquisto di tutti gli alberghi-stallaggio (Han) dislocati lungo le vie carovaniere dell’Albania meridionale con conseguenti forti facilitazioni ai carovanieri arumeni;

c) distribuzione gratuita di filati d’oro e d’argento per l’industria domestica dei ricami.

Il generale Iliescu conta di ottenere facilmente le somme necessarie a questi intenti. Tutto questo lavoro verrebbe integrato dalla costituzione di comunità arumene, scuole ecc. Gli studi secondari verrebbero compiuti in Italia ed in Rumania.

Il generale Iliescu ha pregato di fare pervenire i suoi omaggi più rispettosi e di sottoporre questo programma a Sua Maestà il re d’Italia, in vista anche dell’interessamento che Sua Maestà ha sempre dimostrato per la causa degli arumeni1.

837 6 Quest’ultima parte riassuntiva della relazione era stata già comunicata a Sonnino da Biancheri con T. Gab. 2144 del 16 giugno.7 Si tratta in realtà del T. 6414, ritrasmesso a Orlando dal Gabinetto del MAE con T. 2043 a firma Biancheri (vedi D. 719).838 Il rapporto fu poi trasmesso da Manzoni a Sonnino con n. 14130 s.d.

839

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 2942 RIS. Parigi, 18 giugno 1919 (perv. stesso giorno).

La comunicazione dall’Eccellenza Vostra datami, con il di Lei telegramma n. 127871, del telegramma del r. ministro delle colonie del 1° corrente2 concernente l’azione francese in Abissinia, mi induce a riassumere qui alcune idee sulla delicatissima questione che sottometto all’apprezzamento della Eccellenza Vostra la quale le terrà nel conto che Le sembrerà opportuno.

È evidente che il Governo francese, desideroso di svolgere in Abissinia una intensa azione economica e di aumentarvi la sua influenza politica, cerca di eludere

per quanto può lo spirito degli accordi del 1906 rispettandone appena la lettera. Si tratta per noi di renderci esatto conto della situazione e di provvedere nel modo migliore a difendere la nostra influenza e i nostri interessi.

Dobbiamo partire dal punto di vista che la Francia si trova in Etiopia in condizioni assai più favorevoli delle nostre in seguito all’abile e fortunata politica da essa svolta colà da trenta anni in qua. Essa sfruttò a suo vantaggio gli errori da noi commessi sin da quando iniziammo verso l’Etiopia una politica di espansione territoriale, e atteggiandosi a potenza aliena da ogni ambizione di conquista e quindi naturale protettrice dell’indipendenza etiopica contro le ambizioni altrui, acquistò laggiù una influenza ed una autorità contro la quale noi non potremmo lottare vantaggiosamente se non acquistandoci ed assicurandoci a nostra volta con una lunga prova la stessa fama di assoluto disinteresse territoriale. In verità da molti anni in qua l’Italia ha ampiamente dimostrato di non avere più mire di conquista in Abissinia, ma permangono ancora gli antichi sospetti sopravvissuti alla nostra antica politica di espansione, sospetti che chiunque tenda ad avvantaggiarsi colà a nostro danno, ha ogni interesse di tener vivi. Sotto questo aspetto credo ci abbia non poco nuociuto l’azione da noi svolta e alla quale la nostra stampa diede larghissima pubblicità, per ottenere dalla Francia la cessione di Gibuti.

Ho esposto in altro mio rapporto le ragioni per le quali non dubitavo che il Governo francese avrebbe opposto la più energica resistenza a quella nostra aspirazione. Credo ora che sarebbe savio partito desistere assolutamente da ogni pratica in quel senso. La cessione di una intiera colonia e, deve aggiungersi, del solo possedimento francese nell’Africa orientale è sacrificio che nessun Ministero francese si deciderebbe oggi a compiere. Si sarebbe forse compiuto nel 1915 quando la Francia era disposta alle più larghe concessioni per assicurarsi la nostra alleanza; ma se sono bene informato noi allora accennammo bensì a quella nostra aspirazione ma non vi insistemmo dietro preghiera dello stesso Governo francese, il quale anzi voleva inserire nel Patto di Londra una frase che escludesse Gibuti dai compensi coloniali a noi promessi. L’esclusione esplicita non si fece allora a nostra richiesta, ma il Governo francese può affermare con buon fondamento d’averci fin d’allora manifestato l’intenzione di non comprendere Gibuti fra i possibili compensi da attribuirsi all’Italia. Insistere ora per comprendervelo sarebbe andare non solo incontro ad un sicuro insuccesso ma altresì dare alla Francia un’arma di più per combattere la nostra influenza ad Addis Abeba. L’Abissinia infatti sa benissimo che la migliore guarentigia della sua indipendenza sta nella rivalità delle tre grandi potenze europee che la circondano. Essa cadrebbe indubbiamente sotto il vassallaggio di quella potenza europea che estendesse, sola, la propria sovranità su tutti i territori che separano l’Abissinia dal mare. Tanto più i dirigenti abissini temerebbero quel pericolo se quella potenza fosse l’Italia che già in passato ha tentato di ridurre l’Etiopia a suo stato vassallo. Le nostre aspirazioni sopra Gibuti sono quindi da questo punto di vista un’ottima arma in mano dei francesi i quali, mentre da un lato sono decisi a non darvi soddisfazione, dall’altro se ne servono per mettere gli abissini in sospetto contro di noi e farci perdere i frutti della politica prudente che abbiamo seguito dopo la pace di Addis Abeba3. Anche per questo motivo oltre che per

la scarsissima probabilità che abbiamo di vederle soddisfatte, credo che sarebbe cosa savia da parte nostra rinunciare a quelle aspirazioni.

Un’altra debolezza a mio parere presenta in questo momento la nostra politica in Abissinia. Noi ci serviamo delle disposizioni dell’accordo del 1906 a solo scopo negativo, ad impedire cioè per quanto possiamo la penetrazione dei due nostri concorrenti, ma nessuna notevole azione svolgiamo di carattere positivo, cioè per un’opera di penetrazione nostra. Ciò mentre la Francia, che dispone del porto e della ferrovia di Gibuti e del commercio legale ed illegale delle armi, consacra molta attività e vistosi capitali allo sfruttamento delle ricchezze del paese. La sola casa Bayart dispone aquell’uopo di molti milioni. È quindi naturale che tra un’azione intesa a fare, cioè a mettere in valore le risorse naturali dell’Abissinia, ed un’azione intesa ad impedire che si faccia, prevalga la prima e che la influenza francese prevalga sulla nostra. Per contrastarla efficacemente converrebbe svolgere anche noi una opportuna azione di penetrazione economica e, più che valersi dell’accordo a tre del 1906 per impedire l’attività altrui, approfittarne per agevolare la nostra. Citerò ad esempio quanto avviene per la nota concessione Bayart. Noi abbiamo protestato contro di essa qualificandola di monopolio vietato dagli accordi a tre; i francesi si difendono affermando che essa non esclude concessioni analoghe e pertanto non costituisce monopolio. Ciò può dar luogo ad una discussione a perdita di vista durante la quale la casa Bayart avrà ogni agio di impiantarsi in Abissinia e di realizzarvi i profitti cui mira. Se invece noi fossimo in grado di chiedere e sfruttare una concessione analoga, o il rifiuto del Governo abissino ci darebbe la riprova che realmente la concessione Bayart è monopolio e viola il trattato del 1906, o l’accoglimento della nostra domanda ci darebbe modo di fare alla casa francese una concorrenza che sarebbe a tutto vantaggio della nostra situazione politica in Etiopia. Ma tra i francesi armati di capitali e di spirito di iniziativa, e noi armati delle sole disposizioni inibitive della convenzione a tre, è evidente che la lotta non può essere uguale e si terminerà a nostro danno.

A mio giudizio sarebbe necessario non appagarci del solo accordo a tre, ma trarre le basi anche d’un accordo economico almeno con la Francia poiché l’Inghilterra mostra delle cose di Abissinia un relativo disinteresse. Perciò occorrerebbe allestire tutto un piano di penetrazione economica di cui potrebbero essere l’inizio i progetti del comm. Ostini già noti all’Eccellenza Vostra4 e cercare quindi, così preparati, di fare accettare dal Governo francese un progetto completo di collaborazione economica che permetterà di dare agli accordi del 1906 tutto il loro frutto e nel quale i due paesi potrebbero trovare ben maggiori vantaggi che nella presente lotta a base di reciproca esclusione. In tutti i casi, dove anche il Governo francese non accettasse di porsi su quella via, converrebbe indirizzare la nostra politica etiopica verso una forma attiva di penetrazione economica che ci permetta di raggiungervi la parte che per gli accordi del 1916 [?]5 ci spetta nello sfruttamento di quelle ricche regioni.

5 Il riferimento è evidentemente agli accordi del 1906.

838 1 Annotazione manoscritta in calce: «N.B. Ho letto questo esposto al generale Iliescu, che loha approvato pienamente. B. Vicenzi».839 1 Non rinvenuto 2 Si tratta del T. 3650 del 1° giugno, qui D. 670.

839 3 Il riferimento è al trattato del 26 ottobre 1896, che pose fine alla prima guerra fra l’Italia el’Abissinia.

839 4 Vedi D. 836.

840

IL COMANDANTE IN ALBANIA, S. PIACENTINI, AL COMANDO SUPREMO E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 5656 OP. Valona, 18 giugno 1919.

LA PROPAGANDA E LA PREPARAZIONE DI ESSAD PASCIÀ PER LA COSTITUZIONE DI UNO STATO A LUI SOGGETTO NELL’ALBANIA CENTRALE E LE CONTROMISURE ITALIANE PER COMBATTERLE.

La dominazione austriaca in Albania, con lo sfruttamento esoso di tutte le risorse del paese, con i suoi arbitrii e con le sue corruzioni, aveva inasprita la più parte degli albanesi e rafforzate le correnti politiche ad essa contrarie tra cui nell’Albania centrale la più estesa, quella costituita dal partito di Essad Pascià. Il quale partito, sebbene combattuto e reso impotente con misure di estremo rigore dalle autorità austriache, attendeva, nell’insidia del silenzio, il momento propizio per risorgere violento e intimidatore, forte della fitta schiera dei signorotti e dei briganti delle montagne. E quando l’esercito austriaco dovette abbandonare l’Albania fu stretto da insurrezioni locali capeggiate per lo più da questo elemento e fu assalito e sottoposto a dolorose perdite. Molti reparti, proditoriamente aggrediti lungo passaggi obbligati, dovettero arrendersi a discrezione e lasciarsi depredare delle armi (fra cui parecchie mitragliatrici da noi in seguito ricuperate per opera di albanesi) delle munizioni e di quanto avevan seco.

Tali atti insurrezionali, gli incendi e le devastazioni, ai quali si diede l’esercito nemico in ritirata per ritardare l’inseguimento delle nostre truppe, ruppero ogni freno alla delinquenza, provocarono la fuga dei prefetti e dei sottoprefetti e lo scompiglio nelle pubbliche amministrazioni e resero possibile la sollecita ricomposizione ed affermazione del partito di Essad.

I funzionari che sostituirono le autorità civili fuggite tentarono infrenare il dilagare del disordine e della violenza arruolando corpi armati con funzione di gendarmi in sostituzione della gendarmeria imperiale austriaca. Sorsero così le gendarmerie locali che non risposero allo scopo perché reclutate per necessità fra elementi infidi e che pertanto da parte di questo Comando dovettero essere oggetto di assidua sorveglianza.

Ad afforzare il partito di Essad concorse molto lo scioglimento, avvenuto appena dopo l’armistizio, dei tre battaglioni del Corpo albanese costituito dal pascià sul fronte di Salonicco e che durante la guerra operò inquadrato nell’esercito francese.

Uno dei tre battaglioni composto di 400 uomini tutti nativi della regione di Tirana e costituenti la vecchia, fedele gendarmeria del pascià, fu rinviato in patria con foglio di licenza francese e con la paga per tre mesi, con le uniformi e con le armi.

Il rimpatrio di tali elementi, i quali consideravano il ritorno al potere in Albania del loro signore come un dogma e che, sia pure con cautela, nulla tralasciavano, neppure l’intimidazione, per convertire gli increduli e spingere gli ignavi e gli indifferenti a schierarsi dalla loro parte, diede nuovo vigore e forza morale e materiale al partito essadista.

840 La nota fu trasmessa al MAE dal Comando truppe Albania, Valona, il 21 giugno, con lo stessonumero di protocollo 5656 OP., insieme ad altra relazione sulla propaganda greca in Epiro (non rinvenuta).Neppure gli allegati sono stati rinvenuti.

Gli altri due battaglioni, ridotti a circa 500 uomini, perché i gregari reclutati nelle regioni di Coriza e di Salonicco ritornarono alle loro case, furono avviati a costituire organizzazioni essadiste nei paesi albanesi della vallata superiore del Drin (regione Liuma, Piskopeja, Makelari, Trebiste, Ostreni, Klenie, ecc.) occupati dai serbi fin dai primi del novembre 1918.

I serbi stessi si spinsero altresì coi presidi avanzati a Trnova e al passo di Bulciza evidentemente per aprire alle bande essadiste, in formazione nel Dibrano, la via alle vallate del Mathi superiore e alle montagne di Tirana, abitate da rozzi montanari privi d’ogni conoscenza politica e ciechi strumenti di capi venali e ligi al pascià.

Lo stato di malessere lasciato dalla lunga dominazione austriaca, il rapido succedersi degli avvenimenti militari, le occupazioni francesi e serbe di regioni albanesi, i dubbi sulla stabilità della nostra protezione avevano rese le popolazioni diffidenti, incerte e paurose e non aliene dall’accettare le imposizioni degli essadisti.

Queste erano le condizioni di ambiente in cui il partito essadista, col più largo concorso dei serbi, nel mese di novembre cominciava audacemente la sua campagna, mentre il pascià faceva insistentemente annunciare alle popolazioni che era imminente il suo ritorno in Albania, al suo posto di governatore.

Questo Comando frattanto, in esecuzione di analoga richiesta rivoltagli dal Ministero degli esteri, impartiva ordini rigorosi e disponeva adeguati servizi di sorveglianza per impedire con ogni mezzo al pascià di penetrare in Albania e nello stesso tempo, in vista della consistenza e della estensione che il movimento andava assumendo, faceva procedere, nei luoghi ove si svolgeva, a oculati accertamenti ed a largo studio della questione onde stabilirne l’entità ed i pericoli e avvisare i mezzi idonei migliori per combatterlo e neutralizzarlo.

Risultò infatti che la campagna essadista, agente come scacchiere nel teatro delle mene serbe in Albania, faceva di Dibra città centro di irradiazione con a capo Umer Effendi segretario del pascià. Abbracciava tutta l’Albania centrale spingendo ramificazioni a Scutari, bene accette al Comando francese di quel presidio interalleato, tra i malissori e tra i mirditi.

Fu possibile stabilire gli scopi che la detta campagna si prefiggeva e che furono chiariti e riconfermati in ulteriori constatazioni dirette, e cioè:

a) a provocare l’odio delle popolazioni contro le nostre truppe e contro le autorità albanesi da noi riconosciute di fatto ed appoggiate;

b) a costituire bande armate nelle montagne e nelle campagne per promuovere un movimento insurrezionale in tutta l’Albania centrale e richiamare l’attenzione della Conferenza della pace in senso sfavorevole all’Italia e a vantaggio delle aspirazioni serbo essadiste;

c) a promuovere per ultimo un’azione contro i nostri presidi con reclutamenti nel Dibrano, nella Mathia e nelle regioni della Cermenica, della Malissia di Tirana e della regione di Cruia.

In complesso si tentava di ripetere più in grande, con una più larga disponibilità di armi, munizioni, e di uomini, e questa volta contro di noi, con il diretto aiuto della Serbia, i fatti del 1914 che provocarono la fuga e la caduta del Governo del principe di Wied.

Un forte schieramento verso i confini orientali e settentrionali albanesi non era a noi possibile allora, così perché non v’erano forze disponibili essendosi dovuta mantenere solida l’occupazione dell’Albania meridionale, inviare truppe in Dalmazia e in Montenegro e dislocare reparti lungo il litorale fino a Scutari con presidi anche nei centri più popolosi dell’interno (Berat, Elbassan, Tirana, Cruia, ecc.), come per la mancanza di vie di comunicazione che potessero assicurare i servizi logistici durante l’inverno, poiché è noto che le poche e difficili mulattiere che adducono dalla costa verso l’interno dell’Albania media e settentrionale sono d’inverno molto spesso bloccate dalla neve e dalle frane. Inoltre trattandosi di regioni montuose e selvagge con vie d’accesso non solo molto disagevoli, ma pur anco insidiate da lunghi passaggi obbligati e per lo più abitate da rozzi montanari ben armati e ciechi strumenti di capi che nella media Albania avevano già dimostrato di essere ligi al pascià, si rendeva necessario ottenere prima di ogni cosa che quelle popolazioni passassero dalla nostra parte evitando che esse si costituissero subito in bande, creassero durante lo stesso inverno imbarazzi ai nostri presidi del litorale od a quelli di Elbassan, Tirana e Cruia e si opponessero con la guerriglia alla nostra avanzata verso l’interno nella seguente primavera.

L’esame dell’attività essadista, nel suo complesso, aveva dimostrato che, se per le condizioni particolari in cui l’essadismo risorse aveva ottenuto buon giuoco, esistevano molti fattori ad essa contrari che, messi opportunamente in efficienza, potevano demolirla. Ed infatti il programma del pascià non mirando ad una Albania libera nei suoi confini naturali, ma soltanto alla restaurazione del piccolo suo Governo del 1914, aveva contro tutti i nazionalisti. Traeva la sua forza dall’aiuto della Serbia notoriamente invisa agli albanesi che ne conoscevano le mire di espansione e di dominio; vi facevan presa solo persone miranti a ignobili speculazioni personali, pochi illusi e merce-nari, tutti spinti dalla molla dell’ambizione del pascià e dalla brama di espansione serba; e pertanto la maggioranza degli albanesi, specie nei centri più popolosi, pur essendo divisa da rivalità, da invidie e da odi tradizionali, era contro al pascià che, d’altro canto, all’infuori delle sue mire politiche, contava numerosi nemici personali per arbitrii commessi quando era ministro della guerra e governatore.

Ma pochissimi osavano manifestare aperta avversione al movimento in favore del pascià perché il pericolo, sia pur lontano, del suo trionfo era dai più considerato di per sé solo una buona ragione per tenere un atteggiamento di prudente passiva attesa.

Occorreva pertanto creare un ambiente favorevole alla corrente contraria al pascià, unificarla raccogliendone tutte le fila, comporre i dissidi esistenti, dissipare i timori creatisi e sfruttare tutti gli elementi contrari al movimento arrestando tutte le manifestazioni insurrezionali che andavano maturandosi.

Ed a ciò questo Comando, fin dal dicembre 1918, provvide, oltre che col dare sollecita sistemazione agli enti amministrativi nominandovi i titolari e destinandovi addetti italiani, istituendo sotto la direzione del capitano Campi dei RR.CC. un apposito servizio politico fornito di conveniente forza di carabinieri che furono divisi in nuclei spostabili ed irradiati nelle zone dell’interno infestate dalla propaganda essadista, con il prezioso ausilio di duecento gendarmi arruolati espressamente per tale scopo tra le persone autorevoli e adatte della montagna.

Il servizio stesso provvide ad una severa e costante sorveglianza sugli elementi del battaglione del pascià tornati in patria, per prevenire e reprimere ogni atto ostile a noi, prese i necessari contatti con i notabili dell’Albania centrale e settentrionale, ristabilì la pubblica sicurezza anche nelle regioni più aspre e difficili e con intensa opera di contropropaganda sventò la costituzione delle bande e neutralizzò l’azione del partito di Essad fino alla vallata del Drin occupata dai serbi. Ed anche in questa vallata riuscì a penetrare con la contropropaganda e a costituire importanti centri antiessadisti che oggi si dichiarano pronti ad insorgere colle armi al nostro cenno per la liberazione del loro paese da ogni ingerenza serba o del pascià.

Caddero così ad una ad una e pacificamente le organizzazioni militari e amministrative essadiste istituite dal pascià specialmente nell’Albania medio orientale e tra cui la più importante il Governo e la gendarmeria sorti nella zona del medio Mathi e si infransero tutti i tentativi fatti dai fautori del pascià coll’oro, colle lusinghe e colle intimidazioni per formare corpi armati e provocare movimenti insurrezionali nei territori di nostra occupazione o sotto la nostra influenza. E con tali risultati le nostre truppe, al principio della primavera, poterono compiere senza incidenti e ben accolte dalla popolazione lo scaglionamento in avanti fino presso ai presidi serbi.

I serbi, come si è detto più sopra, fin dal mese di novembre sconfinarono nei territori albanesi e occuparono la regione di Liuma (i territori ad est del Drin Bianco e Nero) nonché la fertile zona di Dibra ad oriente del fiume con centro Piskopeja e più a sud la Bulciza, Gruka Mase e la vallata ad occidente del Drin fino alla spartiacque (monti di Trnova e Golobarda).

In tali territori la campagna in favore di un’Albania sotto il pascià fu condotta con intensa attività sotto la protezione e con l’aiuto dei serbi e anche con una certa larghezza di mezzi. Entrarono subito in funzione, come militari del pascià, i due noti battaglioni del corpo albanese sciolti dopo l’armistizio al fronte di Salonicco, i quali furono ingrossati con reclutamenti anche forzati fatti in luogo così da costituire numerose bande che esercitarono la più larga intimidazione, imposero balzelli e spesso si abbandonarono al brigantaggio, tentarono tramare intrighi col resto della popolazione dell’Albania centrale con imposizioni e minacce e fecero sforzi, ma inutilmente, per infiltrarsi entro i territori di nostra occupazione o di nostra influenza.

Fin dal dicembre 1918 questo Comando, per impedire che i serbi, già giunti al passo di Bulciza, entrassero nella Mathia o vi facessero penetrare le bande del pascià e anche per facilitare il servizio di contropropaganda disposto, fece presidiare con una compagnia di fanteria la località Bozic (alto Mathi) ciò che poco dopo permise la nostra occupazione ed il nostro controllo del passo di Bulciza sgombrato dai serbi.

Durante l’inverno questo Comando stesso, nei periodi consentiti dalle eccezionalmente sfavorevoli condizioni climatologiche, aveva fatto eseguire delle ricognizioni verso il confine orientale dai presidi di Scutari, Alessio, Durazzo, Tirana ed Elbassan, non soltanto con finalità logistiche e tattiche, ma anche politiche per prendere contatto con la popolazione, conoscerne i sentimenti e far sì che la presenza, sia pur saltuaria, di nostre forze desse modo di ritornare al regolare funzionamento delle autorità civili.

Tali ricognizioni servirono anche egregiamente per impiantare posti avanzati di carabinieri che furono centri importanti di contropropaganda e di preparazione alla dislocazione delle truppe ad oriente verso il versante del Drin, eseguita sul principio della primavera.

Le bande essadiste guidate spesso da ufficiali serbi tentarono opporsi e scacciare nostre truppe con frequenti attacchi di fucileria e di mitragliatrici specie al passo di Mura, alla Bulciza ed alla Golobarda; ma, respinte sempre dal fuoco dei nostri reparti, dovettero rinunciare ad ogni azione aggressiva, come rinunciarono alla infiltrazione nei territori di nostra influenza per il contegno decisamente contrario dimostrato dalle popolazioni dell’interno tolte al partito del pascià dalla nostra azione di contro-propaganda e preparazione ad una ben organizzata difesa.

Il movimento essadista, quale si venne manifestando nelle sue varie fasi dall’ottobre 1918 al corrente mese, in nulla differisce nei modi e negli intenti dalla campagna promossa dal pascià nel 1914 contro Wied; ebbe soltanto una maggior larghezza di mezzi in danaro, armi e armati e una più organica direzione dovuta al diretto intervento serbo.

Il pascià allora fece dapprima scoppiare dai suoi fidi un movimento armato contro il principe e contro i suoi difensori e funzionari civili a lui fedeli, si assicurò la popolazione delle montagne con arruolamenti di bande (Mathia, Malicia, Tirans, Cermenica, regione Cruia) nonché della regione di Tirana, formò un nucleo di armati nella regione di Dibra, lo ingrossò fra i montanari della Mathia, della Malicia, Tirans e dei monti di Cruia e, preceduto dalle bande del noto Mustafà Ndroqi che fugarono Wied ed suoi difensori, marciò su Tirana e Durazzo ove si fece proclamare governatore.

Durante l’attuale campagna essadista tentò di far costituire bande armate con segreti arruolamenti in tutta l’Albania centrale, fece istigare le popolazioni a sparare contro i nostri soldati e a scacciarli dall’Albania, additò al pubblico sprezzo il Governo provvisorio, incitando gli albanesi a non riconoscerlo, a disubbidire a tutte le autorità civili e a non pagare le tasse, fece pubblicare lettere e proclami suonanti odio contro l’Italia che si sarebbe sostituita all’Austria per soffocare il sentimento nazionale, dominare e impoverire l’Albania assorbendone gli abitanti con la sua grande emigrazione.

Ma, prevenuto in tempo e combattuto con l’intervento delle stesse popolazioni sottratte alla sua influenza, fu neutralizzata la sua azione e reso vano ogni tentativo, così che poté evitarsi la guerriglia così facile a provocarsi in ambienti tradizionalmente rivoluzionari, insofferenti di pubbliche autorità e forniti dell’abbondante bottino d’armi e munizioni preso agli austriaci.

Così che ora, mentre si attendono le imminenti decisioni della Conferenza per la pace, il movimento serbo essadista nell’Albania centrale e settentrionale può considerarsi abbattuto e le popolazioni, in gran parte pacificate dopo i trascorsi disordini politici e militari, potranno apprezzare nella nuova alba di un sano risveglio nazionale il benefico influsso d’una stabile e civile organizzazione1.

840 1 Peraltro, ancora in data 10 giugno, la delegazione di Belgrado alla Conferenza della pace,rinnovando l’esposizione degli argomenti in favore delle rivendicazioni territoriali in Albania, accennavaespressamente al «desiderio della grande tribù cristiana dei mirditi che abita la riva sinistra del Drin, laquale desidera vivere di una vita autonoma pur conservando, conformemente alla sua tradizione, certerelazioni col nostro nuovo Regno». Comunicando tale notizia a Imperiali e al MAE (T. 2013 del 21 giugno) Sonnino osservava: «Tale accenno fa ragionevolmente supporre che gli agenti serbo essadiani stanno preparando documenti da usare a tempo opportuno per comprovare il desiderio delle popolazioni albanesi del Nord di adattarsi a regime che non sia quello unitario albanese». E pregava di informare le autorità militari italiane in Albania (Piacentini, Lodi, Perricone) «coll’incarico di contrastare tali mene richiamando su di esse l’attenzione dei notabili albanesi e del clero cattolico».

841

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMMISSARIO POLITICO A BUDAPEST, TACOLI

T. 3266. Roma, 19 giugno 1919, ore 12.

Suo T. 1271.

Prego S.V. assumere subito direzione ufficio ora retto da Borghese stabilendosi Budapest fino nuove istruzioni.

842

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Roma, 19 giugno 1919, ore 13,50 (perv. ore 18).

A tuo telegramma1 relativo alla questione del nostro intervento in caso di rifiuto della Germania di firmare.

Non mi pare che vi sia tra noi alcuna effettiva diversità di vedute, e le tue idee corrispondono sostanzialmente a quelle espresse dal mio telegramma2. Anch’io escludevo che ci convenisse assumere un’attitudine che sarebbe antipatica e sconveniente. Anch’io sono d’accordo che in definitiva ciò potrebbe risolversi in nostro danno. D’altra parte, il tuo telegramma ammette che le mie riserve sono obiettive e sincere. Sotto l’aspetto militare è innegabile l’esistenza di quella minaccia, e credo di ricordare che S.E. Diaz abbia spontaneamente accennato a ciò quando il maresciallo Foch gli fece un’apertura generica sulla questione del nostro intervento. Ma forse anche maggiori sono le mie preoccupazioni pei riflessi interni. Il nostro intervento ecciterebbe, naturalmente, le ire dei socialisti, notoriamente avversi alla pace tedesca. Ma il peggio è che sentimenti analoghi, sebbene determinati da cause opposte, animano i partiti interventisti, per la irritazione in cui si trovano, determinata dalla mancata risoluzione della nostra frontiera orientale, nonché dal tiepido aiuto datoci dagli alleati. Sta in fatto che il sommarsi di siffatte avversioni può creare a noi una situazione molto difficile. La maniera di conciliare tali opposte esigenze, io penso che sia quella di palesare con franchezza la situazione nei suoi termini reali, essendo io convinto che un atto schiettamente amichevole degli alleati, che avesse il valore di cal

842 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 471.

1 Vedi D. 832.

2 Si tratta probabilmente del telegramma di Orlando del 17 giugno (ore 22,40), qui D. 823.

mare l’irritazione italiana basterebbe a mutare radicalmente la situazione così come è. La difficoltà del problema consiste non tanto nella maniera di concepirlo, ma nella maniera di praticamente agire per risolverlo.

841 1 Vedi D. 817. Il 23 successivo Tacoli comunicava (TT. 135 e 136) di essere giunto a Budapest, dove avrebbe atteso l’arrivo di Cerruti, già designato a succedergli come commissario politico. Cerruti sarebbe giunto il 27 giugno.

843

IL COMMISSARIO A SOFIA, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1938/241 RIS. Sofia, 19 giugno 1919, ore 16,20 (perv. ore 14 del 23).

Avendo inteso notizia dell’imminente ritiro nostro corpo spedizione dalla Bulgaria questo presidente del Consiglio mi ha pregato vivamente fare presente a V.E. grande interesse politico per l’Italia di non sgombrare completamente paese prestandosi involontariamente al giuoco di parte avversa.

Secondo lui si dovrebbe per lo meno lasciare una rappresentanza dell’esercito italiano ad Adrianopoli e nella capitale oltre a qualche drappello nella Tracia bulgara e in tale maniera, anche non potendo lasciare tutto il corpo di spedizione, si tranquillizzerebbe queste popolazioni e non soffrirebbero nostro prestigio e nostra azione diplomatica nei Balcani. Ho risposto che non conoscendo le ragioni d’ordine generale della partenza delle nostre truppe dovevo contentarmi di trasmettere preghiera motivata del Governo bulgaro.

Per convincermi Todorov mi ha assicurato che anche nel caso di complicazioni coi greci nostre truppe non si troverebbero in condizioni imbarazzanti in Bulgaria, ciò a causa dell’eccezionale posizione godutavi da noi. Egli aggiunse anche vagamente eventuali nostri sacrifici finanziari per mantenere corpo di spedizione potrebbero essere presi in considerazione. Non ho voluto rilevare tale allusione, ma punto di vista generale di questo Governo sembrami degno di ogni attenzione.

844

IL SOTTOSEGRETARIO ALL’INTERNO, BONICELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1864/1826. Roma, 19 giugno 1919, ore 17,50 (perv. ore 18).

La proposta di sedute in comitato segreto fatta dal presidente appena lette le comunicazioni del Governo fu respinta dalla Camera con 259 voti contrari e 78 favorevoli1. Le cose precipitarono improvvisamente questa mattina stessa in seguito alla

deliberazione di voto contro del gruppo radicale, alla quale seguirono le deliberazioni conformi degli altri gruppi. Parlarono alla Camera contro la proposta di comitato segreto Di Cesarò, Modigliani e Nitti.

844 1 Questo voto provocò la caduta del Ministero Orlando. Designato alla successione, Nitti fudal re incaricato di formare il nuovo Governo, che entrò in carica il 23 giugno.

845

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 751 U.U. Parigi, 19 giugno 1919, ore 19.

A telegramma 133681.

Prego rispondere a codesta Ambasciata britannica come segue2: Non ho difficoltà che nostro funzionario in Ungheria benché sprovvisto veste ufficiale provveda per quanto possibile protezione di fatto prigionieri ed ostaggi indicati da Ambasciata britannica3.

Gradirò conoscere ulteriore svolgimento pratica.

846

IL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. 520. Parigi, 19 giugno 1919, ore 22.

In merito nostro intervento nell’azione diretta obbligare Germania firmare pace, ritengo sia conveniente intervenire con sufficiente numero truppe occupare Baviera. Non collegherei tale azione colla risoluzione nostre questioni territoriali, nel senso espressa condizione, ma mi varrei del sacrificio e dello sforzo promesso o compiuto, per quella pressione morale cui alludesti nei tuoi telegrammi1.

Parmi, dunque, che, se richiesto definitivamente, Governo italiano dovrebbe senz’altro procedere invio truppe, e mi riserverei far subito passi confidenziali opportuni raggiungere scopo. Tale è anche pensiero Sonnino, col quale ho conferito al riguardo.

2 La risposta venne preparata da Paternò che sulla questione, con un breve appunto a Sonninodel 18 giugno, osservava tra l’altro: «La domanda di cui si tratta è determinata da un passo fatto dal Vaticano presso la Legazione britannica a Roma. Il Governo inglese sarebbe lieto di vedere accolta taledomanda sia per far cosa gradita al Vaticano sia per salvare i prigionieri e ostaggi ungheresi che rappresentano il “vecchio regime”».

3 In questo senso Borsarelli scrisse a Rennell Rodd in data 20 giugno con L. 19304. Comunicazione per conoscenza fu data poi da Manzoni alle Ambasciate a Londra e a Parigi con T. 13856 del 21 giugno.846 1 Sulla questione si vedano D. 823, nota 2 e D. 842.

845 1 Vedi D. 808.

847

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE COLONIE, COLOSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1876/13694. Roma, 19 giugno 1919, ore 23,35 (perv. ore 9 del 20).

Colonizzazione italiana dell’Angola. Ho attentamente esaminato schema di accordo tra Governo portoghese e Governo italiano trasmesso da V.E. con lettera n. 01751 del 28 maggio u.s.1 e sono molto lieto che la cosa si avvii su pratiche basi e favorevole soluzione. Poiché, per ragioni esposte al n. 5 della lettera Solari 22 maggio u.s.2 a S.E. Crespi, è stato necessario per facilitare l’accordo restringere la nostra domanda al territorio di una delle province dell’Angola meridionale, convengo per quanto risulta anche dalle relazioni del r. console generale a Boma che l’altipiano del Benguela col relativo porto di Lobito meriti la preferenza. Ciò è tanto più accettabile in quanto, per articolo 11 dello stesso schema d’accordo, la società concessionaria acquista il permesso di effettuare ricerche minerarie in tutto il territorio dell’Angola ad eccezione della zona a nord del fiume Cuanza. Ben volentieri quindi do il mio pieno assenso sia sui criteri informativi dello schema sia sulle singole parti. Tuttavia richiamo attenzione di V.E. sugli articoli 3 e 8 i quali potrebbero forse prestarsi ad interpretazioni restrittive poiché al capitolo 3 non sono considerate le eventuali tasse su industrie o commerci e al capitolo 8 le importazioni e le esportazioni oltre le quantità previste per gli immigrati e per le consumazioni italiane non sono regolate nemmeno con la clausola della nazione più favorita. Ciò espongo a V.E. a titolo di semplice osservazione mentre non ho elementi per valutare se speciali ragioni abbiano consigliato e reso accettabile quelle formule di fronte alla economia generale certamente vantaggiosa dell’accordo.

847 Il telegramma venne trasmesso tramite Biancheri.1 Non rinvenuta. 2 Non rinvenuta.

848

IL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

ED AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 16460. Roma, 19 giugno 1919.

In seguito a richiesta rivolta nel mese di luglio 1917 dal signor Venizelos al r. ministro in Atene1, fu rinnovato il contratto per la missione italiana incaricata della riorganizzazione della gendarmeria ellenica e questo Ministero, in seguito ad accordi presi con quello degli affari esteri, provvide all’invio degli ufficiali dei CC.RR. necessari.

A detta missione era affidato l’incarico di riorganizzare la gendarmeria, di regolarne i servizi speciali e di polizia, di stabilirne i regolamenti e di curarne l’istruzione.

Verso la fine del decorso anno 1918 arrivò ad Atene una missione inglese per la riorganizzazione della polizia, la quale, impiantatasi dapprima come completamento della nostra missione per la gendarmeria, si è andata in seguito man mano sostituendo ad essa in molte importanti funzioni.

Il fatto, di per sé stesso contrario ai nostri interessi ed ai diritti derivanti alla nostra missione dalle stipulazioni in vigore, è stato poi singolarmente aggravato dalla pubblicazione di un decreto del Governo greco in data 28 dicembre u.s., col quale veniva esautorata l’azione della nostra missione a tutto vantaggio di quella inglese per la polizia, la quale veniva ad assumere le più importanti funzioni di pubblica sicurezza e di investigazione.

Malgrado le proteste del nostro r. ministro ad Atene e del capo della nostra missione contro la pubblicazione di tale decreto, esso è stato in parte già applicato; soltanto verbalmente furono date assicurazioni ai nostri rappresentanti che non si sarebbe proceduto oltre nell’applicazione del decreto, ma si sarebbe aspettato il ritorno di Venizelos per presentare alla Camera un progetto di legge che, pur sanzionando la completa separazione dei servizi di polizia da quelli di gendarmeria, avesse lasciato alla missione italiana tutta quella autorità ed importanza che le competevano per contratto.

Pertanto presentemente la nostra missione trovasi in condizioni di menomato prestigio e di scossa autorità, stato di fatto che potrà prolungarsi ad libitum delle autorità greche le quali, in definitiva, nonostante un regolare contratto con l’Italia, da esse infirmato col decreto sopra citato in data 28 dicembre, hanno dato solo verbali affidamenti di presentare alla Camera apposito progetto di legge il quale, pur con attenuanti di forma, in sostanza sanzionerà il passaggio del più importante servizio di polizia alla missione inglese.

Dato quanto sopra, a salvaguardia del nostro prestigio e poiché, con la perdita delle più importanti funzioni dalle quali potevamo aspettarci maggiore utilità ai nostri fini, cessa ogni ragione di convenienza di mantenere in Grecia la nostra missione, questo Ministero rappresenta la opportunità che senz’altro essa venga richiamata in patria.

In tale giudizio è poi confermato da tutte le svariate comunicazioni apparse sulla stampa greca della quali l’ultima, che a titolo d’esempio qui si menziona, è riassunta nell’annesso telegramma n. 1611 dell’ufficiale reggente interinalmente l’ufficio dell’addetto militare in Atene2.

848 1 Era, a quella data, Alessandro De Bosdari, sostituito nel maggio 1918 da Camillo Romano Avezzana.

849

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, AL MINISTRO DELLA GUERRA, CAVIGLIA

NOTA 11670 OP. Parigi, 19 giugno 1919.

Ho preso visione del foglio di V.E. n. 8393 Ris.mo del 12 corrente1 e, mentre confermo che già furono emanati gli ordini per il rimpatrio della 33ª Divisione, ritengo opportuno prospettare a V.E. alcune considerazioni per quanto ha tratto alla proposta riduzione delle forze dislocate in Albania, per la quale riduzione gli intendimenti di V.E. non sembrano corrispondere interamente alle intenzioni di S.E. il ministro degli esteri per quanto riflette l’azione militare da svolgersi in quella regione (v. telegramma accluso)2.

Come è noto, in seguito alle direttive dal Ministero degli esteri, sono attualmente in corso nell’Albania orientale le operazioni per la occupazione dei territori abusivamente presidiati da distaccamenti serbi. Tali operazioni procedono lentamente e attraverso notevoli difficoltà per deficienze di effettivi e di mezzi logistici tanto che

S.E. il generale Piacentini ha fatto presente che, nelle attuali condizioni di forze, non potrà svolgere che un programma di operazioni molto limitato (fino alla valle del Drin Nero).

Ultimamente poi altre difficoltà si sono aggiunte alle precedenti, e specialmente il contegno ostile assunto dai serbi nella valle del Drin che intendono opporsi alla nostra avanzata colle armi e l’organizzazione su vasta scala di bande al servizio degli essadisti e dei serbi.

Ora, con la riduzione di 20.000 uomini sulla forza organica delle unità dislocate in Albania proposta da V.E., si verrebbe non solo a sopprimere qualsiasi invio di complementi urgentemente richiesti per completare gli organici, già fortemente ridotti, ma si dovrebbero anzi assottigliare ancora di qualche migliaio di uomini gli effettivi delle unità rendendo necessario lo scioglimento di qualcuna di esse. Ciò avrebbe naturalmente una immediata ripercussione anche sullo scioglimento delle operazioni in corso di attuazione le quali dovrebbero venire senz’altro sospese; si renderebbe

849 La nota fu inviata per conoscenza a Orlando, a Sonnino e alla DICP, Sezione militare.

1 Non rinvenuto.

2 Si tratta del T. 8525 SP. del 12 giugno di Diaz al Comando Supremo (non pubblicato) in cuisi legge in proposito: «Ministero degli affari esteri sarebbe invece non solo contrario tale diminuzione mafautore invio richiesti complementi».

inoltre necessario ritirare qualcuno dei nostri distaccamenti più avanzati e ciò con grave danno del nostro prestigio presso le popolazioni albanesi.

Occorre infine tener presente che l’efficienza della nostre truppe in Albania andrà ancora gradatamente peggiorando a causa della febbre malarica, mentre, d’altra parte, anche la situazione al confine meridionale dell’Albania potrebbe diventare difficile in seguito alle decisioni che saranno prese dalla Conferenza della pace per eventuali cessioni di territori albanesi alla Grecia.

Sembra perciò necessario che, prima di prendere qualsiasi decisione circa la riduzione di forze in Albania, sia chiaramente definita da parte di S.E. il ministro degli esteri3 la rinuncia al primitivo progetto di occupazione di tutta la parte orientale di quella regione, occupazione che non può farsi se non inviando i complementi ripetutamente richiesti da S.E. il generale Piacentini.

È questa la questione che avevo già posta col foglio 9134 OP. del 24 maggio4.

848 2 Non rinvenuto.

850

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE PRESSO LE DELEGAZIONI NEMICHE, CASATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 28 R.P. Versailles, 19 giugno 1919.

Una nota confidenziale sui tumulti di Vienna della scorsa domenica è stata presentata ieri 18 corrente alle ore 19 al segretariato della Conferenza. La nota tende a stabilire che tali tumulti furono provocati da emissari ungheresi, la cui opera di preparazione rivoluzionaria non si era limitata alla distribuzione di forti somme di denaro ma anche di fucili e mitragliatrici. Il cancelliere, che riassume in breve la storia della propria attività nel mantenimento dell’ordine dopo il suo avvento al potere, soggiunge di avere seri timori sull’ulteriore svolgersi degli avvenimenti, a causa non solo del disagio estremo di cui soffrono presentemente il proletariato e la classe media di Vienna, ma anche dell’immediata vicinanza della frontiera ungherese a un distretto operaio come quello di Wiener-Neustadt che conta più di 80.000 proletari disoccupati da mesi. Si consideri inoltre che i successi militari e diplomatici del Governo di Bela Kun rialzano di giorno in giorno il prestigio magiaro, e che impor

4 Il F. 9134 OP. del 24 maggio (non pubblicato) è a firma Badoglio.850 La nota fu inviata contestualmente alla Sezione militare della DICP e al Comando Supremo,Ufficio operazioni.

tanti forze ungheresi sono ammassate al confine, pronte ad avanzare nel territorio della Repubblica austro-tedesca. Come rimedio a tale pericolo e come conseguenza delle suesposte considerazioni il cancelliere propone che il confine con l’Ungheria sia spostato più ad oriente in modo che siano riuniti all’Austria-Tedesca i territori tedeschi dell’Ungheria occidentale e che sia accordato alla Repubblica di serbare una milizia di almeno 50.000 uomini non solo a protezione delle frontiere ma per il mantenimento dell’ordine pubblico.

La questione ferroviaria sarà oggetto di una delle prossime note del cancelliere, il quale ne ha discorso ieri col capitano Della Rocca nei termini seguenti: le ferrovie austriache costituiscono una preziosa e costosissima rete di grandi linee alpine di comunicazione, che dirigono il commercio dell’Europa centrale. Senonché l’amministrazione di una rete ferroviaria è soltanto possibile quando si riunisca sotto la stessa gestione un certo numero di linee che facciano capo a stazioni terminali, grandi centri, all’interno del paese, e raccordantisi alla frontiera con altre grandi arterie di comunicazioni.

La sistemazione delle frontiere quale è fissata dalle condizioni di pace taglia tutte le linee austriache, spezzandole fra più Stati (come si vede dagli allegati 1 e 21, che sono copia di uno schizzo tracciato dal cancelliere) e ne renderebbe impossibile l’amministrazione. A Marburg, ad esempio, si trova la più grande officina della Süd Bahn, in cui lavorano più di 3.000 operai austro-tedeschi.

Il vasto organismo ferroviario si avvia dunque verso una inevitabile rovina e con esso gli enormi capitali investiti in tali opere ferroviarie; 1 miliardo e mezzo è capitale francese. Per quanto riguarda gli interessi italiani è di ovvia importanza che la ferrovia Marbug-Franzensfeste sia completamente fuori del territorio slavo, e garantita da sicure frontiere2. Questa ferrovia rappresenta una grande — l’unica — arteria di comunicazione con l’Ungheria e renderebbe l’Italia indipendente dall’Inghilterra e dalla Francia. L’Italia dovrebbe quindi appoggiare direttamente o indirettamente le richieste austro-tedesche tendenti ad ottenere frontiere che passassero per i monti Karawanken, M. Bacher e a sud di Marburg.

Della suddetta linea di comunicazione con l’Ungheria si potrebbe eventualmente giovare anche la Francia quando le sue relazioni con l’Inghilterra fossero meno cordiali.

Alto Adige. È significativo che il cancelliere nella stessa conversazione abbia soggiunto: «Per il medesimo principio, ove l’Italia ottenesse il Tirolo meridionale, insisterei perché l’amministrazione della ferrovia, fino almeno a Franzenfeste, fosse lasciata all’amministrazione austro-tedesca». Come è anche degno di nota il fatto che egli mi abbia richiesto qualche pubblicazione sulla costituzione della Repubblica Andorra, sottintendendo che, in una ulteriore proposta riguardante l’Alto Adige, egli si sarebbe ispirato a tale costituzione che, non escludendo la sovranità dello Stato nel cui territorio tali vallate sono incluse, ne salvaguarderebbe la neutralità ed alcune franchigie amministrative ed economiche. È naturale che a tale richiesta si sia opposto un rifiuto per non indurre nell’animo del cancelliere il sospetto di una minima compromissione da parte nostra in una questione già nettamente e decisamente risoluta dalla Conferenza.

2 Sulla questione si vedano i DD. 54, 175 e 628.

849 3 Con riferimento a questo foglio, con successivo T. 2046 del 23 giugno alla Sezione militare,Sonnino confermava invece: «la convenienza di non indebolire ancora il corpo di occupazione in Albaniaanche indipendentemente dalla esecuzione delle progettate occupazioni» che avrebbero potuto configurarsi, con fisionomia pacifica, nel «collocamento di nostri distaccamenti entro zone occupate dai serbi inmodo da pervenire ad occupazione mista».

850 1 Non si pubblicano.

851

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1866/251.89. Abano, 20 giugno 1919, ore 2 (perv. ore 9).

Al telegramma 17 corrente n. 737 riservatissimo1.

Pregasi chiarire quale telegramma segretariato generale desiderasi conoscere poiché questo limitossi chiedere direttive Ministero affari esteri e Presidenza Consiglio ministri.

Comando Supremo esclude modo assoluto qualsiasi fornitura armi e viveri per parte sua al Governo bolscevico ungherese e, non avendo dato relativi ordini, ritiene poterlo escludere anche nei riguardi comandi militari sottoposti, da cui tuttavia viene richiesta analoga assicurazione come richiesto telegramma cui rispondesi.

Ancora prima che le fosse trasmesso telegramma 16 maggio n. 10923 Ministero affari esteri2, Missione italiana armistizio Vienna comunicava rivestire trattative avviate fra sindacati italiano e ungherese carattere assolutamente privato e essere all’infuori qualsiasi partecipazione Governo. Intanto dottor De Benedetti, direttore sede Firenze Istituto credito cooperativo, inviato da Roma, non consta da chi, con incarico trattative con sindacato ungherese, stipulava con questi accordi preliminari circa fornitura immediata 150 vagoni viveri per circa 8 milioni subordinandola espressa approvazione Roma e preannunziando alla Missione italiana armistizio Vienna prossimo invio dettagliato rapporto al comm. Giuffrida per Ministero approvvigionamenti consumi allo scopo affrettare spedizioni derrate. Sindacato ungherese inviava intanto mediante proprio rappresentante 3 milioni corone oro e 10 milioni carta con ferrovia al confine austro-tedesco e li faceva consegnare ad ufficiali Missione italiana armistizio Vienna che, ritenendo evidentemente ingerenza deposito non inconciliabile direttive ricevute eliminare ogni rapporto ufficiale, provvidero loro trasporto colà mediante autocarri militari. Detto importo aumentato da ulteriori versamenti 5 milioni corone carta è stato da Missione armistizio depositato presso Istituto Bancario Vienna in attesa istruzioni Ministero affari esteri.

Riservansi ulteriori comunicazioni. Segue mediante posta copia del presente e del telegramma 27 maggio decorso n. 114723 per caso medesimo riferiscasi richiesta V.E.

851 1 Vedi D. 821. 2 Non rinvenuto. 3 Non pubblicato.

852

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO, BIANCHERI

T. 755. Parigi, 20 giugno 1919, ore 12,50 (perv. ore 15,30).

Rispondo suo telegramma n. 134141.

Circa evacuazione truppe interalleate Corfù questa sezione militare aveva chiesto di fissare a Parigi data abbassamento bandiere. Ho risposto con telegramma n. 1968 del 17 corrente2 che non ritengo opportuno sollevare qui a Parigi la questione della data dell’abbassamento delle bandiere alleate a Corfù. Se mai tale data potrà essere fissata per iniziativa dalle potenze alleate, ma resta tuttavia bene inteso che l’abbassamento delle bandiere deve essere contemporaneo3 ed in corrispondenza di un’evacuazione completa di tutte le truppe interalleate sia dall’isola di Corfù che dagli isolotti vicini. Spetta al comandante delle truppe italiane colà dislocate di prendere con i suoi colleghi gli opportuni accordi in modo da garantire la contemporaneità e la completezza dell’evacuazione dei reparti interalleati. Comunque sarà opportuno che tali accordi non vengano presi che dietro eventuale iniziativa dei comandanti degli altri reparti. Quanto sopra per conoscenza e norma in relazione alla nota verbale presentata da ambasciatore Francia.

853

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. 1831 P. Parigi, 20 giugno 1919, ore 13 (perv. ore 15,45).

In presenza della crisi ministeriale credo necessario prendere sin da ora in esame eventualità che il Governo germanico dichiari lunedì di volere firmare trattato. In questo caso è assai probabile che, secondo è desiderio generale, si proceda alla firma senzaritardo. È evidente che, se il trattato fosse firmato nel giorno designato dai nostri alleati ed associato, rimanendo assente Italia a cagione della crisi, ne deriverebbe danno incalcolabile al nostro paese sia dal punto di vista politico per le possibili conseguenze sia dal punto di vista del prestigio nazionale. Questa eventualità dovrebbe a mio avviso essere scartata. E pertanto ti prego telegrafarmi1 se, nel caso la crisi non fosse esaurita

2 Non rinvenuto.

3 L’ammainamento contemporaneo delle bandiere alleate era stato in realtà già fissato dicomune accordo per la sera del 20 giugno (come da T. 2378 del 18 giugno del generale Piacentini, ritrasmesso da Biancheri a Sonnino con T. 13888 del 22 giugno).

nel giorno della firma, tu potrai venire a Parigi per firmare. E nel caso tu non possa assentarti da Roma occorre decidere prontamente se per firmare occorre che io sia munito di speciali poteri nuovi insieme a Crespi e Imperiali. Nel caso che un nuovo Ministero si formi subito occorre tu attiri attenzione successori sulla necessità provvedere massima urgenza perché firma Italia non manchi all’atto solenne internazionale. Occorre tener presente che, se Germania accetta firmare, qua tutti insisteranno per immediata conclusione postergando qualunque altra considerazione o convenienza.

852 1 Non rinvenuto.

853 1 Vedi poi D. 857.

854

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO A LISBONA, SERRA

T. 756. Parigi, 20 giugno 1919, ore 15.

Riferimento mio telegramma 6811.

12 corrente inviai console Piacentini da Alfonso Costa dichiarandogli ufficiosamente che Delegazione italiana Parigi era stata assolutamente estranea alla pubblicazione articolo «Temps» concernente Angola. Tale articolo aveva anzi provocato nella Delegazione italiana spiacevole sorpresa per malintesi che avrebbe potuto procurare tra i due Governi amici ed alleati Italia e Portogallo. Delegazione italiana confermava trattative iniziate da Solari avere carattere puramente economico. Governo italiano ne seguiva di buon occhio svolgimento augurandone favorevole conclusione interesse due paesi.

Era pertanto escluso qualsiasi carattere politico nelle suddette trattative, Governo italiano intendendo rispettare modo più assoluto sovranità Portogallo sulle sue colonie e integrità territoriale di queste. Alfonso Costa gradì dichiarazione riaffermando intenzione Portogallo sempre più accentuare buone relazioni con Italia. Quanto alla questione di Angola, articolo «Temps», pur se spiacevole ed inopportuno, non poteva alterare trattative avviate.

A conversazione Costa Piacentini era presente Norton de Matos.

17 corrente il nuovo ministro del Portogallo a Parigi Joao Chagas recatosi visitare conte Bonin2 tornò su argomento articolo «Temps», affermando che una dichiarazione ufficiale del r. ministro a Lisbona avrebbe opportunamente completato le dichiarazioni ufficiose fatte da Piacentini ad Alfonso Costa.

Prego V.S. informarmi se ha dato al Governo portoghese le assicurazioni di cui al mio telegramma 681. V.S. potrà eventualmente servirsi per ulteriori comunicazioni a codesto Governo delle informazioni che precedono circa passo ufficioso compiuto Parigi presso Alfonso Costa nonché della smentita Solari pubblicata nel «Messaggero» di Roma addì 11 giugno, riprodotta dal «Temps» del 16 detto.

2 Cfr. D. 835.

854 1 Vedi D. 759.

855

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. 3907/11908 OP. Abano, 20 giugno 1919, ore 15 (perv. ore 17).

La non perfetta identità di vedute che emerge dalle comunicazioni che a me pervengono su talune importanti questioni dall’E.V. e da S.E. il ministro esteri mi obbligano a rivolgerle preghiera di voler precisare gli intendimenti del Governo affinché l’azione di questo Comando ad essi possa uniformarsi. Tali principali questioni sono:

1) Nostro concorso in eventuale azione militare dell’Intesa contro la Germania. Mentre V.E. col suo telegramma 3893 R. del 17 corrente1 si mostra in massima contrario a tale concorso, S.E. Sonnino chiede ripetutamente2 di precisare il concorso possibile e non si ritiene soddisfatto della risposta data da questo Comando e comunicata a V.E. con telegramma n. 11683 del 18 corrente3 che ai concetti stessi era ispirata.

[2)] Mentre V.E. rammenta con telegramma n. 3897 del 18 corrente4 le difficoltà di indole politica dell’impresa suggerendo di dilazionare, S.E. Sonnino con telegramma n. 736 del 17 corrente5, di fronte al mancato concorso del tonnellaggio inglese, cerca di provvedere con tonnellaggio italiano, deciso a sormontare le difficoltà pur di iniziare al più presto la spedizione. Questo Comando ad ogni modo sta preparando il corpo di spedizione secondo le direttive avute ma occorrerebbe una sollecita e chiara decisione del Governo per evitare le spese della preparazione qualora poi la spedizione non dovesse effettuarsi e ancora più per evitare forte perturbamento nell’organico dei reparti per costituire con classi giovani il corpo di spedizione.

[3)] Complementi per l’Albania. Mentre S.E. ministro guerra col foglio

n. 83936 ritiene necessaria la riduzione del corpo di occupazione d’Albania e sostiene la riduzione di 20 mila uomini rispetto forza organica, il ministro degli esteri opina invece debba anzi inviarsi i complementi per dar modo a S.E. generale Piacentini di completare l’occupazione dell’Albania sino confine di Londra.

[4)] Ritiro contingenti della Siberia, della Murmania. Mentre il ministro della guerra è ad esso decisamente favorevole, tanto da comunicarne con foglio 8393 come stabilito il ritiro d’accordo con V.E. e con S.E. ministro esteri, pervengono ora comunicazioni di S.E. Sonnino7 con le quali insiste nel ritenere politicamente necessario il mantenimento dei due distaccamenti.

2 Vedi ad es. D. 832.

3 Vedi D. 833.

4 Non pubblicato. Si riferiva alla questione del Caucaso.

5 Vedi D. 820.

6 Non rinvenuto.

7 Si veda qui D. 801 (T. 715 ris. di Sonnino a Caviglia, 15 giugno).

Come vedesi è una serie di questioni non definite e nelle quali la non raggiunta identità di vedute rende necessario l’intervento di V.E. onde io possa avere chiare direttive dal Governo che siano norma sicura nella mia azione.

855 1 Non pubblicato. Riporta il telegramma a Sonnino del 17 giugno (qui D. 823).

856

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Roma, 20 giugno 1919, ore 22,20 (perv. ore 11 del 21).

Ricevo dal generale Diaz seguente: «Ricevo da maresciallo Foch seguente telegramma data 19 corrente: “3074 — Nel caso in cui la Germania rifiutasse di firmare la pace, si deve prevedere che dopo intesa fra i Governi una azione sarà intrapresa dagli alleati partendo dalla (...) erano direzione di Monaco, per ridurre la Baviera. Vi domando di farmi conoscere urgentemente le forze che credete di poter fornire per tale intrapresa e il tempo che vi sarebbe necessario per metterla in esecuzione. Beninteso un piano di operazioni sarebbe stabilito ulteriormente fra noi per coordinare le operazioni degli eserciti alleati. Firmato Foch”. In questo momento potrei disporre di quattro divisioni, computando in detto numero le due divisioni destinate ad occupare Caucaso. Qualora queste due divisioni dovessero rimanere disponibili per Caucaso nostro concorso sarebbe limitato a sole due divisioni. Queste forze sarebbero tolte all’armata Trentino non potendo in alcun modo diminuire forze nel settore orientale. Prego V.E. dirmi al più presto in quali termini io debba rispondere al telegramma del maresciallo Foch avvertendo che ogni risposta precisante forze sarà evidentemente impegnativa nel principio, il che non so se sia negli intendimenti del Governo. Firmato generale Diaz».

Io ho risposto suggerendo al generale Diaz di comunicare al maresciallo Foch le sue disponibilità così come sono, e aggiungendo che per ciò che riguarda il carattere politico della decisione egli se ne rimette al suo Governo. Per quanto poi ci riguarda, è evidente che tale decisione si connette con la questione più complessa, che è in relazione con la pendenza attuale della crisi.

856 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 474.

857

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Roma, 20 giugno 1919, ore 22,40 (perv. ore 12 del 21).

Dopo spedito telegramma relativo eventualità firma trattato Germania in pendenza crisi1, ho riflettuto che vi potrebbe essere un’altra possibilità di soluzione che eviterebbe tutti gli inconvenienti. Si potrebbe cioè fare la convocazione di tutte le Potenze per la firma senza alcun ritardo, ma lasciare aperto il protocollo per la nostra firma quando la crisi sarà superata. In altri termini si tratterebbe non di un rifiuto, ma di una sospensione e questa sospensione riguarderebbe soltanto la nostra firma, mentre tutti gli altri firmerebbero.

Ho avuto occasione di esporre questa idea a Barrère, venutomi a trovare questa sera. Egli mi ha detto che la trova perfettamente giusta e corrispondente ad altri casi simili che gli si sono presentati. Soggiunse che ne avrebbe telegrafato al suo Governo appoggiando tale soluzione. Per quanto invece questione avanzata nostre truppe in caso di rifiuto della Germania a firmare, io ritengo che nostra situazione di dimissionari non ci impedisca di consentirlo, essendo questo una conseguenza di esecuzione che discende dal fatto della dichiarazione di guerra e della ripresa delle operazioni militari. Se tu credi, puoi fare qualche dichiarazione in tal senso.

858

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. Roma, 20 giugno 1919, ore 23 (perv. ore 12 del 21).

A proposito della questione del tonnellaggio per il trasporto delle truppe italiane nel Caucaso, di cui in un tuo telegramma ritrasmessomi dal tuo Ministero1 e di cui si occupa un telegramma del Comando Supremo n. 116842, io credo che la questione del tonnellaggio dia un buon argomento per rinviare una risposta definitivamente impegnativa, anche in relazione al momento che si traversa.

857 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 475.

1 Si tratta di un telegramma delle ore 20 dello stesso giorno, nel quale Orlando aveva, tra l’altro, sostenuto l’ipotesi che, in presenza della crisi di governo, l’eventuale firma al trattato con la Germania fosse apposta da Sonnino, Crespi e Imperiali, come appunto suggerito da Sonnino con T. 1831 P. delle ore 13 (qui D. 853).

858 Edito in SONNINO, Carteggio, D. 476. 1 Si tratta del T. 736 di Sonnino a De Nava, in data 17 giugno, inviato per conoscenza allaPCM (vedi D. 820).2 Vedi D. 834.

859

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, A ROMA

T. Parigi, 20 giugno 1919, ore 23,40 (perv. ore 3,10 del 21).

Si è riunito oggi Consiglio Supremo Guerra. Balfour rimpiazzava Lloyd George e Cavallero, Diaz.

Oggetto della discussione: piano operazioni nel caso tedeschi non firmassero.

Foch dice che primo obbiettivo da raggiungere sulla via di Berlino seguendo la valle del Meno sarà il Weser per cui occorrono 12-14 giorni. Ma nello stesso tempo sarà indispensabile staccare dalla Prussia gli Stati meridionali, cioè Baden, Württemberg e Baviera, imponendo disarmo e armistizio, altrimenti non avremmo forze sufficienti per raggiungere Berlino e saremmo costretti fermarci a mezza strada; la debolezza dell’esercito sta in ciò che esso sarà costretto via via ad assottigliarsi per mantenere le vie di comunicazione in mezzo a popolazioni ostili. Per agire sulla Baviera occorrerebbe il concorso dell’Italia. Occorre inoltre operare congiunzione con polacchi e tchecoslovacchi e riguardo questi ultimi sarà necessaria un’azione contro Ungheria per arrestarne offensiva.

Generale Robertson avverte che non ha forze sufficienti per andare oltre il Weser (meno forse un paio di divisioni). Avverte che tedeschi hanno in quella zona 2000 cannoni pesanti e 7000 cannoni da campagna.

Generale Bliss dice che occorre un’azione immediata qualora tedeschi non firmino, ma limitarsi ora considerare obbiettivo Weser; poi si vedrà, secondo faranno gli Stati del sud; circa questi ultimi è prevedibile resistenza passiva.

Generale Cavallero dice che spera comunicare domani risposta di Diaz a lettera di Foch circa concorso Italia1. Fin da ora fa presente che nostre forze non potranno essere che limitate causa necessità ordine interno e incerta situazione frontiera orientale.

Maresciallo Pétain approva il piano di Foch ma fa presente che, se si tratta di passare il Weser, si inizierà una nuova guerra, e le forze alleate saranno troppo esigue per continuare la battaglia. Quanto all’esercito francese, la forze a nord sono in grado di avanzare utilmente, ma la quarta armata che dovrebbe operare in Baviera non è provvista in modo da poter andare molto lontano. Le forze complessive della Germania, compresa la polizia armata, montano a 750 mila uomini.

Clemenceau riassumendo dice che marcia su Berlino è condizionata alla conclusione di armistizio con gli Stati del sud. Balfour ritiene dubbio si riesca a staccare gli Stati del sud. Si discutono quindi le condizioni degli armistizi eventuali con Stati del sud2.

2 A questo punto la minuta ms. in partenza reca il seguente periodo, poi cancellato: «Si propone offrire loro pace separata sulla base del Trattato già pronto. In proposito ho fatto osservare che quegliStati potrebbero essere disposti ad accettare un armistizio e non una pace separata. Quindi è meglio nonforzare».

Si decide di deferire ai giuristi la redazione di una formula per l’armistizio. Si decide che se il 23 corrente a ore 19 tedeschi non hanno risposto Foch inizierà offensiva. Su proposta Pétain si decide che nessuna ulteriore dilazione sia accordata. Su proposta Balfour si decide analogamente per entrata in azione della flotta inglese.

859 1 Sulla questione si veda D. 856.

860

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO A LISBONA, SERRA

T. 757. Parigi, 20 giugno 1919, ore 23,55.

Per opportuna notizia e norma di V.S. comunico che 18 corrente costituivasi «Società coloniale per Africa occidentale», capitale un milione e mezzo sottoscritto da Banca Commerciale, Credito Italiano, Banca Italiana di sconto, Banco di Roma, Banco Pisa e sindacato Solari. Società avrà sede Lisbona, uffici Roma. Scopo immediato della Società è di rilevare concessioni Angola già in possesso sindacato Solari e iniziarne messa in valore. Società proponesi aumentare progressivamente capitale per svolgere Angola vasto programma agricolo, minerario, commerciale e linea navigazione Italia Portogallo Angola. Per affermare carattere economico non politico di questo affare nuova società desidera partecipazione capitale portoghese. A tal fine ha aperto trattative con Banco Ultramarino cui direttore Ulrich trovasi attualmente Lisbona. Ove egli si presentasse codesta Legazione, V.S. può confermargli assicurazioni già date a Governo portoghese circa intenzioni R. Governo che questione Angola rimanga campo puramente economico. Ciò pel caso che Banco Ultramarino volesse subordinare sua adesione a nuova società allo stato dei rapporti tra Governi portoghese e italiano relativamente a questione Angola dopo pubblicazione noto articolo «Temps».

861

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, DIAZ, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

T. 11525. Abano, 20 giugno 1919.

Generale Piacentini in relazione noto progetto occupazione territorio albanese attualmente presidiato da distaccamenti serbi, informa che albanese Hasan bey Pristina si sarebbe offerto prestare suo concorso attuazione nostra occupazione regione Dibrano impiegando armati albanesi e impegnandosi raggiungere confine Priscopeia

861 Il telegramma fu ritrasmesso per conoscenza al presidente del Consiglio Orlando a Roma eper competenza al MAE, Gabinetto «con preghiera di far conoscere le disposizioni richieste».

Dibra purché fosse certo nostra avanzata alle sue spalle. Per attuazione quanto sopra richiederebbe però rifornimento munizioni e distribuzione fucili. Generale Piacentini che (...) diretto Hasan bey Pristina a noi favorevole, darebbe affidamento riuscita per la sua capacità e aderenza valle Drin. Esprime sua riserva circa opportunità distribuzione armi che accrescerebbero numero già rilevante in possesso albanesi e possibilità protesta da parte Governo serbo al quale nostra condotta non passerebbe inosservata. Generale Piacentini richiede apprezzamento questo Comando prima di entrare in trattative con detto albanese accennando anche possibilità accettare appoggio Hasan bey Pristina senza fornire armi o al più fornendo solo munizioni. Rivestendo questione carattere essenzialmente politico ed essendo in stretta relazione linea condotta nostro Governo verso Serbia, questione attesa deve essere decisa da nostro Governo e prego perciò codesta Delegazione prospettare quanto sopra S.E. Sonnino per le disposizioni che riterrà opportuno impartire in merito.

862

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PREZIOSI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 2036/924. Londra, 20 giugno 1919 (perv. il 23).

Telegramma di V.E. 134351.

Governo britannico non ha obbiezioni alla riapertura dei RR. Consolati in Beirut, Aleppo, Damasco, Tripoli e Caifa alle condizioni che il Governo del re dia precise istruzioni ai detti cinque Consolati di riconoscere: 1) il carattere militare dell’attuale amministrazione in Palestina; 2) la suprema autorità del comandante in capo; 3) la validità della vigente legge marziale, la quale durerà fino alle decisioni definitive della Conferenza della pace. In un colloquio sull’argomento Kidston mi ha fatto rilevare che predette condizioni sono rese necessarie dal carattere militare dell’occupazione permanente e dal permanente stato di guerra; da parte mia confermo a V.E. informazioni riservate contenute nel mio 8702.

2 Con il T. 870 del 10 giugno Preziosi, con riferimento al prolungato silenzio del Foreign Office sulla questione, riferiva sulla base di informazioni confidenziali che «risposta probabilmente non saràfavorevole per seguenti ragioni: 1) che in pendenza laboriose decisioni Conferenza della pace Turchia vaancora considerata come potenza nemica; 2) che nelle attuali circostanze presenza stranieri in Siriapotrebbe essere fomite [agitazioni]», con speciale riferimento «a temuta attività francese».

862 1 Non rinvenuto.

863

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, CRESPI

T. POSTA 2009. Parigi, 20 giugno 1919.

Mi risulta che nelle varie commissioni economiche interalleate va affermandosi la tendenza di stabilire condizioni eccessivamente onerose per la Bulgaria dirette a costituire un sistema di vere e proprie limitazioni della sovranità bulgara. Ciò pare si vorrebbe raggiungere principalmente mediante l’istituzione di una commissione di controllo su tutta la vita finanziaria dello Stato.

Tale sistema di rigore non pare affatto giustificato, né lo ritengo conforme ai nostri interessi che consiglierebbero di mantenere entro giusti limiti la potenzialità politica ed economica della Bulgaria.

Epperò, ove V.E. condivida tale modo di vedere, le sarei grato se volesse impartire conformi istruzioni ai nostri delegati nelle commissioni economiche, onde essi sappiano la linea di condotta da seguire nella discussione delle varie questioni.

864

L’ALTO COMMISSARIO A COSTANTINOPOLI, SFORZA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 799. Costantinopoli, 20 giugno 1919 (perv. il 1° luglio).

Ringrazio Vostra Eccellenza del telegramma n. 12269 del 1° corrente1 circa il Senusso, dal quale rilevo, fra l’altro, che l’opinione da me espressa circa le ripercussioni che potrebbe avere l’arresto di Sidi Ahmed esh-Sherif è confermata dai pareri dei Governi della Tripolitania e della Cirenaica. Non mancherò di uniformare la mia norma di condotta alle varie istruzioni contenute nel telegramma stesso.

Voglio solo sottoporre a Vostra Eccellenza se non sarebbe opportuno interpellare i due Governi della Libia sull’opportunità o meno di tentare, nei miei contatti indiretti col Senusso, di condurlo gradatamente ad un accordo con Sidi Idris che avrebbe per base la cessione dei suoi diritti di capo della confraternita a quest’ultimo, contro concessione per parte del R. Governo di una larga pensione e di qualche situazione onorifica.

Sembrami che questa sia l’unica soluzione che permetterebbe una completa pacificazione della Libia, dandoci la possibilità di accaparrare e di disporre dell’intero elemento senussita che tanta importanza ha nel retroterra libico e di avere nelle nostre mani Sidi Ahmed esh-Sherif di cui molto meglio potrebbesi così controllare le mosse.

864 1 Non rinvenuto.

865

IL SEGRETARIO PER LE QUESTIONI ECONOMICHE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, GIANNINI, ALL’AMBASCIATORE, DELEGATO PLENIPOTENZIARIO, IMPERIALI

APPUNTO. [Parigi], 20 giugno 1919.

I. Dopo l’armistizio le questioni riguardanti sopra tutto le relazioni commerciali e i rifornimenti dei paesi tedeschi occupati sulla riva sinistra del Reno erano trattate da due commissioni.

(a)- Commissione per la riva sinistra del Reno a Parigi. (b) -Commissione per il Lussemburgo in Lussemburgo.

La prima fissava le linee generali, la seconda compiva principalmente il lavoro esecutivo. Noi non eravamo rappresentati né nell’una né nell’altra delle due commissioni.

II. Nell’aprile scorso la Delegazione inglese presentò al Supremo Consiglio economico un progetto per la riorganizzazione del lavoro delle commissioni che si occupavano dei territori tedeschi occupati. Nello stesso tempo noi chiedemmo al Supremo Consiglio economico di essere rappresentati nei due comitati citati al par. 1.

Fu appunto in questo momento, nell’aprile scorso, che dopo qualche difficoltà, sopra tutto con i delegati francesi, riuscimmo ad essere rappresentati nei due suddetti comitati che presero il posto di quelli citati al par. 1, e cioè:

a.- Sotto-Comitato per la Germania; b.- Commissione interalleata di Coblenza.

III. Il lavoro dei due comitati suddetti è consistito largamente finora e consisterà anche dopo la pace nella trattazione di questioni economiche. I territori occupati costituiscono una zona industriale di prim’ordine, le grandi industrie tipicamente concorrenti di quelle dei paesi associati sono quasi completamente sulla riva sinistra del Reno. Così alcuni dei centri finanziari maggiori, così una delle più grandi arterie di comunicazione tra il Nord e il Sud di Europa. Pertanto, l’opera del Comitato per la Germania, e ritengo anche l’opera della Commissione interalleata nel periodo di occupazione dopo la guerra sarà largamente concentrata nelle questioni economiche.

Ed occorre avvertire che in molte di tali questioni economiche l’interesse nostro era ed è assolutamente contrario a quello degli altri alleati. Es.: importazione di sete e di cotoni, esportazione di coloranti, di ghisa, di rotaie, di macchinario ecc., trasporti attraverso il Reno eccetera.

866

IL CAPO DELLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE, CAVALLERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 8761 SP. Parigi, 20 giugno 1919.

Il Comando Supremo rappresenta con l’accluso foglio, Allegato 11, le considerazioni espresse dal generale Battistoni per dimostrare la convenienza di aumentare la forza del nostro corpo di spedizione in Anatolia.

Dallo specchio, Allegato 22, risulta infatti che le nostre forze sono alquanto inferiori a quelle greche, specie se si tiene conto delle numerose località da noi presidiate e che converrebbe presidiare, tanto sotto il punto di vista della opportunità politica che per la convenienza di collegare i vari distaccamenti disseminati in una zona molto estesa.

Il Comando Supremo, accogliendo le ragioni esposte dal generale Battistoni, propone un aumento di forze corrispondente ad una brigata.

Si sarà grati conoscere l’avviso di codesto Ministero su quanto è chiesto all’ultimo capoverso del foglio del Comando Supremo.

ALLEGATO

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, BADOGLIO, ALLA SEZIONE MILITARE DELLA DELEGAZIONE PER LA PACE

NOTA 11268 OP.

Il generale Battistoni, in un suo recente rapporto diretto a questo Comando, fa presente come le forze assegnate al corpo di spedizione in Anatolia siano assolutamente insufficienti allo scopo data l’estensione della nostra zona d’influenza verso l’interno e lungo la costa, le difficoltà delle comunicazioni e le distanze fra i vari distaccamenti.

Oltre a queste considerazioni di carattere militare altre ne prospetta di indole politica: l’impresa dell’Anatolia è molto promettente per l’avvenire e il momento per svilupparla è assai favorevole, ma anche fuggevole perché la simpatia dei turchi verso di noi si basa sopra-tutto sulla speranza di un nostro valido aiuto contro i greci. Ora occorre che i turchi si sentano superiori ai greci o almeno in grado di contenere la loro impulsiva aggressività. Attualmente i greci avrebbero in Asia Minore non meno di 7 reggimenti e noi dovremmo portare le nostre forze complessive almeno ad una divisione di fanteria rinforzata.

866 La Nota fu inviata per conoscenza anche alla PCM (Gabinetto).1 Si tratta della N. 11268 OP. senza data, a firma Badoglio, inviata alla DICP, Sezione militare,e, per conoscenza, al Ministero della guerra, Divisione Stato Maggiore. Vedi Allegato.2 Non rinvenuto.

Come è noto a codesta Delegazione il corpo di spedizione in Anatolia fu a suo tempo costituito in base alle direttive avute dal Governo per l’occupazione di determinati punti della costa.

Al momento presente — tenuto conto del nuovo sviluppo che la nostra occupazione va continuamente prendendo verso l’interno, della necessità di nuovi presidi per contenere l’espansione greca e per collegare il distaccamento di Conia con quello di Adalia — questo Comando (per quanto, in linea di principio, sia contrario ad un eccessivo disseminamento delle nostre forze nelle imprese oltre mare), ritiene che sarebbe opportuno addivenire ad un adeguato aumento di forza del nostro corpo di spedizione, sempre quando la nostra occupazione debba assumere in avvenire un carattere di stabilità.

In questo caso i nostri sforzi sarebbero sempre giustificati dall’importanza dello scopo e converrebbe anzi affermare più che possibile il nostro prestigio su quelle popolazioni e di fronte ai greci.

Si prega quindi codesta Delegazione di voler far conoscere al riguardo il pensiero del Governo, soggiungendo che l’eventuale aumento di forza che questo Comando proporrebbe comprende una brigata di fanteria con relativa aliquota di servizi, oppure un reggimento di fanteria ed uno di cavalleria3.

867

L’AGENTE A GERUSALEMME, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 43. Gerusalemme, 20 giugno 1919.

Prefiggersi, in questo momento, di riprodurre in un quadro sintetico la situazione politica di Palestina sarebbe vano o, tentandolo, si falserebbe la realtà. Poiché la caratteristica attuale del paese, sotto l’aspetto politico, sta appunto in ciò, che le aspirazioni e le tendenze dei vari gruppi etnici-religiosi della popolazione non trovano ancor modo di comporsi in quel tutto organico, se pur variopinto, che si dice pubblica opinione: e, d’altra parte, è proprio della forma mentis locale il considerare isolatamente i vari problemi, senza riuscire bene a connetterli fra di loro. In generale qui anche i meno aperti sono capacissimi di stabilire un rapporto fra il proprio interesse ed una data questione: poco atti invece a raggruppare dentro di sé la serie degli interessi in una scala di preferenze e di possibilità, raggiungendo, attraverso un processo di scelta e di eliminazione, un atteggiamento ben equilibrato di fronte al complesso dei problemi. Do un esempio: il possidente mussulmano dichiara apertamente di voler combattere fino al sangue il sionismo politico, che vuol rapirgli le terre su cui fonda le sue prerogative secolari di predominio: al tempo stesso calcola in sordina di quanto la concorrenza sionistica, a cui va maledicendo, potrà accrescerne il valore. E

tuttavia chi, ponendo mente a tali suoi calcoli, ne traesse la conseguenza che le sue declamazioni antisionistiche sono artificiali e perciò non pericolose, s’ingannerebbe, e rischierebbe di vedere avvenimenti assai gravi dargli un giorno la smentita. Ciò deve tener ben presente chi attinge informazioni in Oriente.

La difficoltà d’intendersi è ora aumentata anche perché l’occupazione alleata ha introdotto qui il frasario politico occidentale-europeo — nazionalità, interessi generali, areligiosità dello Stato ecc. — il quale rispecchia molto imperfettamente le realtà assai diverse che vivon sotto, ma corre come moneta spicciola nei rapporti ufficiali fra indigeni e rappresentanti europei e serve a meraviglia chi vuol parlare molto senza toccare l’essenziale. Frasario, tuttavia, che non è già più una pura finzione, perché già appaiono i sintomi del risveglio di nuovi sentimenti nazionali, e persino sociali (più però in Siria che in Palestina), e si combinano stranamente coi tradizionali ed inveterati sentimenti dei gruppi, accrescendo la confusione.

Meglio quindi prospettare in poche parole le varie questioni, e come si atteggiano i principali gruppi di fronte ed esse, e quale dovrà essere il contegno dell’Italia se vuole non trovarsi sbilanciata quando le cose cominceranno a maturare.

Sionismo. È la questione principale, di fronte a cui persino quella dell’autonomia e dei mandati, per il palestinese, passa in seconda linea. Perché essa sola pone in giuoco tutto il suo avvenire, sia spirituale (nazionalità, predominio, libertà, posizione morale, cultura) sia pratico (valore delle terre, affari, ecc.). Il sionismo crea qui molti nemici, non molti fautori, qualche dubbioso: non permette a nessuno l’indifferenza.

Si può affermare che la quasi totalità dei 600.000 indigeni di Palestina è avversaria risoluta del sionismo. Tollerantissima fino ad ieri degli ebrei, anche quando la loro attività rivestiva vere forme di accaparramento e di monopolio, il colorito politico del sionismo ha risvegliato oggi un senso di diffidenza e di avversione contro qualsiasi forma di attività ebraica che dia soltanto un po’ nell’occhio. Spinti da un entusiasmo quasi insolente, obbligati d’altronde a sventolare ben alte le loro bandiere per creare e mantenere nei correligionari d’Europa e d’America un ambiente morale e finanziario adeguato, privi di tatto, ignoranti dell’Oriente, sprezzatori dell’indigeno, persuasi del-l’onnipotenza del danaro, i sionisti polacchi e russi più o meno anglicizzati che piombarono in Palestina al seguito degli inglesi, fecero tutto il possibile per suscitare la diffidenza, poi lo spavento, poi la reazione degli indigeni. Si parlò di imporre la lingua ebraica, di espropriare i terreni; si organizzarono battaglioni ebraici, nucleo del futuro esercito, si tentarono compere di case vicino all’area del Tempio, si posero le prime pietre dell’università e furono proprio dodici, si prospettarono fantastiche e mostruose correnti immigratorie; in breve, si fece e si disse tutto ciò che per riuscire conveniva non si facesse e dicesse. Verso i correligionari già stabiliti in Gerusalemme e nelle città, ortodossi, conservatori, paurosi della politica, usarono l’arma dello sprezzo: non chiesero collaborazione, imposero ubbidienza. Padroni, per il favore inglese, della censura e delle comunicazioni, ne usarono con poco scrupolo per intercettare agli ortodossi ogni rapporto colle comunità d’origine e prenderli per fame. Radicali ed atei, vollero il laicismo, l’abbandono delle tradizioni, il monopolio dell’educazione. Trovarono resistenze inaspettate, conquistarono col danaro pochi, non ruppero la compagine dei molti. Così, l’avversione al sionismo degli ebrei ortodossi andò a rafforzare indirettamente la resistenza degli arabi: i quali, accortamente, distinguono sempre fra gli ortodossi che chiamano concittadini, ed i sionisti e i minacciati immigranti che trattano di stranieri, usurpatori.

Si andava intanto consolidando in Siria l’autorità dell’emiro, il quale si venne naturalmente atteggiando a protettore di tutti gli arabi, acquistando credito quanto più chiaro appariva che le potenze non potevano ormai sbarazzarsi di lui. Ed ecco i mussulmani di Palestina appoggiarsi maggiormente a Damasco: ed il movimento antisionista (mussulmani ed a questi accodati i cristiani) acquistare in disciplina, diventare più serio e pauroso, assumere un istante aspetto di possibile immediata reazione sanguinosa (fu al momento dei tumulti d’Egitto), in ogni modo presentarsi come moto duraturo, forte dell’appoggio degli arabi limitrofi e lontani, minaccioso per l’avvenire ed abbastanza ardito per rinfacciare apertamente agli inglesi la loro politica sionista e profferire energiche proteste.

Le autorità locali, le cui istruzioni da Londra consistevano grosso modo in politica araba in Siria, sionistica in Palestina, compresero ben presto che i fastidi presenti (già molti) sarebbero diventati pericoli seri pel futuro. Le non poche ragioni che tendono a spegnere ora nel mussulmano le sue istintive simpatie per l’Inghilterra, si accrescevano di un’altra, non valutata a Londra al suo giusto valore. L’amministratore Money, uomo di poche idee ma chiare, fece allora un viaggio in Inghilterra, e tornò dopo aver imposta la sua politica palestinese: giustizia per tutti, imbrigliare i sionisti, carezze agli arabi, riguardi agli ebrei ortodossi (questi cominciarono a ricevere danaro dall’estero e respirarono). Per le speranze del sionismo locale fu un colpo, e si mormorò contro l’Inghilterra: ma una ribellione contro l’assertrice della «National Home» è una impossibilità per il sionismo, in questo momento, e la parola d’ordine venuta dal Comitato di Londra fu quindi di pazientare e di mitigare anzi le tinte: tanto più che in Francia, in America, in Inghilterra, si ingrossavano nell’ambiente ebraico stesso le fila dei critici e degli oppositori. Di questo mutamento d’indirizzo fu esponente, iniziatore ed attuatore per un certo tempo l’italiano Levi-Bianchini, la cui opera riuscì tanto più gradita agli inglesi in quanto che, moderando le intemperanze ebree, facilitava il decorso della crisi (ostilità degli arabi) in momenti (moti egiziani) per l’Inghilterra piuttosto difficili. L’impulso dato da lui continuò dopo la sua partenza. Maggior tolleranza verso la tendenza religiosa ortodossa, cortesie ai rabbini, smorzamento delle tinte radicali, offerte di partecipazione agli affari: questo per l’ambiente ebreo. Per gli arabi: sordina alle affermazioni politiche, ai progetti di penetrazione terriera, alle intemperanze di ogni genere. Mediante poi la mediazione di qualche elemento locale mussulmano e cristiano (a dire il vero, faccendieri di scarso credito morale) si tentò anche un ravvicinamento cogli arabi, a base di interessi comuni, fratellanza semitica, ecc.; ma, a parte l’interessamento di qualcuno che spera di pescare buoni affari nel neo-semitismo, non si vede un qualsiasi serio risultato da tali tentativi.

Le cose stanno a questo punto. Far previsioni sull’avvenire del sionismo non è possibile che in parte. La incapacità agricola degli ebrei, la relativa povertà del suolo palestinese (obbiezioni di principio), sono in bocca a tutti: dobbiamo però ammettere che molto è possibile a gente disposta a spendere senza contare e capace di mantenere vivo l’entusiasmo davanti alle inevitabili delusioni. Il movimento sionista è capace di ciò? Bisogna studiarlo nelle zone donde irraggia, non qui, dove non si vedono che certi effetti. Bisogna sopratutto studiarlo nelle sue casseforti di Londra e New York, che assicurano zeppe. Tuttavia, credo lecito senz’altro prevedere che potrà svolgere, in un primo tempo, almeno qualche parte del suo programma minimo: un po’ di immigrazione, fondazione di colonie nuove, compere di stabili, collegamento dellecolonie in un corpo autonomo sotto l’alto dominio inglese. È poco: ma basterà per creare coll’elemento arabo uno stato inevitabile d’urto, tanto più forte quanto maggiore ed appariscente sarà l’opera sionistica. Sento poi far l’ipotesi che gli impegni contratti dalle potenze verso il sionismo si possano risolvere in concessioni economi-che-commerciali in Palestina: esercizi di ferrovie, lavori di porti, ecc. In tal caso, o queste concessioni non saranno che il punto di partenza, per i sionisti, donde iniziare l’opera di penetrazione, e allora l’urto non è che ritardato; o non avranno seguito, e allora non si tratterà più di sionismo, ma di impiego di capitale ebreo in Palestina, cosa di tutt’altra portata politica. In quale forma si determinerà quest’urto? Impossibile prevederlo, e del resto la forma ha meno importanza per noi, che non dobbiamo fare la polizia del paese; ma possiamo ritenere con certezza che la lotta contro il sionismo, se questo assumerà forme sensibili, diverrà uno dei maggiori compiti dell’arabismo siriano: sarà anzi, insieme coll’ostilità contro le potenze protettrici, uno dei fattori che contribuirà ad affrettare la formazione di quel vero e moderno sentimento nazionale arabo, di cui si cominciano ad osservare i primi indizi.

Osservazione diretta ed analogie lontane e vicine dimostrano che presto o tardi, e più presto di ciò che si crede, il nazionalismo arabo diventerà il fattore politico più importante della situazione su questa riva del Mediterraneo. Ripeto che il nuovo nazionalismo si dirigerà per forza contro le potenze protettrici e contro il sionismo. L’Italia, che non avrà qui mandati, e può far suo pro di tale circostanza, deve evitare di compromettersi in qualsiasi modo col sionismo, nelle sue forme (politica, penetrazione culturale, territoriale, ecc.) che susciteranno l’ostilità araba, mentre potrà trarre certi vantaggi da quelle forme dell’attività ebrea (commercio ecc.) che per tradizione è riservata qui agli ebrei e non desta gelosie. L’elemento mediterraneo sefardita, in parte composto di sudditi italiani, in parte di simpatizzanti, può essere sfruttato ai nostri fini. La nostra politica deve quindi svolgersi secondo le seguenti direttive generali, positive e negative:

Lasciare che il sionismo ashkenazita si impegoli eventualmente nella lotta cogli arabi per il predominio politico e la penetrazione terriera: la potenza mandataria in Palestina raccolga essa sola i fastidi della situazione. Per conto nostro, mostrare sempre, discretamente ma chiaramente, la nostra simpatia per gli arabi: ne raccoglieremo infallibilmente buoni frutti, e non qui soltanto;

Favorire invece lo stabilirsi in Palestina di comunità ebree sefardite (mediterranee), con elemento ebreo italiano o simpatizzante. Queste comunità si stabiliscano nei porti ed in qualche città. Stabiliscano contatti commerciali colle comunità ebree italiane (Egitto, Salonicco, Trieste, ecc.). Pur conservando buoni rapporti coi sionisti politici (coi quali ci serviranno da elemento di contatto), si astengano dalla politica e dalle imprese terriere e dalle lotte di preminenza e di cultura (su cui si impernierà il conflitto cogli arabi) e si attengano invece al commercio ed alle imprese industriali che non daranno luogo a conflitto. Ciò è più facile, perché risponde alla natura del sefardita mediterraneo: ottimo commerciante e duttile, apolitico, insinuante, moderato, quanto l’ashkenazita è duro, intransigente, eccessivo. Inoltre, coll’indigeno arabo sa trattare, perché è rimasto un mediterraneo e ne è ben voluto; gli diventerà ancora più accetto per il contrasto col sionista ashkenazita, e ciò sarà a nostro vantaggio. Da un lato, l’Inghilterra, legata suo malgrado all’odiato sionismo ashkenazita, dall’altro, l’Italia, appoggiata alle inoffensive comunità sefardite: ecco come vedrei la situazione futura. Bisogna pensare allo sviluppo di questo piano ed incaricarne ebrei italiani scelti. La Francia sola potrebbe disturbarci, facendolo suo, ma si trova in condizioni di inferiorità sotto tutti i punti di vista. Anzitutto perché, avendo il mandato sulla Siria, si troverà infallibilmente in urto cogli arabi; poi, perché non è immune dall’antisemitismo, mentre gli ebrei mediterranei guardano proprio all’Italia come all’unico grande paese che non distingue fra i figli naturali e gli adottivi figli d’Israele. Vi è in Italia una sottile sfumatura di cordialità completa, di fiducia assoluta verso i nostri compatriotti ebrei che manca in Francia, ed a cui l’anima ebraica mediterranea è sensibilissima. Corda dunque da far vibrare acconciamente, e su cui abbiamo il diritto ed il dovere di contare.

Nazionalismo arabo. Gli accenni che ne ho fatto nel paragrafo precedente dovrebbero bastare in un rapporto che tratta soltanto della Palestina. Giacché non è in Terrasanta il suo focolare, ma più a sud (Egitto) e più a nord (Damasco, Siria), e là va studiato e seguito giorno per giorno, onde renderci conto del suo possibile avvenire e regolare di conseguenza la nostra politica nell’Oriente mediterraneo. Vedremo, appena risolta la questione dei mandati, se la Palestina si orienterà verso l’Egitto, in grazia del comune padrone. Commercialmente, potrà essere; moralmente, Damasco è già oggi il centro del movimento neo-mussulmano e neo-nazionale per la Palestina, e rimarrà tale. Non avendo noi i vantaggi immediati conferiti dai mandati, almeno ne dobbiamo avere i mediati, cioè la simpatia dell’indigeno per chi non comanda in casa sua: dunque, accostarsi quanto è possibile agli indigeni, cioè ai mussulmani naziona

li. La misura di tale accostamento dovrà essere data dalle probabilità di sviluppo del partito nazionale e dalla rapidità dei suoi progressi e dev’essere naturalmente contemperato dalla necessità di non urtarsi prima del tempo colla potenza protettrice (cfr. situazione nostra odierna in Egitto). Uno studio più dettagliato di ciò che si può intendere per «accostamento agli indigeni» può esser condotto, ripeto, a proposito della Siria e richiesto ai nostri funzionari di laggiù.

Attualmente i mussulmani di Palestina, tranne parecchi partigiani strettamente inglesi, e pochi francesi, sono già ben disciplinati sotto l’egida morale dell’emiro. Sono, notisi, gli elementi giovani, nelle città, che formano il nerbo delle società sceriffiane: cioè gli uomini di domani. In campagna, il fellah si trova nelle condizioni di spirito del fellah egiziano, ma con caratteristiche più nobili, perché in parte d’origine, anche recente, beduina. Ora, si è visto di recente di che cosa sia capace il «paziente fellah» egiziano, quando lo si scaglia contro il dominatore, e come sa distinguere fra il bianco amico ed il bianco nemico. In mancanza del sentimento nazionale, in gestazione, agisce su lui la molla religiosa, ancora vivace e, siccome sentimento nazionale e religioso qui si confondono, si vede che strumento potrà divenire nelle mani del-l’effendi nazionalista il fellah palestinese. Del resto, già ora gran parte degli sceik dei villaggi sono nazionalisti (confusamente, intendo) e, per lo meno, attentissimi alla parola d’ordine dell’emiro.

Al momento attuale, la politica dei mussulmani di qui (tranne pochi selvaggi) sarà quella che comunicheranno loro gli agenti di Faisal. Il quale, avendo a Parigi mutato fronte ed essendo venuto a patti colla Francia e coll’Inghilterra sulla base della divisione fra la Siria e la Palestina, deve dirigere in questo senso le sue schiere, e sta manovrando di fatto con molta accortezza cercando di far loro ingoiare a gradi l’amaro boccone del distacco, quello amarissimo del protettorato francese in Siria, quello, in verità più facile, dell’inglese in Palestina; insinuando però fin d’ora ai fidi che, barcamenandosi tra i due, potrà un giorno liberarsene definitivamente. Coi sionisti, come si sa, è venuto a patti, ed ha promesso di disinteressarsi della Palestina, nientemeno; sott’acqua lavorerà contro di loro senza scrupolo, anche perché su questo punto la massa non sente ragione, e perché tale lotta gli servirà a dar vigore al creando movimento nazionale, di cui deve profittare la sua dinastia.

NOTA. Mentre scrivo queste righe, si sta per riunire a Damasco il comitatosiriano-palestinese per esporre ai delegati americani i desiderata della Siria. È probabile che l’emiro, la Francia e l’Inghilterra manterranno il congresso, per ciò che riguarda la questione dei mandati, in linee compatibili coi loro accordi. Ma l’importanza dell’avvenimento sta innanzitutto nell’affermazione dell’unità siriana che ne deriva. — Conseguenza. Da ora in poi la Palestina va considerata da noi come una parte della Siria, con capitale a Damasco. Bisognerà guardare alla corte, alla capitale, alla politica dell’emiro, allo sviluppo dei partiti damasceni, per capire la politica della Palestina. Perciò la necessità di raggruppare, per il servizio informazioni almeno, tutti i consolati siriani, Gerusalemme compreso, intorno al centro di Damasco, risolvendo ad ogni costo le difficoltà d’ordine che vi si opponessero.

Latini. È noto come, in generale, stiano sotto l’influenza della Francia, la quale se li è legati, loro ed i loro preti, col protettorato, le scuole, i donativi ed il fascino di una facile civiltà che solletica gli istinti dei levantini. Mi importa, al loro proposito, fissare sopratutto questo punto essenziale: essi servirono in passato alla Francia, unitamente alla protezione dei santuari e dei religiosi, per costituire una ragione d’intervento, una base alle pretese sul paese, una vera sfera d’interessi da accampare al momento della liquidazione turca. L’arma funzionò bene per la Siria, dove sembra che la preponderanza degli interessi francesi sia stata riconosciuta dagli alleati. Viceversa in Palestina, per il fatto che l’occupazione fu compiuta dalle truppe inglesi e per altre cause, il pretesto francese pare non abbia prevalso. In ogni modo, dal momento in cui l’assegnazione del mandato viene fatta, i cristiani latini perdono nove decimi del loro valore politico, che è precisamente quello d’essere pretesto d’assegnazione. La Francia ha bensì tentato di trasformarli, durante questi mesi d’occupazione militare inglese, in agenti d’azione diretta contro l’influenza inglese e mussulmana, ma non fece che rivelare la debolezza numerica e morale di cotesta sua clientela. I latini raccolsero poche decine di firme e diffusero timidi sussurri francofili, i quali dovrebbero far credere al mondo che i palestinesi anelano ad unirsi alla «Siria francese». Siccome i mussulmani parlano apertamente di unione siriana araba, presente o futura, così i latini fecero propria tale formola, sottintendendole un valore francofilo che non ha, al contrario. È un equivoco che non inganna nessuno, e men che meno i mussulmani, i quali a parecchie riprese hanno messo allo scoperto il giuoco; eppure, costituisce quanto di meglio ci ha saputo dare la politica anti-inglese dell’Alto Commissariato francese in Palestina, dall’occupazione di Gerusalemme ad oggi. Capisco che, col solo strumento latino a sua disposizione, non poteva fare di più. Se poi i latini venissero spinti a dichiararsi apertamente a favore della Francia, non faranno che mostrare, di fronte ai greci-ortodossi ed ai mussulmani, la pochezza dei partigiani francesi.

In ogni modo, data la tenacia con cui la Francia persegue le proprie tradizioni d’azione politica, anche quando la situazione che le giustificava è superata, è certo che, checché avvenga, essa continuerà a covare politicamente i suoi latini come per il passato. Non è il caso di spendere energie a contrastarle il campo.

Cristiani ortodossi. È interessante notare come, da quando si è diffusa in Palestina la persuasione che il mandato sarebbe stato dato all’Inghilterra, gli ortodossi siano divenuti in massima parte anglofili, e tutto faccia prevedere che l’intera «nazione», come dicesi qui, sarà in avvenire partigiana inglese.

Come è noto, essa formò in passato, in Palestina ed in Siria, la base della politica di penetrazione ed influenza russa, che la sosteneva nel suo antagonismo contro i conventi e l’alto clero ellenico. Gli ortodossi dovevano essere per la Russia precisamente quello che i latini erano per la Francia. È naturale che, caduta la Russia, essi abbiano cercato un nuovo protettore ed è logico che l’abbiano trovato nell’Inghilterra e che l’Inghilterra assuma volentieri la parte del patrono. Stupisce anzi che tal fenomeno non si sia manifestato prima, fin dall’inizio dell’occupazione inglese. Se ciò non fu, credo sia stato dovuto all’azione personale del governatore di Gerusalemme, Storrs, che, nei primi mesi, fece appoggiare contro il patriarca Damianos (allora deportato dai turchi, greco ma beneviso alla popolazione e già russofilo) un reggente del patriarcato, condotto dall’Egitto, l’arcivescovo Porfirios, elleno ed in ottimi rapporti colla Grecia. Di qui, urto fra le autorità inglesi, Porfirios e l’alto clero ellenico da un lato, e la popolazione ortodossa indigena dall’altro. Datano d’allora le voci di una politica greca intesa a raccogliere in Palestina l’eredità dell’influenza russa. Diede specialmente nell’occhio l’invio di un finanziere elleno a Gerusalemme, per esaminare la situazione finanziaria del Patriarcato e regolarla mediante un prestito da farsi dalla Banca nazionale greca. Parve insomma che l’Inghilterra appoggiasse il punto di vista greco; in realtà credo si trattasse di una azione personale di Storrs.

Ed infatti, tutto mutò ben presto, ed il Governo inglese rientrò nelle linee politiche corrispondenti al suo vero interesse. Porfirios fu fatto partire per l’Egitto e Damianos ricondotto dall’esilio con grande gioia della popolazione e grande rabbia dell’alto clero elleno e dei pochi laici elleni di Gerusalemme. Il finanziere greco, interrompendo anch’esso la sua missione, riprese in fretta la via d’Atene; e Damianos, col suo gregge, cominciò ad avvicinarsi cordialmente alle autorità inglesi, e reciprocamente. Il mutamento data in massima, ripeto, da un tre mesi fa, quando si assicurò che l’Inghilterra sarebbe rimasta qui e sola. Il governatore Storrs, espertissimo nei voltafaccia, è ora l’esponente della nuova politica, come fu l’autore della precedente.

È chiaro il vantaggio che l’Inghilterra trarrà dall’adesione fedele degli ortodossi al suo regime:

1) Rinsaldare i vincoli della solidarietà teologica e rituale fra protestantesimo anglicano e chiesa ortodossa (cfr. il movimento per l’unione, di grande portata politica): eventualmente, intervento dell’anglicanesimo (cioè dell’Inghilterra) nei santuari, approfittando delle posizioni tenute in questi dalla chiesa ortodossa di Gerusalemme.

2) Controbilanciare l’influenza francese sui cristiani latini coll’influenza inglese sui cristiani ortodossi (che inoltre sono assai più numerosi e di più facile maneggio, perché ben disciplinati sotto pochi capi).

3) Tagliare la strada ad eventuali ritorni dell’influenza russa.

4) Assicurarsi un gruppo da cui attingere funzionari cristiani di certa fede per bilanciare i mussulmani. Rappresenterebbero in Palestina la parte sostenuta sin qui in Egitto dai copti.

L’Inghilterra è quindi chiamata dalla forza delle cose ad essere l’erede della politica tradizionale russa in Palestina: appoggiare l’elemento indigeno ortodosso ed il basso clero che vi si recluta contro l’influenza ellenica rappresentata dai dignitari ecclesiastici e monaci greci del Patriarcato. Ciò segnerebbe naturalmente la fine dei progetti greci diretti a trarre il maggior frutto possibile dall’odierno stato d’impotenza della Russia. Non vedo perché l’Inghilterra dovrebbe cedere a favore della Grecia la buona carta che le è venuta in mano.

NOTA. In quest’ultimo mese la Russia ha dato qui qualche segno di vita. È stata riaperta la chiesa della Società imperiale e sono giunti diversi ecclesiastici russi dal-l’Egitto ed un vescovo dalla Russia del sud, via Costantinopoli. Si sa che ha ordine di sostenere per quanto è possibile la posizione morale russa e di informare i capi della Società sulla situazione.

Santuari. Sul problema dei santuari cristiani e della protezione dei religiosi latini non ho nulla da dire, non avendo osservato alcun fatto locale che possa influire sul modo di trattare l’arcinota questione nelle cancellerie europee.

È ovvia l’osservazione che, colla dissoluzione della Turchia e lo stabilirsi dei mandati e l’iniziarsi di una nuova vita politica in queste terre, l’importanza locale politica della questione è enormemente diminuita. Basta del resto vedere come la popolazione si disinteressi degli argomenti di preminenze e di onori, che un tempo mettevano a rumore Gerusalemme. Permane invece la sua importanza per ciò che riguarda i rapporti fra gli Stati e le forze morali e politiche del Cristianesimo mondiale: ma questo non è problema palestinese.

Patriarcato e Custodia. Valgono le osservazioni precedenti. Il Patriarcato, avendo maggiori contatti, a mezzo dei suoi ecclesiastici arabi, colla popolazione, acquisterà maggiore importanza locale. La Custodia, assorbita nella questione dei santuari, è completamente estranea alla vita del paese ed i suoi dirigenti ne ignorano persino le questioni principali. A pace fatta, quando se ne sarà regolata la posizione internazionale, si potrà studiare la maniera di utilizzare l’elemento italiano che vi predomina, nel miglior modo possibile, specialmente per ciò che riguarda la difesa e diffusione della lingua e della cultura italiana. Lo stesso per il Patriarcato.

Mi permetto di chiudere queste brevi note con una osservazione che riassume le mie impressioni di un anno di vita palestinese, nel periodo in cui si stava compiendo il passaggio dal vecchio ordine di cose al nuovo che si inaugura. E cioè: qui (Palestina e Siria) incipit vita nova. Questioni che occuparono per anni consolati, ambasciate e gabinetti stanno andando in seconda linea. Opere in cui si esauriva lo sforzo di concorrenza e di penetrazione, divengono di secondaria importanza. Gare, che furono l’agone preferito dei rappresentanti europei, hanno perduto ogni interesse. La nazione la quale sarà l’ultima ad accorgersi che sotto grandi nomi e grandi tradizioni e grandi secolari dispute si va facendo il vuoto, e che la vita ha preso nuove vie, ancora pochi anni fa imprevedibili, e che bisogna seguirla là dove corre, questa nazione perderà anche la nuova partita1.

866 3 Annotazione manoscritta in calce: «Intendimento di questo Ministero è di dare possibilmente allanostra occupazione il maggior carattere di stabilità. Approvo quindi la proposta del Comando [S. Sonnino]».

868

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A MESSICO, CANTONI MARCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

L. 1088.201. Messico, 20 giugno 1919.

Mi onoro accusare ricevuta alla Eccellenza Vostra del dispaccio in data 17 aprile scorso n. 11840, Direz. gener. degli affari commerciali, div. 5, sez.11.

Premetto che questo Governo si trova in condizioni finanziarie disastrose: qualche cosa che si avvicina alla bancarotta. D’altra parte l’idea di acquistare del materiale bellico potrebbe allettare, se non il Governo messicano, qualcuno dei generali affaristi che cercano tutti i modi per fare lauti guadagni sopra commissioni di ogni genere.

Stando così le cose, mi sono diretto a persona di mia assoluta fiducia, il cavalier Federico Gagna, ex-presidente di questa Camera di commercio italiana, rappresentante di importanti ditte italiane (Cinzano, Borsalino, Cantiere Odero), persona praticissima di questo mercato, della maniera di trattare qui gli affari, seria, onesta.

Egli in questi giorni cercherà di avvicinare il capo dello Stato Maggiore presidenziale, il generale Juan Barragan, persona influente avida di guadagni leciti ed ancor più di quelli illeciti, intimamente a contatto col presidente Carranza. Il cavalier Gagna parlerà dell’affare, naturalmente senza fare nome di questa R. Legazione.

Per quanto nel dispaccio di Vostra Eccellenza non si accenni dove dovrebbe avvenire la consegna del materiale, ho detto al signor Gagna di far presente che il Governo messicano dovrebbe occuparsi egli stesso del trasporto e ciò per vari e seri motivi.

Noi non abbiamo comunicazioni dirette fra il Messico e l’Italia: il materiale potrebbe arrivare con piroscafi italiani a Nuova York e poi proseguire al Messico per la via di terra o di mare. Sorgerebbero senza dubbio difficoltà gravissime create dal Governo nord-americano, il quale in questo genere di vendite ha quasi un monopolio col Messico: di qui ostacoli insormontabili verrebbero creati pel trasporto del nostro materiale venduto al Governo messicano.

Oppure il materiale potrebbe venire rimesso a Veracruz per mezzo di piroscafi francesi, ma non credo il Governo francese faciliterebbe questo passaggio e questotrasporto. È umano e logico che egli pure creerebbe degli ostacoli.

Mettendo invece come condizione che il Governo messicano acquisti il nostro materiale sul posto, oltre che evitare gli inconvenienti su accennati, si favorirebbe a molti ufficiali messicani di alto rango la possibilità di fare un viaggio in Italia dando loro l’occasione di commettere altri furti sulle spese di viaggio, oltre quelli già naturalmente preveduti sulle spese di acquisto, commissioni, ecc.

Non mi lusingo che l’affare si possa concludere, ma ad ogni modo ho creduto mio dovere tastare il terreno.

Se a qualche cosa di concreto si dovesse giungere, ne informerei immediatamente Vostra Eccellenza.

867 1 A margine annotazione manoscritta: «Ringraziare per l’interessantissimo rapporto. Apprezzole giuste osservazioni sui latini, come sul radicale spostamento di interessi e quindi svalutazione dei simboli e formule finora vigenti. Ottima la politica seguita per i sefardim ed il loro sfruttarli a nostro vantaggio di fronte agli aschenazim. S. Sonnino».

868 1 Non pubblicato.

869

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL CONSOLE A INNSBRUCK, CHIOVENDA, AL COMANDO SUPREMO, AL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, BORGHESE, E ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

T. 761. Parigi, 21 giugno 1919, ore 11.

(Per Innsbruck) Suo rapporto n. 55 del 12 corrente1.

(Per gli altri) R. Console Innsbruck con rapporto 12 corrente informa che onorevole tenente colonnello Pinchia, consulente politico di quel Comando, svolge azione tendente a preparare accordo con tirolesi sulla base di protettorato italiano nell’Alto Adige con occupazione militare italiana e vantaggi economici. Ho risposto al r. console come appresso:

(per tutti) Opera svolta costà da onorevole Pinchia è contraria a tutto l’indirizzo del R. Governo e del Comando Supremo ed è pericolosa in quanto a un dato momento può predisporre terreno ad azione diplomatica tendente a radicalmente sovvertire nostro postulato circa frontiera settentrionale.

(Per Comando Supremo) V.E. giudicherà come dare istruzioni a tenente colonnello Pinchia.

869 1 Non rinvenuto.

870

IL COMMISSARIO POLITICO A BERLINO, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1899/35 RR. Berlino, 21 giugno 1919, ore 13,55 (perv. ore 19).

Nuovo Gabinetto tedesco costituitosi stanotte sotto la presidenza di Gustav Bauer socialista maggioritario (...) con Noske, Erzberger ed altri pochi rimasti nel nuovo Ministero figure secondarie rappresentanti vari partiti. Ministro degli affari esteri conte Bernstorff già ambasciatore a Washington1. Erzberger mi ha fatto pregare informare V.E. sollecitamente che nuovo Gabinetto proporrà domani Assemblea nazionale accettazione condizioni pace con due sole riserve d’indole morale. Formula concordata sarebbe press’a poco seguente: Germania disposta firmare ecc. senza però volere riconoscere (...) responsabilità (...) e poter riconoscere obbligo consegnare Kaiser e responsabili di cui è questione articoli da 227 a 250. Con queste riserve soltanto accettazione sarebbe raggiunta(?).

Erzberger mi ha confidenzialmente fatto pregare interessare V.E. sostenere accettazione risposta Germania sotto questa forma che è la sola che dopo molte difficoltà si è potuto raggiungere per assicurare maggioranza favorevole firmare. Appoggio Delegazione italiana per soluzione di mondiale interesse e salvare rimanente integrità testo trattato sarebbe grandemente apprezzato Governo tedesco e ricordato nei futuri rapporti fra i due paesi. Mi sono limitato rispondere che non avevo difficoltà a comunicare quanto precede a V.E. Ho lasciato ieri sera a Weimar situazione estremamente depressa, nervosa e variabile, riportando impressione che senza qualche concessione d’ordine morale volontà veramente sincera maggioranza aderire firma dovrà cedere prevalenza elementi contrari abbandonando paese all’anarchia.

Seduta Assemblea nazionale avrà luogo domani domenica.

870 1 In realtà, ministro degli esteri del Governo Bauer fu nominato Hermann Müller. Bernstorff,già ambasciatore a Washington sino al 1917, e poi a Costantinopoli, aveva lasciato il servizio diplomaticoalla fine del 1918.

871

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 762. Parigi, 21 giugno 1919, ore 16.

Mio telegramma n. 6531.

Tacoli mi ha chiesto autorizzazione2 conclusione primo affare per otto milioni che commendatore De Benedetti delegato da Giuffrida rappresentare costituendo sindacato italiano fornitura viveri Ungheria stava predisponendo. Pur trattandosi affare tra sindacato italiano ed ungherese, data situazione delicatissima creatasi in seguito note accuse fatteci di aver fornito armi viveri Governo bolscevico, ho risposto Tacoli3 sospendere ogni trattativa anche nella forma da lui proposta.

Prego informare Giuffrida.

872

IL MINISTRO A LISBONA, SERRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1940/56. Lisbona, 21 giugno 1919, ore 17,35 (perv. il 24).

Risposta al telegramma di V.E. 60561.

Telegramma di V.E. 6812 mi è giunto 12 corrente; parlai immediatamente con il segretario generale poiché il ministro affari esteri dimissionario non si recava più al Ministero. Giorno 15 corrente però potei avere lunga e cordiale conversazione ministro affari esteri signor da Silva il quale sembra ora disposto conservare portafoglio causa annunziato rimpasto ministeriale3. Gli ripetei dichiarazioni secondo ordini avuti da V.E. e col segretario generale gettammo le basi di una informazione per la stampa. A cagione della cessazione dei giornali da ieri per lo sciopero generale classe grafica, la nota è comparsa soltanto oggi in un numero collettivo pubblicato da tutti i giornali di Lisbona ed è così redatta: «Il Governo italiano ha fatto sapere al Governo portoghese che mai è intervenuto in alcun modo alla pubblicazione dell’articolo «Temps» circa Angola il quale ha causato al Governo italiano una penosa impressio

871 Analoga comunicazione venne fatta in pari data a Crespi con T. 2019.

1 Vedi D. 707.

2 Si tratta del T. 131 del 18 giugno, non pubblicato.

3 Si tratta del T. 758 di Sonnino dello stesso 21 giugno, non pubblicato.

2 Vedi D. 759.

3 In realtà da Silva doveva poi essere sostituito, il 30 giugno, da João Carlos de Melo Barreto.

ne. Esso [mai] pensò ad aprire negoziazioni con una terza potenza sopra argomenti che interessano Italia e Portogallo e che soltanto fra le due nazioni amiche possono e devono essere trattati.

È opinione Governo italiano che la Conferenza della pace nulla ha da vedere con qualsiasi negoziato che potesse aver luogo fra Portogallo e Italia».

Il telegramma di Parigi accenna pure alla conversazione tra Bonin Longare e Giovanni Chagas; telegramma Solari fu riprodotto come già ho riferito con mio rapporto 714 (?) da tutti giornali sebbene polemica per l’articolo «Temps» per ora può considerarsi finita per cui penso essere buon consiglio evitare ulteriore pubblicità su questo argomento.

Oggi stesso spero ripetere ministro affari esteri dichiarazioni conformi istruzioni V.E.5.

872 1 Non rinvenuto.

873

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. 1922/1220 RIS. Vienna, 21 giugno 1919, ore 21 (perv. ore 18 del 22).

Telegramma di V.E. 6931 e seguito miei precedenti da Budapest. Ebbi occasione intrattenermi Budapest con membri Governo i quali negarono ed esclusero possibilità invio armi e munizioni ed altre merci in Ungheria da parte Italia. Per contro signora Stefania Türr2, che dissemi essere colà andata con speciale missione del Ministero della guerra, si espresse meco in guisa da darmi impressione ella sapesse effettivamente di un invio di armi e munizioni. Escludeva che R. Governo ne fosse consapevole e da alcuni suoi accenni sarei portato credere autorità militari Trieste e Fiume sarebbero quelle maggiormente indicate condurre inchiesta con probabilità riuscita. Non mi fu possibile ottenere più precise informazioni.

Intanto principio settimana giunsero Budapest funzionari americani ed inglesi e si sparse la voce che loro compito fosse appunto verificare quanto vi fosse di vero nelle voci di nostre importazioni e usare maggior controllo avvenire. Essi però non avvicinarono né me né quelle delegazioni militari, con essi trovasi pure giornalista americano Haig della «Associated Press». Giunsero anche a Budapest due commercianti boemi per trattare con Governo comunista di rifornimenti stoffa e tessuti per oltre duecento milioni. Richiesti come potrebbero eventualmente fornire tanto quantitativo, dissero avere ancora depositi ingenti materie prime. Ritengo ciò non sia possibile e suppongo quindi possa esistere commercio dette materie fra Italia e Boemia

con destinazione ultima Ungheria. Qui è esclusa possibilità arrivi via fluviale da sud per essere Danubio fortemente sbarrato mine.

D’altra parte qui generale Alberti insiste su probabile confusione avvenuta fra «Bruck» frontiera Austria Ungheria e «Bruck di Leoben» dove effettivamente sono passate armi e munizioni da noi ricuperate in base armistizio. Intervento nostre autorità militari Budapest in nota spedizione denari mi risulta minimo; qui invece vi fu invio carabinieri ed autocarri Bruck, e somme trovansi ancora depositate presso questa missione militare. Mi sembra che generale Alberti non fosse per nulla al corrente della questione pagamenti e note trattative commerciali; mi riservo quindi intrattenermi con generale Segre al suo ritorno in Vienna. Ho intanto preso ogni disposizione perché sia qui, sia a Budapest, vengano sospese operazione del genere e usato ogni mezzo per smentire energicamente Budapest voci calunniose che ritengo sempre più siano diffuse e sfruttate da questa missione francese.

872 4 Non rinvenuto. 5 Con successivo telegramma delle ore 21 dello stesso giorno Serra dava breve notizia dellanuova conversazione con il ministro degli esteri portoghese e del confermato chiarimento.873 1 Dell’11 giugno. Non pubblicato. 2 Figlia dell’ungherese István Türr, eroe del Risorgimento italiano.

874

IL SEGRETARIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB 1901/181.97. Roma, 21 giugno 1919, ore 23 (perv. ore 9 del 22).

Comandante della r. nave «Roma»1, telegrafa quanto segue2.

«Commodoro inglese mi ha comunicato che, contrariamente a sue disposizioni che stabilivano ritiro truppe greche al nord della linea retta congiungente Ayasoluk-Aidin, ministro Venizelos ha ordinato truppe greche presidiare ferrovia fra Ayasoluk e Aidin. Commodoro inglese chiesto istruzioni suo Governo, osservando necessità ferrovia sia presidiata militarmente. Adottando linea di separazione sopra indicata presidio ferrovia Ayasoluk Aidin spetterebbe truppe italiane. Situazione però diventerebbe molto delicata a causa della facoltà truppe greche servirsi detta ferrovia. Urge definire questione. Difficoltà problema deriva unicamente da occupazione greca isolata di Aidin. Commodoro inglese mi ha chiesto se truppe italiane intendono estendersi valle Meandro. Ho risposto non conoscere nostri piani e non ritenermi autorizzato chiedere informazioni al riguardo».

Per mio conto non posso che confermare l’assoluta necessità che greci sgombrino Aidin e che Ayasoluk sia esclusivamente in mano italiana perché solo ciò facendo saremo padroni della valle del Meandro nonché della ferrovia e metteremo in efficienza Scalanova.

2 La stessa notizia era stata comunicata al MAE anche dal delegato a Smirne Senni con T. 664,del 20 giugno. Il 22 giugno, con T. 12164 alla Sezione militare, Badoglio osservava a sua volta sulla questione: «grande convenienza che sorveglianza ferrovia di Aidin Nazilli sia assegnata a truppe italiane allequali dovrebbe anche essere garantito uso unica arteria ferroviaria che faciliterebbe nostra penetrazionemilitare e commerciale nell’interno».

874 1 Era il capitano di vascello Giovanni Giovannini.

875

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. Parigi, 21 giugno 1919.

Le norme di cui al mio telegramma 19691 da applicarsi in caso la Germania non firma trattato, sono state prese dal Consiglio superiore del blocco in applicazione di principî generali da esso precedentemente fissati al riguardo e dei quali qui unisco copia2.

Per parte sua il Consiglio dei quattro ha preso, circa reimposizione di tale blocco, la decisione di cui accludo il testo3.

ALLEGATO

DECISIONE DEL CONSIGLIO DEI QUATTRO

Parigi, 13 giugno 1919.

Decision of the Council of the principal Allied and Associated Powers at a meeting held on June 13th 1919.

The Council of the principal Allied and Associated Powers have considered the note of the Superior Blockade Council, dated June 11th, 1919.

They have decided that the Blockade Council should make every preparation for the reimposition of the Blockade but that its actual enforcement should not be undertaken, even in the event of the refusal by the Germans to sign the Treaty of Peace, without a decision from the Council of the Principal Allied and Associated Powers. No actual threat should be made public that the blockade is to be re-imposed, but, short of this, steps should be taken to give the public impression that preparations are in hand. If practicable, these steps should include the despatch of destroyers to show themselves in the Baltic.

2 Non si pubblica.

3 Vedi Allegato (edito in FRUS, vol. VI, p. 399, App. I a CF. 65). Il documento è siglato daWilson, Clemenceau, Lloyd George, Sonnino e dal rappresentante del Giappone, barone Makino.

875 1 Il T. 1969 del 17 giugno recava l’elenco dettagliato delle misure economiche e commercialidecise dal Consiglio superiore del blocco per il caso di rifiuto tedesco a firmare il trattato di pace. Analogo elenco venne trasmesso, in forma più sintetica, da Borsarelli ai rappresentanti italiani all’Aia, Copenaghen, Cristiania e Stoccolma con T. 391 del 21 giugno.

876

IL MINISTRO A COPENAGHEN, SACERDOTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 2062/120. Copenaghen, 21 giugno 1919 (perv. il 24).

Mio telegramma 1951.

Anche questo ministro d’Inghilterra è nominato membro della commissione che secondo decisione Conferenza della pace governerà lo Schleswig fino al plebiscito. Data nomina un membro francese ed uno inglese mi sembra terzo membro designato dalle grandi potenze dovrebbe essere italiano piuttosto che americano o di qualche nazionalità minore, non convenendo Italia rimanga estranea ad un avvenimento internazionale tanto importante per la Danimarca. In tal caso prego V.E. provvedere affinché incarico sia affidato a me come ai miei colleghi francese ed inglese.

877

L’AMBASCIATORE A PARIGI, BONIN LONGARE, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 2045/369. Parigi, 21 giugno 1919 (perv. il 22).

La caduta di Orlando1 produce grande impressione perché in generale impreveduta nei circoli parigini. Si attendevano giornate parlamentari aspre e necessità di rimpasto ministeriale, non una crisi totale immediata.

Intonazione dominante nella stampa è la sorpresa. Giornali al servizio dei jugoslavi e devoti a Wilson si studiano presentare caduta del Ministero come prodotta dalla ribellione del Parlamento contro il suo imperialismo ed il suo eccessivo programma territoriale. Stampa dell’opposizione invece riconosce in termini più o meno espliciti responsabilità che dirigenti della Conferenza hanno nella crisi italiana che sopraggiunge in presente momento, per quanto si teme possa incoraggiare resistenza dei delegati tedeschi.

877 1 Il voto della Camera che provocò la caduta del Ministero Orlando è del 19 giugno. Vedi

D. 844.

876 1 Non rinvenuto.

878

IL PRIMO SEGRETARIO DI LEGAZIONE A TOKIO, CORA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 2084/51 RIS. Tokio, 21 giugno 1919 (perv. il 25).

Facendo seguito mio telegramma n. 491.

Informo V.E. Governo giapponese presenterà al Parlamento progetto di legge costruzione varie stazioni aviatorie per un ammontare sei milioni yens.

Ministero della marina ha intenzione aprire una scuola aviazione cui bilancio tre milioni yens già concordato.

Vi sarebbero perciò (...) molte possibilità per l’aviazione italiana ma occorre non lasciare che ne approfittino unicamente Francia Inghilterra.

879

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. PER CORRIERE 2022. Parigi, 21 giugno 1919.

Risposta a telegramma n. 135891.

Date insistenti voci circa accordo tra cecoslovacchi e jugoslavi, condivido in massima parere del Ministero della guerra, contrario ad accoglimento richiesta del generale Coemittelhauser2. Preferirei però che non fosse opposto fin d’ora Governo ceco formale rifiuto, che potrebbe prestarsi a inopportune interpretazioni, ma che si soprassedesse a risposta, cercando possibilmente di prender tempo finché non fosse chiarito preciso atteggiamento detto Governo a nostro riguardo.

2 Recte: Mittelhauser.

878 1 Il T. 49 del 18 giugno sollecitava l’arrivo del nuovo addetto aeronautico, in vista dei grandiosi programmi di sviluppo dell’industria aeronautica giapponese.

879 1 Con il T. 13589 del 18 giugno Borsarelli sollecitava il parere di Sonnino in merito ad unarichiesta di fornitura di munizioni alla Cecoslovacchia, fortemente appoggiata dal generale Piccione, maritenuta inopportuna dal nostro Ministero della guerra.

880

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BORSARELLI

T. 2025. Parigi, 21 giugno 1919.

Suo telegramma 13310 del 14 corrente1.

Tutte le osservazioni esposte nella nota del Ministero dell’interno furono a suo tempo tenute in conto e fatte valere in seno alla Commissione delle riparazioni dai nostri rappresentanti i quali erano interamente al corrente così delle operazioni compiute dai funzionari italiani a Vienna come delle conseguenze che poteva avere la determinazione della data del 2° capoverso dell’art. 18.

Ma, nonostante la valida difesa delle nostre ragioni, fu ammesso il privilegio della restituzione ai territori ceduti degli oggetti d’arte asportati soltanto dal 1° giugno 1914 e dei documenti e memorie storiche asportati soltanto durante gli ultimi 10 anni. Unicamente per l’Italia si potè ottenere un trattamento speciale che spostasse il termine dei 10 anni almeno al 1861, dopo aver esperimentato ogni ragione per retrotrarre tale data al 1796, cioè all’epoca della secolarizzazione del Principato vescovile di Trento.

Sebbene la clausola avesse avuto l’approvazione del Consiglio supremo dei quattro si insisté in seguito — essendo stata differita la presentazione ai plenipotenziari austriaci del testo delle riparazioni — per qualche favorevole modificazione alla formula del 2° capoverso dell’art. 18, nel senso o di spostare la data del 1861 al 1796 o di aggiungere un inciso col quale si ratifichi quanto ormai dalle terre redente fu ritirato per opera della missione d’armistizio. A questo secondo punto di vista, che non poté prevalere in sede di Commissione, sembra ora acceda la delegazione inglese, ciò che può far sperare che il Consiglio supremo accolga la modificazione. Altre clausole del trattato regolano la restituzione di oggetti, manoscritti, documenti asportati in passato dall’Italia e per i quali esista per il nostro paese il diritto alla restituzione stessa.

881

IL COMMISSARIO POLITICO A VIENNA, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. GAB. 1993/1230. Vienna, 22 giugno 1919, ore 10 (perv. ore 9 del 24).

Nell’imminenza ritorno in Vienna generale Segre riterrei necessario V.E. voglia definire mia posizione qui anche in relazione missione militare. Per potermi conformare al concetto espresso in principio telegramma di V.E. n. 32701 insisto per avere

«stesse funzioni di Allizé» (telegramma del Ministero 122612) e, per quanto nostra missione qui abbia incarico ufficiale e autorità assai maggiore missioni militari altri alleati, occorre anzitutto che la prima autorità del Regio Governo sia il rappresentante diplomatico con rango ministro e non più il generale comandante missione italiana per armistizio. Inoltre, ad evitare complicazioni inutili e dannose e per poter meglio contrapporre mia azione a quella Allizé, occorre che missione militare cessi da trattare questioni politiche che devono rimanere attribuite alla rappresentanza diplomatica. Riservandomi con prossimo rapporto di riferire a V.E. sulla opportunità di trasferire dalla missione militare a quella diplomatica la direzione degli affari civili e commerciali, riterrei intanto necessario generale Segre cessi dall’avere relazioni dirette con questo ministro degli affari esteri e solo le abbia per il tramite del rappresentante diplomatico. I rapporti diretti anche di carattere politico fra la missione e questo Governo potevano giustificarsi soltanto finché essa era il solo organo italiano a Vienna. Con la venuta di Macchioro, ed in conformità ad istruzioni mandate alla fine di gennaio da V.E. alla Legazione Berna, Macchioro assunse direzione degli affari politici ma nonostante tali istruzioni la missione continuò qualche volta ad esercitare un’azione politica all’infuori di quella esercitata da Macchioro e non sempre a questa coordinata. In ogni caso essa trascurò di consultarlo in affari che pur non essendo di carattere esclusivamente politico avevano nel campo politico la loro ripercussione. Sembrami che tale stato di cose anormale dovrebbe cessare con la mia venuta e che oggi l’azione della missione debba essere coordinata alla mia, perché solo in questo caso la mia destinazione a Vienna ha una ragione di essere. Allizé ha con sé un consigliere ed un segretario d’ambasciata ed ha ristretto praticamente le funzioni del generale Hallier, di grado superiore al Segre, a quello di un addetto militare. Egli non si dà il titolo di commissario né di alto commissario ma semplicemente di ministro di Francia, avendo lasciato sulle sue carte da visita la sua ultima residenza. Sarei quindi d’avviso adottare analogo sistema, evitando sia di insistere per la mia carica volere titolo di «commissario» sia di servirsi di formula che implichi riconoscimento ufficiale. Sarei grato V.E., qualora approvi tutto quanto precede, informarmi telegraficamente delle decisioni prese e delle precise disposizioni impartite in proposito da Comando Supremo a questa missione militare.

880 1 Vedi D. 798. 881 1 Non rinvenuto.

881 2 Non rinvenuto. Cfr. anche D. 564.

882

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO BIANCHERI

T. 763. Parigi, 22 giugno 1919, ore 11.

Suo telegramma n. 134131.

Scambio di telegrammi intervenuto fra presidenti del Consiglio dei Governi alleati e associati e ammiraglio Kolciak non comportano riconoscimento del Governo di Omsk. Nulla perciò deve essere mutato quanto alla situazione del personale del-l’Ambasciata di Russia.

Quanto al principe Galitzin si può ammettere che in via ufficiosa si occupi degli affari commerciali russi presso nostri dicasteri competenti. Osservo però che per il momento sua competenza non si può estendere a quelle parti dell’ex Impero, come Estonia Lettonia Lituania e Caucaso, ove si sono costituiti Governi di fatto e che non riconoscono autorità di Kolciak.

883

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL MINISTRO DEI TRASPORTI MARITTIMI E FERROVIARI, DE NAVA

T. 764 RIS. URG. Parigi, 22 giugno 1919, ore 11,15.

Prego sollecitare risposta mio telegramma n. 736 del 17 corrente1 relativo tonnellaggio per spedizione Caucaso, dovendone informare urgenza queste autorità britanniche.

Nel formulare nostra risposta occorre anche tener presente ipotesi che negata concessione tonnellaggio inglese sia stata determinata da desiderio impedire nostra spedizione.

882 1 Con il T. 13413 del 16 giugno Biancheri riferiva della richiesta dell’Ambasciata russa che ilprincipe Galitzin operasse in qualità di addetto commerciale ufficiale, o almeno ufficioso, e sollecitavainoltre chiarimenti sull’eventuale riconoscimento dell’Ambasciata stessa come conseguenza delle dichiarazioni dell’Intesa a Kolciak.

883 1 Vedi D. 820.

884

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL COMANDO SUPREMO

T. 767. Parigi, 22 giugno 1919, ore 12.

Pasiƒ ha comunicato a presidente Wilson i risultati di un plebiscito, che egli dice essere stato eseguito di recente a Fiume, per iniziativa privata del partito slavo. Secondo i risultati di tale plebiscito, si sarebbero raccolte diciannovemila ottocentocinquantotto firme a favore dell’unione di Fiume allo Stato jugoslavo. Fatta eccezione delle liste relative a duemila duecentotrentanove firme, che sarebbero state in massima parte sequestrate dalle nostre autorità, venute a conoscenza della cosa, tutte le altre liste contenenti diciassettemilaseicentodiciannove firme sono state rimessa da Pasiƒ a Wilson, con tutte opportune indicazioni per controllare l’autenticità. Oltre i risultati di questo preteso plebiscito, Pasiƒ ha fatto tenere al presidente degli Stati Uniti una dichiarazione di codesto partito autonomo italiano, nella quale si chiede l’erezione di Fiume in città libera sotto il protettorato dell’Inghilterra o dell’America nonché il proclama che avrebbe emanato di recente, in un pubblico meeting, il partito sociale democratico fiumano in favore di Fiume Repubblica. Quanto al primo documento Pasiƒ, nella sua comunicazione a Wilson, osserva che, secondo dichiarazioni del capo del partito autonomo Ruggero Gottardi, il documento stesso fu sottoscritto da circa tremila persone, ma che le nostre autorità sarebbero riuscite a sequestrare la maggior parte delle liste portanti i nomi dei sottoscrittori. Quanto al proclama del partito socialista, Pasiƒ ne rileva tutta l’importanza, poiché, egli afferma, il partito socialista fiumano conta circa settemila membri e, calcolando le famiglie dei soci, esso non può ritenersi al di sotto di un minimo di quattordicimila individui.

Basandosi su tutti i documenti suaccennati, Pasiƒ, nella sua lettera a Wilson, viene alla conclusione che la grande maggioranza della popolazione di Fiume è decisamente contraria all’annessione all’Italia.

Prego V.E. di portare quanto precede a conoscenza del generale Grazioli, invitandolo a fornire d’urgenza a questo Ministero tutti i necessari elementi per potere, appena se ne presenti opportunità, efficacemente ribattere ed infirmare asserzioni signor Pasiƒ.

885

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ORLANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

T. URG. Roma, 22 giugno 1919, ore 20.

Ho ricevuto nel pomeriggio visita di Tittoni e Nitti. Pare che il Gabinetto sarà costituito domani. Ciò mi pare che semplifichi questione firma dappoiché tanto il nuovo presidente del consiglio quanto il nuovo ministro degli esteri trovano fuori di dubbio che si debba firmare. Credo che domani tu potrai ricevere una comunicazione ufficiale in tal senso. Qualità di plenipotenziari essendo indipendente dalla qualità politica potrete firmare tanto tu quanto Crespi quanto Imperiali. Ad ogni modo quest’ultimo è plenipotenziario al di fuori di ogni qualità politica che avesse perduto. Tittoni mi ha richiesto per domani un colloquio informativo della situazione, mentre d’altra parte si ripromette di conferire con te a Parigi, dove si recherà sollecitamente. In quest’ora che riepiloga quasi cinque anni di lavoro comune fra inaudite difficoltà, mi è particolarmente caro di mandarti un affettuoso e riconoscente saluto.

886

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL SUO SEGRETARIO, BIANCHERI

T. POSTA 2039. Parigi, 22 giugno 1919.

Suo telegramma 130581.

Il trattato con la Germania e quello con l’Austria ammettono effettivamente un diritto per gli Alleati di ritenere e liquidare i beni dei sudditi nemici che si trovino sui loro territori, salvo indennizzo da corrispondersi dallo Stato nemico.

Di tale diritto il Governo a suo tempo giudicherà se convenga far uso ed entro quali limiti.

Per parte mia confermo l’avviso già dato che non si dovrebbe procedere ad alcun atto contro tali beni. In ogni modo, se da questa Delegazione devono essere esaminate le questioni relative alle fondazioni germaniche ed austro-ungariche esistenti in Italia, occorrerebbe che il competente ufficio di codesto Ministero mi facesse pervenire una particolareggiata relazione in proposito, unitamente all’elenco delle fondazioni stesse.

887

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MANZONI

T. POSTA 2043. Parigi, 22 giugno 1919.

Riferiscomi telegramma posta n. 11120 del 19 maggio u.s.1.

Nell’associarmi all’avviso espresso in fine di detto telegramma comunico di aver convenuto con S.E. il capo di Stato Maggiore, il quale ha già dato la sua verbale adesione, che il comandante Levi Bianchini non farà più ritorno in Palestina presso la

Commissione sionista, ma prenderà imbarco sulla r. nave «Coatit» per una missione in Mediterraneo e Mar Nero.

In tal modo mentre egli non perderà del tutto i contatti con i sionisti svolgerà quell’azione presso i sefardi che è nei nostri fini, e potrà dare larga messe di informazioni sul movimento arabo e islamico il cui interesse sembra lungi dal diminuire.

Alla missione sarà dato anche carattere commerciale che dovrà di fronte a tutti essere il prevalente. Già sono stati presi i primi accordi con il Ministero del commercio. I dettagli e l’epoca della missione risultano dal carteggio del quale unisco copia2.

Essendomi poi stato fatto presente che alla Federazione delle comunità israelitiche fu dato nell’agosto scorso un contributo di Lst. 500 per la missione Levi Bianchini ed Artom, missione che invece di 4 mesi durò un anno, e tenuto conto del compito che Levi Bianchini dovrà ancora svolgere, prego codesta direzione generale di voler versare al comm. A. Sereni, quale presidente della Federazione suddetta, la somma di sterline mille (1.000) da prelevarsi dal fondo guerra.

Sarà necessario far comprendere al comm. Sereni in via del tutto riservata che mi attendo dall’opera ed attività sua, come da quella degli israeliti italiani, tutto il possibile appoggio alla migliore riuscita del compito affidato a Levi Bianchini presso i sefardi mediterranei.

Il comm. Sereni vedrà pure se sia il caso di versare al dottor Artom le indennità non corrispostegli dalle autorità militari, sempreché il Ministero della guerra, che converrà interrogare in proposito, non riconosca di dovergliele, come sembra fosse stato a suo tempo convenuto.

886 1 Il T. 13058 del 12 giugno, a firma Biancheri, faceva riferimento alla richiesta di informazione avanzata da Colosimo circa la sorte dei beni dei sudditi ex nemici.

887 1 Vedi D. 542.

888

L’INCARICATO D’AFFARI A PRAGA, LAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A PARIGI

NOTA 114.2396 RR. Praga, 22 giugno 1919 (perv. 6 luglio).

Scopo di questo rapporto, che redigo con tutta la possibile concisione, è quello di fornire a Vostra Eccellenza un quadro sintetico di questo paese nei rispetti della sua consistenza politica ed economica e delle influenze che lo dominano.

È certo che lo Stato cecoslovacco ha in sé tali risorse che presto o tardi dovrà riaversi e prosperare.

Basta ricordare le ricchezze minerarie (metalli e combustibili), gli impianti industriali, le maestranze specializzate, la fertilità del suolo, il progresso scientifico e pratico dell’agricoltura (metodi meccanici, concimazione chimica), la diffusione

888 Il rapporto (datato 22 giugno) è indirizzato a Tittoni come ministro degli esteri, anche se ilnuovo Governo entrò formalmente in carica solo il 23 giugno.

della cultura in generale ed in ispecie di quella tecnica, l’intelligenza del popolo ed il suo innegabile patriottismo.

Però tutte queste ricchezze e virtù, se sono gli elementi di una immancabile prosperità avvenire, non sono sufficienti per sé sole ad assicurargli subito il benessere, ove non siano adoperate con esperta e sicura consapevolezza. Le prime prove del nuovo regime sono state, bisogna dirlo, per questo rispetto, negative.

Era già una ragione grave di crisi per la Boemia lo sfasciamento della monarchia austroungarica. È naturale infatti che la crisi si faccia maggiormente sentire là dove il meccanismo economico è più complicato e delicato. I quattro quinti dell’industria austroungarica erano concentrati nei paesi cecoslovacchi, e sopra tutto in Boemia, mentre il centro degli affari era a Vienna. E quest’industria è nata in regime di protezionismo, potendo contare sul vasto e ricco mercato interno austroungarico, prima di affrontare la concorrenza all’estero. In generale si può dire che l’industria è tecnicamente organizzata bene, però con metodi non severamente economici. Ora l’improvvisa caduta della barriera protettiva determinerà in quello che era il campo riservato alla sua attività un’aspra lotta di concorrenza alla quale l’industria ceca non è preparata.

Ma altre ragioni di indole meno generale ed inevitabile minacciano seriamente l’industria ed il commercio cecoslovacco. La direzione delle industrie, delle banche e delle grandi ditte commerciali era per gran parte nelle mani di tedeschi, mentre i cechi occupavano posti secondari. Ora, aiutando potentemente lo Stato, gli elementi cechi tendono a cacciare dalla direzione i tedeschi per impadronirsene a proprio vantaggio. Sarebbe logico e politicamente opportuno se le classi dirigenti ceche potessero disporre di tanti uomini opportunamente esperti quanti ne occorrono per questa grandiosa opera di cechizzazione degli organi di produzione, di valorizzazione e di traffico: ma ciò non è, almeno per il momento. Ne consegue che un gravissimo perturbamento si verifica nella direzione tecnica ed amministrativa delle aziende, perturbamento che si farà maggiormente sentire quando, col ritorno della normalità economica mondiale, il lavoro regolare potrà essere ripreso e sviluppato. In quale momento è probabile che, infuori delle industrie elementari, che trovano localmente condizioni eccezionalmente favorevoli, come per esempio la produzione del ferro, dello zucchero e forse del vetro e delle porcellane, le altre industrie (meccaniche, tessili, ecc.) ed anche le banche e le aziende commerciali si troveranno in gravissimo disagio.

Dovrebbe spettare allo Stato di preparare con accorti provvedimenti condizioni meno gravi di quelle prevedute. Invece le amministrazioni pubbliche, improvvisate dopo la rivoluzione, sono riuscite tali organismi farraginosi ed inetti che, se non saranno radicalmente riformati, rovineranno il prestigio e la fortuna dello Stato.

Gli è che uno dei fenomeni più impressionanti del nuovo regime è stato appunto la caccia ai pubblici impieghi. I quali sono stati distribuiti quasi unicamente per meriti di patriottismo o per ragioni di clientela parlamentare. Nemmeno i posti più elevati sono stati riservati a funzionari provati. La pletora dei funzionari è già ora — dopo pochi mesi dalla proclamazione della Repubblica — tale, e tanta è la larghezza con cui sono retribuiti, che oltre il 20% delle spese statali viene da essi assorbito. Questa nuova burocrazia, che non ha nessuna delle solide qualità della tradizionale burocrazia imperiale e regia, ha invece adottato subito tutti i difetti di quella, a cominciare naturalmente dall’autoritarismo. Ogni amministrazione, e sovente i diversi uffici della stessa amministrazione, ordinano e dispongono per proprio conto, senza alcuna idea dei limiti della propria competenza. Ne risultano un confusionismo caotico, la sfiducia e lo scontento di tutte le private iniziative, l’aggravarsi disperatamente di una crisi già di per sé stessa penosa e l’ingrossare ogni giorno più del malcontento popolare.

Si aggiunga ancora a ciò la politica del ministro delle finanze dott. Rasin, che pure è forse l’unico uomo politico competente del Gabinetto, politica ispirata a preconcetti teorici, condotta da un temperamento eccessivamente duro e servita da organi esecutivi assolutamente incapaci. Il ministro Rasin, ossessionato dal problemamonetario, tutto vorrebbe subordinare al valorizzamento della corona. È innegabile che i provvedimenti da lui adottati (timbratura, ritiro del 50% della moneta cartacea contro rilascio di titoli di un prestito forzoso all’1% di interesse, censimento della ricchezza privata a scopo di futuri provvedimenti fiscali) sono ispirati a concetti di una lodevole severità finanziaria. Ma tutti i congegni da lui escogitati per ridurre al minimo le importazioni ed i pagamenti all’estero hanno finito per strozzare la libera concorrenza commerciale, per stimolare all’eccesso il contrabbando e per comprimere talmente il mercato, a vantaggio dell’usura clandestina, da creare una situazione generale veramente pericolosa per l’ordine pubblico.

Con le sue restrizioni alla importazione, il ministro mira pure a favorire la riattivazione delle industrie paesane: però, data la totale mancanza di riserve di materie prime e la grandissima difficoltà di acquistarle all’estero per mancanza di credito, e comunque occorrendo un tempo non breve per rimettere in funzione tutta la serie delle lavorazioni, il consumatore viene in pratica a trovarsi sacrificato oltre il limite, io credo, della sopportazione.

Tutto ciò è ancora aggravato dalla dilagante corruzione che penetra anche nelle amministrazioni dello Stato. Io parlo naturalmente degli uffici pubblici attinenti al commercio internazionale, perché è sull’azione di essi che sono informato.

Il discredito che da tale stato di cose è derivato allo Stato è, mi pare, abbastanza caratterizzato dal fatto seguente. Con legge approvata circa due mesi fa era stata autorizzata la negoziazione di un prestito di venticinquemilioni di dollari da parte delle cinque principali banche ceche con garanzia statale per l’acquisto di materie prime. Ebbene, nessuna banca americana ha consentito tale prestito, nonostante tutte le offerte garanzie, domandando invece garanzie reali, su pubblici servizi, su introiti doganali o altre analoghe sicurezze.

Mi risulta inoltre che numerosi ceco-americani patriotti, i quali erano venuti qui nell’intento di facilitare la ripresa degli affari, pensano ora a ritornare in America, l’opera loro trovando difficoltà insormontabili.

Il bilancio di previsione, incompleto, accusa già un deficit di quattro miliardi.

Ciò che accade nel campo politico ha analogia con ciò che accade nel campo economico. Com’è noto l’attuale Assemblea nazionale è stata costituita all’indomani della rivoluzione ceca con i deputati cecoslovacchi al Parlamento di Vienna ed alla Dieta di Praga, nonché con altri rappresentanti le organizzazioni nazionali. I tedeschi hanno rifiutato di prendervi parte. Sono una emanazione di questa eterogenea Assemblea il presidente della Repubblica ed il Governo. Il quale ultimo è un Governo di coalizione con rappresentanze di tutti i partiti, da quello borghese dei democratici-costituzionali a quello socialista internazionalista dei socialdemocratici.

Era naturale che un simile Governo, non sorto dalla diretta volontà del popolo, godesse di poca autorità, mancasse di coesione e di direttive. Però tali difetti sono risultati peggiori di ogni previsione. Un poco anche forse per l’assenza, prolungata ormai senza interruzione, di molti mesi, del presidente del Consiglio Kramar e del ministro degli esteri dott. Benes delegati a Parigi per la Conferenza della pace . I due ministri si credono autorizzati a prendere impegni in nome della Repubblica, senza nemmeno informare il Governo né il presidente, come ho potuto io stesso constatare, e determinano il loro atteggiamento, e quindi la politica estera della Repubblica, esclusivamente secondo le proprie impressioni parigine e le pressioni che subiscono, senza mantenere il contatto col paese.

Gli altri ministri del resto mostrano di sentire anch’essi assai scarsamente la solidarietà che la corresponsabilità di Gabinetto dovrebbe imporre loro. Taluni di essi anzi, più solleciti della propria popolarità che del pubblico interesse, danno deplorevoli prove di leggerezza. Ne sono esempi tipici il ministro della difesa nazionale, Klofác, che avendo cominciato l’opera sua di organizzatore dell’esercito con grandi concioni sulla fratellanza fra soldati ed ufficiali (saluto per rispetto non per obbligo, pasti comuni, ecc.) con l’emanazione di regolamenti militari ultra liberali, con l’accoglimento di qualunque reclamo contro i propri superiori, ecc., è il principale responsabile della inconsistenza dell’esercito, rivelatasi disastrosamente nel conflitto con le guardie rosse magiare; ed il ministro guardasigilli Soukup che, in occasione di recenti dimostrazioni contro l’usura dei bottegai, incitava in un comizio di piazza la folla a farsi giustizia da sé. Ciò che naturalmente ha subito fatto.

Ma se l’azione di governo del Gabinetto è quasi nulla o perniciosa, non meglio decisa e conclusiva appare l’attività legislativa dell’Assemblea. Raramente le discussioni assumono la portata di vasti e profondi dibattiti. Riforme della più radicale importanza, come per esempio l’espropriazione delle terre, formano oggetto di compromesso tra i diversi partiti, e ne risultano piuttosto vaghe affermazioni di principio che pratiche provvidenze, col risultato di rinviare la vera risoluzione dei problemi, di quietare le velleità estremiste degli uni e le pavide preoccupazioni degli altri, ma lasciando in tutti gli interessati un senso di incertezza che non è certo propizio alla ripresa delle attività individuali.

Le recenti elezioni amministrative (le politiche non potranno aver luogo se non in autunno, dopo cioè che le frontiere saranno state fissate e le liste elettorali compilate) hanno dimostrato che il popolo si interessa alla lotta dei partiti, però con ordine e con obbedienza ai capi. Lo spirito associativo è qui sviluppatissimo. La lotta è stata fatta intorno a poche idee, senza programmi precisi, al seguito degli uomini che si sono messi in vista per le loro qualità meno nobili. In complesso hanno avuto prevalenza i socialisti.

A me pare che dei problemi di tendenza quello che maggiore influenza eserciterà nell’assetto interno del paese e sul suo orientamento nei rapporti internazionali è quello relativo alle relazioni tra le varie razze che formano la popolazione della Repubblica. Si riproducono in questo piccolo Stato le condizioni di plurinazionalità esistenti nell’ex-monarchia. La maggioranza cecoslovacca si troverà di fronte ad una minoranza di tedeschi, magiari, polacchi, ruteni in proporzione approssimativamente di uno a due. Con questo di diverso: che la minoranza tedesca, ammontante a circa tre milioni di anime, costituisce la parte più eletta per cultura e per attività sociale della popolazione e, insieme alla magiara, era fino a ieri abituata a esercitare un predominio sprezzante nella convinzione della propria superiorità.

Di fronte a questo problema, le opposte correnti che si manifestano nel paese per ora quasi si bilanciano: ritengo però che la tendenza conciliativa finirà per trionfare. La corrente per la rigorosa affermazione della superiorità ceca, impersonata sopratutto da Kramár, ha per sé il risentimento diffuso in tutte le classi sociali per i sofferti soprusi, e si alimenta del patriottismo volta a volta idealista e brutale e maschera grandi e piccoli interessi. La corrente per la conciliazione, impersonata specialmente dal presidente Masaryk, nasce da una saggia valutazione dei grandi interessi dello Stato, prima ancora che da principi di giustizia umanitaria, e trova seguito nei partiti ispirati più a idealità sociali che nazionali, voglio dire i socialisti, ed è anche favorita dalle tracce indelebili che la lunga educazione tedesca ha lasciato nella mentalità e nei costumi di questa gente.

Per ora una sola influenza estera si esercita qui per determinare il trionfo di una su l’altra di queste correnti: l’influenza dei francesi, i quali vedono nella comunanza dell’inimicizia tedesca la miglior garanzia di quella politica antigermanica che sognano di capeggiare qui come altrove.

La predominanza francese è attualmente incontrastata; ed i francesi la esercitano del resto con una risolutezza che prova tutta la determinazione della loro politica.

L’opinione pubblica l’accetta o la tollera? Non saprei dirlo. Questo popolo ha molte virtù ma non certamente quella della sincerità e della lealtà. L’affermazione è grave ma ponderata. L’esperienza che ho tratto dai contatti con tutte le classi sociali, con personalità della politica, della burocrazia, del commercio nelle più disparate circostanze mi hanno convinto essere questa una caratteristica del temperamento ceco. Forse residuo della lunga e spietata oppressione tedesca, vinta solo a forza di testardaggine e di dissimulazione. Non sarei affatto stupito che i francesi, i quali ora spadroneggiano qui con la missione del generale Pellé, ed a Parigi ottengono dai delegati cecoslovacchi qualunque cosa che lor piaccia di domandare, dovessero fare anch’essi esperienza di questa doppiezza più presto di quanto si possa prevedere.

Per parte nostra l’esperienza purtroppo l’abbiamo fatta ed è stata amarissima. Si può dire che nessun paese ha fatto per la Cecoslovacchia ciò che ha fatto l’Italia. In Italia è stato organizzato il corpo d’armata cecoslovacco, il quale è stato impegnato nella battaglia di Vittorio Veneto con calcolata prudenza così da coprirlo di gloria con minime perdite. Poi, nel momento critico che ha seguito la vittoria, mentre i paesi cecoslovacchi ribellati ma senza forza armata minacciavano di cadere nel disordine, l’Italia, cedendo alle insistenti suppliche, con grave sacrifizio proprio, specie di materiale rotabile in quel momento preziosissimo, trasportò in Boemia oltre 20.000 legionari perfettamente equipaggiati, muniti di tutti i servizi (artiglieria, radiotelegrafia, parco automobilistico, ecc, ecc.) e persino di viveri per un mese. Questo corpo d’armata, comandato dal generale Piccione e dagli ufficiali della missione militare italiana, fu immediatamente diretto nella Slovacchia, che conquistò combattendo. Per l’esercito cecoslovacco noi abbiamo incontrato finora una spesa di quasi 200 milioni. Ebbene, a misura che l’utilità della nostra missione militare veniva a diminuire, si è potuto notare un raffreddamento degli entusiasmi sollevati al suo giungere; poi il sorgere di diffidenze e di animosità, che culminarono all’atto del rimpatrio della missione nell’accusa di incapacità e di tradimento, appena blandamente smentita dal Governo dietro le rimostranze energiche di questa Regia Legazione.

La ragione di questo mutamento dell’opinione pubblica nei riguardi nostri dev’essere ricercata: nell’ignoranza delle cose dell’Italia, che il passato Governo austro-ungarico prima della guerra e durante la guerra si era adoperato di svalutare sistematicamente; nell’arrivo della missione militare francese (su questo punto il conte Bonin Longare può dare ogni spiegazione, avendo anche potuto apprezzare i procedimenti del ministro degli esteri sig. Benes, procedimenti non diversi da quelli usati qui generalmente); nella campagna jugoslava, intensificatasi con l’invelenirsi della questione di Fiume e divenuta baldanzosa ed arrogante dopo il messaggio di Wilson ai nostri danni; infine nelle avversità delle circostanze, che avendo fatto coincidere casualmente il ritiro della nostra missione col disastro dell’esercito cecoslovacco in Slovacchia, hanno avvalorato il sospetto di inettitudine e di tradimento per magiarofilia degli ufficiali italiani.

Per ciò che riguarda i rapporti futuri dell’Italia e della Cecoslovacchia io penso che potranno essere buoni. L’attuale ventata di ostilità sta già passando. Confido che i provvedimenti da me proposti daranno rapidamente apprezzabili risultati. La scarsa passionalità politica di questo popolo, gli interessi economici che possiamo stringere con reciproco vantaggio ed una migliore conoscenza del nostro paese lo fanno sperare con fondamento. Le simpatie jugoslavofile, naturali per ragioni ideali e commerciali, difficilmente, io credo, diventeranno tali da doverci preoccupare, se si agirà con prudenza e con abilità.

Circa all’atteggiamento della Cecoslovacchia per ciò che riguarda la sua partecipazione all’eventuale confederazione danubiana, non credo si possano ancora far previsioni. La confederazione è certamente desiderata dagli industriali nell’intento di ricostituire l’antico mercato chiuso per i loro prodotti; ma trova ostacoli, in apparenza insormontabili, negli antichi odi di razza, che i recenti avvenimenti militari hanno ancora esacerbato. D’altra parte la realizzazione di tale progetto dipende da complesse circostanze toccanti l’intima vita nazionale di diversi popoli, gli uni inebriati per la conquista della libertà, gli altri depressi per la perdita di antichi privilegi. Mi è naturalmente impossibile di valutare qui tutte le azioni e le reazioni di questi popoli di fronte all’idea della confederazione. Mi limiterò a dire che questo progetto, per ora agitato solamente nei circoli intellettuali, può ottenere qui in un prossimo avvenire più calmo larghe ed attive adesioni.

887 2 Non rinvenuto.

889

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

NOTA 11408 RR. Roma, 22 giugno 1919 (perv. il 29).

Il nostro addetto navale a Londra contrammiraglio De Lorenzi ha ricevuto dall’Ammiragliato britannico la lettera in data 16 giugno di cui si allega qui la traduzione1.

L’Ammiragliato avrebbe desiderato una sollecita risposta: ho telegrafato a De Lorenzi che mi riservo di rispondere dopo conosciuti gli intendimenti del R. Governo al quale sottopongo la questione. Infatti, questa riveste un così alto interesse politico, che esula dalla mia competenza decidere il da farsi.

In merito ad essa sottopongo all’E.V. le seguenti considerazioni:

a) è anzitutto da rilevare che essendo presente a Costantinopoli un ufficiale ammiraglio italiano in comando navale — per quanto di grado inferiore a quello degli ammiragli britannico e francese — sarebbe stato atto di doverosa cortesia invitarlo a prendere parte alle conferenze nelle quali furono stabiliti gli accordi cui si riferisce l’ammiraglio britannico, e sentire in merito il suo avviso. Dalla lettera del-l’Ammiragliato non risulta che ciò sia stato fatto: chiedo telegraficamente informazioni al riguardo al comandante la nostra divisione navale in Oriente.

b) L’Ammiragliato britannico avrebbe dovuto trattare contemporaneamente la questione con la Marina francese e con quella italiana, non già mettersi d’accordo prima con la Marina francese, e presentarla soltanto dopo tale accordo alla Marina italiana, escludendo così la possibilità per quest’ultima di trattarne con la Marina francese quando questa non era ancora impegnata.

Sono questioni più di forma che di sostanza, ma non sembra fuor di luogo rilevarle, come indice di una mancanza di cortesia e di deferenza che dovrebbero pur essere ben doverose fra marine fino ad ora alleate, e che purtroppo non è isolata.

***

Venendo alla questione sostanziale, questa può così riassumersi: «Il comando in capo navale in Mar Nero sarà assunto dalla Marina britannica: la Marina francese fornirà ogni concorso a tale comando in capo per la protezione del traffico marittimo e per le operazioni navali in Mar Nero contro i bolscevichi. Si chiede che la Marina italiana faccia altrettanto».

889 La nota fu inviata per conoscenza al presidente del Consiglio, al Ministero degli esteri ed alministro della marina. 1 Non si pubblica.

Da notare:

1) Finora il R. Governo ha tassativamente escluso qualsiasi concorso di forze militari e navali italiane ad azioni contro i bolscevichi. Ciò fu raccomandato in particolar modo da S.E. Sonnino per le navi da guerra italiane, che gli scorsi mesi furono dislocate in Odessa ed altri porti della sponda settentrionale del Mar Nero: esse esercitarono quivi una azione esclusivamente umanitaria, provvedendo al salvataggio di numerosissimi profughi di ogni nazionalità, ed acquistandosi le simpatie generali non escluse quelle dei bolscevichi, coi quali i nostri marinai vennero a contatto durante lo sgombero di Odessa.

A mio subordinato avviso conviene persistere in questa linea di condotta ed escludere qualsiasi nostra azione militare in terra ed in mare contro i bolscevichi, anche per ragioni di politica interna.

2) Forze navali britanniche e francesi sono ormai da ben otto mesi nel Mar Nero e giammai hanno esercitato azione militare veramente efficace contro le forze navali bolsceviche. D’altronde l’efficienza di queste si può ritenere praticamente ben scarsa; ed in particolar modo scarsa è l’efficienza dei sommergibili, poiché si tratterebbe di due sole unità equipaggiate chissà come, le quali finora non hanno mai esercitato alcuna azione militare.

3) Si può fondatamente ritenere che l’azione della Marina bolscevica in Mar Nero non possa costituire rischio di notevole entità per il traffico mercantile. Per quanto risulta essa non ha dato finora noia di sorta e la preoccupazione che soltanto oggi inglesi e francesi mostrano per tale traffico apparisce sospetta. Molto probabilmente gli inglesi mirano non tanto ad assicurare al traffico marittimo una protezione che non risulterebbe necessaria, quanto ad assicurare il controllo di tale traffico per favorire il proprio ed ostacolare quello altrui: di ciò non mancano evidentemente i mezzi a chi ha in mano tale controllo.

Per le considerazioni suesposte — e qualora il R. Governo ritenga di mantenere fermo il criterio che l’Italia debba astenersi da azioni militari contro i bolscevichi — sarei d’avviso di rispondere alla comunicazione dell’Ammiragliato britannico nei seguenti termini: la Marina italiana non può prendere parte ad azioni militari contro forze navali bolsceviche — a meno che non sia da queste aggredita — perché tale è la decisione del suo Governo.

Le notizie finora pervenute sull’azione delle forze navali bolsceviche fanno ritenere che non occorrano speciali misure per la protezione del traffico mercantile in Mar Nero. Comunque non si ha difficoltà a stabilire che — qualora tali misure siano attuate — il naviglio mercantile italiano si attenga alle conseguenti norme, in quanto queste non ritardino o comunque nuocciano al nostro commercio marittimo: ciò a giudizio insindacabile dell’ammiraglio italiano in comando nel Levante.

Non si ha neppure difficoltà a stabilire che le forze navali italiane dislocate in Mar Nero concorrano alla protezione del traffico marittimo, secondo le direttive che prescriverà il comando superiore navale interalleato, subordinatamente al servizio ed alle missioni che esse debbono effettuare in relazione ai nostri interessi politici ed economici: la possibilità di tale concorso e la misura di esso è lasciata al giudizio insindacabile dell’ammiraglio italiano in comando nel Levante.

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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI (Situazione dal 24 marzo al 22 giugno 1919)

MINISTRO DEGLI ESTERI

SONNINO barone Giorgio Sidney, deputato al Parlamento.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

BORSARELLI DI RIFREDDO marchese Luigi, deputato al Parlamento.

GABINETTO DEL MINISTRO

Affari confidenziali - Corrispondenza riservata e particolare del ministro - Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro - Rapporti colla stampa e le agenzie telegrafiche - Relazioni del ministro col Parlamento e col Corpo diplomatico - Udienze - Tribuna diplomatica

Capo di Gabinetto: ALDROVANDI MARESCOTTI Luigi, conte di Viano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

Segretari: BIANCHERI CHIAPPORI Augusto, segretario di legazione di 1ª classe; BARBARO conte Francesco, segretario di legazione di 1ª classe; DE LIETO Casimiro, segretario di legazione di 2ª classe; SILLITTI Luigi, vice console di 1ª classe (dal 26 maggio console di 3ª classe).

GABINETTO DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO

Affari confidenziali - Corrispondenza riservata e particolare del sottosegretario di Stato - Ricerche e studi in rapporto al lavoro del sottosegretario di Stato - Relazioni del sottosegretario di Stato col Parlamento e col Corpo diplomatico - Udienze

Capo di Gabinetto: BRAMBILLA Giuseppe, consigliere di legazione di 2ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

Segretario: RODDOLO Marcello, vice console di 1ª classe.

SEGRETARIO GENERALE

DE MARTINO Giacomo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

UFFICI ALLA DIRETTA DIPENDENZA DEL SEGRETARIO GENERALE

DIVISIONE I

Ragioneria ed Economato

Capo divisione: CALVARI Lodovico, direttore capo di ragioneria.

SEZIONE I

Bilanci e contabilità - Bilancio di previsione - Conto consuntivo Revisione di contabilità attive dei regi agenti all’estero - Liquidazione delle spese degli uffici all’estero - Competenze mensili dei funzionari e del personale di servizio

Ispettore: BONAMICO Cesare.

Capo sezione: CRIVELLARI Quirino.

SEZIONE II

Scritture - Conto corrente col Tesoro dello Stato Conti correnti coi regi agenti all’estero.

Capo sezione: D’AVANZO Carlo, fino al 1° maggio.

SEZIONE III

Tariffa consolare - Palazzi demaniali all’estero, arredamenti - Inventario dei mobili di proprietà dell’erario all’estero - Proposte per l’acquisto di mobili ad uso d’archivio degli uffici all’estero - Sussidi

Capo sezione: FANO Alberto.

SEZIONE IV

Economato e cassa

Inventario dei mobili del Ministero - Contratti - Spese d’ufficio Manutenzione dei locali - Magazzino - Personale degli uscieri Corredi dei regi uffici all’estero - Custodia delle successioni - Servizio di cassa

Capo sezione, economo-cassiere: VINARDI Giuseppe.

CIFRA

Corrispondenza telegrafica ed ordinaria in cifra Compilazione, custodia e distribuzione dei cifrari

Capo ufficio: CAMBIAGIO Silvio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Addetti all’ufficio: CARACCIOLO DI CASTAGNETO principe Gaetano, consigliere di legazione di 1ª classe; DEPRETIS Agostino, consigliere di legazione di 1ª classe; VANNUTELLI REY conte Luigi, consigliere di legazione di 3ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace); TALIANI Francesco, segretario di legazione di 2ª classe; GALLI Carlo, console di 1ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

STAMPA E TRADUZIONI

Spoglio e riassunto quotidiano dei giornali e periodici esteri e nazionali - Traduzioni

Capo ufficio: N.N.

Segretari: MARCHETTI FERRANTE Giulio, consigliere di legazione di 3ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

APERTURA, DISTRIBUZIONE E REGISTRAZIONE DELLA CORRISPONDENZA E SPEDIZIONE

Registrazione e sunto della corrispondenza in arrivo e in partenza Rubriche per ragioni di luogo, di materia, di persona - Schedari Spedizione della corrispondenza - Corrieri di Gabinetto

Capo ufficio: SANDICCHI Pasquale, console generale di 3ª classe.

Segretari: N. N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI

Direttore generale: CONTARINI Salvatore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe.

DIVISIONE II

Personale e Cerimoniale

Capo divisione: RANDACCIO Ignazio, console generale di 2ª classe.

SEZIONE I

Personale di ogni categoria dipendente dal Ministero degli affari esteri (eccetto il personale delle scuole all’estero e quello di servizio) Uffici diplomatici e consolari all’estero, loro istituzione e soppressione Servizio d’ispezione degli stessi uffici - Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia - Consiglio del Ministero - Concorsi - Ammissioni Annuario del Ministero - Elenchi del personale del Ministero Atti pubblici - Libretti e richieste ferroviarie per il personale

Capo sezione: CAVRIANI Giuseppe, console di 2ª classe.

Segretari: LOJACONO Vincenzo, primo segretario di legazione; SEGRE Guido, vice console di 2ª classe.

SEZIONE II

Regole del cerimoniale - Lettere reali - Credenziali - Lettere di richiamo Pieni poteri - Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari Franchigie in materia doganale ai regi agenti all’estero e agli agenti stranieri in Italia - Massimario - Visite e passaggi di sovrani e principi Decorazioni nazionali ed estere

Capo sezione: GAUTTIERI Antonio, console di 2ª classe.

Segretari: COLONNA Ascanio, segretario di legazione di 1ª classe; CATERINI Prospero, vice console di 2ª classe.

ARCHIVIO STORICO

Conservazione ed incremento delle collezioni manoscritte del Ministero e dei regi uffici all’estero - Conservazione degli originali degli atti internazionali conclusi dal Regno d’Italia e dagli Stati soppressi - Conservazione delle carte del Ministero versate dagli archivi delle divisioni - Ricerche e studi preparatori pel Ministero e per gli uffici del Dicastero - Memorie su materie storiche e questioni internazionali - Protocollo, inventario e schedari

Direttore: GORRINI Giacomo, professore.

BIBLIOTECA

Proposte per acquisto di libri e associazioni a giornali e riviste - Conservazione ed incremento delle pubblicazioni - Scambio di pubblicazioni con altri ministeri od istituti del Regno o di Stati esteri - Collezione e custodia di carte geografiche per uso del Ministero - Cataloghi, schedari - Raccolta sistematica di pubblicazioni del Ministero - Raccolta sistematica della legislazione straniera per ciò che può riguardare le relazioni internazionali e l’amministrazione degli affari esteri Forniture di pubblicazioni a corredo di regi uffici diplomatici e consolari

Bibliotecario: PASQUALUCCI Loreto.

TIPOGRAFIA

Direttore: ALFERAZZI Giacomo Antonio.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: MANZONI Gaetano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe.

DIVISIONE III

Capo divisione: CHIARAMONTE BORDONARO Antonio, consigliere di legazione di 1ª classe, fino al 30 maggio; BORGHETTI Riccardo, consigliere di legazione di 1ª classe, dal 1° giugno.

SEZIONE I

Carteggio in materia politica per affari concernenti l’Europa - Sunto quotidiano del carteggio - Stipulazione ed interpretazione di trattati politici relativi alla stessa circoscrizione - Rettifiche ed accertamenti di frontiera - Sconfinamenti militari Spoglio dei giornali esteri per la stessa circoscrizione

Capo sezione: DURAZZO marchese Carlo, consigliere di legazione di 2ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

Segretari: ROGERI DI VILLANOVA Delfino, segretario di legazione di 2ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace); TORTORA BRAYDA Camillo, conte di Policastro, segretario di legazione di 2ª classe; MAGNANI RICOTTI Sidney, segretario di legazione di 3ª classe.

SEZIONE II

Carteggio in materia politica per affari concernenti il Levante e l’Africa Sunto quotidiano del carteggio - Stipulazione e interpretazione di trattati politici relativi alla stessa circoscrizione - Capitolazioni - Riforme giudiziarie in Egitto Spoglio dei giornali esteri per la stessa circoscrizione

Capo sezione: COMPANS DI BRICHANTEAU marchese Alessandro, consigliere di legazione di 3ª classe.

Segretari: PATERNÒ Gaetano, segretario di legazione di 1ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace); GABBRIELLI Luigi, console di 3ª classe.

SEZIONE III

Carteggio in materia politica per affari concernenti l’Estremo Oriente e l’America

- Sunto quotidiano del carteggio - Stipulazione e interpretazione dei trattati politici relativi alla stessa circoscrizione - Spoglio dei giornali per la stessa circoscrizione

Capo sezione: DURINI DI MONZA conte Ercole, consigliere di legazione di 3ª classe.

Segretari: CIANCARELLI Bonifacio Francesco, console di 2ª classe; DE FACENDIS Domenico, console di 3ª classe.

SEZIONE IV

Pratiche relative alla politica coloniale

Capo sezione: SENNI Carlo, console di 1ª classe, fino al 28 maggio.

Segretari: PIACENTINI Renato, console di 2ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace); CECCHI Gino, console di 3ª classe; DI GIURA Giovanni, segretario di legazione di 3ª classe.

DIVISIONE IV

Capo divisione: STRANIERI Augusto, console generale di 3ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

SEZIONE I

Reclami di sudditi italiani verso Governi esteri e di sudditi esteri verso il Governo italiano

Capo sezione: N. N. Segretari: N. N.

SEZIONE II

Polizia internazionale - Istituti ecclesiastici esteri nel Regno Ammissione di ufficiali ed allievi stranieri nei regi istituti militari e marittimi Pubblicazioni diplomatiche e Libri Verdi

Capo sezione: ALBERTAZZI Enrico, console giudice. Segretari: N. N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI Direttore generale: SERRA Carlo Filippo, console generale di 1ª classe.

DIVISIONE V

Capo divisione: CAMICIA Mario, console generale di 1ª classe.

SEZIONE I

Carteggio relativo alla stipulazione e alla interpretazione dei trattati e degli atti commerciali internazionali - Studi e indagini di politica commerciale Pubblicazioni di indole economica - Bollettino del Ministero

Capo sezione: VIVALDI Guglielmo, console di 1ª classe.

Segretari: SALERNO MELE Giovanni, console di 2ª classe (dal 26 maggio console di prima classe); ALLIEVI Antonio, segretario di legazione di 3ª classe, dal 20 maggio.

SEZIONE II

Reclami doganali - Sconfinamenti doganali - Congressi e conferenze commerciali

Capo sezione: BIANCHI Vittorio, console di 2ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

Segretari: MARSANICH Alberto, console di 3ª classe (dal 26 maggio console di 2ª classe); GROSSARDI Antonio, console di 3ª classe; ASSERETO Tommaso, vice console di 2ª classe.

DIVISIONE VI Capo divisione: GARROU Mario, console generale di seconda classe.

SEZIONE I

Esposizioni - Congressi internazionali di natura non politica né commerciale

Capo sezione: N. N. Segretari: N. N.

SEZIONE II

Servizi postali e marittimi - Ferrovie di interesse internazionale - Sanità pubblica

Capo sezione: PULLINO Umberto, console di 2ª classe.

Segretari: N. N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI PRIVATI

Direttore generale: SERRA Carlo, console generale di 1ª classe.

DIVISIONE VII Capo divisione: MILAZZO Silvio, console generale di 1ª classe.

SEZIONE I

Questioni giuridiche di nazionalità, di estradizione, di protezione consolare, di stato civile e di ogni altro ordine non politico né commerciale

Capo sezione: N.N.

Segretari: GAVOTTI Lodovico, console di 3ª classe; WEIL SCHOTT Leone, segretario di legazione di 2ª classe; MONTAGNINI Carlo, segretario di legazione di 2ª classe; DIANA Pasquale, segretario di legazione di 3ª classe, dal 1° maggio.

SEZIONE II

Stipulazione ed interpretazione di trattati relativi alle materie anzidette

Capo sezione: N. N. Segretari: N. N.

DIVISIONE VIII

Capo divisione: GAZZANIGA Ettore, console generale di 2ª classe (dal 15 maggio console generale di 1ª classe).

SEZIONE I

Rogatorie - Pensionati all’estero - Atti giudiziari - Atti di stato civile Ricerche all’estero nell’interesse dei sudditi italiani

Capo sezione: BERTANZI Paolo, console di 2ª classe.

Segretari: COLI BIZZARINI Guido, console di 3ª classe; DE GRESTI DI SAN LEONARDO Guido, vice console di 1ª classe, fino al 30 aprile; CHABERT Alberto, interprete, fino al 31 maggio.

SEZIONE II

Successione di sudditi italiani morti all’estero

Capo sezione: TOSCANI Angelo, console di 1ª classe.

Segretari: COHEN Matattia, interprete.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO E DELLA LEGISLAZIONE

Contenzioso diplomatico - Segretariato del Consiglio del contenzioso diplomatico Convocazione, verbali delle adunanze - Nomina e conferma dei membri del Consiglio stesso - Archivio - Massimario del contenzioso - Studi preparatori delle conferenze di diritto internazionale privato e dei congressi internazionali di indole giuridico - amministrativa - Raccolta ufficiale dei trattati Pubblicazione degli atti relativi

Capo ufficio: RICCI BUSATTI Arturo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

Addetto all’ufficio: TOSTI Gustavo, console generale di 3ª classe (dal 15 maggio console generale di 2ª classe) (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

LEGALIZZAZIONI E PASSAPORTI

Legalizzazione di atti - Corrispondenza e contabilità relativa Passaporti diplomatici - Passaporti distinti

Capo ufficio: N. N.

DIREZIONE GENERALE DELLE SCUOLE ITALIANE ALL’ESTERO

Direttore generale: N. N.

DIVISIONE IX

Capo divisione: BOCCONI Luigi, console generale di 1ª classe.

SEZIONE I

Istituti scolastici governativi all’estero, loro ordinamento e direzione didattico-disciplinare - Istituzione e soppressione delle scuole - Locali scolastici Materiale didattico e scientifico - Personale insegnante - Deputazioni scolastiche Concorsi -Posti gratuiti e semi-gratuiti dall’estero per l’interno - Istituti sussidiati all’estero - Sussidi ordinari e straordinari a scuole coloniali, private e confessionali

Tutela e sorveglianza delle medesime -Palestre ginnastiche -Educatori Biblioteche -Ambulatori medico-chirurgici annessi alle scuole ed altri istituti di assistenza scolastica - Segreteria del Consiglio centrale delle scuole all’estero e rapporti col Consiglio stesso - Annuario delle scuole italiane all’estero Statistiche - Relazioni al ministro ed al Parlamento Protocollo ed archivio della Direzione generale

Capo ufficio: SARTORI Francesco, console generale di 3ª classe.

Segretario: GATTONI Giulio, primo segretario di legazione.

SEZIONE II

Amministrazione, contabilità, bilanci delle scuole - Decreti e mandati relativi Inventari dei beni mobili ed immobili ad uso delle scuole

Capo sezione di ragioneria di 2ª classe: FIORETTI Vittorio.

COMMISSARIATO DELL’EMIGRAZIONE

Commissario generale: MAYOR DES PLANCHES barone Edmondo, ambasciatore onorario, senatore del Regno.

Vice commissario generale: DE MICHELIS Giuseppe.

DELEGAZIONE ALLA CONFERENZA DELLA PACE

I. DELEGATI PLENIPOTENZIARI

ORLANDO Vittorio Emanuele, presidente del Consiglio dei ministri; SONNINO barone Giorgio Sidney, ministro degli esteri; BARZILAI Salvatore, deputato; SALVAGO RAGGI marchese Giuseppe, senatore (fino al 23 maggio 1919); SALANDRA Antonio, deputato (fino al 23 maggio 1919); IMPERIALI DI FRANCAVILLA marchese Guglielmo, ambasciatore a Londra (dal 23 maggio 1919); CRESPI Silvio, ministro per gli approvvigionamenti e i consumi alimentari (dal 23 maggio 1919).

II. DELEGATI E CONSIGLIERI TECNICI

Questioni politiche e diplomatiche: MACCHI DI CELLERE Vincenzo, ambasciatore a Washington; DE MARTINO Giacomo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe, segretario generale del Ministero degli affari esteri; RICCI BUSATTI Arturo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe, capo dell’Ufficio del contenzioso del Ministero degli affari esteri; MONTAGNA Giulio Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Cristiania; TOMASI DELLA TORRETTA Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario ad Arcangelo.

Questioni giuridiche: SCIALOJA Vittorio, senatore; D’AMELIO Mariano, consigliere della Corte di cassazione; RICCI BUSATTI Arturo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe, capo dell’Ufficio del contenzioso del Ministero degli affari esteri.

Questioni militari: DIAZ Armando, generale, capo di S.M. dell’Esercito; CAVALLERO Ugo, generale (rappresentante militare italiano nel Consiglio supremo di guerra).

Questioni aeree: CHIESA Eugenio, deputato; MORIS M., generale; D’AMELIO Mariano, consigliere della Corte di cassazione; ORSINI P., contrammiraglio; BUZZATI Giulio Cesare, professore di diritto internazionale nell’Università di Pavia.

Questioni navali: THAON DI REVEL Paolo, ammiraglio, capo di S.M. della Marina; GRASSI Mario, contrammiraglio, addetto navale a Parigi; CONZ Angelo Ugo, capitano di vascello.

Questioni economiche e finanziarie: STRINGHER Bonaldo, ministro del tesoro (Questioni economiche e finanziarie); CIUFFELLI Augusto, ministro dell’industria, commercio e lavoro (Questioni economiche e finanziarie); CRESPI Silvio, ministro per gli approvvigionamenti e i consumi alimentari (fino al 23 maggio 1919) (Questioni economiche e finanziarie); MAYOR DES PLANCHES barone Edmondo, senatore, ambasciatore onorario, commissario generale dell’emigrazione (Lavoro ed emigrazione); DELLA TORRE Luigi, senatore (Questioni finanziarie); PARATORE Giuseppe, deputato, sottosegretario al Ministero dell’industria, commercio e lavoro; CABRINI Angiolo, deputato (Lavoro ed emigrazione); CHIESA Eugenio, deputato (Riparazioni); D’AMELIO Mariano, consigliere della Corte di cassazione (Riparazioni e responsabilità); FERRARIS Dante, ingegnere, industriale (Questioni economiche e finanziarie).

Questioni coloniali: AGNESA Giacomo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 1ª classe, direttore generale degli affari politici al Ministero delle colonie

(m. l’8 maggio).

III. ESPERTI TECNICI

Questioni politiche e diplomatiche: TOSTI Gustavo, console generale di 3ª classe (dal 15 maggio di 2ª classe); STRANIERI Augusto, console generale di 3ª classe; DURAZZO marchese Carlo, consigliere di legazione di 2ª classe; BRAMBILLA Giuseppe, consigliere di legazione di 2ª classe; VANNUTELLI REY conte Luigi, consigliere di legazione di 3ª classe; MARCHETTI FERRANTE Giulio, consigliere di legazione di 3ª classe; GALLI Carlo, console di 1ª classe; BIANCHI Vittorio, console di 2ª classe; PIACENTINI Renato, console di 2ª classe; PATERNÒ Gaetano, segretario di legazione di 1ª classe; CASTOLDI Fortunato, colonnello.

Questioni giuridiche: CAMMEO J., professore di diritto amministrativo nell’Università di Bologna; PILOTTI Massimo, magistrato; SALATA Francesco, prefetto; TOSTI Gustavo, console generale di 1ª classe.

Questioni militari: LEVI Giulio, generale; ROMEI LONGHENA Giovanni, generale; PARIANI Alberto, colonnello di S.M.; PELLICELLI G., tenente colonnello di S.M.; TISSI, tenente colonnello; PERGOLANI M., comandante; MAZZOLINI G., comandante; RUGIU G., comandante; ROMAGNOLI E., capitano.

Questioni aeree: DELMATI M.E., direttore generale al Ministero delle poste e telegrafi; DE SIEBERT A., colonnello; COSTANZI G., tenente colonnello; PICCIO P.R., tenente colonnello; BERLIRI-ZOPPI, tenente colonnello; FINZI G., capitano.

Questioni navali: LAGHEZZA G., tenente colonnello; FEA L., ingegnere navale.

Questioni del lavoro: ABBIATE Mario, ex deputato; CANEPA Giuseppe, deputato; LONGINOTTI Giovanni Maria, deputato; COLETTI S., ispettore dell’emigrazione.

Questioni economiche e finanziarie: ATTOLICO Bernardo, direttore generale al Ministero dell’industria, commercio e lavoro (Questioni economiche e finanziarie); BROFFERIO Tullio, consigliere di Stato, commissario del Tesoro italiano in Francia (Questioni finanziarie); CECCATO Giovanni Battista, addetto commerciale a Washington (Questioni economiche); CONTE P., ispettore al Ministero del tesoro (Questioni finanziarie); DRAGONI Carlo, segretario generale dell’Istituto internazionale di agricoltura (Questioni economiche); DELL’ABBADESSA A., direttore generale al Ministero delle finanze (Questioni economiche e finanziarie); GIUFFRIDA Vincenzo, consigliere di Stato, direttore generale al Ministero degli approvvigionamenti e consumi alimentari (Questioni economiche e finanziarie); LUCCIOLLI Ludovico, direttore generale al Ministero delle finanze (Questioni finanziarie); MARIANI G., addetto commerciale (Questioni economiche); PIRELLI Alberto, industriale, incaricato di missione del Ministero dell’industria, commercio e lavoro (Questioni economiche e finanziarie); QUARTIERI Ferdinando, ingegnere, industriale (Questioni economiche e finanziarie); VENEZIAN E., ispettore generale al Ministero dell’industria, commercio e lavoro (Questioni economiche).

Questioni delle vie di comunicazione: SINIGAGLIA, vice capo servizio alle Ferrovie dello Stato; FIORI, capo divisione alle Ferrovie dello Stato; BALDASSARRE, capo divisione al Ministero dei trasporti marittimi e ferroviari; GENTA Eugenio, capitano di vascello, direttore generale al Ministero della marina mercantile; INGIANNI, capitano di porto; MOSCHENI Alberto, direttore dei Magazzini generali di Trieste.

Questioni coloniali: PIACENTINI Renato, console di 2ª classe; CATASTINI Vito, funzionario al Ministero delle colonie; NOBILI MASSUERO Ferdinando, direttore generale al Ministero delle colonie.

IV. SEGRETARIATO GENERALE

Segretario generale: ALDROVANDI MARESCOTTI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe.

A) SEGRETARIATO ITALIANO DELLA CONFERENZA

DURAZZO marchese Carlo, consigliere di legazione di 2ª classe; BRAMBILLA Giuseppe, consigliere di legazione di 2ª classe; BERTELÉ Tommaso, segretario di legazione di 3ª classe; JONES A., maggiore; ZANCHI A., tenente.

B) GABINETTI DEI MINISTRI DELEGATI PLENIPOTENZIARI

Gabinetto del presidente del Consiglio dei ministri

Capo di Gabinetto: BATTIONI Augusto, ispettore generale di P.S.

Segretari: LANZA BRANCIFORTI DI SCORDIA principe Giuseppe, segretario di legazione di 3ª classe; PROTANI A., segretario del Gabinetto; LUCCHINI U., segretario del Gabinetto; FLORES F., sottotenente.

Addetti alla Presidenza del Consiglio: SALATA Francesco, prefetto; GALLAVRESI Giuseppe, professore.

Commissario per il Servizio stampa: LANZA DI SCALEA principe Giuseppe.

Gabinetto del ministro degli affari esteri

Capo di Gabinetto: ALDROVANDI MARESCOTTI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Segretari: ROGERI DI VILLANOVA conte Delfino, segretario di legazione di 2ª classe; TROMBETTI Achille, segretario di legazione di 3ª classe; BERTELÉ Tommaso, segretario di legazione di 3ª classe; VINCI conte Luigi Orazio, segretario di legazione di 3ª classe.

Capo ufficio stampa e informazioni: ALOISI barone Pompeo, consigliere di legazione di 2ª classe.

C) SEGRETARIATO DELLA DELEGAZIONE Segretari per le questioni politiche: ROGERI DI VILLANOVA conte Delfino, segretario di legazione di 2ª classe; BERTELÉ Tommaso, segretario di legazione di 3ª classe;

VINCI conte Luigi Orazio, segretario di legazione di 3ª classe. Segretario per le questioni giuridiche: FOBERTI F., capo sezione al Ministero dell’interno. Segretario per le questioni militari: FRACCHIA V., capitano. Segretari per le questioni aeree: GUIDONI A., comandante; SAUDA U., tenente.

Segretario per le questioni navali: GIUGANINO A., tenente.

Segretari per le questioni economiche e finanziarie: GIANNINI Francesco, funzionario al Ministero dell’industria, commercio e lavoro (Questioni economiche); CECCATO L., (Questioni economiche); TASCO A. (Questioni economiche); JUNG Guido, capitano (Questioni finanziarie).

Segretario per le questioni dei trasporti: MOSCA M., ingegnere al Ministero dei trasporti marittimi e ferroviari.

Segretario per le questioni del lavoro e dell’emigrazione: DI PALMA CASTIGLIONE, ispettore dell’emigrazione.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D’ITALIA ALL’ESTERO (Situazione dal 24 marzo al 22 giugno 1919)

ALBANIA

Durazzo - LODI Ettore, tenente colonnello, fiduciario del Ministero degli esteri presso il Governo provvisorio.

ARGENTINA Buenos Aires - COBIANCHI Vittore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

AUSTRIA

Vienna - MACCHIORO VIVALBA Gino, console generale, commissario politico, fino al 5 giugno; poi BORGHESE Livio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SEGRE Roberto, generale, capo della missione militare per l’armistizio.

BELGIO

Bruxelles - CARIGNANI di NOVOLI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GUARIGLIA Raffaele, segretario; BRANCACCIO Nicola, generale, addetto militare (residente a Parigi).

BOLIVIA

La Paz - AGNOLI Ruffillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -DE BOSDARI conte Alessandro, ambasciatore; AMADORI Giovanni, segretario.

BULGARIA

Sofia -ALIOTTI Carlo Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, commissario; GILBERT DE WINCKELS Igino, colonnello, addetto militare.

CECOSLOVACCHIA

Praga -LAGO Mario, incaricato d’affari; VECCHIARELLI Carlo, colonnello, addetto militare.

CILE

Santiago -NANI MOCENIGO conte Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 aprile.

CINA

Pechino -GARBASSO Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VARÈ Daniele, segretario; BENSA Maurizio Alessandro, interprete; DE PROSPERO Alfredo, interprete; FILIPPI DI BALDISSERO Vittorio, tenente colonnello, addetto militare.

COLOMBIA

Bogotà -DURAND DE LA PENNE marchese Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

COSTARICA

S. José de Costa Rica - NOTARI Giosué, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

CUBA Avana -CARRARA Stefano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

DANIMARCA

Copenaghen - SACERDOTI DI CARROBIO conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE RISEIS DI CRECCHIO Mario, primo segretario.

EGITTO

Cairo - NEGROTTO CAMBIASO Lazzaro, agente diplomatico e console generale; TOSTI DI VALMINUTA conte Mauro, segretario; ALLIEVI Antonio, segretario, fino al 19 maggio; HUSNI Leone Fabiano, interprete; BALBO BERTONE DI SAMBUY Filippo, maggiore, addetto militare.

EQUATORE

Quito - AGNOLI Ruffillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Lima).

ETIOPIA

Addis Abeba -COLLI DI FELIZZANO conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAMICIA Pasquale, tenente, addetto militare.

FINLANDIA

Helsingfors - GRAZZI Emanuele, delegato nel comitato economico interalleato, incaricato d’affari dall’8 aprile.

FRANCIA

Parigi - BONIN LONGARE conte Lelio, ambasciatore; MEDICI DEL VASCELLO Giuseppe, consigliere; BOSCARELLI Raffaele, segretario; DE STEFANI Pietro, segretario; GUAZZONE Pietro Alfredo, segretario; BRANCACCIO Nicola, generale, addetto militare; GRASSI Mario, contrammiraglio, addetto navale.

GERMANIA

Berlino -CHIARAMONTE BORDONARO Antonio, consigliere di legazione, commissario politico, da maggio; BENCIVENGA Roberto, generale, capo della missione militare.

GIAPPONE

Tokio -CUSANI CONFALONIERI marchese Luigi Girolamo, ambasciatore; CORA Giuliano, primo segretario; FILIPPI DI BALDISSERO Vittorio, tenente colonnello, addetto militare.

GRAN BRETAGNA

Londra -IMPERIALI DI FRANCAVILLA marchese Guglielmo, ambasciatore (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace, dal 23 maggio delegato plenipotenziario), sostituito da PREZIOSI Gabriele, segretario, incaricato d’affari; DE NOBILI DI VAZZANO marchese Rino, segretario; BALSAMO Giovanni, segretario; TROMBETTI Achille, segretario (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace); BERTELÈ Tommaso, segretario (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace); MOLA Armando, generale, addetto militare, fino a maggio, poi PERELLI Ippolito, generale; DE LORENZI Giuseppe, contrammiraglio, addetto navale.

GRECIA

Atene -ROMANO AVEZZANA barone Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NANI MOCENIGO conte Ludovico, primo segretario; DIANA Pasquale, segretario, fino al 30 aprile.

GUATEMALA

Guatemala - NOTARI Giosuè, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

HAITI

Haiti -DURAND DE LA PENNE marchese Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Bogotà).

HONDURAS

Tegucigalpa - NOTARI Giosuè, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -DELLA TORRE DI LAVAGNA conte Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente temporaneamente a Rorschach).

MAROCCO

Tangeri -RINELLA Sabino, agente diplomatico e console generale.

MESSICO

Messico - MARTIN FRANKLIN Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CANTONI MARCA Antonio, segretario.

MONACO Monaco - MAZZINI Ferdinando, console.

MONTENEGRO

Cettigne -DI MONTAGLIARI marchese Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

NICARAGUA

Managua - NOTARI Giosuè, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

NORVEGIA

Cristiania - MONTAGNA Giulio Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace), sostituito da ROSSO Augusto, segretario, incaricato d’affari.

PAESI BASSI

L’Aja -SALLIER DE LA TOUR Giuseppe, duca di Calvello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GUARNERI Andrea, primo segretario; CHIAPPERON Alessio, maggior generale, addetto militare.

PANAMA Panama -RAGUZZI Carlo, console, incaricato d’affari.

PARAGUAY Assunzione - ROSSI Adolfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERSIA Teheran - CATALANI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERÙ

Lima - AGNOLI Ruffillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

POLONIA

Varsavia -MONTAGNA Giulio Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, capo della delegazione nella Commissione interalleata per gli affari di Polonia, fino al 6 aprile; ROMEI LONGHENA Giovanni, generale, delegato, fino al 6 aprile; FRANCHINO Umbertino, colonnello, addetto militare, dal 19 luglio.

PORTOGALLO

Lisbona -SERRA Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GAZZERA Giuseppe, segretario.

ROMANIA

Bucarest - FASCIOTTI barone Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 29 marzo; AURITI Giacinto, primo segretario, incaricato d’affari; CAFIERO Ugo, segretario; FERIGO Luciano, generale, addetto militare.

RUSSIA

Arcangelo -TOMASI DELLA TORRETTA Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace), sostituito da SAVONA Giuseppe, segretario, incaricato d’affari; KOCH Ottaviano Armando, segretario; CACCIA Mario, colonnello, addetto militare.

SALVADOR

San Salvador - NOTARI Giosuè, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

SAN DOMINGO

San Domingo -CARRARA Stefano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L’Avana).

SAN MARINO San Marino -GORI Giuseppe, console.

SERBIA - REGNO DEI SERBI CROATI SLOVENI

Belgrado -BORGHESE Livio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Budapest, dal 6 giugno a Vienna), sostituito da GALANTI Vincenzo, console, incaricato d’affari; DANEO Giulio, primo segretario, fino al 9 maggio; SERRA, addetto militare.

SIAM

Bangkok -MANACORDA Aroldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SPAGNA

Madrid -CARLOTTI DI RIPARBELLA marchese Andrea, ambasciatore; VIGANOTTI GIUSTI conte Gianfranco, consigliere; MACARIO Nicola, segretario; KELLNER Gino Lodovico, segretario; MACCAFERRI Vittorio, colonnello, addetto militare; CAMPERIO Filippo, capitano di corvetta, addetto navale.

STATI UNITI D’AMERICA

Washington -MACCHI DI CELLERE Vincenzo, ambasciatore (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace), sostituito da ARONE DI VALENTINO Pietro, incaricato d’affari; GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, segretario; BUTI Gino, segretario; GUGLIELMOTTI Emilio, maggior generale, addetto militare; LOVATELLI conte Max, ammiraglio, addetto navale; TAPPI Carlo, capitano, addetto aeronautico aggiunto; CECCATO Giovanni Battista, addetto commerciale (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace); PANCRAZI Aldo, capo del-l’Ufficio speciale del Commissariato dell’emigrazione.

SVEZIA

Stoccolma -ORSINI BARONI Luca, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SAPUPPO Giuseppe, segretario.

SVIZZERA

Berna -PAULUCCI DI CALBOLI conte Raniero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA conte Bonifacio, consigliere; CHIARAMONTE BORDONARO Gabriele, segretario; BARONE RUSSO Giacomo, segretario; VILLA Augusto, colonnello, addetto militare; LABRIOLA Alberto F., addetto commerciale.

TURCHIA

Costantinopoli -SFORZA Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, alto commissario; ALLIATA DI MONTEREALE E DI VILLAFRANCA principe Giovanni, consigliere; NEGRI Vittorio, capitano, segretario; PODESTÀ Giuseppe, interprete; GALLI Guido, interprete; MISSIR Oscarre, interprete, dal 15 maggio; VITALE Umberto, colonnello, addetto militare; ARLOTTA Mario, capitano di corvetta, addetto navale.

UNGHERIA

Budapest -BORGHESE Livio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, commissario in forma ufficiosa, dal 22 maggio al 5 giugno commissario politico; TACOLI Arrigo, segretario, commissario politico, dal 5 al 22 maggio e dal 6 giugno; MURARI DELLA CORTE BRÀ Vittorio, tenente colonnello, capo della delegazione a Budapest della Missione militare per l’armistizio a Vienna dal 5 al 12 maggio, sostituito da ROMANELLI Guido, tenente colonnello.

URUGUAY

Montevideo -MAESTRI MOLINARI marchese Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

VENEZUELA

Caracas - SCELSI Lionello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE PRESSO IL RE D’ITALIA (Situazione dal 24 marzo al 22 giugno 1919)

Argentina -AYARRAGARAY Lucas, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROLANDONE Conrado, secondo segretario.

Belgio -VAN DEN STEEN DE JEHAY conte Werner, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LICHTERVELDE conte Baudouin, consigliere; DE PAPEIANS DE MORCHOVEN Charles, primo segretario; VAN OVERBEKE Marc, segretario, dal giugno; DE HÜBSCH barone, addetto temporaneo; MOREL A. J. M., generale, addetto militare; DE BÉTHUNE barone Gaston, maggiore, addetto militare aggiunto.

Brasile -DE SOUZA DANTAS Luiz Martins, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONIZ DE ARAGÃO José Joaquin, consigliere; DE GUILLOBEL Lourival, secondo segretario; GALVAO BUENO FILHO Americo, secondo segretario; MAGALHÃES DE ALMEIDA José Maria, tenente di vascello, addetto navale; GUIMARÃES Francisco, addetto commerciale; DE CAMPOS Deoclecio, addetto commerciale aggiunto.

Cecoslovacchia -BORSKY Lev, incaricato d’affari; PAPIRNIK Antonín, segretario; SEBA Jan, tenente colonnello, addetto militare provvisorio; LIPA Jaroslav, addetto commerciale.

Cile - VILLEGAS Enrique, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANINAT Felipe, primo segretario; SUBERCASEAUX León, secondo segretario; BRAVO ORTIZ Enrique, comandante di Stato Maggiore, addetto militare; RIVERA Raul, capitano, addetto navale, dal 27 marzo.

Cina - WANG-KUANG-KY, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HOU-TÈ-VANG, primo segretario; WANG-TSENG-SZE, secondo segretario; TCHANG GUI TONG, secondo segretario, dal 5 maggio; TSEOU KIAYONG, addetto, fino a maggio; TCHOU YIN, addetto.

Colombia -QUIJANO WALLIS José Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DAVILA Manuel P., segretario; DE VALENZUELA Ernesto, addetto, dal 1° aprile.

Cuba -MARTIN RIVERO Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IZQUIERDO José Alberto, primo segretario; LOPEZ Enrique, addetto; ESPINOSA HERNANDEZ José Esteban, addetto (assente).

Danimarca -DE OLDENBURG Markus Andreas, incaricato d’affari; STAUN Kai, addetto.

Estonia - WIRGO Eduard, incaricato d’affari.

Francia - BARRÈRE Camille, ambasciatore; CHARLES-ROUX François, consigliere; ROGER Jean, secondo segretario; LABOURET Jacques, terzo segretario; BAROIS Armand, terzo segretario; TRUELLE Jacques, addetto; JULLIAN, generale, addetto militare; FISCHER, tenente colonnello, addetto militare aggiunto; FROCHOT JosephEmmanuel-Henri, capitano di vascello, addetto navale; DE LA CHAPELLE, tenente di vascello, addetto navale aggiunto, fino al 23 maggio; DEVINS, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto, dal 24 maggio; HARISMENDY Joseph-Osmin-Georges, console generale, addetto commerciale.

Giappone -IJUIN Ipschii Hidokichi, ambasciatore (delegato plenipotenziario alla Conferenza della pace); HOTTA Masa-aki, secondo segretario, incaricato d’affari; KOSHIDA Saichiro, addetto; SUGISHITA Yujiro, addetto; SEMBA Aki, tenente colonnello, addetto militare; SHIMADA Shigetaro, capitano di corvetta, addetto navale, fino al 2 maggio; ISHIDA Kotaro, capitano di vascello, addetto navale, dal 3 maggio.

Gran Bretagna -RENNELL sir James Rennell Rodd, ambasciatore; ERSKINE William, consigliere; MOUNSEY George A., primo segretario; KEELING Edward, terzo segretario; TYRWHITT Gerald Hugh, addetto onorario; SCOTT Geoffrey, addetto onorario; CAPEL CURE Edward, consigliere, addetto commerciale; GODFREY BLUNDELL Samuelson, addetto commerciale; HASLAM V. H., addetto commerciale aggiunto; ROCKE, tenente colonnello, addetto militare; FORTESCUE Henry, tenente colonnello, addetto militare aggiunto; MAC GREGOR WHITTON, capitano, addetto militare aggiunto; HOLLWAY C. R., tenente, addetto militare aggiunto; LARKING Dennis, capitano, addetto navale; MEARS C. H., tenente colonnello, addetto aeronautico.

Grecia -COROMILAS Lambros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (delegato alla Conferenza della pace); SIMOPULOS Charalambos, consigliere, incaricato d’affari; PANURIAS Ioannis Nakos, segretario; LELYS Nikolaos, addetto, fino al 18 giugno; TAVULARIS Anastasios, tenente colonnello, addetto militare.

Guatemala -LARDIZABAL José Maria, incaricato d’affari; MATOS PACHECO Guillermo, addetto.

Haiti -DUVAL Amilcar, incaricato d’affari.

Messico -NERVO Rodolfo Arturo, incaricato d’affari, fino al 15 maggio, poi HAY Eduardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CABRERA Rafael, secondo segretario, dal 16 maggio; VILLATORO Gustavo, terzo segretario, dal 16 maggio.

Monaco -DE MALEVILLE conte Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); SAUVAGE Raoul, cancelliere, incaricato d’affari ad interim.

Norvegia -SCHEEL Arne, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGESTEN Ove C. L., addetto, poi segretario.

Paesi Bassi -VAN WELDEREN RENGERS barone Wilhelm B. R., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAN ASCH VAN WYCK H., segretario.

Persia -ISAAC KHAN MOFAKHAMED DOVLEH, generale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ENTEZAM-ES-SALTANEH B., consigliere (assente); PARVIZ MIRZA, principe, addetto; MAMED KHAN ENTEZAM, addetto.

Perù -BENAVIDES Oscar, generale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 16 maggio; MOREIRA Y PAZ SOLDAN Francisco, secondo segretario; CANEVARO Y LAOS César, addetto; MURGA CISNEROS Jeronimo, tenente colonnello, addetto militare.

Portogallo -LEÃO Eusebio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE BREDERODE, consigliere; PEDROSO Joaquim, secondo segretario; DE MANTERO BELARD VELARDE António, addetto; ESTEVES DA CONCEIÇAO MASCARENHAS José, tenente colonnello, addetto militare.

Romania -LAHOVARY Alexandru, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PENNESCO Dimitrie C., consigliere; FLORESCO Jon, colonnello, addetto militare.

Russia -DE GIERS Mikhail Nicolaevic, ambasciatore (provvisoriamente a Parigi); DE PERSIANY Ivan, consigliere, incaricato d’affari; DE STRANDTMAN Vassilij, primo segretario; KHVOSCINSKI Vassilij, addetto; BISTRAM barone Theodor, addetto; IORDANOW Aleksandr, addetto; DUBIAGSKI Nikolaj, addetto; JANISZOVSKI Bronislaw, addetto; RAFALSKI Wladimir, addetto; KRATIROW Aleksej, addetto; TRUBNIKOV Aleksandr, addetto; WOLKONSKIJ principe Aleksandr, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; HESKETH Aleksandr, maggior generale, addetto militare; RHEINGARD Marian, colonnello, addetto militare; NIEMTCHENKO Sergej, colonnello, addetto militare; RODZIANKO Pavel, colonnello, addetto militare; DE WRANGEL barone Pijotr, capitano di fregata, addetto navale; SUBBOTKIN Mikhail, addetto commerciale; MARGARITOV Ivan, addetto commerciale aggiunto; GALITZIN principe Nicolaj Dmitrievic, addetto commerciale (in forma ufficiosa).

Salvador -GUERRERO J. Gustavo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

San Domingo - RUBIROSA Pedro Maria, incaricato d’affari ad interim.

Serbia -Regno dei serbi croati sloveni - ANTONIEVI‚ Vojislav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MIHAJLOVI‚ Stanoje, segretario; MARINKOVI‚ Drag, segretario; BODY Aleksandar, segretario; CHRISTI‚ Bochko, addetto; KASSIDOLATZ Dragomir,

addetto; STANOJEVI‚ Dragomir, addetto; PESI‚ Dusan, colonnello, addetto militare.

Siam -PHYA BIBADH KOSHÀ, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LUANG BAVARA VADI, secondo segretario; LUANG VISUTR SUNDARA, terzo segretario; AMORADHAT principe, tenente colonnello, addetto militare (in servizio presso la Delegazione alla Conferenza della pace).

Spagna -RAMIREZ DE VILLA-URRUTIA marchese Wenceslao, ambasciatore; DE LAS BARCENAS Y LÓPEZ-MOLLINEGO Domingo, consigliere; YNCLÁN Y DE LA RASILLA Manuel, segretario; ÁLVAREZ DE TOLEDO Alonso, conte di Eril, marchese di San Felices de Aragón, addetto, fino al 25 marzo; SILVELA Y DE LA VIESCA Alvaro, addetto, fino a maggio; DE LA GÁNDARA Y PLAZAOLA marchese José, addetto onorario; RAMIREZ DE VILLA-URRUTIA Y CAMACHO Fernando, addetto onorario; SERT José Maria, addetto onorario; SAGARRA Y CENDRA Ramón, comandante di Stato Maggiore, addetto militare; ALVAREZ DE TOLEDO Y SILVA Francisco, conte di Sclafani, addetto militare aggiunto.

Stati Uniti d’America -PAGE Thomas Nelson, ambasciatore; JAY Peter Augustus, consigliere; RICHARDSON Norval, primo segretario; CROSBY Sheldon L., primo segretario; LANE Arthur Bliss, terzo segretario; ANDERSON Thomas Hart jr., terzo segretario; SPERANZA Gino, addetto; RIGGS Benjamin, addetto; LANE James W., addetto; BUCKEY Mervyn C., colonnello, addetto militare; ALLEN Kimberley, tenente colonnello, addetto militare aggiunto, dal 5 maggio; POST Chandler R., capitano, addetto militare aggiunto, fino al 21 maggio; ALEXANDER Samuel L., capitano, addetto militare aggiunto, dal 22 maggio; BRUCE James, capitano, addetto militare aggiunto; WALLACE William, capitano, addetto militare aggiunto; VAN BUREN Ralph N., secondo tenente, addetto militare aggiunto; HEISKELL Morgan, primo tenente, addetto militare aggiunto; CARUSO Adolfo, primo tenente, addetto militare aggiunto; REEVES Joseph M., capitano, addetto navale; HODGES Harry M., capitano, addetto navale aggiunto; RIGGS Roland R., tenente comandante, addetto navale aggiunto; PECK Clifford M., tenente comandante, addetto navale aggiunto; THURLBY Harold H., tenente, addetto navale aggiunto; BRADLEY Charles jr., tenente, addetto navale aggiunto; KNOX Seymoure Livingston G., addetto scientifico; DENNIS Alfred, addetto commerciale.

Svezia -DE BILDT barone Carl Nils Daniel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE BILDT Harold, consigliere, fino al 27 maggio; DE REUTERSKIÖLD G., segretario.

Svizzera - WAGNIÈRE Georges, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE SEGESSER BRUNEGG Hans A., consigliere; DE SONNENBERG Theoring, secondo segretario; MORETTI William J., secondo segretario; MICHELI Louis, addetto.

Uruguay -TERRA Gabriel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); GRÜNWALDT-CUESTAS Federico, primo segretario, incaricato d’affari; DE CASTRO Alfredo, primo segretario; PODESTÀ Andrés, addetto onorario; MILANS Manuel S., addetto commerciale (assente).